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Quarto giorno prima delle Idi di aprile (10 aprile)

Quello era il giorno previsto per il funerale di Gneo Licinio. La vedova, dopo il colpo iniziale e dopo aver trascorso un'intera giornata chiusa nel suo cubiculum a piangere, strapparsi i capelli e segnarsi le guance con le unghie, si era ripresa abbastanza da organizzare il funus. Suo marito, equestre e prefetto della flotta, meritava i più alti onori.

Tutto era pronto: le prefiche erano state pagate, e così i flautisti, i mimi e i danzatori.

Mancava solo il morto.

Quando arrivò sulla scena, Livia trovò la domus in subbuglio. Schiavi che correvano in ogni direzione, altri che fissavano il vuoto con aria instupidita, altri ancora con le mani nei capelli e lo sguardo allucinato. In mezzo a tutti vagava Flaminia, con gli occhi sgranati e la bocca spalancata.

«Dov'è il dominus? Hai visto il dominus? Dov'è il dominus?» chiedeva a qualunque servo incontrasse. Sembrava fuori di sé.

Livia prese immediatamente in mano la situazione. Scortò personalmente, con garbo e fermezza insieme, Flaminia nel peristilio. L'aria fresca le avrebbe fatto bene. Ordinò a dei servi di tenerla sotto osservazione e di non farla entrare in casa. Quindi domandò agli schiavi rimasti chiarimenti sui fatti.

Lo stesso schiavo che le aveva mostrato il passaggio segreto nella camera padronale, e che si presentò come Spurio, le spiegò che avevano tenuto il corpo del padrone in una stanza fredda e sigillata, in modo che i miasmi della morte non contaminassero il resto della familia. Era una superstizione che di padre in figlio si era tramandata fino a Gneo Licinio e Flaminia aveva voluto rispettarla.

«Dunque quand'è stata l'ultima volta che lo avete visto?»

Fu Spurio a farsi portavoce del gruppetto spaventato riunito intorno all'imperatrice e a Zosimo. «Quando lo abbiamo trovato insieme a voi. Lo abbiamo portato in quella stanza e lo abbiamo lasciato lì.»

«Quindi non lo vedete da quattro giorni?»

«Non potevamo entrare, domina. Il padrone non lo avrebbe voluto.»

Intervenne un altro schiavo, vecchissimo e avvizzito. «Io c'ero quando è stato bruciato il corpo del vecchio dominus.» Parlava con voce sibilante e gli mancavano quasi tutti i denti. «Anche lui è rimasto chiuso in quella stanza senza che nessuno potesse vederlo. Ma non ha mancato il giorno del funerale.»

«Dunque non potete sapere se sia scomparso oggi o quattro giorni fa.»

Il gruppetto cominciò a mormorare, irritandola. Spurio ascoltò gli schiavi che gli stavano sussurrano qualcosa all'orecchio, poi timidamente azzardò: «La familia ha una teoria, domina

«Sentiamo.»

«C'eravamo anche noi al Navigium Isidis. Abbiamo sentito le parole di quella donna. La maledizione. Crediamo che gli Isiaci c'entrino qualcosa.»

«Dovreste controllare il loro tempio, qui a Miseno» intervenne un altro schiavo, quasi scavalcandolo fisicamente per imporsi all'attenzione di Livia.

«Scommettiamo che il nostro padrone è lì, in attesa che quei selvaggi egiziani realizzino un qualche mostruoso rito col suo corpo» aggiunse una schiava.

E poi tutti iniziarono a parlarsi addosso e ad avvicinarsi sempre di più a Livia.

«Il dominus si è attirato le ire della dea...»

«È stato maledetto, come gli altri due ufficiali...»

«I seguaci di Iside l'hanno preso...»

«Vogliono portare a termine il rito...»

Zosimo si stava facendo inquieto e la sua mano si era posata sulla sica che portava appesa al cingulum.

Livia sollevò le mani e istintivamente la marea umana si bloccò. «Grazie per le vostre teorie. Ora ditemi: avete visto entrare qualcuno che avrebbe potuto trafugare il corpo del padrone? La stanza era sorvegliata?»

«Non ritenevamo ce ne fosse bisogno...» rispose Spurio, abbassando la testa vergognoso. «La padrona non ci ha dato indicazioni in merito.»

Livia sospirò. Certo non le rendevano le cose più semplici... «Interrogherò personalmente i sacerdoti di Iside.»

I servi parvero contenti e si rilassarono.

«E noi che facciamo?» chiese Spurio. «Con le prefiche e i suonatori di flauto e il banchetto funebre...»

«A meno che non salti fuori il corpo di Licinio, non ci sarà nessun funerale.» Livia li congedò, trattenendo solo Spurio. «Dov'era la domina il giorno in cui è morto Licinio?»

«Ci ha solo detto che avrebbe trascorso la giornata fuori. Non è solita metterci a parte dei suoi progetti.»

Giustamente. Questa è una domanda che devo fare direttamente a lei.

Livia lasciò la familia e andò nel peristilio. Era un piccolo locus amoenus fiorito, anche se niente affatto paragonabile all'incanto che sbocciava nella sua domus sul Palatino. Flaminia si era accasciata su una panca. Un'ancella le sventolava un flabello davanti al volto mortalmente pallido, mentre un'altra, accucciata ai suoi piedi, le teneva la mano.

Livia le allontanò con un gesto e si sedette accanto alla donna. «So che è un momento difficile per voi, ma ho bisogno che rispondiate a una domanda. Dov'eravate il giorno della morte di vostro marito?»

Flaminia la fissò senza vederla e mormorò: «Sono andata da lui, al porto, per dirgli che sarei stata alle terme e a fare qualche giro in città...»

«Ed è stato così?»

«Certo. Non mento mai a mio marito.» Flaminia sobbalzò, forse rendendosi conto che aveva parlato al presente. Una lacrima le scivolò lungo il volto. «Sono andata alle terme, ma non riuscivo a rilassarmi. Il pensiero che anche mio marito potesse...» Singhiozzò, portandosi le mani al volto. «Per questo sono venuta da voi, per implorarvi di salvarlo!» Pianse per qualche istante, che Livia sopportò pazientemente. Infine si asciugò il volto e sussurrò: «Era già troppo tardi e non lo sapevo.»

Livia lasciò il peristilio e fece per uscire dall'abitazione ma, nel vestibulum, vide due figurette sedute in un angolo, che osservavano spaventate e confuse l'andirivieni impazzito degli schiavi. L'imperatrice si guardò intorno, ma nessuno pareva far caso ai due bambini. Si avvicinò, cauta.

«Siete i figli di Flaminia?» chiese, in un tono reso rude dallo sconcerto. Com'era possibile che tutta la familia avesse dimenticato quelle povere creature?

Il bambino più grande - dieci anni, se Livia ricordava correttamente - annuì. «Io sono Tito e lui è mio fratello Marco.»

Livia si inginocchiò davanti a loro, guardandoli con attenzione. «Sapete cos'è accaduto?»

Marco scoppiò a piangere, mentre suo fratello lo stringeva con fare protettivo. «Sì. Papà se ne è andato.»

Almeno non erano totalmente all'oscuro di quella faccenda. «Mi dispiace molto. Dirò a qualcuno di occuparsi di voi.»

«Ce la caviamo anche da soli» ribatté Tito, fieramente. Ma aveva gli occhi lucidi. «Sono grande, ormai. La mamma dice che devo occuparmi di Marco, quando lei è impegnata. E papà dice che dobbiamo stare fuori dalla casa, quando lui si chiude nel cubiculum

Che genitori esemplari, pensò Livia, serrando i denti. «Sei un bravo ragazzo. Troveremo il vostro papà» gli promise. Poi ordinò a Zosimo di portargli un paio di schiavi. L'egiziano tornò poco dopo, tenendo saldamente per la tunica due servi magri e terrorizzati. Livia li apostrofò con un tale veleno che i due parvero rimpicciolire sotto la potenza del suo sguardo irato. Quindi si dedicarono totalmente ai due bambini.

Solo allora, Livia si decise a lasciare la domus e fece tappa nelle uniche terme della città. Interrogò il gestore, che le confermò la presenza della kyria Flaminia per un paio d'ore all'interno dello stabile, quattro giorni prima. Di solito la kyria Flaminia seguiva un percorso preciso - calidarium, tepidarium, laconica, massaggio - ma questa volta, dopo essersi immersa nella vasca di acqua calda, era passata direttamente sotto le mani delle massaggiatrici, per poi rivestirsi e uscire a passo rapido.

Livia calcolò le tempistiche e si rese conto che la donna non avrebbe mai potuto andare alle terme, passare da casa per uccidere il marito e poi andare da Livia.

«Ma non è stata la donna in palla bianca?»

Livia aggrottò la fronte e per un attimo si domandò chi avesse parlato. «Come?»

«A uccidere il prefetto. Credete sia stata la moglie?»

Livia era talmente stupita che, all'improvviso, Zosimo le rivolgesse una lunga frase di senso compiuto, che dovette prendersi del tempo prima di rispondere: «Non si può escludere nulla. Flaminia avrebbe potuto uscire di casa, travestirsi da mendicante e indossare una palla bianca, attendere che il marito rientrasse e seguirlo per ucciderlo. Ma la sua presenza è stata confermata qui alle terme per almeno due ore. Dunque non può essere stata lei.»

«Neanche le altre mogli.»

Livia cercò di capire a cosa si riferisse, ma infine dovette chiedere: «Cosa?»

«La moglie del trierarca e la kyria Diotima. Erano tutte altrove e impegnate con dei testimoni mentre i loro mariti venivano uccisi.»

Livia sbatté le palpebre, ancora una volta presa in contropiede da quella spontanea e non richiesta riflessione. «Buon per loro, o sarebbero state le prime sospettate.»

Zosimo annuì. Quindi sollevò lo sguardo sulla collinetta che si innalzava poco lontano. «Andiamo al tempio di Iside?»

«Proviamo, ma sarà una perdita di tempo.»

«Lo credo anch'io.»

Livia fece un mezzo sorriso. «Apprezzo la tua loquacità, Zosimo.»

«Perdonatemi, domina

«Non dovresti chiedermi perdono, ma ringraziarmi.»

«Credevo che poi avreste detto "ma...".»

Livia rise. Non rideva spesso, ma questa volta non riuscì a frenarsi. «Sentiti libero di esternare le tue considerazioni ogni volta che vorrai, Zosimo.»

«Va bene, domina

Si inerpicarono sulla collinetta fino a raggiungere il tempio di Iside dove, ancor prima di vederli, sentì gli Isiaci intonare il loro canto: «Tu sei la genitrice dell'universo, la sovrana di tutti gli elementi, l'origine prima dei secoli, la totalità dei poteri divini, la regina degli spiriti, la prima dei celesti. Tu governi col cenno del capo le vette luminose della volta celeste, i salutiferi venti del mare, i desolati silenzi degli inferi. Indivisibile è la tua essenza, ma ovunque sei venerata nel mondo sotto molteplici forme, con riti diversi...»

«Di che riti si tratta?» li interruppe Livia.

Gli Isiaci si interruppero, bloccando i movimenti del braccio con cui spargevano incenso sulla statua della dea e si voltarono verso di lei.

Il più anziano, col quale aveva parlato già in occasione della sua prima visita al tempio, si fece avanti. «State interrompendo una cerimonia sacra, imperatrice.»

«Voi avete impedito un funerale. Mi sembra più grave.»

«Di cosa parlate?»

«Avete trafugato il corpo del prefetto Gneo Licinio per usarlo per uno dei vostri abominevoli rituali. Consegnatemelo ora, affinché possa restituirlo a sua moglie e ai suoi antenati.»

Gli Isiaci iniziarono a confabulare, ma il vecchio non tradì alcuna emozione. «Iside non traffica cadaveri. È una dea della vita, non della morte.»

«Questa l'ho già sentita.» Livia entrò nel tempio, guardandosi intorno. Del cadavere né vedeva il volto putrefatto né sentiva l'odore dolciastro né udiva il ronzio delle mosche necrofaghe.

Il sommo sacerdote la osservava. «Non credete nemmeno voi a queste accuse. Dunque cosa volete davvero? Non sarà che iniziate ad apprezzare le qualità di Heqet?»

Livia si voltò di scatto. «Come dite?»

«La Grande Maga Iside.»

Livia trasse un profondo respiro, odiandosi per essere apparsa tanto scossa alla sola menzione di quella donna irritante. «I Romani hanno già abbastanza dèi da venerare senza aggiungerci quelli di altri popoli.»

«Ma i vostri dèi non sono romani, vengono dall'Olimpo greco.»

«Non discuterò di teologia con voi.»

«Allora perché siete qui?»

Livia osservò i sacerdoti riuniti all'ingresso del tempio. Erano tutti coperti da pallae bianche, dalla testa ai piedi. Tra loro vide un paio di occhi familiari. Senza pensarci, sollevò un dito nella sua direzione. «Tu! Fatti avanti.»

I sacerdoti si girarono all'unisono in direzione dell'esaminato. Ma lui, invece di avanzare obbediente, girò su se stesso e iniziò a correre, veloce come una lepre.

«Zosimo, fermalo!» gridò Livia, correndo lei stessa all'inseguimento e fermandosi ai piedi dei gradini del tempio, mentre il possente egiziano continuava la corsa.

Gli Isiaci si accalcarono intorno a lei, increduli e mormoranti, osservando la coppia svanire nel bosco che sorgeva alle spalle del tempio.

Attesero per quella che a Livia parve un'eternità. Poi l'imponente mole di Zosimo uscì dalla boscaglia. Senza il sacerdote.

«Perdonatemi, domina. Era troppo veloce. È sparito nel bosco.»

Zosimo ansimava penosamente. Doveva aver corso fino a esaurire il fiato. I muscoli delle gambe gli tremavano. Non era un uomo fatto per la corsa. Al suo posto Livia avrebbe dovuto mandare Tallio o Tezio, i due galoppini Galli dai capelli arancioni che, però, l'aspettavano a Roma. Ma Livia si domandò se, mingherlini com'erano, sarebbero riusciti a sopraffare il sacerdote, che le era sembrato piuttosto alto e atletico. Ma la palla poteva averla confusa. Era informe e ingombrante e non lasciava intuire le linee del corpo che celava.

«Aveva un'aria familiare» mormorò Livia, sforzandosi di capire chi potesse essere. Zosimo non le fu di alcun aiuto, quindi l'imperatrice si rivolse al vecchio sacerdote. «Chi era?»

«Un nuovo confratello.»

«Come si chiama?»

«Marco.»

«Marco e?»

«Solo Marco.»

Livia cercò di ricordare se conoscesse un certo Marco ma le venne in mente solo il secondogenito di Flaminia - che era un bambino - e lo spasimante di Virginia, che Diotima aveva invitato insieme alla madre per discutere di una possibile unione matrimoniale. E Livia non lo aveva mai incontrato.

Ordinò ai sacerdoti di informarla qualora il latitante si fosse fatto vivo. Quelli annuirono dubbiosamente e Livia fu sicura che non l'avrebbero mai convocata, scegliendo invece di proteggere il loro confratello.

Irritata e stanca, Livia iniziò a discendere la collinetta, con Zosimo che respirava rumorosamente alle sue spalle. Non era stata una delle sue giornate migliori, e la convalescenza dall'influenza iniziava a farsi sentire. Una volta arrivata nella domus, si concesse un lungo bagno, una cena sobria e andò subito a letto, sprofondando in un sonno tormentato ormai dal ricorrente incubo.


DIZIONARIO DELLE PAROLE LATINE

Funus: funerale

Laconica: sauna

Locus amoenus: letteralmente "luogo incantevole", è un termine usato in letteratura per indicare un posto idealizzato e piacevole

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