Il destino si svela


POV Sinan

Prima di tutto, inciampai. Non so se per colpa di una radice sporgente o del fermento intorno, che invitava lo sguardo a sollevarsi e perdersi. Nulla di grave: spolverai le ginocchia e, ritrovato l'equilibrio, ripresi il cammino lungo i sentieri di pietra bianca.

Il caldo del giorno si dissipava adagio dai giardini pensili e la brezza serale portava con sé il profumo dei fiori notturni. Dalle fontane, l'acqua mormorava preghiere in una lingua dimenticata, offerte a una divinità che solo i più fortunati potevano adorare. Mi fermai davanti a un cespuglio di mirto; le foglie lucide catturavano le ultime luci del tramonto, creando giochi di ombre sul terreno. Mia madre mi aveva chiesto di raccoglierne un po', ma non avevo voglia di andare in giro con del mirto sottobraccio.

Ricorreva la celebrazione di Ishtar e Babilonia era in fermento; l'inizio del mese di Aiaru rappresentava la rinascita della vita e la continuità delle festività primaverili. Strade e piazze pullulavano di vita: i venditori esponevano le merci più pregiate, i musicisti suonavano melodie vivaci che si mescolavano al rumore delle risate e dei canti. 

Tutti si riversavano in strada per partecipare ai riti propiziatori. Le donne indossavano abiti di lino colorati con ricami d'oro e gli uomini sfoggiavano vesti decorate con perle e gemme.

Io mi sentivo un intruso, come sempre. In mezzo a questo fervore, mi muovevo con passo attento. La mia tunica semplice e i piedi scalzi che calpestavano l'erba umida contrastavano con lo sfarzo che mi circondava. In più, non avevo nulla da offrire a Ishtar.

Passeggiavo tra le colonne ornate dei portici. Man mano che la sera calava, le torce dorate illuminavano le sculture di basalto e i mosaici di lapislazzuli che adornavano la piazza. Il suono dei tamburi e delle lire riempiva l'aria, quella sinfonia di vivacità e sacralità mi attraeva. Passai accanto a un gruppo di danzatori; i loro movimenti, per uno invece impacciato come me, erano un inno alla vita e alla bellezza. Mi fermai per qualche istante, affascinato dai guizzi dei muscoli e dall'armonia dell'insieme.

Mi avvicinai poi al mercato temporaneo allestito per la festività. Le bancarelle erano colme di frutti esotici, spezie aromatiche e dolci tradizionali. La fragranza delle melagrane mature e dei datteri freschi si mescolava con quella dell'incenso bruciato per onorare Ishtar. Mi fermai davanti a un banco che esponeva una varietà di erbe profumate e spezie colorate, e osservai il commerciante che scambiava beni e storie con gli avventori. Mia madre si sarebbe divertita parecchio e, anzi, avrebbe partecipato ai racconti.

Mentre il resto del mercato si animava attorno a me, notai un giovane uomo in piedi accanto a una grande statua dorata di Marduk. Non proprio accanto, dietro. Sembrava nascondersi. Aveva un mantello nero sulle spalle, ma si intravedeva comunque il suo abito blu con ricami d'oro che scintillavano sotto le torce. La sua figura era circondata da un'aura di eleganza che contrastava con il caos festivo. La sua presenza mi parve un baluardo di ordine e grazia, un'apparizione fugace e fuori posto tra la folla.

Dal cappuccio uscivano delle onde color dell'oro e i suoi occhi vivaci sembravano riflettere l'intero cielo stellato. Sbirciava i danzatori, e sembrava spaventato e incuriosito da tutto ciò che lo circondava. Non potevo distogliere lo sguardo, come se un filo invisibile ormai mi avesse legato alla sua persona. Mi avvicinai furtivo, il cuore che batteva in modo irregolare. Ogni passo sembrava un'eternità, fino a quando fui abbastanza vicino da parlargli. Io, uno come me. Non avevo la minima idea da dove avessi tirato fuori tutto quel coraggio.

"È una notte magica, vero?" cercai di controllare la mia voce che tremava.

Sarei dovuto fuggire in quel preciso momento; ma lui girò il capo verso di me e i nostri occhi si incontrarono. Nei suoi vidi un mondo di sogni e desideri, forse un riflesso delle mie stesse speranze.

"Sì," rispose, il suo sorriso un miscuglio di serenità e malinconia. "Le stelle sembrano più vicine stasera."

Il cappuccio gli si spostò dal volto e lo riconobbi: il cazzo di principe Belshazzar era ai festeggiamenti sotto mentite spoglie. Quella fu la mia seconda occasione per fuggire; invece, quando lui reagì al mio stupore chiedendomi di fare silenzio, annuii e abbassai la voce. Ero appena diventato suo complice.

Passeggiammo insieme tra i sentieri meno illuminati; non sapeva nascondersi granché. Lui parlava con voce tranquilla, la voce più calma che le mie orecchie avessero mai sentito, raccontandomi della sua vita nella nobiltà, delle responsabilità e delle aspettative che lo soffocavano. Mi parlò della sua famiglia, del peso dei doveri che gli venivano imposti, e del suo desiderio di trovare un senso di libertà che però sembrava sempre sfuggirgli.

Io non sono un gran chiacchierone. Ascoltavo, avvertendo un misto di ammirazione e compassione. C'era una vulnerabilità in lui che non mi sarei mai aspettato da qualcuno di così alto rango. Nei momenti di silenzio osservavo i suoi gesti, il modo in cui le sue mani si muovevano con grazia mentre parlava, e come i suoi occhi si illuminavano quando menzionava qualcosa che amava. Conoscevo cosa piaceva davvero al principe ed era una cosa che nessun altro sapeva. Ero appena diventato un privilegiato, ed era un segreto stupendo da preservare.

Il tempo passò veloce e, prima che me ne accorgessi, il giardino cominciava a svuotarsi. Le torce si spegnevano una a una, lasciandoci immersi in un crepuscolo di alba tranquillo.

"Dovrei andare," annunciò lui, con un tono che però tradiva la sua riluttanza. "ma spero di rivederti."

Non volevo lasciarlo andare, non ancora. Quale altra occasione avremmo avuto di conversare in quel modo? Invece ribattei con un semplice "Anch'io.", sperando che le mie parole portassero con sé tutto ciò che non ero riuscito a dire.

Quando ci separammo, sentii una strana malinconia avvolgermi, come se avessi assaggiato e perso qualcosa di prezioso. Ma insieme a quella sottile mestizia, c'era anche una scintilla di speranza, un sentimento che non riuscivo a spiegare ma che mi faceva battere il cuore più forte.

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