9. Perché io non sono gay...

Nico non lo avrebbe mai ammesso, ma non riusciva a togliere gli occhi di dosso a Will. Durante gli allenamenti di quella settimana era stato davvero poco concentrato, non riuscendo a togliersi dalla testa quegli occhi azzurri e quei ricci biondi.

Si erano scritti qualche giorno dopo la festa, anche se Will gli aveva mandato un messaggio già la mattina dopo Nico aveva trovato coraggio solo dopo cinque giorni, ma dopo solo pochi messaggi aveva smesso di rispondere; non sapeva perché, ultimamente sembrava succedergli molto non sapere cosa stesse facendo, ma si era lasciato prendere dall'ansia quando gli aveva proposto il luna park.

Aveva anche raccontato a Leo e Jason quello che era successo, premurandosi di sottolineare che non era come pensavano e che lui non era assolutamente gay, e gli avevano consigliato di cercare di lasciarlo stare e far finta di niente. Lo avrebbe davvero voluto fare, ma sembrava una cosa impossibile.

La sensazione delle sue labbra sulle proprie, nonostante il sapore poco piacevole dell'alcool, aveva scatenato in lui un mix di sensazioni stupende, che voleva provare di nuovo. Non sapeva cosa questo potesse significare, perché lui non era gay, ma in fondo non aveva mai dato un bacio. Era normale che si sentisse così, alla prima volta che qualcuno lo baciava.

Perché lui non era gay.

«Nico! Occhi sulla palla, o ti romperai il naso!». Percy e la sua solita delicatezza, sapeva sempre cosa dire ma lo diceva al momento sbagliato. «Abbiamo la prima partita di campionato tra mezz'ora, dovete stare concentrati!».

Nico annuì, stringendo i denti per contrastare il dolore bruciante alle braccia; mentre arrivava in palestra, da solo e con le cuffiette al massimo volume nelle orecchie, era stato incauto e aveva beccato un bambino a fissargli insistentemente le cicatrici. Non appena lo aveva notato si era appuntato mentalmente di bendarsi di nuovo le braccia prima della partita, anche per contrastare gli impatti sicuramente violenti con la palla, e di stare più attento. Non voleva che lo scoprisse qualcun altro, specialmente dopo che Leo e Jason lo avevano praticamente costretto a dirglielo.

L'impatto della palla contro il suo fianco lo riscosse di nuovo dai suoi pensieri, mentre Percy riprendeva a urlare che doveva stare attento. Gli stava un sacco simpatico, davvero, ma quando entrava in modalità allenatore/capitano diventava insopportabile.

«Nico, vieni qui» disse, con un sospiro esageratamente teatrale. «Che ti succede oggi? Sembri sempre nel tuo mondo, te la senti di giocare?».

«Scusa, ho solo tante cose per la testa. Voglio giocare, tranquillo. Tanto non avete un altro libero» fece un sorrisino, mentre Leo da dietro gli scioglieva la coda per dispetto. «Ehi!» esclamò, riprendendosi l'elastico per legare di nuovo i capelli che gli arrivavano alle spalle.

«Magari entri nel prossimo set, cerca di trovare la concentrazione. Se in campo non riesci ad essere concentrato per due minuti di fila rischi di farti male. Vai a sederti in panchina insieme a Grover, magari dopo entrate insieme» disse Percy alzando le spalle e facendo un cenno verso la panchina. «Niente di personale, ma davvero non ci serve un altro libero infortunato come Ethan».

Nico non gli rispose, andando a sedersi accanto a Grover che lo salutò con un gran sorriso.

"Andranno all'Inferno" diceva suo padre, mentre andavano in chiesa, indicando due ragazzi che si tenevano per mano e che si erano appena baciati.

Nico sapeva che erano tutte cazzate, lui neanche ci credeva più in cose come Inferno e Paradiso, ma quelle parole crudeli risuonavano nella sua testa come una condanna.

Ma, dopotutto, a lui che importava?

Lui non era gay.

『• • • ✎ • • •』

Erano ormai al terzo set di una partita molto accesa; da qualche minuto Grover era stato costretto ad entrare in panchina e Percy era entrato a sostituirlo, mentre Nico era uscito alla fine del secondo set ed era stato sostituito da uno dei gemelli Stoll a causa dei giramenti di testa. Ormai erano una costante durante gli allenamenti, non riusciva a stare più di mezz'ora in movimento senza che il mondo cominciasse a girargli intorno e sentisse lo stomaco sottosopra. Dopo che, un paio di settimane prima, aveva vomitato in campo, Percy aveva cominciato a stargli molto più attento per farlo uscire come iniziava a stancarsi.

Gli piaceva giocare a pallavolo, ma anche osservare i suoi compagni di squadra lo affascinava. Lavoravano insieme come una macchina perfetta; le ricezioni precise di Connor o Travis, ancora doveva imparare a distinguerli, che finivano dritte tra le mani di Will che alzava senza sforzo a Jason o Percy. Era impressionante anche come la maggioranza dei punti fatti dall'altra squadra erano frutto di schiacciate o battute troppo potenti, che quindi erano finite fuori, piuttosto che da errori in ricezione o alzata. Il campo sembrava una bolla, isolato da tutte le persone che si trovavano all'esterno. Era come se non sentissero le voci di chi si trovava fuori, tranno quella di Brunner che dava indicazioni ai giocatori.

L'azione in corso era frenetica, piena di colpi mandati dall'altra parte della rete da Will e dall'altro alzatore al secondo tocco e di schiacciate al massimo della forza. Sembrava non finire più, come se da quel punto dipendesse l'intera partita e avessero tutti ancora energie infinite.

Una schiacciata potente. Una ricezione un po' imperfetta da parte di Connor Stoll. Will aveva saltato, cercando di salvare il punto e fare un'alzata corta a Jason. Jason aveva saltato insieme a lui, schiacciando più forte che poteva. Will era ricaduto sopra la sua caviglia, con uno schiocco agghiacciante.

Se avesse detto che si era precipitato subito da Jason, quando era caduto a terra con un urlo e non si era rialzato, avrebbe mentito. Avrebbe mentito ma lo avrebbe fatto senza rimorsi perché non poteva ammettere che lui era corso da Will, caduto insieme a lui. Quando, nei pochi metri che lo dividevano dei due ragazzi, aveva realizzato che Will stava bene, aveva immediatamente ridirezionato la sua atttenzione su Jason.

Era pallidissimo, con la cicatrice sul labbro che quasi scompariva per quanto lo stava mordendo, e si teneva la caviglia; Leo era stato il primo a riprendersi e raggiungerlo, cercando di capire cosa fosse successo e quanto si fosse fatto male. Nico li raggiunse e aiutò il messicano a farlo rialzare, mentre Jason cercava in tutti i modi di non urlare di nuovo. Non poggiava a terra il piede destro, e la caviglia cominciava già a gonfiarsi.

Will si rialzò velocemente e li aiutò a portarlo in panchina, facendolo sedere mentre Grover si alzava per prendere le stampelle poggiate alla parete.

«Secondo te con le stampelle ce la fai?» gli chiese gentilmente, passandogliele con un piccolo sorriso; erano originariamente verde acido, ma ormai il colore era quasi scomparso sotto centinaia di sticker.

Jason si sforzò di sorridergli e scosse la testa: «È come se ci fossero dei chiodi nella mia caviglia. O come se stesse andando a fuoco... fa malissimo» mormorò «Non penso di riuscire a fare niente».

Grover annuì: «È normale, probabilmente te la sei rotta. Posso capire quanto faccia male, ma fidati che muoverti ti farà meglio. Almeno ti distrarrai un po', basta che non metti il piede a terra. Will, vedi se Brunner ha del ghiaccio e magari anche delle bende».

Leo era pallido quasi quanto Jason e si mangiava nervosamente le unghie, mentre Brunner era al telefono per avvisare il Signor D e Percy era corso fuori per andare a prendere la sua macchina. I ragazzi dell'altra squadra li guardavano dalla loro metà campo, con una timida curiosità, senza osare avvicinarsi agli avversari.

«Bene, prova ad alzarti» disse Nico, aiutandolo insieme a Will a prendere le stampelle e mettersi in equilibrio.

Percy li aspettava fuori, con la portiera della macchina aperta, e dopo averlo aiutato ad entrare li salutò con un veloce "Ci vediamo dopo, vi faccio sapere" prima di andare via verso l'ospedale.

«Questa proprio non ci voleva» sospirò Grover, riprendendosi le stampelle che Jason aveva lasciato a Nico. Si avviò verso l'interno, zoppicando visibilmente anche con l'aiuto dei supporti.

Will, Nico e Leo rimasero fuori, con quest'ultimo che non risuciva a rimanere fermo per più di trenta secondi prima di ricominciare a camminare in giro per il cortile controllando il telefono ogni due minuti e lasciando gli altri due da soli.

Anche Nico era preoccupatissimo, nonostante fosse più tranquillo del messicano perché aveva effettivamente ascoltato Grover quando gli aveva spiegato brevemente cosa pensava che fosse successo e quanto ci sarebbe voluto per guarire. "È quello che ti rimane quando hai delle gambe che si spezzano come grissini" aveva borbottato, imbarazzato, quando Will gli aveva chiesto con curiosità come sapesse quelle cose.

La situazione, comunque, si stava facendo molto imbarazzante. Nico era fin troppo consapevole di chi fosse Will e di cosa avesse fatto alla festa, ma Will non sapeva di avere accanto il ragazzo che aveva baciato e per cui aveva ormai capito di avere una cotta stratosferica.

Lui non era gay, ma forse le persone etero non se ne devono convincere così tanto. Nico non era gay, ma forse iniziava a rendersi conto di come guardava Will. Non era gay, ma non si toglieva dalla testa quel bacio. I suoi occhi lucidi, in quei brevi secondi in cui si erano guardati negli occhi. No, non era gay, ma forse si stava innamorando di William Solace.

E questo significava che forse era gay per davvero.

Author's notes <333
Okayy, dopo due settimane I'm back e sono anche riuscito a scrivere il capitolo 10 anche se è decisamente più corto del normale lol. Tra l'altro, lo avevo preparato sabato ma avevo dimenticato di premere "Pubblica".
Probabilmente anche i prossimi due/tre usciranno ogni due settimane perché sono PIENO di verifiche e devo trovare il tempo di scrivere e magari portarmi un po' in anticipo, ma non voglio mettere in pausa la storia.
Siamo quasi alla fine del primo atto, che ne pensate?

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