𝐏𝐑𝐎𝐋𝐎𝐆𝐎

Venezia era una città stupenda, Nico la amava. Non avrebbe voluto vivere in nessun altro posto, lì c'era un'atmosfera unica e quasi magica. Le calli e i rami erano bellissimi, e la vista sui canali era la parte migliore di tutte; non era raro trovarlo seduto sugli scalini del ponte poco lontano dal portone del palazzo dove abitava, a guardare l'acqua che scorreva nel canale o a ricontrollare la sua collezione di carte di Mitomagia.

In realtà c'era solo una cosa che amava più del posto in cui viveva, ed era la sua famiglia. Sua madre, Maria, e sua sorella, Bianca, erano probabilmente le persone migliori del mondo, almeno secondo la sua visione da bambino di dieci anni. Quando la domenica andavano tutti insieme a messa, o quando Bianca lo portava fino a Piazza San Marco per prendere un gelato al baracchino abusivo alloggiato in un angolo nascosto, Nico era felice.

Un po' meno felice lo fu quando suo padre si presentò davanti alla porta di casa, un giorno che era forse il più freddo di quell'inverno. Nico se lo sarebbe ricordato per sempre: fuori nevicava, ma avevano acceso il camino e insieme a Bianca avevano avuto l'idea di aspettare che la madre tornasse dal lavoro per poi fare una passeggiata tra le calli e magari fare anche un pupazzo di neve. Lo facevano tutti gli anni, era diventata quasi una tradizione. Ma quel giorno Maria Di Angelo non tornò a casa. Al suo posto, i due fratelli si ritrovarono davanti Ade.

Ovviamente Ade non era il suo vero nome, ma prima che se ne andasse Nico lo aveva soprannominato così per via della sua somiglianza con una delle sue carte di Mitomagia. L'uomo l'aveva presa sul ridere e poco a poco sia Nico che Bianca si dimenticarono il suo nome reale, continuando a chiamarlo Ade. Per scherzo, quando avevano scoperto che si era risposato, aveva anche ideato un soprannome anche per la sua nuova moglie, rinominandola Persefone.

Quando Bianca aprì la porta, tutta contenta perché pensava di trovare sua madre, fece un verso di sorpresa e la richiuse di scatto, andando di corsa in salotto dove suo fratello giocava sul tappeto.

«Che succede, Bia?».

«C'è Ade fuori dalla porta» mormorò, indicando il corridoio da dove si poteva sentire il suono del campanello premuto insistentemente.

«In che senso c'è Ade?» chiese allora Nico, alzandosi in piedi e lasciando le carte sperse sul tappeto.

«Nel senso che è sul pianerottolo e sta suonando il campanello da due minuti, mamma non è ancora tornata».

«Pensi che dobbiamo chiamarla? L'ultima volta che è venuto non ha reagito bene» mormorò «Secondo te ha ancora la cicatrice?».

«Non so se ce l'ha, ma forse ci conviene capire cosa vuole prima» propose un po' più decisa, e senza neanche aspettare che il più piccolo rispondesse ritornò alla porta e l'aprì per far entrare l'uomo.

Ade era alto, non molto largo di spalle, con i capelli neri e gli occhi molto scuri. Anche ricordandosi di quando giocavano tutti insieme qualche anno prima, in quel momento a Bianca incuteva paura. Ma nonostante tutto tenne lo sguardo alto, come per sfidarlo a parlare, fissando la cicatrice sulla sua guancia. Dovette trattenere un sorriso, ricordando come Maria gliel'aveva fatta con una bottiglia rotta dopo che Ade aveva cercato di convincere Nico e Bianca ad andare con lui in America.

«Dovete venire in America con me» furono le prime parole che disse ai propri figli dopo anni, dopo averli abbandonati al loro destino per andare a fare la bella vita a New York e rifarsi una vita con una donna che aveva la metà dei suoi anni.

«Perché?» chiese Nico, fronteggiandolo nel suo pigiama dei supereroi. Faceva più ridere che altro, ma si sentiva in dovere di proteggere sua sorella. Teneva tantissimo a lei, era la cosa più preziosa che avesse, insieme a sua madre e alle sue carte di Mitomagia.

«Non mi aspetto che voi marmocchi lo capiate, ma dovete venire con me. Ci sarà tempo per spiegare quando sarete più grandi» anche se aveva solo dieci anni, Nico sapeva che non voleva andare. In qualche modo, aveva capito che non doveva andare. Maria non avrebbe mai voluto che andassero.

Ade alzò gli occhi al cielo e sbuffò «Basta, mi avete già rotto. Prendete uno zaino, metteteci le cose che vi importano di più e venite con me. Vostra madre sa già tutto ed è d'accordo, muovetevi. L'aereo parte tra tre ore e tra mezz'ora dobbiamo partire da qui».

Nico aveva ancora paura di lui, nonostante fossero passati quasi due anni dall'ultima volta che erano stati da soli nella stessa stanza e ormai pensava che gli fosse passata la paura, e andò in camera sua a testa bassa. Prese un piccolo zainetto e ci mise le sue carte di Mitomagia, la sua maglietta preferita e un coniglio di peluche con il pelo azzurro e bianco. Si guardò intorno e prese dalla sua cassettiera una foto che raffigurava lui, Bianca e Maria sotto l'albero di Natale che era stato allestito in Piazza San Marco; accarezzò piano la cornice di plastica dipinta d'oro e la mise con cautela nello zaino insieme ad un libricino di leggende veneziane. Se dovevano andare in America, voleva portare con se un po' d'Italia.

Guardò fuori dalla finestra per l'ultima volta, cercando di imprimersi quell'immagine della mente. Non voleva dimenticare niente di quella vista, di Venezia; chissà quando sarebbe potuto tornare.

«Avete fatto?! Dobbiamo andare!» esclamò Ade. Nico non pensava che fosse già passata mezz'ora, ma apparentemente il tempo vola quando speri che non passi mai e allora mezz'ora possono diventare due secondi, o dieci minuti possono diventare due ore.

Scese le scale mentre Bianca usciva dalla sua camera con gli occhi rossi e gonfi e il suo zainetto di scuola sulle spalle, strusciando i piedi per terra mentre si guardava intorno per l'ultima volta. Sembrava che entrambi fossero arrivati alla stessa conclusione: era meglio che ascoltare Ade, se non volevano che la faccenda si evolvesse in qualcosa di simile a ciò che era successo l'ultima volta. Nico rabbrividì al ricordo delle bottiglie rotte e del sangue sul tappeto, tornando in salotto dove il padre li stava aspettando.

«Salite in macchina» disse freddamente, facendo un cenno verso la porta con la mano con cui stava tenendo una sigaretta accesa.

I due fratelli annuirono e uscirono dalla porta in silenzio, entrambi in silenzio e a testa bassa, ed entrarono nella macchina. Per fortuna la loro casa era nella parte più esterna della città, altrimenti non sarebbe stato possibile andare via in macchina e avrebbero dovuto farsi anche Venezia a piedi per arrivare in un punto in cui potessero usare la macchina. Dopo un paio di minuti, Ade li raggiunse e cominciò a guidare lontano.

Guardando fuori dal finestrino, Nico fu abbastanza sicuro di vedere un po' di fumo uscire da una delle finestre.

Author's notes <333
Spero che questo primo assaggino di un progetto a cui sto lavorando da tantissimo, questo prologo è nato nella mia testa gennaio scorso e finalmente adesso vede la luce.
Fatemi sapere cosa ne pensate
Al prossimo capitolo <333

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