1a)I SIMBOLI
Quando riprese il pugnale dalle mani della madre, non smise di fissare il simbolo sul codolo. Ancora non ci credeva.
Lei annuì lentamente.
"Quello è il mio nome di nascita, quello con il quale sono conosciuta dalle mie Sorelle di foresta: identifica la mia famiglia e me davanti a tutte. Ma guarda meglio, c'è dell'altro. Il Serpente Perpetuo è un simbolo del mio popolo, rappresenta la nostra madre celeste nel suo movimento senza fine di nascita, crescita e morte".
Balbettando, Wal cercò di mettere coerenza nei suoi pensieri. Sapeva che tutto quello che stava dicendo la madre, l'aveva già udito narrare da altri.
Ricordi di un passato non troppo lontano danzarono nella sua mente, strappando lembi di memoria ancora nascosti nella nebbia, poi, lentamente, a fatica riuscì a metterli a fuoco.
Così comparve il colloquio avuto con sua nonna, Salice Splendente. Le sue parole.
Poi andando ancora più indietro, risalì a quando era ancora un bambino e il mondo era ancora un posto bello e buono in cui vivere: ad Alfons che gli parlava e a lui che beveva ogni sua parola come fosse fresca acqua di sorgente. Lontane, dimenticate, immagini ripresero vita.
Un giorno suo padre gli disse che sua madre era bella come la luna e forse era da lì che arrivava. Rise Alfons. Lui era un bambino, rise anche lui, lo prese per un scherzo.
"Tua madre... mia nonna... mi disse che fu lei a chiamarti Lilith" le fece, racimolando pezzo a pezzo i ricordi.
"Luna, sì. Il mio nome particolare" confermò lei "Quello che può darti soltanto una persona molto cara. Lei volle chiamarmi come nostra Signora la Luna, Lilith. Così la chiamiamo noi Yaonai. Alfons, tuo padre, lo sapeva. Glielo dissi io e lui impresse quel simbolo nel suo marchio". Ora tutto tornava, ma volle sapere ancora di più.
"Questi altri simboli sulla lama, cosa sono? Mio padre mi disse che arrivavano dalla tua gente, ma nulla di più" aggiunse sfiorando delicatamente il metallo luccicante. Lilith capì. Parve commossa a quel ricordo. La voce le si ruppe per un istante.
"Rinascere, come un bruco, farfalla" gli disse "Questo è il loro significato. Fui io a insegnarglieli quando ci conoscemmo. Non credevo che se li fosse ricordati. È un vecchio detto della mia gente: dal brutto può nascere il bello; dalla morte, una nuova vita".
Quando Lilith pronunciò quelle parole, ricordi vaghi comparvero disordinati.
Dove... dove le aveva già udite?... Dove!... La testa prese a girargli.
Poi si rammentò di Salende, sì. Anche lei disse qualcosa del genere, ma cosa?
Nel Semenzaio, eravamo nel Semenzaio... fece il possibile per ricordare altro, ma il velo dell'amnesia scivolò ancora sulla memoria.
Il buio, la confusione che tornava, portando una spiacevole sensazione di caduta, una sequenza senza senso di immagini che provocavano una nausea incredibile.
Ancora stordito vide la madre soccorrerlo, sorreggerlo, poi andare nuovamente verso il fondo della capanna. Ne comparve dopo poco, con in mano qualcosa di pesante, avvolto in un panno.
"Infine questa me la portò Neko. Mi disse che fu Alfons a farla" gli disse, porgendoglielo. Al colmo della felicità Wal indovinò subito cosa ci fosse sotto quel panno. Lentamente le prese l'oggetto di mano, lo strinse con forza e percepì subito il freddo contatto metallico.
Sfilò il panno lasciando scoperta la lastra in rame e subito rimase meravigliato dalla somiglianza tra l'incisione e l'originale. Ora che finalmente poté vedere il volto di sua madre e l'immagine impressa nel metallo insieme, capì quanto profondamente fossero legati l'uno all'altra i suoi genitori. Erano identiche. Quanto amore e accettazione, doveva aver legato due esseri così profondamente diversi tra loro, perché nulla venisse dimenticato.
Ogni lineamento, ogni curva del volto, del naso, il taglio degli occhi, tutto corrispondeva nel minimo dettaglio. Quante ore, giorni e anni doveva aver passato il padre a fissare, adorandolo in silenzio, quel volto, per ricordarselo così bene. Con un groppo alla gola capì che non rammentava nello stesso modo quello di Vandea.
"Sei molto somigliante. Eri proprio così, quando... " gli disse la madre, strappandolo dalle sue considerazioni. Lui capì cosa intendeva. La fissò, la odiò per un istante e lei s'interruppe. Vergognandosi la Yaonai abbassò lo sguardo.
"Te ne andasti... " terminò lui sottovoce.
"Mi dispiace, non potevo fare altrimenti" la voce della donna era un soffio senza fiato.
"Dovevo andarmene, per permetterti di diventare Sanzara. Io non volevo che succedesse, volevo farti scappare con me, portarti via, nella foresta, lontano, ovunque, ma Alfons non volle. Era un brav'uomo e rispettava le leggi del suo popolo. Credeva nell'onore. Preferì seguire la tradizione dei suoi padri, in fondo questi erano stati i patti. Io lo rispettai per questo. Me ne andai dal villaggio e tornai qui, tra la mia gente. Ero la loro Signora e mancavo dalla palude da troppo tempo, ormai. Mi aspettavano da tanto. Per me era tempo di lasciarvi e tornare a casa"
"Mio padre morì dal dolore per quelle scelte e fece questa perché mi riportasse a casa" le disse andandole accanto. Accarezzò piano la superficie di metallo. La sorresse con la forza della rabbia.
"Non credo ti abbia mai dimenticato, anche se provò a rifarsi una vita. Ma perché te ne andasti? Che bisogno c'era?".
Era disperato, lei lo cinse con un braccio.
"Potevi restare ancora. Se non per me, per lui!".
Lei scosse la testa.
"Non potei farlo. Tuo padre non volle. Voleva darti una possibilità, disse. Allora ritornai per preparare la tua venuta. Sapevo che prima o poi saresti arrivato in queste terre. Ti aspettai ".
"Allora, nella Palude della foresta... Perché non ti facesti riconoscere? Tutto sarebbe stato più semplice!".
Lilith scosse la testa: sospirò, baciandogli delicatamente i capelli. Lui ne aspirò il profumo. Avrebbe voluto ancora odiarla, ma non ne ebbe più la forza.
"Avevo saputo della sua morte, ero in lutto. Avevo bisogno di silenzio, così mi allontanai dalla laguna. Volli visitare i luoghi di origine della mia famiglia, però mi persi nelle sabbie mobili. Il nostro incontro fu un caso. Solo un caso. Mi avevano detto che eri partito, sapevo che stavi arrivando, ma non ti aspettavo così presto. Per rispetto a tuo padre non potei mostrare il mio volto nemmeno a te. Comunque non ti riconobbi subito. Solo in seguito, quando vidi l'anello che ti diedi, capii che eri tu".
Sentendo parlare dell'anello, istintivamente Wal si portò la mano all'incavo dell'ascella, ma non sentì il contatto con il metallo. La treccia, l'anello! Lo scambio che avevano fatto lui e Flot.
Temendo di aver fatto un errore, distolse lo sguardo per un attimo. Tanto bastò a Lilith per comprendere.
"Non l'avrai perso, spero!" esclamò la donna, improvvisamente irata. Preso alla sprovvista Wal si scostò da lei. Non capiva perché se la prendesse tanto.
" No, l' ho scambiato con una ciocca di capelli di tuo fratello Flot. Siamo diventati Prim Amis, mi ha detto che è molto importante tra la sua gente".
"Ah!" fece lei. Divenne pensierosa. Rapida come si era adirata, Lilith si calmò. Parve meditare sulla cosa: evidentemente la cosa l'aveva colpita.
"Davvero? Tu sai, allora" disse " Perché Flot avrebbe fatto una cosa del genere con te? Non è da lui fare una cosa senza un tornaconto personale ".
Wal scrollò le spalle. Non avrebbe saputo dirlo.
Lilith cambiò discorso, come se quell'argomento non la interessasse più.
"Ebbe... altre donne?" disse tornando a guardare la lastra che Wal teneva in mano.
"Tuo padre, intendo".
Lui accennò un gesto con la testa.
"Una vedova, Jynri della Casa del Riccio. Il marito morì di febbre due inverni dopo la tua partenza".
Lei corrucciò la fronte, come per ricordare.
"Me la ricordo, sì" fece dopo un po' "Una brava donna, sfortunata quanto poco avvenente. Furono felici insieme?".
"Si fecero compagnia, credo che si vollero bene. Certamente si rispettarono, ma lui non volle mai sposarla. Poi lei si suicidò gettandosi dal Nido e lui non resse più. Si staccò dal mondo un poco alla volta e si spense quando finì questa. Le ultime parole le disse mentre fissava la tua immagine. Credo che tu, io e i due bambini fossimo tutto il suo mondo".
"Bambini ?" fece Lilith. Ora sembrava lei sorpresa. Lui fece un cenno verso un punto della lastra, appena sopra la sua testa.
"Le due farfalle, sono due gemelli che ho avuto da una ragazza della Casa del Mirto. Ora hanno cinque inverni, ma solo da poco ho saputo che sono figli miei".
"Neko! Non me lo ha detto!" esclamò lei. Sembrava contrariata per averlo dovuto scoprire in quel modo. Però si riebbe in fretta. Sospirò. Ritrovato un contegno:
"Come si chiamava?" gli domandò ancora "La conoscevo?".
"Chi? La ragazza? Credo di sì. Era di un inverno più grande di me. Vandea è il suo nome e ora è sposata con Fredrik, il mio Compagno di Disgelo".
"Sul serio, Fredrik, dici?" fece lei incuriosita " Ebbero altri bambini?".
"Tre, due femmine e un maschio".
Lilith annuì e sospirò piano.
"Le donne Vareghe sanno sempre quello che è meglio per loro. Lei sapeva che eri un Sanzara, ma ha voluto ugualmente avere un figlio da te. Alfons lo sapeva, hai detto? Quindi sono nonna, figlio mio. Come si chiamano?" aggiunse sollevando un poco un sopracciglio. C'era orgoglio nella sua voce.
Wal cercò di rammentare i nomi dei due gemelli, ma con sgomento si accorse che non li ricordava. Mortificato fece uno sforzo.
"Thra... nd, Tholle, sì. Thrand e Tholle e sì, Alfons l'aveva capito da solo. Non so come fece, ma lo capì. Comunque qui sopra ha impresso tutta la sua famiglia".
"Passata e futura" disse Lilith emozionata "Bentornato a casa, figlio mio" gli disse abbracciandolo forte. Lui ricambiò l'abbraccio e la lastra di Alfons, trattenuta dai corpi, rimase sospesa in mezzo a loro. Era come se tutta la famiglia fosse ancora insieme, riunita. Scorsero lacrime di gioia. Momenti scalfiti nei loro cuori. Quando si allontanarono, Lilith gliela porse.
"Tienila, è tua" gli fece lei, ma lui non accettò. Era troppo confuso in quel momento. Troppo felice per poter pensare lucidamente. Aveva bisogno di aria, di un poco di tempo da passare da solo.
" Tienila tu, per il momento. Quando sarò pronto, la riprenderò ".
Fuggì quasi staccandosi da lei. Se ne andò con le armi, il pastrano, la bisaccia e la maschera.
La lastra rimase da Lilith, nella sua capanna. Ogni tanto lui andava a guardarla, ma ogni volta la lasciava dove era stata riposta, subito dietro l'ingresso, appesa al posto della maschera. Era meglio così. Preferiva lasciarla dove era, perché temeva che a prenderla tutto sarebbe finito e non voleva correre rischi.
Da quella volta erano passati molti giorni e non gli pareva possibile che il tempo fosse passato così in fretta. Troppo, troppo in fretta. Tre settimane erano già passate dal suo arrivo nella laguna.
Vestire alla Tumbà gli piaceva, così come mangiare e vivere nelle capanne sulle isole. Per la prima volta dopo molti anni poteva dire di sentirsi a casa invece che un lupo ramingo, però sapeva che non sarebbe durato a lungo. Una settimana appena, la luna sarebbe arrivata al termine e con essa sarebbe terminata anche la pace. Lo sapeva. Lo temeva. Altri mesi da Gopanda-Leta lo attendevano ancora e con essi gli obblighi che la sua carica portava con sé.
Da quando aveva lasciato il villaggio di Kimani non aveva più avuto contatti con le donne Ratnor e con angoscia sentiva avvicinarsi il momento in cui le avrebbe incontrate nuovamente. Faticava ad accettare ancora il suo ruolo e da quando era arrivato nella laguna aveva fatto di tutto per allontanare quel pensiero dalla sua mente. Altro la tenne occupata : Il Libro delle Foglie.
Appena lasciò sua madre, ancora scosso dalle scoperte appena fatte, andò a cercare Ranuncolo e si fece consegnare il rotolo di foglie appartenuto a suo nonno. Era pronto a tutto, anche a riaverlo con la forza, se fosse stato necessario. Invece il Setmin, appena glielo chiese, glielo consegnò subito, senza fare storie o sollevare polemiche. Annuì, andò a prenderlo e glielo porse:
"È giusto, ora puoi leggerlo" gli disse solamente e lui lo prese in parola.
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