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Il giorno prima delle None di aprile (4 aprile)

Livia la fece accomodare nel triclinio e intorno a Larzia si creò subito un capannello formato da tutti i padroni di casa, più i due ospiti. Tra respiri agitati e singhiozzi, la donna raccontò di essere appena rincasata dopo aver trascorso il pomeriggio al circo, a vedere le corse con i carri e a tifare per l'auriga dei Verdi. Una volta tornata, aveva trovato la sua unica schiava ad attenderla sui primi gradini della scala che portava al loro cenaculum. Era sconvolta, il viso rosso e tremava convulsamente. Continuava a ripetere che era morto, ma Larzia non aveva capito. Era entrata nel cenaculum e l'aveva trovato lì, sdraiato al centro della stanza a pancia in su. Intorno alla sua testa si allargava una pozza di sangue. Era stata l'ultima cosa che aveva visto, prima di perdere i sensi. La schiava l'aveva fatta rinvenire a suon di schiaffi, Larzia l'aveva spinta via ed era corsa fino a lì.

Si rivolse a Diotima, stritolandosi le mani per il nervosismo e l'angoscia. «Ho saputo com'è morto vostro marito. Le voci corrono in città. Per questo sono venuta qui. Devo sapere se... Se Manliano è morto allo stesso modo.»

«Avete notato ferite che possano giustificare un'aggressione?» chiese Livia.

«Solo il sangue.» Larzia giunse le mani in atto di preghiera. «Vi prego, portate il vostro medico. Lui saprà di cos'è morto.»

«Asclepiade non è raggiungibile, al momento. Verrò io. Zosimo, prepara il mantello. Casa vostra è lontana?»

«Non molto, possiamo raggiungerla a piedi.»

«Eccellente.» Livia si rivolse al gruppetto che si era radunato intorno all'ospite. «Quanto a voi, voglio che mangiate e andiate a letto. Non so quanto tempo impiegherò.»

Tiberio si alzò in piedi. «Vengo con te.»

«Questo è assolutamente fuori questione.» Livia si voltò verso Larzia. «Prego, fate strada.»

La donna la guidò con passo rapido e scattante tra le strade e le botteghe di Miseno, fino a un'insula molto più scalcinata di quella che aveva visitato il giorno prima. Aveva tre piani e Larzia viveva proprio all'ultimo. Le travi del soffitto erano staccate e l'umidità aveva marcito le pareti. C'erano buchi sul tetto attraverso cui Livia riusciva a vedere il cielo stellato.

Larzia aprì la porta del suo cenaculum ma non entrò. La sua schiena aderì alla parete, mentre i suoi pugni si contraevano e le braccia diventavano un tutt'uno col resto del corpo.

«Non posso...» sussurrò solamente.

Livia entrò insieme a Zosimo. Il suo sguardo fu subito catturato dalla sagoma che giaceva sul pavimento e dalla pozza di sangue che si allargava sotto la sua testa. Poi notò altri dettagli. Gli occhi aperti e fissi, velati da una patina; l'abito di rozzo feltro macchiato in corrispondenza del petto; le gambe divaricate e scomposte.

Non era morto da molto. D'altronde, Larzia aveva assicurato che, quando lo aveva lasciato dopo pranzo, Manliano era vivo e vegeto. Ma non era stata lei l'ultima a vederlo vivo.

Una figura si mosse nell'ombra. «È morto davvero?» pigolò una voce spaventata.

«Chi sei?»

La donna si portò sotto la luce che entrava dalla porta aperta. Doveva avere all'incirca sessant'anni, era tonda e bassa, con capelli crespi e guance che inghiottivano il resto del volto. Vestiva poveramente e al collo scintillava il metallo della bulla da schiava. «Sura» rispose con voce malferma.

«La schiava di Larzia e Manliano?»

Quella annuì, guardando esitante il cadavere del padrone. «L'ho trovato così, quando sono rientrata dal mercato.»

«Sei uscita dopo la tua padrona, vero?»

«Sì, e sono rientrata prima. L'ho visto e... non volevo crederci. Non ho gridato, non volevo attirare l'attenzione dei vicini. Sono scesa al pianoterra e ho aspettato che rientrasse la padrona.» Sura si torse le mani grassocce. «Non sapevo come dirglielo. Non ricordo nemmeno di averlo fatto. Penso di aver blaterato qualcosa, poi lei è salita e l'ha visto. Non volevo che lo vedesse, non nel suo stato... Ma non riuscivo a muovermi. Poi è svenuta e mi sono sentita così in colpa... Pensavo fosse morta anche lei. Lei e il bambino...»

«È davvero incinta, dunque.» Livia ricordava che Asclepiade aveva accennato alla cosa, ma le era passato di mente. Incinta e vedova. Davvero un pessimo tempismo.

«È ancora presto per notarlo, ma sì. Avrebbero formato una così bella famiglia. La padrona aveva finalmente la possibilità di essere felice, dopo quella disgrazia.» Sura sembrava davvero afflitta. Doveva essere molto leale ai suoi padroni.

Livia rammentò la spiegazione spiccia che Larzia aveva dato al banchetto, quando avevano iniziato a parlare di figli. «So che ha perso il suo primo figlio.»

«Annegato. Durante una battuta di pesca. Una tragedia...» Una lacrima scese sul volto rotondo della schiava.

Livia si guardò intorno. «Cosa sai dirmi di questa situazione? Hai visto qualcuno uscire dall'insula

Sura distolse lo sguardo dal corpo del padrone, forse per concentrarsi meglio. Dopo un po', infatti, rispose: «In verità sì. Non credo fosse un inquilino. Poteva esserlo, ma era totalmente avvolto da una palla bianca. Non saprei neanche dire se fosse un uomo o una donna.»

Livia si sentì drizzare i capelli sulla nuca. Una figura in palla bianca. Proprio come quella che aveva approcciato Calidio alla caupona. «Che cos'ha fatto?»

«È uscito dall'insula proprio mentre io stavo per entrarci.»

«Hai visto da che parte è andato?»

«Non ci ho fatto caso.»

Le coincidenze si sprecavano. Livia non voleva farlo, ma sapeva di dover supplire all'assenza di Asclepiade ed esaminare il cadavere. Quindi prese un profondo respiro, si inginocchiò accanto a lui e per prima cosa osservò il suo orecchio. Il sangue ne era fuoriuscito abbondantemente, ma Livia non aveva l'esperienza per dire se qualcuno gli avesse infilato un'arma tanto in profondità da perforare il cervello. Quindi, con la punta delle dita, abbassò la tunica sul petto. E individuò subito le linee disegnate col sangue. Ma questa volta erano due, una accanto all'altra.

Livia osservò il resto del corpo, chiese a Zosimo un aiuto per rivoltarlo a pancia in giù, ma non scoprì altre ferite evidenti. Doveva essere morto allo stesso modo di Calidio, con la stessa arma e per mano della stessa persona.

Si mise in piedi, facendo scricchiolare le ginocchia. Vide il volto pallido di Larzia che faceva capolino dalla porta, ma ancora non si azzardava ad entrare. Teneva una mano sulla pancia, come a voler proteggere il nascituro da quello spettacolo violento.

Livia si rivolse a Sura. «Devi occuparti del cadavere.»

Quella sgranò gli occhi. «Cosa ne faccio?»

«Lavalo e vestilo con abiti dignitosi. Era pur sempre un trierarca. Domattina vi aiuterò a organizzare il funerale.»

Sura si prostrò a terra, piagnucolando: «Grazie, imperatrice.»

Livia la lasciò al suo spiacevole compito e uscì dal cenaculum. Larzia aveva gli occhi gonfi. «È stato ucciso, vero? Come Aulo Calidio?»

«È molto probabile.»

Larzia si portò un pugno alla bocca, mordendosi le nocche. «È la maledizione. Quella donna, al porto... Le cose che ha detto...»

«Vi assicuro che è stata una persona a uccidere vostro marito, non una dea straniera.»

Ma Larzia non si lasciò convincere dalla logica. Anzi, si fece ancora più decisa. «È stata lei. È passata dalle parole ai fatti. Odiava i successi di Augusto, odiava quella nave e chiunque ci fosse sopra.» I suoi occhi guizzarono dentro il cenaculum buio. «L'ha maledetto. Li ha maledetti tutti. Calidio è morto e ora anche Manliano. Tre sopravvissuti, o così credevano. Li ucciderà tutti. La sua vendetta non sarà compiuta finché tutti coloro che erano sulla Venus non saranno morti.»

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