La larva nella ciliegia
POV Belshazzar
Iniziò come un dolce ricordo, uno di quelli in cui il tempo sembrava sospeso e la realtà, intrisa di calde sfumature, si scioglieva in una quieta contemplazione.
Mi trovavo nei giardini centrali del palazzo, oasi di pace e bellezza dove il canto degli uccelli si intrecciava al profumo del tamarisco in fiore. Le fronde delle palme cedevano alla carezza della brezza leggera, e il sole, nel suo viaggio tra le foglie, disegnava arabeschi di luce e ombra sulla superficie increspata del ruscello.
Sinan era lì, accanto a me, seduto sull'erba, con quel suo sorriso timido, e una delicata promessa non detta che aveva saputo conquistarmi. Le sue dita leggere come piume sfioravano la mia gamba; e in quel tocco si celava un senso di appartenenza, di sicurezza, come se, in quel gesto silente, risiedessero tutte le possibilità di una vita mai vissuta, ma tanto vicina a essere afferrata.
"Immagina, Belshazzar," la sua voce scivolava dolce come il canto del ruscello placido, "una vita lontana, ben oltre le mura di Babilonia. Potremmo vivere in una casa di legno, accanto a un altro fiume, più piccolo, con i campi verdi tutto intorno."
"Io... non so coltivare, Sinan... non sono abile in alcuna cosa."
"Potresti imparare a pescare lungo il fiume. Non è difficile," continuò con lo sguardo perduto in quella visione. "Coltiverò io. E ci costruiremo tutto il resto da soli, senza dover dipendere da nessuno."
Le sue parole dipingevano un quadro d'indipendenza che mi affascinava, un sogno nascente che stavo imparando a custodire. "Sì," feci una pausa incerta; il mio cuore si riempiva di una speranza che non osavo provare da tempo. "potremmo svegliarci ogni giorno con il sole che ci bacia il viso, e non dovremmo avere più paura."
Ma sopraggiunse qualcosa d'inaspettato, di dissonante. Notai un mutamento nel suo volto: il sorriso si spense, senza alcun motivo apparente. Le sue carezze cessarono, e i suoi respiri divennero rapidi e spezzati, come se qualcosa lo stesse trattenendo. Il canto degli uccelli si affievolì, così come il gorgolio dell'acqua, e un silenzio irreale e innaturale calò su di noi. Guardai Sinan, cercai spiegazioni, conforto. I suoi occhi, che prima brillavano di affetto, si erano tramutati in pozzi neri, privi di luce, privi di anima.
"Chi sei tu?" anche la sua voce era cambiata, distante e carica di un'incredulità che mi trafisse come una lama. "Che cosa vuoi da me? Vuoi ridurmi in pezzi anche tu? Allontanati!"
Cercai di rispondergli, ma la mia bocca si apriva e chiudeva senza emettere alcun suono, mentre l'orrore s'insinuava in me, in lui, e in tutto ciò che ci circondava. Tesi la mano per toccarlo, per ristabilire quel legame che sentivo scivolarmi tra le dita, ma egli si ritrasse, intimandomi: "Non toccarmi!"
La realtà intorno a noi si frantumò nell'istante in cui Sinan si alzò per fuggire. Il verde rigoglioso, i fiori, e persino il ruscello che rifletteva il cielo, tutto si dissolse in una nebbia grigia, greve di cenere. Sinan rimase, ma la sua figura si allungò e si distorse in un'ombra senza volto, dai contorni evanescenti e due occhi d'oro. Era lei.
"Non fidarti di nessuno, Belshazzar," sussurrò una voce femminile, che parve emergere da ogni angolo, "ti abbandoneranno tutti, e ognuno avrà un valido motivo per farlo. Lo so. Solo io ti amo, e solo io potrò amarti per l'eternità."
Provai a gridare, a fuggire, ma ero paralizzato, imprigionato in quel vuoto freddo e sterile, mentre l'ombra si faceva sempre più ampia, inghiottendo tutto fino a rinchiudermi in un bozzolo d'oscurità.
Fu in quel momento che mi destai, ansimante, col cuore che batteva furioso nel petto. La mia stanza era immersa nella tenebra della notte profonda, ma non era il buio a spaventarmi; era il residuo di quel sogno, il dubbio che ancora aleggiava nell'aria come una presenza invisibile. Mi avevano insegnato a confidare negli dèi; a credere che lei, la mia protettrice, fosse benevola e saggia. Avrei dovuto vergognarmi, eppure la dea era riuscita a instillare in me la paura della solitudine. Se Sinan mi avesse abbandonato, cosa avrei potuto fare? Come avrei potuto combattere contro una congiura o sopravvivere, da solo, fuori dalle mura? Soltanto lei mi avrebbe protetto. La mosca aveva deposto le sue uova nel frutto acerbo, e questo, lentamente, iniziava a marcire.
[...]
"Sei pronto?"
L'interrogatrice era davanti a me, avvolta nei suoi veli scuri; i bracciali tintinnavano lievi mentre si avvicinava con la grazia di un giovane felino. Annuii, ma il mio sguardo si smarriva nel fumo che si levava dalle ciotole sospese, perdendosi nella danza indistinta delle fiammelle che gettavano ombre tremule sulle pareti.
"Inginocchiatevi, se non vi dispiace. Siete troppo alto per me, mio principe."
Obbedii, nonostante la paura: i moniti di Ishtar erano sacri. L'interrogatrice recitò parole in una lingua che non comprendevo, ma che vibrarono nell'aria, riecheggiate dalle due adepte. Con gesti coordinati, aggiunsero erbe al braciere; il fumo si fece più denso, e penetrò così a fondo nel mio corpo che sentivo ardere in mezzo agli occhi, all'interno, in uno spazio che non credevo possibile sentire. L'interrogatrice posò una mano sulla mia fronte e un'ondata di calore si riversò su di me, come se il fuoco che sembrava bruciare nella mia testa divampasse di colpo alimentato dal tocco della donna.
Mi sforzai di resistere, di mantenere saldo il controllo, ma il dolore che si sprigionava da dentro era tale da far vacillare ogni mia difesa. La voce dell'interrogatrice si alzò in un crescendo acuto e lacerante, e le tre donne intonarono antiche litanie, invocando forze che non osavo neppure concepire.
Quando ero certo di non poter sopravvivere oltre a quel tormento, mi ritrovai steso a terra, rannicchiato come un bambino, madido di sudore, scomposto e privo di ogni altra percezione che non fosse il mio stesso affanno. Il calore che mi divorava iniziò a dissiparsi, lasciando spazio a un freddo gelido, che si diffuse in ogni fibra del mio corpo. Le donne mi avvolsero in una coperta e mi aiutarono a sedermi. Erano molto diverse dalle sacerdotesse, erano amorevoli. Riposai. Dovevo essere pronto per l'appuntamento dopo il tramonto, come prestabilito.
Quando finalmente lo vidi, Sinan era lì, avvolto nella sua tunica, il volto parzialmente coperto dal cappuccio e dalla notte. Era rimasto in biblioteca dal mattino, rintanato in uno spazio occultato tra una scala e la parete di un alto scaffale.
"Belshazzar," appena mi vide sussurrò, uscendo dal suo nascondiglio. C'era un tremito nella sua voce, un'incertezza che mal si abbinava con la mia. Mi avvicinai a lui, e per un attimo ci guardammo in silenzio, cercando incoraggiamento l'uno negli occhi dell'altro. Ma il sollievo che mi aspettavo di provare non si fece sentire. Il sogno, le parole di Ishtar, tutto quel peso si era insinuato tra di noi come una barriera invisibile.
"È tutto pronto," decise di rompere il silenzio con un tono che voleva essere rassicurante, ma che suonava fragile. "Andiamo via, ora... Saremo lontani da qui prima dell'alba."
Annuii, ma il mio cuore era in tumulto. "E poi?" ingenuamente, senza volerlo, posi una domanda che sfuggì dalle mie labbra senza controllo. "Cosa faremo, Sinan? Dove andremo?"
Lui mi guardò, sorpreso dalla mia esitazione. "Dove? Ma avevamo detto... il fiume, i campi, ricordi? Ho pane e frutta nella sacca, costeggeremo il fiume, troveremo un posto sicuro in qualche alba e poi...."
"Non so se posso farcela." le parole non uscirono a fatica, ma subito me ne pentii.
"Belshazzar, ti prego, ti supplico..."
"Fuori da queste mura, non sono nessuno. Non so cosa mi aspetta là, fuori."
Un'ombra di preoccupazione attraversò il volto di Sinan, per colpa mia, e per un attimo sembrò più giovane, più vulnerabile, sul punto di piangere. "Tu non devi... insomma, non c'è bisogno che tu sia qualcuno" mormorava mentre si avvicinava per prendere la mia mano. "Dobbiamo solo rimanere insieme, d'accordo? Ti aiuterò io... ci riusciremo."
Ma la sua presa era debole, tremante, e non riuscì a infondermi il coraggio di cui avevo disperatamente bisogno. Che stupido egoista. Il dubbio, già radicato nel mio cuore, si fece più profondo. Come potevo proteggere noi, se io stesso non ero più così sicuro di poter sopravvivere fuori dal palazzo?
Una folata di vento smosse alcuni rotoli di pelle mal riposti, facendone cadere uno. Il fragore improvviso nel silenzio alimentò il mio senso di panico crescente. Anzi, iniziò a prendere il sopravvento sulla razionalità. Era come se le parole di Ishtar avessero avvelenato ogni germoglio di speranza che Sinan aveva seminato in me e che io avevo cercato di coltivare.
"Sinan..." deciso ad annullare tutto, feci un passo indietro. Ma non riuscii a proseguire.
Un fruscio alle mie spalle, seguito da un movimento improvviso, mi fece voltare di scatto. Nella penombra, Ur-Ninurta emerse come un demone del vento, fiaccola in una mano e spada corta nell'altra. I suoi occhi riflettevano la fiamma, e brillavano come quelli di un predatore affamato dal ghigno d'ombra pieno di zanne.
"Spero di non interrompere," il tono amichevole faceva a pugni con il gelo che emanava. "È sempre interessante vedere come il destino si diverte a giocare con chi si illude."
Sinan trasalì, sgranò gli occhi, e la sua mano si ritrasse dalla mia. Gli tremava il labbro inferiore. Il suo sguardo, colmo di terrore, passava da me a Ur-Ninurta. Non avevo idea che quella situazione fosse la realizzazione di tutti i suoi incubi.
"Davvero credete di poter lasciare Babilonia, principe?" ogni passo di Ur-Ninurta verso di noi sembrava rimpicciolire la maestosa biblioteca.
Ma fu Sinan a parlare per primo, la sua voce rotta dal panico. "Non fategli del male," si frappose con il suo corpo, supplicò, con gli occhi gonfi di lacrime. "Maestro, vi ho sfidato io, sono io il colpevole, non lui. Punitemi, pagherò, farò tutto quello che volete... prendete la mia vita, ma risparmiate la sua... vi imploro!"
Ur-Ninurta lo investì con violenza; uno colpo sul viso con il pomolo della spada scaraventò Sinan di lato.
"Le preghiere di un innamorato, o di un servo sciocco, che dite?" il sarcasmo nella sua voce era terribile mentre continuava a rivolgersi soltanto a me. "Ma non ha più importanza. Lui morirà comunque, stanotte. Ishtar mi ha chiesto di ucciderlo. Di uccidervi entrambi."
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