26
Tredicesimo giorno prima delle Calende di maggio (19 aprile)
Livia giocherellava con il quarzo, rigirandoselo tra le dita, gli occhi fissi sui bagliori rosati che emetteva sotto la luce del sole. Era in spiaggia, seduta sul tratto di costa cui si poteva accedere dal retro della domus di Diotima. Osservava alcuni bambini giocare nell'acqua, spruzzarsi e rincorrersi tra le onde. C'era un bel sole caldo quel giorno, scottava la pelle, ma per una volta Livia non si curò del rossore. Si godeva i raggi sul viso e aspettava che la sua amica la raggiungesse.
Diotima non si fece attendere. Livia avvertì la sua presenza alle proprie spalle; poi la donna le si sedette accanto.
«Che bella giornata» sospirò Diotima, allungando la gamba offesa davanti a sé.
Livia non rispose. Non sarebbe stata una bella giornata ancora per molto. Non dopo quello che stava per rivelare.
«Ho scoperto chi ha ucciso tuo marito.»
La sentì trattenere il fiato e irrigidirsi al suo fianco. «Chi?»
Livia le mostrò il quarzo rosa e Diotima lo prese, confusa.
«Prima di dirtelo, voglio raccontarti una storia.» Livia osservava i bambini, distante, fredda, controllata. «È la storia di una donna perdutamente innamorata di suo marito. Gli è devota e fedele e ama tutto di lui: la bella vita, i figli che le ha donato, e poi ama lui. E come potrebbe non farlo? È davvero attraente e ha l'aria del comandante. È un uomo solido, affidabile, ma anche affascinante e sa come farla sentire speciale. È facile, per una donna, perdere la testa per lui. Anche per donne diverse da sua moglie. Il suo dovere di marito e padre gli imporrebbe di respingere tali attenzioni. Ma quest'uomo non rifugge le tentazioni, bensì vi si crogiola. Non appena la moglie esce di casa, lui vi fa entrare le sue amanti. Ordina alla servitù di non disturbarlo e la servitù obbedisce, muta e complice. La padrona non saprà mai la verità da loro. Ma un giorno, lei lo scopre comunque. Scopre che il marito che ama più della sua vita la tradisce. E la scoperta la distrugge. Sa che non potrà mai perdonarlo per averle spezzato il cuore.»
Livia allungò i piedi nudi sulla sabbia, muovendo le dita tra i granelli tiepidi. «C'è un'altra donna, e la sua storia è molto più tragica. È una ragazza di bassa estrazione sociale, sposata a un uomo molto più vecchio di lei. Non prova alcun affetto per lui e lo vede solo come il padre del loro meraviglioso bambino. Un bambino che è pura gioia e vita e splende come il sole. Lei è nata per diventare madre e lo ricopre di attenzioni e tenerezze. Ma un giorno il padre decide di portare il bambino alla sua prima battuta di pesca. Deve svezzarlo, farlo diventare un uomo, anche se ha solo cinque anni. Lei non vuole. Tira una brutta aria, il vento le soffia contro un terribile presentimento. In due partono per la spiaggia, ma solo uno torna indietro. Il bambino è affogato. Un tragico incidente, ma una madre non perdona. Suo marito le ha strappato il cuore, ha ucciso la sua anima. Non potrà mai perdonarglielo.»
Livia si voltò finalmente verso Diotima, che teneva gli occhi fissi a terra. «E poi c'è la terza donna. Una donna che la vita ha messo a dura prova ma che crede di aver trovato un porto sicuro nel suo nuovo marito. Un uomo che l'ha raccolta dal fango e le ha donato una bella casa e protezione per le sue figlie. Un uomo valoroso, che si è distinto in guerra e che promette di vegliare per sempre sulla sua famiglia. Forse la donna non lo ama, ma certo gli è grata e lo vede come il suo salvatore. Ma quest'uomo non è come lei crede. Nasconde un lato oscuro, orribile. Ed è la figlia maggiore della donna a farne le spese.»
«Basta.»
La voce di Diotima uscì in un potente sussurro. Livia la vide deglutire e serrare le mani sulla tunica, stritolando il tessuto.
Diotima levò uno sguardo appannato dalle lacrime sulla sua amica. «Basta, ti prego...»
Livia distolse lo sguardo. Non poteva fermarsi ora. Nemmeno per lei.
«Una cosa lega queste tre donne: l'odio per i loro mariti. Hanno un motivo ben preciso per eliminarli. Ma tutte e tre hanno anche degli alibi molto solidi per la morte del proprio congiunto.» Livia serrò la mascella. «Per tutto questo tempo sono stata distratta da Heqet, dalla maledizione, dagli Isiaci, e ho dimenticato la regola più importante quando si parla di un omicidio: la maggior parte delle volte, l'assassino è la persona più vicina al morto.» Livia si girò verso Diotima, fronteggiandola. «Siete state voi. Avete ucciso una il marito dell'altra.»
Un lungo sospirò uscì dai polmoni dell'amica, unendosi alla brezza salmastra che spirava dal mare. In lontananza, i bambini erano usciti dalle onde e si erano messi a giocare sulla sabbia bagnata.
«Mi sono pentita di averti chiamata nell'istante stesso in cui la lettera è partita.» La voce di Diotima era un roco bisbiglio. «Sapevo che avresti capito tutto.»
«Perché lo hai fatto?»
«Perché non è andata come credi. Non esattamente. Non conoscevo Flaminia e Larzia prima di quella cena organizzata a casa nostra. E neanche allora ci ho parlato in modo granché intimo. Poi è arrivato il giorno della partenza della Venus. Eravamo tutte e tre lì, sul litorale, e salutavamo i nostri mariti che sparivano all'orizzonte. È stata Larzia la prima a parlare. "A me non mancherà" ha detto, con una sincerità che le veniva dal cuore. Dopo qualche esitazione, anche Flaminia le è andata dietro: "Nemmeno a me. Ma a lui sicuramente mancheranno le sue amanti." L'abbiamo fissata entrambe e lei non ha esitato a raccontarci del giorno in cui aveva visto uscire una donna da un'apertura segreta nel suo cubiculum. Ha torchiato gli schiavi, scoprendo che erano anni che Licinio la tradiva, con donne sempre diverse. Era distrutta dal dolore.»
«Anche tu hai aperto loro il tuo cuore?»
«Non ce n'è stato bisogno. È stata Larzia a parlare. Ha detto che, la sera del banchetto, aveva visto Calidio insieme a Virginia. Il modo in cui l'aveva messa all'angolo e la sfiorava... le ha fatto venire i brividi. Mi ha chiesto se sapevo. Io ho risposto che sospettavo.» Diotima la guardò di sottecchi, ma Livia rifiutò di abboccare. «Non mi chiedi perché non ho mai detto niente?»
«Credo di saperlo.»
Paura. Non c'era motivazione più grande. La paura di una smentita, dell'ira funesta di Calidio. La paura, ancora più grande, di una conferma.
Diotima cominciò a piangere in silenzio. «Se fosse venuta lei da me... se mi avesse parlato...»
«Sapevi che non l'avrebbe mai fatto. Calidio abusava di lei da due anni e in tutto questo tempo Virginia non si è mai lasciata sfuggire un fiato.»
Diotima era sussultata a quella parola, così orribile, e persino Livia aveva faticato a pronunciarla. Pensava a quel povero, gracile corpicino, violato a più riprese, mentre Virginia sopportava e in silenzio piangeva.
«Ma perché?» Diotima singhiozzava. «L'avrei protetta, l'avrei... portata via. In qualche modo...»
«Tuo marito la minacciava di fare le stesse cose a Nevia. Non stava a Virginia parlare. Se tu sapevi, o anche solo sospettavi, dovevi tutelarla.»
Diotima si asciugò le lacrime con mani tremanti. «Lo so. Se lo avessi fatto, forse tutto questo non sarebbe accaduto.»
«Flaminia ha ucciso Calidio.» Livia prese il quarzo, che Diotima aveva lasciato cadere sulla sabbia. «Questo faceva parte di un suo orecchino. Deve averlo rotto mentre lo aggrediva.» Poi le puntò i suoi penetranti occhi blu addosso. «Tu chi hai ucciso, Diotima?»
«Non è come credi, Livia. Per favore, permettimi di spiegare.»
Livia fece un gesto di permesso, brusco e irato. La sua amica d'infanzia. Come aveva potuto sbagliarsi tanto?
Diotima lottava per frenare il pianto e riorganizzare i pensieri. «Quel giorno, alla spiaggia, abbiamo tutte concordato che... non sarebbe poi stata una tragedia se la maledizione si fosse avverata. Se la Venus fosse affondata e loro... non fossero più tornati. Nessuno ha parlato di uccidere nessuno.»
«Ma poi loro sono tornati.»
«Mentre erano da voi, a Roma, Larzia e Flaminia sono venute da me. Loro erano già d'accordo che bisognava fare qualcosa. Nessuno avrebbe incolpato noi. Sarebbero stati tutti concentrati sulla maledizione. Ma avevano bisogno di me. Dovevano morire tutti e tre perché la storia reggesse. Io dissi che odiavo Calidio ma non mi sarei mai macchiata le mani del suo sangue. Loro finsero di essere comprensive e se ne andarono. Quando scoprii che Calidio era morto, smisi di ragionare. Dimenticai quelle discussioni, dimenticai che potessero esserci loro dietro. E ti scrissi perché volevo il supporto della mia più vecchia e cara amica.» Livia ricambiò lo sguardo triste e disperato di Diotima con uno di ghiaccio, inflessibile. «Solo dopo tornai in me. E capii che mi ero appena condannata con le mie stesse mani. Ho saputo dei Papiri, di quando hanno cercato di avvelenarti a gennaio. Ho saputo come hai risolto brillantemente il caso. E sapevo che avresti risolto anche questo. Era solo questione di tempo.»
«Potevi rifiutarti.»
«È quello che ho fatto! Quando Larzia tornò, dopo la morte di Calidio, confermò che loro avevano e avrebbero agito, anche senza di me. Minacciò di incastrarmi per la morte di mio marito se non le avessi aiutate. Minacciò di buttare le mie figlie in strada. Senza di me, senza parenti in vita che potessero occuparsi di loro, non sarebbero sopravvissute. Ho fatto ciò che dovevo per salvarle.»
«E hai ucciso Manliano.» Doveva essere per forza andata così. Se Diotima avesse ucciso Licinio, Larzia avrebbe dovuto uccidere il suo stesso marito.
«Eravamo d'accordo di far passare gli Isiaci come colpevoli. Larzia mi procurò una palla bianca e mi disse come lei e Flaminia avevano pensato di attuare gli omicidi. Serviva uno spillone per capelli. Dovevo infilarlo nell'orecchio di Manliano, perforandogli il cervello. Poi con il sangue dovevo disegnare due lineette sul suo petto, accanto al cuore, e togliergli la collana di Iside.»
«Lo spillone. Hai usato quello che Calidio aveva regalato a Virginia?»
Diotima annuì. «Quando Larzia, il giorno del Navigium Isidis, mi ha detto che anche lei aveva visto Calidio comportarsi in modo equivoco con mia figlia, ho avuto la certezza che i miei sospetti fossero fondati. E quando Larzia mi ha parlato dello spillone, ho pensato che sarebbe stata una giustizia quasi poetica se avessi utilizzato proprio quello che mio marito aveva donato a mia figlia anni prima. Non avrei ucciso lui ma, quando colpii Manliano, fu il viso di Calidio che vidi. E non esitai.» Non c'era alcuna traccia di compassione o rimorso nel suo volto. Solo una cieca risolutezza.
«Eri sempre con me, qui in casa. Come sei riuscita ad arrivare all'insula?»
«Ho fatto una deviazione prima di andare a ritirare l'urna per Calidio. La taberna sorgeva a poca distanza, l'avevo scelta di proposito. Sono andata all'insula, in un vicolo ho indossato la palla che avevo portato con me, nascosta sotto alle vesti, e sono salita al cenaculum. Larzia mi aveva assicurato che la sua schiava sarebbe stata via. Ho bussato e, non appena lui ha aperto, gli sono saltata addosso. Non pensavo che uccidere un uomo potesse essere così... semplice. Manliano era talmente sorpreso che non ha neppure tentato di difendersi. L'ho gettato a terra e l'ho colpito all'orecchio. Ho seguito le indicazioni di Larzia e poi sono uscita. Nel vicolo mi sono tolta la palla insanguinata e l'ho nascosta di nuovo sotto alle vesti. Poi sono andata a ritirare l'urna e sono tornata a casa.»
«E io non ho sospettato nulla. Niente nella tua espressione mi ha lasciato intuire che avessi appena tolto la vita a una persona.»
La voce di Livia trasudava rancore e dispetto. Si era lasciata ingannare da una donna di cui, anni prima, sapeva leggere in viso ogni espressione. Diotima non era mai riuscita a celarle i suoi pensieri, le sue emozioni. E ora era riuscita a nasconderle un intero complotto omicida.
«Una persona che se lo meritava. Ha ucciso suo figlio.»
«È stato un incidente.»
«Se Nerone avesse causato la morte di Tiberio, tanti anni fa, lo avresti perdonato? Avresti usato la parola "incidente"? Io, te e Larzia siamo delle tigri quando qualcuno tocca i nostri figli. Non ci fermiamo davanti a nulla.»
Livia strinse la mascella. Non poteva darle ragione. «E poi suppongo che Larzia abbia ucciso Licinio.»
«Sì, ma non so come lo abbia convinto a farla entrare nel cubiculum. Probabilmente ha finto di essere una delle sue amanti.»
«E così i vostri mariti erano morti. Cos'è accaduto dopo? Perché sono morte anche Flaminia e Larzia?»
«Non lo so. Davvero, Livia, io non c'entro nulla. Quando ho saputo di Flaminia... ho avuto davvero paura. E ne ho ancora. Paura che ci sia un altro assassino, là fuori, che sta aspettando l'occasione propizia per venire a prendere anche me.»
«E i corpi senza testa? E il cadavere di Licinio sparito il giorno del funerale?»
«Forse gli Isiaci c'entrano davvero qualcosa. Forse qualche schiavo di Licinio e Flaminia fa parte della loro setta, ha preso il cadavere e l'ha portato al tempio. Magari è anche l'assassinio di Larzia.»
«Dunque avrebbe preso Larzia e Licinio e non Flaminia? O gli altri due ufficiali? Che senso ha?»
Diotima scosse la testa. «Ti ho detto tutto ciò che sapevo.» Portò lo sguardo al gruppo di bambini sul bagnasciuga. Adesso stavano giocando a rincorrersi, tra risate e schiamazzi. «Ora che farai?»
Livia iniziò a pulirsi metodicamente le unghie dai granelli di sabbia. «Dei cittadini romani sono morti, Diotima. E tu sei l'unica responsabile ancora in vita.»
«Se lo meritavano.»
«Non stava a te giudicarli!» Il grido proruppe dal centro dell'anima di Livia, mentre si girava di scatto verso l'amica che l'aveva tradita. «Dovevi venire da me! Avrei risolto io le cose!»
«Macchiandoti le mani di sangue al posto mio? Non sono tanto codarda, anche se è ciò che credi. Ho esitato ad affrontare Calidio e ho permesso che mia figlia soffrisse. Avrei dovuto agire non appena ho avuto il sentore che qualcosa non andava. Ma non potevo credere che Calidio mi avesse tradita in quel modo. Non dopo tutto ciò che aveva fatto per noi.»
Livia si mise in piedi, pulendosi la sabbia dalla tunica. «Devo parlare con Augusto. Fino ad allora resterai confinata in una stanza, dove potrò tenerti d'occhio. Non potrai uscire per nessun motivo. Il cibo ti verrà servito dalle mie ancelle e non potrai avere contatti con nessuno.»
Diotima annuì, con un groppo in gola. «E le ragazze... glielo dirai?»
«Attenderò la risposta di Augusto.»
Livia si voltò verso il retro della domus, dove Zosimo aveva atteso in silenzio fino a quel momento. Il colosso egiziano si fece avanti, prese Diotima per un braccio e la tirò in piedi; quindi iniziò a sospingerla dentro la casa.
Livia non poté vedere l'espressione della sua amica. Stava osservando uno dei bambini toccare un amichetto sulla spalla e gridare: «Ti ho preso!»
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