Il peso delle scelte
POV Sinan
Mentre tornavo verso casa, il calore del tocco di Belshazzar mi percorreva ancora come un brivido. La notte, con il suo manto protettivo, mi aveva offerto un sollievo prezioso dopo l'umiliazione subita. Ma quel fragile conforto era stato fugace; il mio principe, obbligato a ritornare prima che l'alba rivelasse la sua identità, aveva lasciato in me un senso di desolazione che si rifletteva nel silenzio ovattato della città addormentata.
Eppure, quando attraversai la soglia, quella dolcezza residua svanì prima di un battito di palpebre: nella penombra della stanza, una presenza ostile mi attendeva. Il servo di Ur-Ninurta sedeva accanto a mia madre, il suo corpo esile si perdeva nelle pieghe dell'abito tenuto insieme da una cinta. Lo vidi inclinare appena la testa, come per valutarmi da una prospettiva migliore; incrociò le gambe, le mani sottili posate sul grembo erano artigli nascosti. Si sentiva troppo a suo agio in casa mia.
Le sue labbra si tesero, e non c'era nulla di amichevole in quel gesto; sembrava più un segno di soddisfazione per qualcosa che solo lui poteva vedere.
"Tornato dalla scappatella?" mi accolse così, e sputò le parole con un ghigno velenoso. "E hai ancora addosso l'odore del cazzo del tuo padrone. Che schifo."
Un'ondata di bruciore mi pervase lo stomaco e risalì la gola fino ad avvamparmi le guance. Ogni fibra del mio corpo implorava una reazione, ma rimasi immobile, costretto a celare il panico che minacciava di sopraffarmi. "Non so di cosa parli," cercavo di mantenere la voce stabile. "Stavo solo passeggiando."
L'uomo sollevò il mento, come a dichiarare la sua posizione in una scala invisibile che lo vedeva molto al di sopra di me. "Sai esattamente di cosa parlo," prese a tamburellare le dita sul tavolo. "E se non vuoi che il padrone lo scopra, noi tre faremo un accordo."
"Noi tre?" ma rimasi ancora fermo sulla soglia, il cuore batteva contro il petto tanto da non farmi respirare. "Senti, sei ubriaco. Vattene."
Fece uno schiocco con la lingua e, con una sghignazzata sgradevole che mi risuonò nelle orecchie, aveva disdegnato il mio tentativo di respingerlo. "Tua madre, Amata," il suo sguardo che si posava su di lei come una sentenza. "È vedova, e io ho bisogno di migliorare la mia posizione. Tu, un giorno, diventerai scriba di palazzo, e insieme, noi tre, saremo una famiglia felice e benestante."
"Lasciala stare," la mia voce si fece più ferma, anche se dentro il terrore si gonfiava come l'ansare soffocato che precede il ruggito di una tempesta di sabbia. Finalmente mi decisi a entrare in casa, la mia casa. "Non ha nulla a che vedere con questo."
Il servo rise, una risata di nuovo stridula ma che aveva il sapore di premeditazione. "Ha tutto a che vedere con questo, ragazzo mio" e una smorfia tornò a deformargli il volto magro. "Perché lei è la tua debolezza, e Ur-Ninurta è la tua paura. Ed è per questo che accetterai."
Un pugnale che affondava lento nella mia carne, ecco cos'erano quelle parole; accompagnato da un dolore sordo che preannunciava l'inevitabilità della decisione. Mi costrinsi a inspirare, ma non riuscivo a pensare, tanto meno a vedere una via d'uscita da quella trappola che si stava stringendo intorno a noi. A causa mia.
"D'accordo," intervenne mia madre, senza la minima sfumatura di sconfitta nella voce. "Farò ciò che vuoi, ma deciderò io quando. Dopo il mese di lutto. O vuoi che questa unione sia sgradita a Ishtar?"
"Donna saggia, sarai una moglie perfetta. A proposito il mio nome è Urughal."
"Non me ne frega nulla del tuo stupido nome. Adesso vattene. Io e mio figlio dobbiamo parlare."
Un'autorità che non avevo mai visto in lei mi travolse non appena il servo ci lasciò soli. Parlò del mio egoismo, del suo passato, e mi urlò addosso epiteti irripetibili, impronunciabili per una madre. E io, che ero un buon ascoltatore, non risposi; lessi tra gli insulti che non ero più desiderato in quella piccola casa di mattoni crudi in cui ero nato, adagiata da sempre nel vicolo che digradava verso il fiume e rinfrescata dall'ombra di due grandi palme.
[...]
"Comunque, non conta nulla la promessa data sotto minaccia," il tono fermo di Lugal mi riportò bruscamente alla realtà e mi resi conto che era sporto verso di me per annusarmi. "Dove hai dormito questa notte?"
"Sui gradini. Ma non ho... dormito. Avevo paura. E comunque, era già l'alba. Poi sono venuto qui."
"Di' a tua madre di venire a vivere da me. I miei genitori la prenderanno come serva. Sai, per mia sorella, sta iniziando a camminar—"
Tacque di colpo. La sua sicurezza non ammetteva repliche, ma iniziai lo stesso a scuotere la testa e a cercare di farfugliare qualcosa per controbattere. Lugal posò lo stilo e mi fissò. Non aveva finito.
"Ma tu" continuò mimando con le labbra un muto 'e il tuo principe', prima di proseguire "beh, dovete fuggire. Andare via da Babilonia." Abbassò lo sguardo e riprese i suoi esercizi, grattando ritmicamente l'argilla. "Il Maestro non si fermerà, lo sai. Il suo servo ha fiutato qualcosa su di te e ci ha preso, ma se lo scoprisse lui, userà la forza. Non avrai scampo, Sinan. E neanche il principe, in base a ciò che mi hai raccontato del complotto."
Il suono cadenzato di sottofondo, paradossalmente, mi offriva un insolito conforto: lo stilo che incideva la tavoletta ancora morbida aggiungeva un tocco di normalità a una situazione tutt'altro che normale. Come se almeno qualcosa fosse ancora stabile, nonostante tutto il resto stesse crollando. Ero seduto sul pavimento, su una stuoia di canna intrecciata. L'odore dell'argilla fresca mescolato a quello del nero di fumo mi riempiva le narici. Lasciai perdere gli esercizi e mi stesi, abbandonando la schiena sulla stuoia. La luce dei lucernari filtrava attraverso il soffitto, creando giochi di ombre sui bassi tavoli di legno scuro: stili di canna, spazzole e panni, nero osseo, pestello e mortaio; eravamo davvero disordinati.
La parola 'fuggire' mi suonò come un'oscenità quando uscì dalle mie labbra che la ripeterono a bassa voce come un'eco. "Come?! È un principe!"
Lugal cambiò tavoletta, e il fruscio dei suoi movimenti spezzò il silenzio della sua pausa deliberata. "Ur-Ninurta mi ha offerto un'opportunità," era evidente il misto di orgoglio e rimorso nella sua voce. "Mi vuole come aiuto a palazzo. Ma io avevo già deciso di non accettare. Troppo vicino a quel nido di serpi. Sai che non mi piace. Potrei provare a persuaderlo a prendere te, al mio posto. In fondo, sei... bravino."
"Ehi!" gli rifilai un pugno sulla spalla. Tentai anche di sorridere, ma le sue parole galleggiavano ancora nell'aria, ed erano troppo assurde per sembrare reali.
Guardai le tavolette appoggiate sui ripiani di legno contro le pareti, esempi di perfetta calligrafia del Maestro da copiare, passaggi di testi sacri. Segni cuneiformi che avrebbero sfidato il tempo, i suoi. Mi chiesi se, un giorno, le mie parole avrebbero ricevuto una tale preservazione o se sarebbero divenute un mero frammento invisibile di una vita che non aveva lasciato impronte e ricordi. Ero incapace di trovare una risposta adeguata da dare al mio amico.
"Sinan, dai, non hai scelta" aggiunse Lugal, vedendo il mio smarrimento. "Ma dopo ti accompagno al fiume. Devi lavarti."
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