·1·2· L'umanità
Alla fine mi andai a rintanare in un angolo tra la parete e un mobiletto, seduta a terra con le braccia strette intorno alle gambe e la testa appoggiata alle ginocchia, sperando che se fossi riuscita a farmi abbastanza piccola anche i miei problemi sarebbero diminuiti.
Persi la cognizione del tempo e rimasi in quella posizione per quelle che parvero ore.
Quando udii dei passi in corridoio tesi le orecchie ma non mi mossi. Riconobbi la camminata di Lucien. Lo sentii avvicinarsi con calma, poi fermarsi. Imprecò in tedesco – lingua che non avevo mai imparato – poi tornò indietro quasi di corsa e andò a bussare alla mia camera.
«Sono qui» dissi ad alza voce, alzandomi e uscendo dal bagno. Chiusi la porta alle mie spalle e vi rimasi appoggiata.
Mi raggiunse in un attimo, torreggiando su di me dal suo metro e novanta e con la sua corporatura massiccia.
Prima che potessi dire qualsiasi cosa, la mia guancia si infiammò di dolore.
Con un momento di ritardo, mi resi conto che mi aveva dato uno schiaffo. Riuscii solo a fissarlo sbalordita mentre mi premevo una mano sulla guancia.
«Dov'è?» ringhiò.
Sbattei le palpebre più volte. Mi guardai intorno con discrezione e notai la scia d'acqua che andava dalla vasca alla mia camera – Clothilde mi aveva rubato dei vestiti? – alla scala a chiocciola nell'atrio.
«Dov'è chi?» chiesi sfoderando l'espressione più ingenua di cui fossi capace. Non era mai successo che Lucien perdesse il controllo due volte in un solo giorno, ma urla e schiaffi mi spaventavano quanto una puffola. Era un altro tipo di rabbia quello che temevo.
«Sai benissimo chi!»
Guardai platealmente a destra e a sinistra. La rete gettata di lato si vedeva anche da lì.
«Oh,» mi finsi sorpresa «come fa ad andare in giro con la pinna?» Il suo sguardo rabbioso mi divertì. «Voglio dire,» aggiunsi «non vorrà mica trascinarsi per mezza città come sirena?»
Mi afferrò per un polso e quasi lo stritolò. Strillai, poi mi contenni.
Mi trascinò fino alla scala a chiocciola e poi su.
«Credi che sia divertente?» fece mentre saliva. «Che sia tutto un gioco? Scommetto che non le hai nemmeno imposto i marchi di silenzio!»
Mi raggelai.
Non l'avevo fatto.
Lei poteva chiamare i mutaforma, rivelare la nostra esistenza e la nostra posizione.
Vedendo il modo in cui impallidii, Lucien mi lasciò andare e riprese a salire, questa volta di corsa. Io gli andai dietro.
Sbucammo nei giardini della Reggia da un sottoscala apparentemente anonimo, sotto il sole del primo pomeriggio. Ci separammo senza aver bisogno di istruzioni ad alta voce. Lucien seguì quelle che sembravano impronte bagnate, io decisi di andare per un'altra strada. Conoscevo diversi percorsi secondari e più brevi per fare il giro della Reggia.
Corsi più veloce che potevo. Conoscevo ogni pianta, ogni fiore, ogni spigolo delle aiuole, ogni fontana, ogni incrocio dei viali. Attraversai i giardini con una sicurezza che solo chi ci era cresciuto poteva avere. Uno straniero non sarebbe mai riuscito a passare accanto a simili tripudi d'arte senza fermarsi ad ammirarli – forse solo uno stolto.
Arrivai a poca distanza dall'ingresso principale nel giro di dieci minuti, mi andai a riparare sotto un porticato e mi fermai a riprendere fiato, le mani puntate sulle ginocchia.
C'era silenzio, realizzai. Troppo silenzio.
Non avevo incontrato nessuno nei giardini.
La mia mente lavorò in fretta. Quanto tempo era passato da quando avevo marchiato Clothilde? Da quanto era scappata? Un'ora, forse qualcosa di più.
Poteva non essere scappata affatto, poteva essersi limitata a raggiungere un telefono. C'erano milioni di modi per contattare i mutaforma, specie in un posto di solito tanto affollato.
Mentre mi davo mentalmente della stupida, un'ombra grossa e irregolare passò sopra i giardini. Alzai lo sguardo sul cielo oltre il porticato appena in tempo per vedere uno stormo di strani uccelli scuri sorvolare la Reggia per poi planare in piccoli gruppi. Atterravano in punti ombrosi da cui poi emersero figure umane.
Il mio cuore perse così tanti battiti che credetti di morire sul colpo.
Mutaforma.
I sovrani del Mondo Sconosciuto. I miei nemici giurati, a pochi metri da me.
Si muovevano come estensioni di un'unica massa fluida, allargandosi a macchia d'olio dal punto in cui atterravano. Tutti indossavano gli stessi abiti scuri e aderenti – forse nient'altro che una nuova pelle – e la stessa identica faccia.
Rimasi immobile, così immobile che avrei potuto pietrificarmi. Pensai addirittura che diventare una statua sarebbe stata un'ipotesi non solo possibile, ma auspicabile.
Invece dovevo spostarmi di lì, o mi avrebbero trovata fin troppo presto.
Scappare era fuori discussione, per quanto veloce potessi correre e per quanto piano potessi muovermi, loro mi avrebbero sentita e mi avrebbero raggiunta. La mia unica possibilità era restare nascosta finché non avessi avuto una buona occasione per andarmene. Dovevo sfruttare il piccolo vantaggio che conoscere la Reggia mi dava.
I mutaforma non potevano monopolizzarla per sempre, prima o poi i turisti sarebbero tornati e io mi sarei confusa tra di loro. Sarei rimasta nascosta per giorni se necessario.
Lanciai un'ultima occhiata disperata ai giardini, desiderando di poter tornare nelle segrete, al sicuro nelle viscere della terra, ma i mutaforma si trovavano proprio tra me e il passaggio d'entrata.
Sopravvivenza prima di tutto – mi sembrava di sentire la voce di Lucien.
Indietreggiai senza staccare gli occhi dai mutaforma finché non sentii la parete alle mie spalle. Mi issai sul davanzale della finestra più vicina e rotolai dentro la Reggia senza fare rumore.
Subito mi resi conto che non era stata una buona idea.
Conoscevo la Reggia e le sue stanze, ma non potevo ricordare ogni dettaglio. Un mutaforma avrebbe potuto benissimo mimetizzarsi con il mobilio o la tappezzeria e io non sarei stata in grado di riconoscerlo.
Mi costrinsi a fare dei respiri profondi.
I mutaforma potevano mimetizzarsi benissimo anche all'esterno, tanto valeva trovare un nascondiglio all'interno, dove anch'io avevo la possibilità di passare inosservata. E poi loro erano appena arrivati, dovevo sfruttare il poco vantaggio che avevo.
Resistetti all'impulso di raggiungere le scale e salire – l'ultima cosa che volevo era che mi intrappolassero nei piani alti.
Nascondersi sotto un tavolo o dentro un mobile era banale e i passaggi segreti sarebbero stati i primi ad essere controllati.
«Hai visto quanto gliene ha preso?»
«No. Ma ci ha messo pochi secondi, non può avergliene levato troppo.»
Corsi a nascondermi dietro una tenda, il cuore che batteva all'impazzata. Solo con un momento di ritardo riconobbi le voci.
«I marchi hanno fatto effetto appena l'ha toccata» continuò lo skinwlker. «È stato terrificante.»
«Terrificante» ripeté la maga.
Erano due dei miei marchiati. I loro passi erano sempre più vicini. Sentivo anche il rumore di qualcosa che strusciava per terra, come se stessero trascinando qualcosa di pesante.
«Non credo che se lo aspettasse neanche lei.»
Mi sporsi per sbirciare oltre la tenda.
La maga aveva raggiunto uno dei pannelli segreti della parete di fondo. Rimosse le transenne che gli umani avevano montato davanti e bussò tre volte sulla porta.
Lo skinwalker era ancora sulla soglia. Stava trascinando qualcuno privo di sensi dalle braccia. Mi sporsi di più e riconobbi un'altra dei miei marchiati, la veela. I marchi neri sulle sue braccia avevano un'insolita iridescenza dorata – segno che aveva tentato di andare contro le parole che vi erano scritte.
«Dove diavolo sono?» sbottò la maga dopo aver bussato una seconda volta. Si voltò verso lo skinwalker e mi vide. Trasalì portandosi una mano al petto. Lo skinwalker seguì il suo sguardo e si irrigidì.
Scivolai fuori dalla tenda, ma mi tenni con la schiena appoggiata al muro.
«Che cosa è successo?» chiesi cercando di infondere quanta più autorevolezza possibile nella mia voce.
Esitarono, ma poi i lanciai uno sguardo eloquente a dove sapevo nascondersi i loro marchi di obbedienza sotto i vestiti e la maga parlò.
«Il primo mutaforma che è arrivato le ha preso del sangue» disse accennando alla veela con lo sguardo. Non aggiunse altro, ma non ce n'era bisogno. I marchi impedivano loro di aiutare i mutaforma, quelli della veela si erano attivati al primo contatto.
«L'idea è stata di quella...» Non concluse la frase. La maga non poteva sapere che Clothilde era un sirena.
Mi limitai ad annuire.
Poi capii. Qualche collegamento si attivò nel mio cervello e capii a quale idea si riferisse la maga. Il sangue delle veela era tossico – così tossico che anche poche gocce erano letali per qualsiasi organismo, persino quello di un marchiatore. La sua sola presenza era tutto l'aiuto di cui i mutaforma avevano bisogno, se l'avessero colta di sorpresa probabilmente non si sarebbero neanche attivati i suoi marchi.
Era stata un'idea di Clothilde?
Quella maledetta sirena aveva davvero sprecato tutto questo tempo ad ideare la nostra morte piuttosto che a scappare?
Dov'era ora? Lontana? O ancora nei giardini?
«Lucien» esalai. Lucien era fuori a cercarla. E lei probabilmente stava facendo da esca.
Mi sentii mancare. Strinsi i denti.
«Restate nascosti» dissi alla maga e allo skinwalker. «Tutti quanti. È un ordine» chiarii. «Non importa quante buone intenzioni abbiano i mutaforma, se si avvicinano troppo a voi morirete» accennai alla veela svenuta. «Lascerete la Reggia solo se e quando lo dirò io.»
Non aggiunsi altro, non aspettai che obbedissero. Non sprecai neanche un secondo di più. Spalancai la finestra più vicina e saltai fuori.
Non ero mai stata in tale stato di shock. I miei pensieri erano sconnessi – l'unica cosa su cui la mia mente riusciva a focalizzarsi era il mio maestro. Il mio cuore batteva all'impazzata e sangue caldo aveva iniziato a colarmi dalle dita.
Corsi. E la velocità della disperazione mi portò fin quasi all'entrata delle segrete.
Poi i miei polmoni esplosero e le mie gambe cedettero. Misi un piede in fallo e caddi in avanti.
Atterrai con un tonfo. Il terreno stesso mi sembrò tremare, poi il tempo si congelò.
Li sentii, ma solo perché me lo aspettavo. Frusciarono tra le foglie come nient'altro che aria sollevando del vento che mi investì come la scia di un grosso uccello invisibile.
Ci fu un sibilo.
E infine il dolore. Acuto, ma anche netto, come uno spillo conficcato nel mio polpaccio. Crebbe e mi investì con un'ondata di bruciore gelido, poi si spense, riducendosi ad un leggero formicolio e ricominciò ad aumentare, questa volta lentamente.
Rimasi a terra, immobile, il fiato che smuoveva il terriccio accanto alla mia faccia e mi faceva bruciare gli occhi.
Non sentii voci, né versi di esultanza. I mutaforma si allontanarono come uno sciame di cavallette sazie. Per loro ero già morta. Il fatto che non si preoccupassero neanche di rimanere a controllare significava che ero spacciata.
E che non avevano ancora preso Lucien.
Strinsi i denti e chiusi le mani a pugno. Feci leva sui gomiti per sollevarmi e girai la testa.
Un dardo argentato era conficcato nel mio polpaccio destro. Sembrava una delle munizioni di tranquillante usate per gli animali, con tanto di coda piumata rossa.
Allungai la mano e lo estrassi immediatamente. Le poche gocce di sangue che uscirono – di una preoccupante sfumatura grigia – bruciarono la stoffa del pantalone. Annusai la punta del dardo, poi lo gettai lontano di scatto.
Decisamente sangue di veela.
Stavo già perdendo sensibilità alla gamba, avevo pochissimo tempo per impedire che le tossine entrassero in circolazione e si diffondessero in tutto il mio corpo.
Tastai l'interno dei miei stivali e ne tirai fuori le bende che li imbottivano. Le tesi per assicurarmi che fossero elastiche abbastanza da non strapparsi, poi le legai intorno al ginocchio, così strette che avvertii subito la pressione del sangue che non riusciva più a circolare.
Un sospiro tremante, pericolosamente vicino al pianto, mi scosse il petto. Senza accorgermene mi ero morsa il labbro fino a farlo sanguinare.
Mi guardi indietro e inorridii alla vista di altri due dardi conficcati nel terreno ad un passo da me. Due morti a cui ero sfuggita.
Due colpi in meno che i mutaforma avevo a disposizione contro il mio maestro.
Potevo ancora salvarlo.
Camminare era fuori questione perciò non provai nemmeno ad alzarmi. Avanzai a quattro zampe – tre in realtà – ma feci meno di tre metri prima di cadere di nuovo.
Non provavo più dolore. Non il genere di dolore che strappa urla strazianti. Era una morsa fredda, una piaga che risaliva lentamente la mia gamba divorando la carne cellula dopo cellula.
Rimasi sdraiata a terra per un altro istante, consapevole che non sarei riuscita a rialzarmi. Tutto ciò che desideravo era rannicchiarmi e piangere fino ad espellere tutto il veleno per disidratazione.
Ma ero così vicina alle segrete... se solo fossi riuscita a tornare al sicuro, a tornare a casa...
Strinsi le braccia contro il petto e cominciai a rotolare. Non mi fermai finché non finii alla basa di un viale di siepi. Puntai i gomiti tra le radici e mi trascinai in avanti strisciando sullo stomaco.
C'ero quasi. Potevo vedere la botola nascosta.
Stavo per uscire da sotto le siepi quando Lucien entrò nella mia visuale. Aveva stretto Clothilde in una morsa e ora si dirigeva verso la botola. Clothilde si dimenava tra le sue braccia, ma fuori dall'acqua non aveva più la forza di una sirena.
Per un istante – un unico, brevissimo istante – sorrisi e il mio cuore quasi scoppiò di gioia. Lucien era vivo, era praticamente in salvo.
Poi vidi le ombre, sagome amorfe e opache come fumo, e seppi che era troppo tardi.
Volevo chiamarlo, avvertirlo, ma dalle mie labbra aperte non uscì alcun suono.
Che cosa stava facendo? Perché si era arrischiato a recuperare una sirena marchiata se poteva costargli la vita? Perché era voluto uscire a cercarla se sapeva che i mutaforma sarebbero arrivati così presto? Perché non rimanere nascosti nelle segrete, dove non ci avrebbero mai trovati?
Il primo dardo lo compì alla schiena. Il secondo gli si conficcò nell'avambraccio. Il terzo nel collo.
Barcollò, come compito da dei pugni. Cadde prima sulle ginocchia e poi in avanti, schiacciando Clothilde con il proprio peso. Il verso che emise fu più di incredulità che di dolore.
Si accasciò su un fianco, senza allentare la presa su Clothilde. Aveva intensione di intrappolarla nel suo rigor mortis?
Il veleno agì velocemente su di lui, costringendolo a degli spasmi. Mentre lottava inutilmente contro un corpo che non rispondeva più ai suoi comandi e rovesciava la testa all'indietro nel tentativo di riprendere aria, il suo sguardo incontrò il mio.
Non ebbe ultime parole per me. Non riconobbi la luce dietro i suoi occhi.
Colsi l'attimo esatto in cui morì, in cui l'ultimo brandello della sua anima si consumò lasciandosi dietro una sottile scia di fumo, come l'ultima parte di un bastoncino d'incenso.
I suoi occhi azzurri si spensero ma non si chiusero. Un'espressione indecifrabile impressa per sempre sul suo viso. Il suo corpo, il guscio vuoto di un dio caduto, si abbandonò alla gravità.
Il mio intero mondo andò in frantumi in quell'istante. Provai un senso di vuoto, poi di impotenza, infine mi sentii schiacciata da una valanga invisibile.
Improvvisamente ero piccola, debole, inutile.
Sola.
I miei pensieri si erano inceppati come le note di un disco rotto. Incapace di superare quel momento, continuavo a riviverlo, ad assistere alla morte di Lucien ancora e ancora, consapevole che presto sarebbe stata anche la mia.
Il sangue di veela ormai era in circolazione. Esisteva un antidoto – sapevo che esisteva anche se la mia mente non riusciva a ricordare – ma non c'era tempo. Non potevo sfuggire alla morte, nemmeno i miei marchi--
Le mie labbra tremarono mentre schiudevo la bocca in un'espressione di realizzazione.
Abbassai lo sguardo sul sangue che ancora mi colava dalle dita. Quello sulla mano sinistra era già diventato grigiastro – il braccio si stava intorpidendo – ma quello della destra era ancora scuro.
Avevo un'idea. Così folle da poter essere partorita solo in una situazione del genere, ma pur sempre un'idea.
Portai una mano verso l'altra, le dita della destra sul polso sinistro.
Non avrebbe dovuto funzionare. Non avrebbe potuto funzionare. Il nostro sangue non bruciava la nostra stessa pelle, non potevamo marchiare noi stessi. Ma il sangue di veela stava avvelenando la mia carne e la parte del mio braccio che non era ancora morta non era più la stessa.
Feci scorrere le dita e vidi il sangue ancora nero e puro sfrigolare sulla pelle sottostante, ma non avvertii altro che un fastidio indistinto, come di unghie conficcate in un arto intorpidito.
Scrissi. Con rabbia e per paura, d'istinto e per ispirazione. Stavo rinunciando alla mia natura, stavo distruggendo per sempre il mio essere, ma se era il prezzo per sopravvivere allora lo avrei pagato. Se cambiare pelle era l'unico modo, allora mi sarei scuoiata con le mie stesse mani.
Scrissi una parola semplice, poi l'ampliai. La tesi come una corda, la sviscerai finché non emerse la sua essenza arcaica, ne estrassi il mito e feci mia la leggenda.
Quando finii ero senza fiato e la mia vista si stava riempiendo di aloni opachi.
Il marchio sul mio polso da nero divenne marrone poi si accese di una luce calda e dorata, come se lava fulva scorresse sotto la mia pelle. Linee e cerchi presero vita e si mossero, danzando nella mia carne e riassestandosi.
Non avevo mai visto niente di più bello.
La parola gatto si deformò e ricombinò nel numero 7, la lingua arcaica che fluiva da un simbolo all'altro come un fiore che sboccia. Poi finalmente il marchio si assestò e tornò nero.
Feci dei respiri profondi. Cominciavo ad avere difficoltà ad espandere la cassa toracica.
Il sangue che mi colava dalle dita divenne completamente grigio, poi rosato e infine rosso, umano. O felino. Smise di stillare dai polpastrelli.
Le mie pupille cambiarono forma con uno scatto doloroso.
Strinsi i denti e ricacciai indietro le lacrime. Non era ancora finita, non ero ancora neanche lontanamente fuori pericolo.
Con uno sforzo atroce recuperai un'altra benda da dentro gli stivali e me l'avvolsi intorno al polso, in modo che nascondesse il marchio.
Registrai del tramestio intorno a me e mi guardai intorno.
Una decina di mutaforma avevano preso forma umana e si stavano assiepando intorno al corpo di Lucien. Vidi Clothilde sgusciare via facendosi strada a forza tra due di loro e venire involontariamente nella mia direzione.
Per qualche improbabile miracolo nessuno mi aveva notata, nascosta com'ero alla base delle siepi.
Raccolsi le forze e afferrai Clothilde per una caviglia quando mi passò accanto. Incespicò e cadde in ginocchio, ma grazie al cielo non richiamò l'attenzione dei mutaforma.
«Devi... aiutarmi» parlare era difficile. Faticavo ad articolare bene i suoni.
Clothilde ispezionò il mio corpo con lo sguardo finché non adocchiò il buco dei pantaloni sul mio polpaccio e non registrò il mio pallore mortale.
«Morirai» sentenziò liberandosi dalla mia presa. La sua voce era diversa da come me l'aspettavo.
Chiusi gli occhi in preda ad una vertigine e scossi la testa. «Ho pre-e-eso l'anti-i-ido-o-oto» singhiozzai. Cercavo di controllare il movimento delle labbra ma ottenevo solo un tremore indistinto.
Aprii gli occhi e cercai di leggere la sua espressione per capire se mi credeva, ma la mia vista era troppo appannata. Potei solo fissare la macchia rosa che era il suo viso.
«Se-e-ei una m-marchiata. N-no-on ti lasceran-n-no an-n-ndare.» Riuscii ad accennare ai mutaforma. La mia voce era così flebile che mi sentivo a mala pena. O forse le mie orecchie di stavano spegnendo.
«Ti ascolto» disse. Nella sua voce c'era disprezzo e nemmeno un briciolo di fiducia, ma era tutto ciò che avevo. Le afferrai un polso e mi ci aggrappai.
«Gli-i a-altri. Nella-a Reg-g-gia.» La testa mi girava così tanto... «Lo-o y-y-ya-a-acht» un colpo di tosse. Non respiravo. «D-dì l-lo-o-o-oro l-lo y-y-yac...» Non ci vedevo più. Ormai ero completamente sdraiata su un fianco, la testa abbandonata a terra. «e-e che l-l-l'ho de-e-e-e-» Aria. Mi mancava l'aria. «d-d-de-e-et-t-t-o i-i-i-»
Il marchio bruciò di nuovo. E questa volta fu insopportabile. Mi spinse definitivamente via dal mio corpo, mi strappò dalla mia mente.
Da 7, le vite che mi rimanevano divennero 6.
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