La scintilla del desiderio

POV Belshazzar

Mi svegliai ancora una volta con il sole che cercava di intrufolarsi attraverso le tende dorate della mia stanza. Nonostante l'oro fosse ovunque in quel palazzo, i miei alloggi erano sempre freddi e distanti. E i servitori erano già lì, ai piedi del mio letto, pronti a seguire il copione della mia vita. I loro sguardi evitavano il mio. Nessuno osava mai guardarmi negli occhi. Ero solo il principe, non una persona con desideri; e la mia vita solo una tela dipinta di doveri prestabiliti e aspettative.

Ma quella notte, per la prima volta, avevo sentito qualcosa di diverso. La festività di Ishtar aveva portato con sé una promessa di magia. Un giovane con ciglia folte e occhi scuri che sembravano contenere l'intero universo. I suoi movimenti erano stati esitanti, come se stesse attraversando un sogno in mia compagnia. Sentivo qualcosa invadermi. Non era solo attrazione, era una connessione, una forza che mi chiamava a lui.

Parlare di tutto e di niente era un piacere inatteso che forse non avevo mai sperimentato in vita mia. Mi sorprendevo di quanto fosse stato facile aprirmi a lui e di come le parole fossero fluite senza sforzo.

Gli avevo parlato della lira, di quanto amassi suonarla alla luce delle stelle, di notte, lontano dagli occhi della corte. Dei datteri ripieni di miele e noci, immersi nello sciroppo di melograno, e delle focacce sottili spalmate di formaggio speziato e cosparse di pistacchi croccanti. Della mia tisana calda preferita, a base di camomilla e lavanda. Del blu intenso degli iris. E infine della mia altra unica fuga dalla gabbia dorata, qualche tempo prima, quella in cui avevo offerto di nascosto monete d'oro ai mendicanti per strada. Mi era costato un castigo severo, ma ne era valsa la pena. Quella notte, invece, nessuno era riuscito a scoprirmi.

Mi vestii con l'aiuto di tre uomini, ciascuno specializzato in qualche dettaglio: uno fissava i gioielli, uno sistemava la veste e il terzo si assicurava che la mia pelle fosse perfetta. Dormìn, invece, si occupò di coprire il colore viola degli occhi cerchiati dal poco sonno senza fare domande. Mia sorella era una persona delicata per la mia anima; non mi sarebbe dispiaciuto sposare una persona come lei.

Tutta questa preparazione era per i consiglieri di corte. Discussioni senza fine su alleanze, guerre e trattati. Parlavano sempre come se fossi solo un simbolo di potere senza voce e io facevo finta che mi importasse davvero. Poi ci spostammo al tempio per le offerte.

Il grande tempio di Marduk si ergeva maestoso sotto il cielo sereno, le sue mura decorate con rilievi di battaglie divine e trionfi storici. Il profumo dell'incenso sacro si mescolava all'aria fresca dell'alba, e le ombre delle colonne danzavano al ritmo del fuoco dei bracieri.

Dopo la frenesia della festa, quel tempio era un rifugio di calma e sacralità. I sacerdoti, con tuniche bianche e cappelli ornati di piume, si muovevano con una gravità e una solennità che riempivano l'aria di sacro rispetto, impedendomi di pensare a lui.

Mi avvicinai al grande altare centrale, dove le offerte per Marduk erano disposte in un ordine preciso e rituale. I miei passi echeggiavano nel silenzio del tempio, e ogni volta sentivo il peso della mia posizione gravare su di me in un manto di piombo. I doveri che mi spettavano come principe erano una catena a strozzo sul mio collo, e la mia vita era guidata da un corto guinzaglio di leggi e tradizioni che non avevo scelto e probabilmente non condividevo.

Mi inginocchiai davanti all'altare e iniziai a recitare le preghiere con voce bassa, seguendo i rituali appresi fin dall'infanzia. Le parole che pronunciavo erano antiche e piene di significato e immagini, ma nessuna di esse riusciva a colmare il mio vuoto. Mi chiedevo se le suppliche potessero in qualche modo alleviare il peso delle aspettative che mi erano state imposte, o se fossero solo un modo per mettere a tacere i miei veri desideri.

Guardai il grande sigillo di Marduk inciso sull'altare e riflettei sulla mia posizione. Il mio futuro era già scritto, tracciato dalle mani di chi era venuto prima di me. Intrappolato in un ruolo che non avevo mai desiderato.

Un pensiero mi colpì come un fulmine: non gli avevo neanche chiesto come si chiamasse. Avevo esposto tutto di me, ma non sapevo nulla di lui. Se non che il suo naso si arricciava con dolcezza appena prima di sorridere. Occhi profondi, lunghi capelli neri raccolti, sopracciglia così definite da sembrare dipinte, incarnato di miele, efelidi del colore delle mandorle.

Mi alzai, sentendo il freddo della pietra sotto i piedi nudi e facendo tintinnare le cavigliere d'oro. La cerimonia si avvicinava alla sua conclusione e io dovevo prepararmi a tornare nel mondo esterno, un mondo che mi accoglieva con il silenzio della mia solitudine.



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