3c)L'OASI PERDUTA
Ci volle ancora tutto il giorno dopo per arrivare a Uadi Benansur, la nostra meta in mezzo a quel mare di sabbia. L' Oasi Perduta, significava in quella lingua. Quando dalla cima di una duna la vedemmo spuntare all'improvviso in mezzo al deserto, capimmo il perché di quel nome. Era una piccola macchia verde in mezzo al giallo del deserto. Era minuscola. Ci chiedemmo come poteva Ibrahim averla chiamata città. Se quella era la capitale di quel paese, ci chiedemmo cosa mai avrebbero potuto offrirci i suoi abitanti. Così come ci chiedemmo come potesse chiamarsi Palazzo del Signore una tenda rizzata sotto gli alberi, solo un po' più grande delle altre che la circondavano. In confronto a quello che trovammo in quell'oasi, questa è una reggia, mia Signora" disse rivolgendosi a Lilith "Ma nonostante ciò, era linda e ordinata. Gli uomini erano gentili, le donne avevano gli occhi più puliti che avessimo mai visto e ovunque si respirava il medesimo profumo che avevamo sentito addosso a Ibrahim. Ogni cosa ne era impregnata. Le tende, i tessuti, gli animali, l'aria... Bigorn ne era estasiato. Andava in giro annusando ogni cosa che incontrava, cercando di capire quale fosse la fonte di quel profumo. Ibrahim lo guardò divertito e quando capì il perché del suo comportamento gli disse di seguirlo. Lo condusse verso un folto di alberelli dai cui rami pendevano bacche scure. Era Mirto, disse mostrandoglielo, un cespuglio che cresceva ovunque nell'oasi e dal quale gli abitanti traevano un olio che si spalmavano sul corpo: era ottimo contro insetti e infezioni, proteggeva contro le scottature e profumava il corpo. Mentre il mio amico Bigorn si inebriava del profumo che emanava da quegli alberelli, a sua insaputa proposi alla nostra guida di vendermi un flacone di quell'olio. Volevo fargli un regalo. Glielo portai in gran segreto, ma quando gli fui vicino maldestramente inciampai e caddi in terra. Il flacone si frantumò e sparse l'olio in terra. Disperato Bigorn si mise a correre fermandosi in mezzo alla chiazza e per poco non si mise a piangere, vedendolo scomparire nella sabbia in un battere d'occhio. Per scusarmi supplicai Ibrahim di vendermene un altro e questa volta lo porsi al mio amico con le dovute cautele. Credo di non averlo mai visto più felice come quel giorno. Se lo spalmò subito sulla pelle e da allora non passò un solo giorno senza che... ".
"Bigorn l'Ardito!" esclamò Fredrik facendo voltare tutti a guardarlo.
"Della Casa del Mirto! " terminò Thorball per lui, non meno stupito dell'amico.
Neko si voltò verso di loro e annuì lentamente. Sorrideva, era lieto che finalmente avessero compreso di chi stesse parlando.
"Proprio lui, sì. Colui che ha fondato la Casa del Mirto nel villaggio dell' Arcobaleno. Capostipite e progenitore di Vandea, tua moglie, Fredrik. Infrangendo la nostra regola di restare sempre in movimento, nei successivi tre anni restammo in quell'oasi al servizio del signore del posto. Diventammo molto amici con Ibrahim, insieme risolvemmo i problemi del fratello e imparammo molto sul rispetto reciproco. Una volta gli salvai anche la vita e lui se ne ricordò sempre. Era un uomo d'onore, Ibrahim. Tutto andava per il meglio, ma purtroppo il tempo passava inesorabile. Bigorn maturò dentro di sé un'idea che di lì a poco avrebbe cambiato radicalmente le nostre vite: volle tornare a casa alla fine di quell'ingaggio.
Ci disse che era già da tempo che ci pensava. Senza che ce ne rendessimo conto, con i suoi affari era diventato ricco, molto ricco. Solamente lui sapeva quanto, ma in ogni porto dove ci eravamo fermati negli ultimi venti anni aveva stretto accordi, acquistato o venduto qualcosa. Mentre noi due pensavamo alla fama e a divertirci, lui perseguiva l'unico scopo che avesse mai avuto in vita sua: fondare una Casa in Varesia, che portasse il nome scelto da lui e lo onorasse come capostipite. Con discrezione, un poco alla volta era riuscito a creare un' immensa rete di commerci tra la Varesia e tutti i porti che avevamo visitato. Diceva spesso che ogni luogo era adatto per fare affari. Da tempo ormai guadagnava più con i suoi commerci, che noi tre insieme in un anno intero come mercenari. Con l'intelligenza e la costanza era riuscito a trovare quei tesori che da bambino lo affascinavano tanto nei racconti dei marinai. Era già ricchissimo quando arrivammo nella terra di Ibrahim, ma grazie al Mirto e al suo olio riuscì a diventarlo ancora di più. Scoprire il profumo di quell'olio diede una svolta alla sua vita, alla nostra, all'Oasi Perduta e al porto di Benansur. Organizzò una carovana dall'oasi al porto e di lì, non senza difficoltà, trovò una nave disposta a salpare per lui. Lo ricordo ancora, quella fu la prima volta in ventidue anni che noi tre ci separavamo. Non lo vedemmo per mesi interi e quando ritornò ci disse che aveva preso una decisione. Lo temevamo, dentro di noi sapevamo che sarebbe arrivato quel giorno. Quello fu un momento molto triste, per tutti e tre. Aldaberon e io cercammo di farlo ragionare, ma lui vedeva più lontano di noi e fu lui a farci capire quello che noi ci rifiutavamo di vedere. Lui, che con gli anni era diventato un uomo saggio, aprì gli occhi a due giovani Sanzara sciocchi come noi.
Sentiva che la differenza fisica presto o tardi ci avrebbe separati. Lui invecchiava e noi eravamo sempre giovani come quando partimmo dal nostro villaggio. Le donne non lo guardavano più come un tempo e i doni che doveva fare per convincerle a passare una notte con lui erano sempre più costosi. Il suo aspetto non era più avvenente come una volta e se ne rendeva conto. Ma sopratutto sentiva i colpi degli anni sulla sua capacità di guerriero: non era più veloce come un tempo e nell'ultimo scontro con una banda di predoni, un ragazzino con appena un filo di barba era riuscito a ferirgli un braccio prima che lui lo uccidesse. Non fu che un graffio senza importanza da cui uscirono poche gocce di sangue, però furono quelle che colmarono il suo vaso: doveva decidersi a fermarsi mentre era ancora in grado di farlo. Si era divertito abbastanza assieme a noi, il tempo incalzava ed era ora di pensare a realizzare il suo sogno prima che fosse troppo tardi. Era ancora abbastanza giovane e forte per tornare indietro, costruire la sua Casa, sposarsi, mettere su famiglia e vederla riconoscere da tutti. In Varesia ormai era considerato un vecchio, però con un po' di fortuna avrebbe avuto ancora dieci, forse venti anni per realizzare il suo sogno e non poteva permettersi di perdere altro tempo. Ci disse che ne aveva già parlato agli anziani del loro villaggio e loro erano d'accordo. Gli davano il permesso di costruire la sua casa e avevano accettato il nome che voleva dargli: la Casa del Mirto. Da quel momento in avanti, lui avrebbe cessato di essere Bigorn della Casa delle Formiche e sarebbe entrato tra i fondatori delle case Vareghe: il suo sogno di avere un focolare tutto suo si stava avverando. Quando ce lo disse era raggiante e riuscì a farci vergognare di noi stessi. Anche Aldaberon, che tra noi due era sempre stato il più convinto, aveva finito per cedere alle tentazioni della vita comoda e da tempo non pensava a realizzare il suo destino. Fu un brusco risveglio, per due Sanzara fuggitivi come noi. Affermando la sua verità, Bigorn ci aveva sbattuto in faccia le nostre: eravamo dei vili, degli irresponsabili che stavano scappando davanti ai loro doveri. Era ora di smettere di fuggire. Stabilì una data per la partenza. Aldaberon e io ci sentimmo come mutilati. Noi eravamo i tre Vareghi e ora in due non saremmo stati più nulla. Bigorn non era ancora partito e già dovevamo rivedere tutta la nostra esistenza. Eravamo Sanzara e avevamo cercato di dimenticarlo per un po', ma come in qualunque pessima taverna, alla fine dell'ultimo boccale arrivava sempre il conto. Aldaberon rimase apatico per qualche giorno poi si riprese, ritrovò in parte il suo antico entusiasmo e aiutò Bigorn nei preparativi per la partenza. Io invece caddi in una profonda crisi. Non riuscivo a capacitarmi che tutto dovesse finire così. Bighellonavo tutto il giorno senza concludere nulla. Andavo a venivo tutto il tempo. Un giorno passai davanti alla tenda di una vecchia pazza che gli abitanti dell'Oasi di Benansur chiamavano Neko. Si circondava di gatti, erano ovunque attorno alla sua tenda. Era folle e la sopportavano solo per amore dei loro dei. Nel loro modo semplice di affrontare la vita, quegli uomini saggi credevano che i pazzi fossero inviati dal cielo perché i sani si chiedessero dove si trovasse la vera follia. E quella vecchia, ve lo garantisco, pazza lo era per davvero, credetemi. La evitavano tutti nell'oasi: era sgradevole, aggressiva e violenta. Passava le sue giornate a urlare: Neko! Neko! Neko!, che nella loro lingua significava Nessuno. Tutto il giorno non diceva altro: Neko! Neko! Neko!... Non appena qualcuno si avvicinava alla sua tenda, gli si scagliava contro come una belva inferocita e si metteva a urlare.
I Benansuriani passavano il più lontano possibile di là per timore di essere aggrediti e anche io lo sapevo. Però quel giorno ero distratto, quasi fuori di me. Non sapevo cosa fare, non sapevo dove andare, ero smarrito. Il mio avo non mi lanciava segnali e io mi sentivo perduto senza i miei amici. Così, quando quella vecchia pazza mi vide passare davanti alla sua tenda si mise a urlare:
<Nessuno passa davanti alla mia tenda! Tutti mi evitano, ma nessuno passa di qua! Nessuno è pazzo forse più di me, per passare davanti alla mia tenda? Portatelo via, che nessuno ritrovi la sua strada, lontano da qui, dove nessuno è mai stato. Perché gli dei non sono contenti che Nessuno passi davanti alla mia tenda. Me lo hanno rivelato! Ascoltate tutti: Nessuno dovrà partire da questa oasi, se vorrete continuare a prosperare! Avete capito? Nessuno dovrà presto partire!>.
Io me la vidi venire incontro come una lupa arrabbiata, con la bava alla bocca e il dito puntato verso di me. Urlava frasi senza senso e io ne rimasi terrorizzato. Non potevo allontanarla, non potevo muovermi, ero bloccato. Ero frastornato, impaurito. Per fortuna passò lì vicino Ibrahim. Mi prese per un braccio e mi trascinò via, mentre la vecchia pazza continuava a urlarmi dietro:
<Nessuno! Nessuno! Nessuno è venuto qua! Mandatelo via!>.
Quando fummo abbastanza lontani chiesi a Ibrahim cosa le fosse preso e lui mi rispose con un'alzata di spalle:
<Gli dei parlano dalla sua bocca. Nessuno capisce mai quello che dice> mi disse.
Frastornato ritornai alla nostra tenda e raccontai tutto ai miei due amici. Sul momento nemmeno loro capirono quello che volesse dire la vecchia. Ridemmo, scherzammo di quella vecchia pazza e di noi, perché volevamo nascondere a tutti i costi la tristezza che ci opprimeva, ma le parole di quella donna mi ossessionarono. Neko, Neko, Neko... Mi ronzavano continuamente nella testa come api inferocite senza darmi tregua, ora dopo ora, giorno dopo giorno. Intanto le settimane passavano e Bigorn faceva i preparativi per la partenza. Terminato l'ingaggio ci congedammo dal signore dell'Oasi Perduta, Bigorn si accordò con lui per altre consegne dell'olio di Mirto, Aldaberon e io prendemmo quello che ancora ci spettava per il lavoro svolto. Io volli portare con me un po' di quel deserto che avevo imparato ad amare: raccolsi qualche manciata di sabbia in una borsa e da allora la portai sempre con me, ovunque andassi. Partimmo con Ibrahim una mattina, prima del levar del sole. A tutti i costi volle accompagnarci per l'ultima volta e non ci sentimmo di negarglielo. Eravamo amici, ormai. Lasciare lui e la sua compagnia era una sofferenza per noi tanto quanto per lui. Ci rendemmo conto che fu un errore restare per troppo tempo nello stesso posto e, come imparammo a nostre spese, gli errori si pagano. Sempre. Fu un viaggio silenzioso, quello. Due giorni dopo eravamo sulla costa, sul molo pronti a salire sulla nave di Bigorn. Ibrahim volle abbracciarci tutti e tre. Prima Bigorn come un fratello, poi Aldaberon come un amico. Per ultimo lasciò me perché desiderava farmi un regalo: doveva saldare i debiti, diceva lui. Per vivere bene, bisogna sempre saldare i debiti, diceva. E così fece anche con me. Anni prima gli salvai la vita in uno scontro e lui volle ripagarmi regalandomi le sue armi: la sua splendida spada ricurva e i pugnali che portava sempre con sé. Un dono prezioso, come la nostra amicizia. Le accettai, ma in cambio gli diedi le mie: lo spadone lungo e il pugnale. In segno di amicizia le accettò con un sorriso. Poi salii sulla nave. Salpammo. Quella fu l'ultima volta che lo vidi. Non tornai mai più nel porto di Benansur, anche se una parte del mio cuore ancora batte tra quelle dune. Seppi molti anni dopo che visse a lungo, dopo la morte del fratello divenne il signore dell'Oasi Perduta e con il commercio dell'olio di Mirto la sua piccola città diventò un centro ricco e potente. Si sposò con quattro donne, ebbe molti figli e mai accettò di usare una spada diversa da quella che gli donai quel giorno. Pare che quando morì la passò al figlio maggiore come simbolo della loro fortuna... ".
Neko si zittì, perso nei suoi pensieri. Attesero tutti in silenzio, fino a quando nella capanna non si udì la voce sprezzante di Flot di Yasoda. Scoppiò a ridere. Non era abituato ad aspettare.
"Tutto molto commovente, Grande Vecchio!" disse ritrovando per un momento l'antica arroganza, ma a farlo tacere ci pensò lo sguardo che il vecchio Varego gli rivolse.
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