11b)LA PRESENTAZIONE
Wal avrebbe dato qualunque cosa per non essere lì. Sentiva la mancanza di Mirta, dei suoi amici, della serenità della laguna. Da quando erano arrivati nel villaggio Ratnor percepiva la vuota ipocrisia che lo circondava e faticava a sopportarne la presenza. Voleva andarsene, ma non poteva. Non c'era scelta, doveva restare a recitare la sua parte.
Per farsi coraggio si disse che sarebbe stato per pochi giorni soltanto. Forse uno, due al massimo. Sospirò al pensiero. Sembrava un tempo lunghissimo.
Si tolsero i mantelli da viaggio. Wal fece per togliersi anche la maschera, poi ci ripensò. Avrebbe mangiato, dormito con quella addosso. Sapere che la madre l'aveva indossata in memoria del padre gli dava coraggio, quasi che entrambi fossero lì con lui in quel momento difficile.
Lo disse a Ranuncolo che fu d'accordo. Nemmeno lui si fidava di Gioturna.
Wal avrebbe voluto chiedere al Setmin se sapeva cosa sarebbe successo il giorno dopo, ma alla fine non ne ebbe il coraggio e preferì tacere.
Nella notte ebbe un sonno agitato, abitato da fantasmi che la mente eccitata ingigantì. Sognò di Gioturna: rivide ancora il suo antro. Il bacino infuocato era più colmo di come se lo ricordava. La lava arrivava vicina al bordo, traboccava quasi. Il sentiero che lo contornava era appena al di sopra del liquido incandescente e le radici che scendevano dal soffitto erano sparite. Un vago sentore di bruciato era nell'aria. Il calore era tremendo eppure non lo percepiva sulla pelle. Sapeva che l'Immonda era lì, che presto l'avrebbe raggiunto. Era curioso e spaventato al tempo stesso di avere Gioturna davanti a sé in sembianze umane. Quando alle spalle avvertì la sua presenza, si voltò.
Non l'aveva mai vista, eppure seppe immediatamente che era lei. Non la vide in volto. L'Immonda indossava un mantello Tumbà e il cappuccio le copriva la testa. Il mantello era storto, pendeva vistosamente da una parte. Le mancava un braccio. Sotto l'altro braccio Gioturna stringeva una testa mozzata, dai lunghi capelli biondi e gli occhi chiusi. Dalla bocca socchiusa sgorgava sangue che goccia a goccia colava in terra. Da sotto il mantello, serpeggiando e sibilando, una liana armata di pungiglione puntava dritto contro il suo volto. Gioturna lo agitava piano, avanti, indietro, avanti, indietro. Voleva qualcosa da lui. Una voce rivoltante usciva dal cappuccio e sussurrava: "Dov'è l'anello del mio sposo?".
Wal sapeva cosa risponderle, però non fece in tempo.
Con un gesto improvviso la liana si avvolse attorno al cappuccio e lo tirò indietro. Era vuoto. In quell'istante la testa sotto il braccio di Gioturna spalancò gli occhi e dalla bocca lorda di sangue una voce cavernosa urlò:
"Ora! Fallo ora, per me!!".
Wal riconobbe la voce della ragazza di Vinland. Era tornata ancora, l'aveva trovato un'altra volta. Si spaventò, indietreggiò inorridito, inciampò in qualcosa di pesante e metallico, andò a sbattere contro qualcuno che si trovava alle sue spalle e di soprassalto si svegliò.
Ranuncolo era al suo fianco, dormiva steso su un giaciglio accanto al suo. Non si era accorto di nulla. Tornò a stendersi. La maschera gli toglieva il respiro, eppure si obbligò a tenerla. Ricordando i timori del Sednor, una paura incontrollata che Gioturna potesse vederlo anche dentro la stanza e potesse riconoscerlo, si impadronì di lui. Si rannicchiò sotto le coperte. Cosa voleva dire quel sogno? Non ne aveva idea, anche se lo ricordava bene.
Era stampato nella sua mente per ogni attimo di terrore che gli aveva dato. Tremava, aveva paura. Gioturna sapeva? A ogni frusciare di fronde sussultava inorridito. Temeva gli aculei di quell'essere immondo, li immaginava volare nel buio, raggiungergli le carni, arpionarle e strappargliele via con violenza inaudita. Ora, adesso, da un momento all'altro! Invece i minuti passarono senza che accadesse nulla. Solo il lieve russare di Ranuncolo accanto a sé.
Doveva calmarsi, altrimenti avrebbe buttato tutto al vento. La fuga, la vita, tutto!
Si obbligò a pensare a qualcosa di bello, si concentrò su Mirta e sui momenti che avevano passato insieme. Poco alla volta riprese il controllo di se stesso e riuscì ad abbandonarsi a un sonno leggero e agitato. Dopo un tempo che sembrò passare troppo velocemente, Ranuncolo venne a svegliarlo. Era giorno, vedeva entrare la luce del sole dalla porta. Era giunto, infine!
Con esso le paure della notte si dissolsero come la nebbia settembrina e non disse nulla al Setmin di quanto aveva sognato.
Fecero colazione, si lavarono e lui si rase accuratamente. Quello fu l'unico momento in cui si sfilò la maschera e domandò a Ranuncolo di aiutarlo con il rasoio. Non voleva che peli del collo o del petto potessero tradirlo. Doveva badare a ogni particolare se voleva che lo scambio di persona fosse credibile e il loro piano funzionasse.
Seguendo il consiglio di Ranuncolo, indossò una casacca con il colletto un po' più alto del solito, bianca e con le maniche lunghe quasi a coprirgli le mani. Si lasciò pettinare come soleva fare Flot, perché nulla doveva essere lasciato al caso. L'ansia era tanta, il timore anche. Respirò a fondo più volte per calmarsi, ma tutto fu inutile. Non avrebbero indossato i mantelli quella mattina. Tutto doveva essere perfetto. Quando furono pronti, attesero che qualcuno venisse a prenderli. Attesero in silenzio, nessuno dei due aveva voglia di parlare.
Dopo un tempo che parve non finire mai, udirono dei passi leggeri, un tintinnare sommesso avvicinarsi lungo la rampa. Era Radice. Era solo. Quando entrò nella stanza, parve che assieme a lui fosse entrata la luce del sole. Era luminoso. La sua somiglianza con il padre era impressionante. A pochi passi di distanza sarebbe stato impossibile riconoscere l'uno dall'altro. Si era pettinato come faceva Flot e indossava abiti da cerimonia che Wal non aveva mai visto prima. Una lunga tunica di stoffa morbida gli arrivava ai piedi, coprendogli braccia e mani. I colori erano caldi, autunnali, ricordavano quelli della foresta quando passava dalla bella stagione a quella dei funghi e delle noci. Sul tessuto brillavano pietre lucide e monili di metallo che tintinnavano quando si toccavano tra loro. La lunga chioma arrotolata a vita era arricchita da fili d'oro rosso intrecciati ai capelli, mentre altri d'argento si avvolgevano attorno alla coda. Sul capo Radice portava una corona d' alloro e sul volto una severità nuova. Era un sacerdote del suo Dio.
Li salutò brevemente, solenne come si conveniva al momento.
Ranuncolo rimase stupito nel vederlo in quel modo e si inchinò davanti a lui. Una domanda inespressa gli comparve in volto.
Radice lo capì. Si aspettava quella reazione.
"Così ha voluto mio padre" disse a entrambi prima che potessero esprimere a parole quello che i volti già dicevano.
"Flot di Yasoda, Figlio e Maestro del Sole ha voluto che indossassi quello che è sempre stato suo di diritto. Sarà lui a celebrare per l'ultima volta la Presentazione, ma ha voluto far capire a tutti che il suo successore è già stato designato ed è al suo fianco".
Wal non sapeva cosa dire. Era tutto nuovo per lui.
Ranuncolo invece, sollevatosi, con una deferenza nuova nei confronti di Radice, rispose:
"Il Sole Invitto ti guarda negli occhi e tu gli parli da pari a pari, Sommo Giudice di uomini. Ma se mi è concesso parlare, tu cosa sei?".
Radice si drizzò, inarcò la schiena e parve offeso dall'allusione del Setmin. Aveva forse dei dubbi sulla sua lealtà?
"Oggi sarò ciò che serve, domani anche!" rispose piccato.
Ranuncolo parve soddisfatto.
"Non volevo sapere altro. È un onore avere te come guida, invece che tuo padre. Però per i Ratnor i cambiamenti sono dannosi. Non saranno forse troppi, per loro?".
"Non temere, a questo penserà mio padre. Seguitemi, ora. È tutto pronto".
"Radice, io... " iniziò a dire Wal, ma venne zittito da un gesto perentorio del cugino.
"Amico mio, da questo momento taci e i tuoi occhi non fissino che la terra. Restami vicino ed esegui ogni cosa, quando e come ti verrà detta. Là fuori saranno in molti a giudicare le tue azioni. Non ascoltarli, non guardarli. Dovrai rispondere solamente a me o a Ranuncolo. Lui sa cosa fare e quando farla. Non ascoltare altri che noi due. Se qualcuno ti rivolgerà la parola, non rispondere. Se ti insulta, non guardarlo. Ti è chiaro, questo? Ne va della tua e della nostra vita".
Un cenno affermativo di Wal, lo soddisfò.
Senza aggiungere altro Radice uscì dalla stanza.
Ranuncolo si avvicinò a Wal.
"Seguilo, io ti seguirò" gli sussurrò benché fossero soli. Quella prudenza fece capire al ragazzo che da quel momento le cose sarebbe diventate delicate.
Scesero lentamente la spirale che conduceva alla foresta e Wal si rese conto che il villaggio era molto più affollato della sera precedente. Ovunque vedeva gente. Non se lo aspettava. Il cuore gli martellò in gola. Un fastidio crescente gli attanagliò la bocca dello stomaco e gli fece mancare il fiato. Guardò dall'alto quei volti tanto simili l'uno all'altro da non poterli distinguere e si sentì prendere dalle vertigini. Per un attimo barcollò. Ranuncolo lo sorresse.
"Coraggio!" gli sussurrò all'orecchio e lui, annuendo appena, riprese a camminare. Radice nemmeno aveva rallentato. Non c'era tanta gente come al suo Matrimonio con la Grande Madre, ma poco mancava. Sotto di loro un mare di teste Ratnor e Sednor, fianco a fianco attendevano in silenzio il loro arrivo. Da tutti e nove i villaggi, uomini e donne erano giunti nella notte, si erano riuniti per la Festa di Rasmet e ora attendevano che lui gli desse quella sicurezza di cui avevano bisogno. Ranuncolo gli aveva detto che i Ratnor detestavano quel periodo dell'anno. Erano nervosi, tesi, preoccupati come non lo erano in tutto il resto del tempo.
Dopo Koikai, all'inizio della Primavera, la Festa di Rasmet era la sua naturale conclusione. Era la decadenza, l'imperfezione.
Come gli aveva detto Ranuncolo, i Perfetti l'amavano e la detestavano al tempo stesso, perché se Koikai li portava verso un nuovo anno, Rasmet li preparava alla sua fine.
Se Koikai era l'anticipazione dell'orgia vitale di Omondi, questa era l'inizio di un periodo che sarebbe terminato con la Festa di Sitati: La Scelta, misteriosa e rigenerante, ma portatrice di incertezza.
I Ratnor detestavano essere nervosi e insicuri, perché li obbligava a pensare a qualcosa d'altro che non fossero loro stessi.
Quando i tre giunsero tra la folla, la gente riconobbe gli abiti scargianti del sacerdote del Sole e si scostò davanti a Radice per consuetudine antica. La somiglianza con il padre era tale che molti nemmeno si accorsero che al posto del Maestro del Sole c'era suo figlio. Per loro era il Sommo Maestro che accompagnava il Padre di Tutti a incontrare il figlio nato dalla unione con la Grande Madre.
Il Cielo, la Terra, il loro tramite.
Questa era la regola e dava pace e certezza. Tutto il resto non aveva importanza. Pochi si resero conto di quello che stava succedendo e quei pochi, riconoscendo Radice, lo dissero a chi avevano accanto. Tra i Ratnor alcuni furono lieti. Wal, poté udirne i commenti.
<Il vecchio Maestro del Sole non ha più futuro> mormoravano <il giovane, sì. Meglio così> bisbigliavano <il domani è garantito>.
Alle sue spalle Ranuncolo gli sussurrò una parola sola, netta come un taglio di rasoio: "Puri!" un bisbiglio appena, ma bastò a fargli correre un brivido di terrore lungo la schiena.
Erano i più pericolosi, i più desiderosi di cambiare tutto perché non cambiasse nulla. Volevano solo il potere e null'altro. Subito il pensiero corse a Marsal dei Mandi e di sbieco cercò l'azzurro del suo fiore tra la folla, ma non lo vide.
Tra la folla alcuni notarono anche la sua maschera, la trovarono inadatta, anomala e bizzarra, però l'attenzione generale era su Radice e tutto il resto passava in secondo piano. Pochi badarono a lui. Tutto era stato orchestrato con maestria.
Non poteva essere stata che una persona a concepire quella mossa, Flot.
Se era stata studiata per distogliere l'attenzione della folla da lui, Wal non poteva che ammirarne l'astuzia. Lui non ci avrebbe pensato.
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