24
Idi di aprile (13 aprile)
I Miseniensi tornarono con ciò che Livia aveva richiesto. I cadaveri vennero posti sulle barelle di legno, coperti dal linteum e issati sui carretti che li avrebbero condotti alle rispettive dimore. Sura salì accanto al corpo della sua padrona, il volto nascosto dalle mani e le spalle scosse dai singhiozzi.
«Che ne sarà di me?» continuava a ripetere, devastata.
Livia salì sul carretto di Licinio, insieme al bambino, e si fece scortare fino alla loro domus. Quando gli schiavi videro entrare il corpo senza testa del padrone, liberarono lunghi ululati di dolore e strazio. Livia lasciò il corpo affinché provvedessero alle esequie, rassicurò un'altra volta Tito che ci sarebbe sempre stata per lui, se avesse avuto bisogno di qualcosa, e poi tornò a casa.
Il naso le doleva moltissimo e si fece subito preparare un calice di vino con dentro il succo di papavero. Quindi si sdraiò a letto e mise del ghiaccio sulla carne straziata.
Solo allora si permise di pensare ai due nuovi morti.
Ebbene, tecnicamente uno, dal momento che Licinio era morto da un pezzo. Il suo cadavere era ricomparso, finalmente. Chiunque l'avesse preso, sembrava essersi accontentato di un pezzo di lui. Che potessero esserci davvero gli Isiaci dietro? Eppure le erano sembrati totalmente smarriti, nel bosco. Li avrebbe interrogati di nuovo, questa volta con la forza, e avrebbe estrapolato loro la verità.
E Larzia... Le dispiaceva davvero non averla potuta salvare; e non aver potuto salvare la vita che le stava crescendo in grembo. Era stata una donna in gamba, intelligente e forte. L'impero aveva bisogno di donne come lei. Ma anche Larzia era caduta nella trappola del misterioso assassino che, senza mai fallire, continuava a mietere vittime.
Senza fallire, ripeté mentalmente Livia e ripensò al quarzo rosa che Socrazia le aveva dato. Lo prese dall'arca vicino al letto su cui l'aveva lasciato. Dove l'aveva già visto? La soluzione sembrava così vicina, ma più si sforzava di concentrarsi sul gioiello più essa le sfuggiva via, come acqua che tentava di trattenere con le mani.
Lo mise via, sicura che le sarebbe venuto in mente non appena avesse smesso di pensarci. Succedeva sempre così.
Quella sera saltò la cena. Il papavero da oppio impiegò più tempo a fare effetto e il dolore le tolse l'appetito. Riferì a un servo di Diotima le novità del giorno, affinché potesse riportarle alla sua padrona.
«Dille che non deve spaventarsi. Non le accadrà nulla finché le mie guardie la sorveglieranno.»
Quello annuì e poi se ne andò a riferire il messaggio.
Livia cercò di riposare e forse sonnecchiò anche un po', perché quando riaprì gli occhi era ormai buio. Hafa e Muna dormivano ai suoi piedi e per un po' lasciò che il loro respiro rilassato la cullasse. Poi si mise in piedi e uscì dal cubiculum. Le era venuta fame.
Scalza, percorse i corridoi deserti e silenziosi. Non un'anima le faceva compagnia, quella notte. Scorse solamente l'ostiarius, seduto accanto alle fauces, che sorvegliava l'ingresso con fiero cipiglio. "Di qui non passa nessuno" sembrava annunciare.
Livia andò nelle cucine e cercò qualcosa da mettere sotto i denti. Trovato un tozzo di pane e del formaggio, decise che sarebbe andata nell'atrium per godersi la pioggia che scrosciava a cascata nell'impluvium.
Una volta lì, però, inchiodò di colpo. C'era qualcuno, accanto alla vasca. Una figuretta snella con lo sguardo rivolto verso l'alto.
Neanche lei riesce a dormire, pensò Livia, e stava per fare un passo per raggiungerla, quando vide qualcosa cadere dal compluvium e sfiorare il bordo della vasca d'acqua.
Virginia afferrò la rozza scala a pioli, la stabilizzò e poi ci si arrampicò, stringendo i denti e concentrandosi. Le sue braccia e le sue gambe facevano forza sui pioli, mentre la scala ondeggiava pericolosamente. La cascata di pioggia la infradiciava e Livia temette che sarebbe scivolata e caduta nella vasca. Non era profonda, avrebbe potuto farsi male.
Devo fermarla, pensò. Invece si avvicinò piano, nascondendosi dietro le colonne. Quando arrivò all'impluvium, scorse Virginia issarsi fuori, sul tetto, aiutata da due braccia maschili e piuttosto muscolose.
«Ce la fai?» sussurrò una voce, che raggiunse le orecchie di Livia vincendo lo scroscio della pioggia, che stava diminuendo d'intensità.
«Sì» ansò Virginia, sistemandosi lontana dal compluvium. Guardò in giù e Livia si nascose giusto in tempo dietro una colonna. Allora sentì la ragazza dire: «Non dovresti essere qui.»
«Lo so, ma... Ti dovevo una spiegazione.»
«Non ho mai creduto che fossi stato tu. Non davvero. Il tempismo, però...»
«Lo so, è stato terribile. Prima ti dico quelle cose e poi il tuo patrigno finisce ammazzato.»
«Com'è che l'hai trovato proprio tu?»
Livia si accostò di più ai due ragazzi che sussurravano sul bordo del tetto.
«Quella sera, quando è tornato da Roma, l'ho visto per strada. L'ho seguito, quando è uscito da casa tua ed è andato nella caupona di Lorcio. Sono entrato e l'ho osservato per un po'. Volevo parlargli. Forse anche spaventarlo un pochino. Dirgli che se non avesse smesso di farti del male gliene avrei fatto io.»
«Oh, Flavinio...» La voce di Virginia era dolce come miele, ma immensamente triste. Livia non l'aveva mai sentita così.
«Stavo per confrontarlo, quando una donna si è seduta accanto a lui. Era impaludata in una veste bianca, non ho visto chi era. Ha indicato la collana, dicendo che non lo avrebbe salvato da ciò che lo aspettava. Lui le ha riso in faccia, dicendo che non credeva alle maledizioni e che quella collana era un gingillo senza importanza. "Allora non vi dispiace se lo prendo io?" ha detto la donna, tendendosi per afferrare la statuetta, ma lui si è tirato indietro. "Mi serve" ha risposto, irritato. "Per continuare la mascherata?" ha chiesto la donna. A quel punto lui si è alzato, infuriato, ed è uscito. Lei lo ha seguito. Dopo un po' sono uscito anch'io e l'ho trovato nel vicolo. Già morto.»
«E la collana?»
«Sparita. L'avrà presa la donna.»
«E quella gemma...»
«Non so cosa fosse. Volevo tenerla, avrei potuto venderla, ma poi l'imperatrice ci ha scoperti...»
«Siete stati davvero sciocchi a venire qui. Come potevate non sapere che c'era anche lei?»
«Eravamo concentrati sugli Isiaci e sul matrimonio... e poi la faccenda del tuo patrigno e degli altri due ufficiali...» Flavinio sospirò pesantemente. Per qualche istante, Livia udì solo il rumore della pioggia. Poi lui riprese: «Credo sia stata quella donna a ucciderlo. Quella vestita di bianco.»
«Non mi interessa. Mi basta sapere che non sei stato tu. Non ti avrei biasimato, ma...»
«Non ti saresti più potuta fidare di me» finì lui, in tono di sorridente tristezza.
«Non ha comunque importanza. Devi andartene, ora.»
Livia uscì dal suo nascondiglio e cambiò prospettiva. Dall'angolo opposto dell'impluvium riuscì a scorgerli. Lei dava le spalle al buco nel tetto, mentre lui la guardava con ardore e dolore insieme.
«Non avrebbe mai funzionato» mormorò Flavinio.
«Lo so. Ma sperare non nuoce. Alimenta i sogni e crea un'illusione di felicità. Per un po', con te, sono stata felice.»
«E io con te.» Le loro mani si congiunsero e si strinsero. «Se solo ci fosse un modo...»
«Non c'è. Se anche dicessimo la verità a mia madre, non ti perdonerebbe mai. Sei un ladro, Flavinio. Rubi beni preziosi alle persone, ma stavolta...» Un grosso sospiro le gonfiò il petto. «Stavolta l'hai fatta grossa. Hai rubato il mio cuore e non potrai mai restituirmelo. Non intatto.»
«Mi dispiace così tanto, Virginia. Se bastasse l'amore a tenere insieme le persone...»
«Lo so.» Virginia sollevò una mano per asciugarsi il volto. «Quando partite?»
«Il tempo di preparare i bagagli.»
«Dove andrete?»
«Mia madre vuole lasciare l'Italia. Forse in Hispania.»
«Ti mancherò?»
«Mi manchi già.»
Virginia liberò un singulto. «Devo scendere. Manco da troppo. Se mi scoprissero...»
«Vai. Sei bagnata come un pulcino.» Flavinio la prese tra le braccia, come per scaldarla.
Lei sollevò il volto per guardarlo in faccia. «Ti amo, Flavinio, e ti amerò sempre.»
«Ti amo anch'io, Virginia.»
Livia, sconvolta, assistette al loro lungo e appassionato bacio. Poi Flavinio calò di nuovo la scala, e lei iniziò a scendere. Quando fuori dal tetto rimase solo la sua testa, Flavinio la prese tra i palmi e la baciò ancora, con passione disperata. Quindi la lasciò andare.
Non appena Virginia toccò il suolo, lui ritirò la corda. Si scambiarono un altro sguardo... poi lui sgattaiolò via e scomparve nella notte.
Solo allora Virginia si lasciò cadere sul bordo dell'impluvium e scoppiò in un pianto dirotto.
Livia rimase paralizzata a osservarla. Non aveva mai visto un dolore così puro e sincero. Il dolore di un amore vero spezzato dalle circostanze.
Lei non aveva mai conosciuto l'amore, prima di incontrare Ottaviano. Era stato un colpo di fulmine. Era bastato che i loro occhi si incontrassero perché la vita all'improvviso acquisisse un senso. Lei era nata per quel momento, per quel giovane. Poi lui aveva sorriso e lei aveva capito che sarebbe stato l'inizio di qualcosa di meraviglioso.
Se non avesse potuto avere Ottaviano, se avesse dovuto dirgli addio e tornare al fianco di Nerone... probabilmente avrebbe versato tutte le sue lacrime, proprio come stava facendo ora Virginia.
Liberò un piccolo sospiro, senza farsi udire. Poi avanzò nel cono di luce che la luna riversava dal compluvium, come una cascata di gemme d'argento che cadeva ai quattro lati della vasca.
«Mi dispiace, Virginia.»
Lei sussultò e si alzò di scatto, pronta a scappare.
«Non andartene» la pregò Livia, nel tono più rassicurante che le riuscì. «Non sono qui per giudicarti. Vorrei soltanto capire.»
«Capire cosa?» gracchiò lei, la voce arrochita dal pianto. «Perché amo un ladro?»
«Non si può spiegare l'amore. No, voglio sapere quando Calidio ha iniziato a vederti come una donna e ad agire di conseguenza.»
Se Virginia fu sorpresa dal fatto che lei sapesse, non lo diede a vedere. Voltò il viso e i capelli bagnati scesero a coprirlo come una tenda.
«Non qui» sussurrò poi. «Non voglio che la mamma ci senta.»
Livia la seguì nella sua stanza, dove Virginia afferrò un linteum e iniziò a strizzarsi i capelli. Si prese del tempo per calmare il tumulto del cuore e riorganizzare i pensieri. Infine si sedette sul letto. A Livia non era mai sembrata tanto giovane e indifesa.
«Avevo appena compiuto dodici anni.» La sua voce era poco più che un sussurro. Livia dovette sedersi al suo fianco, per poterla udire chiaramente. «Calidio disse che mi avrebbe dato un regalo speciale, ma avrei potuto vederlo solo io. Quella notte venne nel mio cubiculum. Io ero emozionata: pensavo stesse per darmi il dono. Calidio mi disse che ero cresciuta molto, che ero una donna ormai. Poi iniziò a toccarmi.»
La voce le morì in gola e Livia disse, con voce controllata: «Non devi raccontarlo.»
Virginia distolse lo sguardo, mentre grossi lacrimoni le scendevano lungo le guance. «Dopo mi diede davvero un regalo. Un ago crinale in osso. Non in argento o in oro. In osso. Non valevo nemmeno una pietra preziosa.» La sofferenza fu sostituita dalla rabbia e dall'odio, mentre si spazzava via le lacrime con la mano. «Mi costrinse a tenere segreta quella notte, o avrebbe fatto la stessa cosa a mia sorella. Ogni volta che mi vedeva indisposta o che cercavo di evitarlo, lui si metteva Nevia sulle ginocchia e iniziava ad accarezzarle i capelli.»
Livia sentì l'ira e il disgusto montare dentro di lei, come un'onda che rischiava di sommergerla e trascinarla in un luogo pregno di oscurità. Nevia era solo una bambina. E lo era anche Virginia.
«Per due anni fui sua e non lo seppe nessuno.» L'espressione della fanciulla si rischiarò un poco. «Poi incontrai Flavinio. Ero al mercato con mia madre. C'era una grande calca e non mi accorsi nemmeno che qualcuno mi aveva rubato il bracciale che portavo al polso. Ma poi questo ragazzo riportò da me un bambino cencioso, che stringeva ancora il bracciale. Lo costrinse a ridarmelo, poi lo lasciò andare. Io lo ringraziai. Mi bastò guardarlo negli occhi per capire.»
Anche in quel momento, pur nella penombra della stanza rischiarata solo da un lume, gli occhi castani di Virginia risplendevano come astri. «Nei giorni seguenti ci vedemmo spesso. All'inizio provò a mentirmi: mi disse che si chiamava Marco, che viveva con la madre Marcella e tutte quelle sciocchezze che ha propinato anche alla mamma. Ma poi cambiò tutto. Anche lui iniziò a provare dei sentimenti autentici per me. E, quando gli raccontai di Calidio, anche lui mi aprì del tutto il suo cuore. Mi parlò dei furti e delle truffe. Mi disse che sua madre aveva già puntato il mio patrigno. Mi disse qual era il piano e come entravo in gioco io. Ma disse anche che alla fine avrebbe lasciato sua madre e mi avrebbe sposata davvero. Lei non sarebbe stata contenta ma lui mi amava e avrebbe lottato per me. E mi promise anche che avrebbe affrontato Calidio e gli avrebbe impedito di toccarmi un'altra volta. Poi ci fu il Navigium Isidis, Calidio partì e io sospirai di sollievo. Per qualche mese sarebbe stato lontano da casa. Finalmente tutto era perfetto. Io e Flavinio passammo dei giorni splendidi, rubando momenti e istanti al Grande Divoratore, il Tempo.»
Virginia iniziò a tormentare la tunica da notte bagnata. «Poi Calidio ricomparve. Passò qualche istante da casa prima di venire da voi a Roma, per annunciare che era sopravvissuto al naufragio. Mentre era via, rividi Flavinio. Mi assicurò che, non appena il mio patrigno fosse tornato, gli avrebbe fatto visita. Calidio tornò e Flavinio lo seguì nella caupona...»
«Sì, questa parte la conosco.»
Virginia deglutì, tenendo gli occhi bassi. «Quando ci dissero che era morto, temetti fosse stato lui. Ma Flavinio non ucciderebbe nessuno. È troppo buono e dolce.»
Livia sospirò dal naso. Ora era tutto chiaro. «Sei stata forte, Virginia. In pochi avrebbero sopportato ciò che hai subito tu.»
«Non ho avuto scelta. Dovevo proteggere mia sorella. Mi dispiace solo per mia madre. Quando abbiamo saputo del naufragio, ho esultato. Le mie preghiere erano state ascoltate dagli dèi e Calidio non avrebbe più potuto farci del male.»
«Era crudele con tua madre?»
«Non lo so. In pubblico era sempre corretto, sebbene non molto affettuoso con lei. Ma sapevo cosa diventava dietro la protezione offerta da una porta chiusa. Non avevo il diritto di credere di essere l'unica con cui il mostro affilava le zanne.»
Livia le carezzò i capelli, ma lei scosse la testa e si alzò, andando a inginocchiarsi davanti a un'arca per estrarre una tunica asciutta.
Livia si alzò e si avvicinò alla specchiera, osservando i vasetti di unguenti e profumi, la scatoletta di ottone contenente una crema per il viso, e poi pettinini, spazzole, fermagli, pendagli, coroncine, cerchietti, aghi crinali...
Livia passò le dita su questi ultimi, infilati in verticale in una scatola di legno a scomparti. «Lo hai gettato? Lo spillone d'osso.»
«No. L'ho tenuto. Volevo che mi ricordasse quella notte. La notte in cui ho capito che anche le persone di cui ti fidi di più possono tradirti.»
Livia scrutò gli aghi crinali, alcuni ornati, altri incisi, altri scolpiti, alcuni in avorio, altri in argento. Ma nessuno d'osso. «E dov'è?»
Virginia sfiorò con le dita uno scomparto vuoto. «Non lo so. È sparito.»
«Da quanto tempo?»
«Non ne ho idea. Non ci badavo molto. Però qualche giorno fa mi sono resa conto che non c'era più. Non credo me l'abbiano rubato i servi: non valeva niente.»
Livia si girò verso la fanciulla. «Non dirò nulla a tua madre.»
Lei sospirò, come se le avesse appena tolto un penso dal cuore. «Grazie.»
«Ma tu dovresti parlarle.»
«E procurarle un così grande dolore? Ci ho convissuto per anni e lo farò per il resto della mia vita. Calidio non c'è più. È l'unica cosa che conta.»
Livia annuì piano, le augurò una buona notte e lasciò la stanza.
Era stata una notte di rivelazioni e aveva molto a cui pensare. Molte tessere del mosaico da unire. La soluzione era sempre più vicina, lo sentiva.
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