·2·2· Il silenzio

Mi ripresi di colpo, quando uno sciabordio mi bagnò la fronte. Mi sollevai con uno scatto, il cuore di nuovo a mille. Riuscii a cogliere un riflesso – un lampo di colore sotto la superficie – ma si allontanò troppo velocemente perché potessi metterlo a fuoco.

Tremante, mi sollevai sulle braccia.

La luce del sole era così forte che non riuscivo a tenere gli occhi aperti. Avevo acqua nelle orecchie e fortunatamente niente nello stomaco o avrei vomitato anche l'anima.

Ero stordita.

Della tempesta che ci aveva travolto non c'era più traccia, era svanita velocemente quanto si era formata. E io ero sola, su uno scoglio in mezzo al mare.

Fui investita da un'ondata di panico. Lo Jäger era andato. I marchiati erano scomparsi – erano stati uccisi?, volatilizzati?, trasformati in pesci?. Clothilde non c'era più.

Ero... dove? Nel bel mezzo del Mediterraneo?

Avrei potuto nuotare. Ero esausta sì, ma non abbastanza da rinunciare alla lotta per la sopravvivenza. Avrei potuto nuotare – ma in che direzione? e per quanto tempo?

Quand'era l'ultima volta che avevo bevuto acqua dolce? Quanto ancora poteva sopportare il mio corpo?

Non potevo, non potevo morire lì, non in mezzo al mare, dove sarei continuata a morire nello stesso identico modo tutte le volte che mi fossi risvegliata.

Mi misi a sedere.

Lo scoglio era grande quanto il tavolo che avevamo nelle segrete della Reggia. Ce n'erano altri simili non troppo distanti. Avrei potuto nuotare da uno all'altro? Ma come sapevo che portavano da qualche parte?

Staccai distrattamente qualche patella e un pezzo dello scoglio di mosse. Tirai finché un pezzo vagamente sferico non si staccò dal resto.

Me lo rigirai tra le mani. E urlai quando mi trovai di fronte ad un teschio. Mi sfuggì dalle mani e rotolò tra le gambe. Lo lasciai lì, a fissarmi di sbieco vicino al mio ginocchio.

Feci qualche respiro ad occhi chiusi. Nuotare non era affatto un'opzione. Salvarsi non era affatto un'opzione. Non ero ancora sfuggita alle sirene.

Udii un altro sciabordio. L'acqua si increspò non lontano da me. Qualcosa di grosso si muoveva proprio sotto la superficie e veniva verso di me.

Piegai le gambe perché non sporgessero dallo scoglio e trattenni il fiato.

L'acqua si comportava in modo strano intorno alla creatura, riflettendo la luce in modo che non potessi distinguerne esattamente la forma.

«Clothilde?» tentai, a mezza voce.

Nessuna risposta. Quando arrivo vicinissima allo scoglio, la creatura semplicemente scendette in profondità e d'istinto mi sporsi per poter vedere meglio.

Il suo corpo era pallido e lucido e procedeva con un unico, fluido movimento ondulatorio. Ne riuscii a distinguere altri – altre sirene che nuotavano intorno alla base dello scoglio.

Una parte di me desiderava che si avvicinassero. Se proprio dovevo morire per mano loro, volevo almeno poterle osservare da vicino.

Pensai al mio maestro, a come pochi giorni prima avrebbe dovuto trovarsi proprio in quelle acque, sullo yacht che io avevo appena distrutto, a catturare la stessa sirena che mi aveva fatto affondare. Pensai al mio maestro – e ringraziai che fosse morto e non potesse assistere al mio pietoso disastro.

Dal fondale, le sirene ricominciarono a cantare. All'inizio pensai che stessero cercando di nuovo di ammaliarmi, ma poi mi resi conto che i suoni erano più contenuti e meno armonici, simili ai versi dei delfini.

Per un momento rimasi interdetta. La melodia che mi aveva incantata sullo yacht era solo una versione raffinata di ciò che stavo sentendo adesso? La musica che poteva farmi tagliare ogni contatto della realtà era simile a quest'insieme caotico di fischi? Possibile che bastasse loro cambiare frequenza per ottenere un tale effetto?

Le sirene continuavano a nuotare in circolo intorno allo scoglio, risalendo sempre di più ad ogni giro e strillandosi a vicenda nella loro lingua da cetacei.

C'era una delle voci che riuscivo a distinguere. Che fosse per tono, timbro o frequenza, riuscivo ad individuarla tra le altre. Mi sforzai di individuarne la provenienza e trovai Clothilde.

Identificarla era facile: anche a quella distanza il suo cranio calvo e marchiato era inconfondibile. Nuotava più veloce di tutte le altre, scivolando in qualsiasi direzione volesse con il minimo sforzo. Non aveva le curve delle altre sirene, né i muscoli dei tritoni, ma era più sinuosa e i suoi movimenti erano puliti, senza sprechi.

Un maschio attraversò la mia visuale, vicinissimo alla superficie, scivolando adagio accanto allo scoglio. I suoi tre metri di lunghezza brillarono di argento, bianco, rosa e bronzo, la sua ombra che strisciava e si deformava sulla roccia sottostante. Mi ritrassi di scatto, poi però lo seguii con lo sguardo mentre compiva dei giri completi intorno alla mia posizione, sorvegliandomi come una sentinella. Ogni tanto mi lanciava delle occhiate gelide, ma non si avvicinò mai abbastanza perché fossi a portata di mano e non cantò per ammaliarmi, i suoi versi erano rivolti solo ai suoi simili più in basso.

Mi guardai intorno finché non individuai di nuovo Clothilde.

Si era fermata. Ora una decina di sirene la circondavano e le sibilavano contro. Alcune nuotarono come per attaccarla, ma lei le scansò tutte agilmente.

Il mio tritone sentinella passò di nuovo tra me e loro. Questa volta si inclinò di più, mostrandomi il fianco.

Trattenni il fiato.

Il lato destro del suo corpo liscio era interamente ricoperto di scritte in arcaico. Linee di inchiostro nero si inseguivano e arricciarono in fitti arabeschi come in un tatuaggio maori. Solo che non si trattava di tatuaggi. Quelli erano marchi – i miei marchi.

«Non è...» ero troppo sorpresa per finire la frase.

Attesi che passasse di nuovo per leggere meglio, ma avevo già riconosciuto le parole incise sulla sua carne. Erano le stesse che avevo tracciato sullo skinwalker, riprodotte alla perfezione, come se il tritone stesse indossando la sua pelle. Come se... Come se ne avesse ereditato i marchi dopo averlo divorato.

I miei occhi corsero su tutte le altre sirene. Mi ero concentrata sulle teste per distinguere Clothilde, ma ora mi sforzavo di far caso ai vari segni sui loro corpi.

Ognuno di loro aveva un marchio, alcuni dei quali si ripetevano identici su più individui. Avevano condiviso la preda e ora ne ereditavano tutti la condanna.

Nuovi brividi mi attraversarono la schiena mentre realizzavo cosa era successo. Sullo Jäger, nessuno di loro era riuscito ad incantarmi perché Clothilde li aveva preceduti, ma erano riusciti a trascinare giù i marchiati. Quando ero caduta in acqua io, li avevano già uccisi tutti. Il motivo per cui ero stata risparmiata era che quelle sirene non potevano più aggredirmi, erano tutte sotto il mio controllo.

Tutte tranne una, quella su cui avevo sbagliato fin dall'inizio, quella che avevo marchiato personalmente ma a cui mi ero dimenticata di imporre silenzio e lealtà nei miei confronti.

Clothilde.

Sapevo perché le altre sirene le stavano addosso, sapevo cosa volevano da lei.

Non mi aveva uccisa durante l'attacco – forse perché le mie ultime parole avevano avuto l'effetto desiderato – ma sarebbe arrivata al punto di difendermi dai suoi simili? Avrebbe rifiutato loro la giustizia che meritavano?

Le sirene non erano famose per la loro lealtà – il loro istinto di sopravvivenza era più forte di qualsiasi legame – ma erano pur sempre creature di branco.

Mi aveva risparmiato una volta, qualsiasi debito ci fosse tra noi probabilmente era estinto ai suoi occhi.

Rievocai i ricordi della tempesta appena passata, dei momenti trascorsi sott'acqua, di come qualcosa fosse riuscito a trascinarmi controcorrente impedendo che venissi travolta dal relitto dello Jäger o finissi nelle grinfie delle altre sirene, di come l'aria mi aveva gonfiato i polmoni senza che riemergessi.

«Il bacio di una sirena salva dall'affogare» mi aveva spiegato una volta Lucien. «La loro saliva reagisce con l'acqua e libera ossigeno.»

Doveva avermi baciato. Non c'era altra spiegazione. Clothilde mi aveva baciato.

Mi alzai e rimasi in piedi al centro dello scoglio, alta e piccola allo stesso tempo, come un passero sulla cima di una montagna.

Il mio cuore batteva forte.

La prospettiva da cui vedevo la situazione era cambiata. Il mondo intero sembrava cambiato ora che sapevo di avere di nuovo un vantaggio.

Ripresi seriamente in considerazione l'idea di nuotare fino a raggiungere la terraferma. Quali pericoli avrei potuto incontrare oltre la stanchezza? Squali? – c'erano squali in quelle acque? Avrei potuto chiedere-- avrei potuto ordinare a quelle sirene di scortarmi.

Potevo?

Avevo dato per scontato che i miei marchiati mi avessero seguita solo perché credevano di doverlo fare, che i miei marchi avessero perso la loro efficacia dopo la mia trasformazione, ma in fondo che senso aveva? Io ero una gatta, quindi il mio marchio funzionava. Clothilde era rimasta umana fuori dall'acqua. Le sirene non mi avevano aggredito.

Il tritone sentinella era ancora al suo posto, gli altri invece stavano scendendo in profondità, nuotando così compatti che mi era impossibile individuare Clothilde. Erano così concentrati su di lei che quasi non pensavano più a me.

Con una mano mi riparai gli occhi dal sole. Era ancora forte, ma non alto. Dovevano essere all'incirca le sei del pomeriggio. Studiai la direzione in cui puntava la mia ombra, poi mi voltai verso destra.

La terraferma era da quella parte. Stringendo gli occhi mi illusi persino di scorgere un tratto di costa italiana. Forse era solo una qualche sorta di miraggio. Forse no.

Prima che potessi cambiare idea, feci dei respiri profondi e mi tuffai in acqua.

Questa volta il freddo mi fece venire la pelle d'oca. Il mio battito accelerò per l'ennesima volta in quella giornata.

Scalciai inutilmente per qualche secondo prima di trovare il ritmo giusto. Puntai allo scoglio più vicino.

Percepii del movimento intorno a me, ma non mi fermai finché le mie mani non si scontrarono con la roccia. Strinsi le dita intorno ai primi appigli che riuscii a trovare e sollevai la testa per prendere aria.

Tossii e battei le palpebre per liberare gli occhi dal sale.

Le sirene mi nuotavano vicinissime. Per quanto letali, restavano creature di una bellezza unica.

Un movimento troppo vicino, poco più in alto di me, mi fece trasalire. D'istinto mi spinsi via dallo scoglio e rischiai di scivolare di nuovo sott'acqua.

«Clothie!» alitai. Una parte infantile di me dovette resistere all'istinto di schizzarle.

Clothilde era inginocchiata sullo scoglio, ancora in forma di sirena. Allungò una mano e mi strattonò dal braccio. Mi tirò su di forza, senza aspettare la mia collaborazione – la sua mano tesa non rappresentava nessuna offerta di aiuto. Degli spuntoni mi graffiarono le cosce e per un momento rimasi ferma immobile, con gli occhi serrati e il respiro che mi sibilava tra i denti, aspettando che il dolore scemasse.

Questo scoglio era più grande del precedente, all'incirca delle dimensioni di un letto matrimoniale.

Cercai di mettermi seduta, ma Clothilde mi tenne inchiodata contro la roccia.

Protestai ma la sua mano sulla mia gola mi mozzò il fiato. Rimasi ferma e lasciai che mi osservasse. I miei vestiti erano talmente bagnati e lacerati che probabilmente in quel momento ero solo poco più coperta di lei.

Fissò le mie ferite e i piccoli rivoli di sangue che ne uscivano. Sangue rosso, realizzai con un'ondata di terrore, non nero come quello di una marchiatrice.

Clothilde sembrò arrivare a quella stessa conclusione con solo qualche istante di ritardo rispetto a me. I suoi occhi si spalancarono leggermente e corsero di scatto al mio viso. Con la mano con cui ancora mi teneva il collo mi costrinse a girare voltare la testa verso il sole.

«Guardami» sibilò.

Tentai di scuotere la testa ma la sua presa era troppo forte. Di nuovo, in confronto a lei, non mi sentii altro che una bambina spaurita.

«Guardami» ripeté, e invece che arrabbiata la sua voce suonò più dolce, più simile alla melodia che poteva ammaliarmi.

Riluttante, aprii gli occhi e li fissai nei suoi. Chiari, dello stesso colore dell'acqua, con due splendide pupille tonde.

Sotto la luce diretta del sole, sentivo che le mie invece si erano ridotte a due fessure verticali. Le mie iridi non erano abbastanza scure per nasconderle anche in quelle condizioni.

«Il polso» suggerì una voce dal basso. Dalla mia angolazione riuscii a mala pena a vedere una testa che emergeva dall'acqua, ma riconobbi il tritone sentinella.

Con la mano libera Clothilde afferrò prima il mio avambraccio destro, poi il sinistro e finalmente trovò ciò che cercava. Libero da ogni copertura, il mio marchio era un unico simbolo nero contro la mia carnagione pallida, talmente scuro da non riflettere la luce come il resto della mia pelle bagnata.

Lo fissò a lungo. Sapeva cosa significava quel numero 6? Sapeva leggere l'arcaico? Altamente improbabile, per lei quel simbolo poteva essere qualsiasi cosa.

Produsse un verso che non seppi decifrare. Credetti di sentirvi frustrazione, ma anche... sollievo? – no, forse era fastidio. In quel momento avrei dato qualsiasi cosa per sapere cosa le stesse passando per la testa.

«Non possiamo mangiarla, si è marchiata» disse senza però guardare il tritone. Il sollievo che provai nel sentire quella frase fu quasi doloroso. Mai avrei pensato che la parola "marchiata" associata a me potesse farmi sentire così al sicuro. Era il simbolo della mia sconfitta, la prova che non ero più il titano che tutti temevano ma solo una ragazzina senza valore, eppure in quel momento, eppure in quel momento era il mio unico scudo, la mia unica ancora di salvezza.

«Uccidila e basta allora» decretò il tritone prima di sparire di nuovo sott'acqua, praticamente sputando fuori ogni parola con rancore.

Il sollievo svanì tanto velocemente quanto era arrivato. In un attimo i miei respiri si fecero tremanti e i miei occhi si gonfiarono di lacrime pungenti, ma non produssi un suono. Clothilde non smetteva di fissarmi. Sapevo che supplicare non sarebbe servito a nulla e mi rifiutavo di darle la soddisfazione di sentirmi piangere.

Eppure ogni singola parte di me voleva urlare, pregarla di non farlo, di lasciarmi stare. Non importava che avessi altre vite, non volevo morire. Non in mezzo al mare, a metà del nulla, non mentre stavo ancora scappando dai mutaforma. Non volevo morire. Mi era bastata una volta, mi era bastato il veleno, mi era bastata la paralisi, il freddo, il nulla che seguiva. Io non volevo morire.

Le afferrai i polsi per impedire che stringesse la presa e mi soffocasse, anche se non si era ancora mossa.

Mi aspettavo di sentire il mio cuore accelerare, i miei muscoli risvegliarsi grazie ad una nuova sferzata di adrenalina, ma scoprii che il mio corpo era troppo stanco. Il cervello aveva più voglia di vivere della carne.

Volevo lottare, volevo sfruttare quei secondi di esitazione, ma allo stesso tempo avevo paura di muovermi. Paura di rompere quell'equilibrio improbabile e di perdere anche solo qualche secondo in più di vita.

Mi accorsi che la sue pelle sotto le mie dita era asciutta e che lei si era irrigidita per qualcosa che non aveva nulla a che fare con me.

I marchi sulla sua testa scintillarono, passando per qualche momento dal nero al marrone, e con il rumore di uno strappo la sua coda da sirena si divise in due gambe umane.

La guardai scrollarsi di dosso il dolore della trasformazione e ritrovare l'equilibrio nel suo nuovo corpo. Respirava a fondo, gli occhi accusatori fissi su di me. Credi che il tuo sia stato un dono?, sembravano dire, credi di non dover pagare per tutto questo dolore?

Strinse la presa intorno al mio collo, ma adesso era più debole. Lucien aveva tentato di addestrarmi, in quella che sembrava letteralmente un'altra vita.

Mi voltai su un fianco e la scaraventai di lato, sfruttando lo slancio per ribaltare la situazione e piazzarmi sopra di lei. Le sferrai un pugno alla mascella e uno alla tempia, la forza il risultato di rabbia e disperazione.

Lei cercò di darmi delle ginocchiate, ma ancora non riusciva a controllare a pieno le gambe.

Sferrai un altro pugno e lei sputò sangue con un sibilo. Riuscì ad assestarmi un colpo allo stomaco che mi tolse il fiato. Quando infilò le dita nelle ferite ancora aperte sulle mie gambe urlai e persi la presa su di lei.

Mi ritrovai di nuovo a terra. Allungai le mani quasi alla ceca, puntando alla sua faccia, cercando di metterle le dita negli occhi per tenerla lontana. Che cosa avrei dato per un marchio in quel momento!, per sentire di nuovo il sangue colarmi dalle dita pronto per bruciare il mio avversario.

Invece le bastò afferrarmi entrambi i polsi con una mano e spingermi via. Rotolai a pancia giù e cerca di allontanarmi – verso dove, su uno scoglio così piccolo non saprei dirlo.

Mi salì sulla schiena e mi passò un braccio intorno al collo.

Ansimai. Mi dimenai per scrollarmela di dosso, tentai di mordere e graffiare e colpirla con la testa.

Ero io la più forte. Dovevo essere io la più forte.

Dovevo...

Mi aveva ormai immobilizzata quando cominciò a cantare.

Dopo il bacio, la sua voce non aveva più lo stesso effetto su di me. Era come una malattia per cui avevo sviluppato gli anticorpi, la sua saliva una specie di vaccino. Ma potevo ancora avvertirne il fascino.

Non poteva più farmi dimenticare del resto del mondo, ma riuscì a calmare il mio respiro. Sembrò quasi che mi cullasse, con le labbra premute vicinissime al mio orecchio e le braccia che mi circondavano in quell'abbraccio mortale.

Forse fu il suo modo di avere pietà. Forse è l'unica forma di conforto di cui le sirene sono capaci. Forse una parte di lei era davvero diversa dagli altri della sua specie. Non abbastanza diversa, comunque.

Quando la melodia raggiunse il suo termine, con un unico movimento deciso, mi spezzò il collo.

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