Chapter 88







«Okay, organizziamoci! Prima tappa: ospedale.» Trilla la mamma pulendosi frettolosamente il viso. «Grazie per il vostro aiuto!» Urla poi sarcastica rivolgendosi agli astanti. 

«Mamma, nessuno può aiutarci.» Confesso in tono smorto, mentre ormai l'auto è diventata un piccolo puntino. Nel contempo una morsa mordicchia il mio stomaco.

«Che accoglienza calorosa! Avevo intenzione di recarmi nel mio Sud, piuttosto che venire in questo postaccio.» Si esprime la mamma schietta frugando nella sua ingombrante borsa. «Ecco. Un fazzoletto per te e uno per me. Si ha questa convinzione che essere emotivi è sinonimo di debolezza. Sono stupide le persone che pensano ciò.»

La mamma mi pone il fazzoletto; lo afferro pulendomi il volto rasposo.

«Okay tesoro, prima di calarci nei panni Jamie Bond – ho appena inventato questo nome, forse ci faranno un saga cinematografica – dovremmo andare in ospedale.» Fa lei cortese. 

«No, mamma. Sto bene. Ricordo ancora la strada, e se andrò in ospedale finirò per dimenticarla.» Le rispondo voltandomi verso di lei.

Solo adesso che la osservo mi rendo conto di quanto la mamma sia importante per me.

Nonostante Mathias sia stato portato via, non riesco a essere sconfitta. Con lei al mio fianco, sento che un'impenetrabile muraglia mi controlli le spalle.

«Bene... Niente ospedale.» Fa lei faceta. «Ma, Sofy, dovremmo sederci un po' e credo sia il caso che tu mi racconti cosa ti sia successo. Ho bisogno di saperlo.» La mamma poggia le sue docili braccia sulle mie spalle scrutandomi.

Ho il presentimento che abbia già intuito la vicenda. Annuisco e insieme ci dirigiamo verso due sgabelli posti sotto il telo di un bar.

La mamma sorseggiando un espresso – secondo lei quello italiano è imparagonabile – ha ascoltato la mia spiegazione. Ho omesso di narrare i mesi in cui sono stata in Tibet, poiché avrebbe potuto riaprire una ferita ancora aperta. 

«Oh santo cielo, Sofia? Vorresti dirmi che tutti quei ragazzi "rinchiusi" in quella foresta sono figli di criminali?» La mamma allunga la testa verso di me sussurrando circospetta. 

«Loro non c'entrano nulla. I genitori li hanno costretti.» Prendo le loro difese.

Non so perché il futuro di quei ragazzi mi stia a cuore.

Sento il bisogno di aiutarli, di mostrargli che la vita non può essere vissuta nel bel mezzo di una foresta.

«Tra loro c'è anche una ragazza. Si chiama Joanna, ed è stata costretta dal padre a lasciare il suo ragazzo.» La mamma drizza il capo assumendo l'aria di uno struzzo che perlustra la zona. 

«Mamma, sei buffa in questa posa.» Le suggerisco.

Al primo colpo, pesca gli occhiali da sole nella sua borsa e se li inforca. «Non mi piace per niente questa situazione, Sofia.» Sussurra avvicinandosi ancora una volta. 

«Mamma non c'è bisogno di avvicinarti. Nessuno può sentirci.» Le faccio notare. 

«Sofy, sono figli di CRIMINALI!» La cameriera di chetichella leva la tazzina da sotto il naso della mamma e quest'ultima sobbalza.

La ragazza in risposta trasale anche lei e la tazzina precipita al suolo rompendosi in mille pezzetti.

«Sorry!» Si scusa la mamma assumendo uno sguardo colpevole.

La ragazza le ripete che non fa nulla. Una fugace ilarità si sprigiona nel mio corpo e rido per qualche secondo, strozzando però le risate con una mano. 

«Sono la solita pasticciona!» Esclama sbuffando. Incrocia il mio sguardo allegro, e il suo viso muta espressione. «Smettila!» Mi fa lei indicando con gli occhi la ragazza.

Ma non riesce a rimanere seria. La spontaneità della mamma è un antidoto per la mia mente.

«Ho convertito le monete... Aspetta, ecco! Five dollars.» Offre la banconota alla ragazza e lei prima interdetta, poi decisa afferra il pezzo di carta ringraziandola. 

«Allora... Lo leggo nei tuoi occhi che non hai la minima intenzione di ritornare a casa. Cosa hai in mente?» Chiede lei mesta.

Un refolo solleva il mio ciuffo ondulato e sporco; volto lo sguardo perdendomi tra il caos indifferente che regna a Phoneix.

Più in là, oltre il marciapiedi, una fila d'auto insudiciano l'aria con le loro emissioni di gasolio. 

«Mamma, non posso partire senza aver prima chiarito con lui.» Di sottecchi osservo che la mamma sorride.

Il suo è un sorriso dolce, spontaneo, di chi ha già vissuto le mie emozioni e sa che è inutile opporsi.

«Ho bisogno, Sofia, che tu giuri soltanto una cosa: che per il prossimo viaggio, mi lascerai almeno una video chiamata.» Mi stringe le mani.

La sua voce è graffiata come se qualcuno accendesse e spegnesse le sue corde vociali.  I rimorsi riemergono dagli abissi come cadaveri sbranati da uno squalo bianco. Combatto contro le lacrime e alla fine vinco il duello, ma non riesco a fissare la mamma nelle sue iridi cerulee.

«La prossima volta, verrai con me.» Le prometto fragile dentro.

«Ti imbarazzeresti se ti abbracciassi qui? Davanti a tutti?» Chiede fremendo dalla gioia. In risposta scuoto le taste e mi abbandono fra le sue braccia familiari. 

***

Quando le ho esposto il piano per arrivare nel luogo in cui Mathias si trova, la mamma sconvolta ha urlato di essersi dimenticata la valigia in aeroporto.

Siamo ritornate all'interno dell'edificio e dopo una lunga conversazione – la mamma ha litigato con l'addetto poiché quest'ultimo affermava che la valigia non era di sua proprietà e lei si è scatenata diventando rossa dall'iracondia – è riuscita a ottenere il suo bagaglio.

Per l'intera durata della discussione, me ne sono rimasta in disparte, rossa dalla vergogna poiché duemila occhi hanno assistito alla scena.

La mamma numerose volte mi ha chiamato in causa, affermando che le sembrava di essere un far west piuttosto che in un paese liberale. 

«Stupido, imbecille. Pensavo che soltanto in Italia ci fossero queste persone. Invece, a mio malgrado constato che il mondo è pieno zeppo.» Esclama mentre camminiamo fianco a fianco, giungendo quindi nei pressi della porta automatica.

Le rotelle strusciano sul pavimento liscio e gli astanti ammirano l'uscita trionfante della mamma, che ancheggiando esce dall'aeroporto. «Come ti è sembrata la mia performance?» Mi chiede lei dandomi di gomito.

«L'Arizona ti battezzerà come "Miss carré irrequieto".»  Le rispondo e lei sorride tronfia. 

«Non mi è chiara una cosa, Sofy. Come ci recheremo nel luogo che hai menzionato precedentemente?» Domanda la mamma in cerca di una soluzione. 

«Ecco... Dovremmo convincere qualcuno a darci l'auto.» Le rispondo timorosa. 

«Convincere? Tesoro, ti ricordo che qui siamo negli Stati Uniti e le nostre patenti non sono riconosciute.» Afferma puntigliosa. 

«Mamma, diventeremo delle fuori legge!» Affermo disinteressata e lei si piazza le mani sul volto, disperata. 

«Oh cielo! Che razza di genitore sono diventato?  Forse dovremmo chiamare la polizia.» Insinua lei tentando di far riapparire la ragione nella mia testa. 

Sofia, tua madre ha decisamente ragione. Cosa diavolo ti passa per la testa? È una-

Ma la vocina malefica interrompe quella della coscienza.  Sofia, la polizia non ti crederà mai. Un gruppo di ragazzi accampati nella foresta? È pur sempre vero che sei in America, ma non in un film dispotico.

«Sofy, ascoltami. Può essere pericoloso. Anche se noi ci recassimo in quel posto, tu non potresti far nulla.» 

«È invece sì mamma! Lui è lì dentro contro la sua volontà. E se non lo rivedessi più? Se quella diventerà la sua casa definitivamente?» L'ansia, che per qualche ora si era bisticciata con la mia mente, ora e ritornata. 

«Okay. Questa sarà la seconda cosa più folle che abbia mai fatto nella mia vita, dopo aver fatto l'amore sotto la Tour-»

«Conosco già quella storia!» Tento di scacciare dalla mia mente l'immagine nitida di mia mamma. 

«Prima di iniziare questa follia, devo levarmi questi tacchi. Quando capirò che ho una certa età per indossare questi cosi, sarà troppo tardi. Sofy, dovremmo fare un po' di shopping!» Afferma lei socchiudendo le palpebre. «Oh, lì leggo: THE WORLD'S SHOES.» Addita un logo raffigurante un tacco a spillo che preme sul globo.

Dopodiché senza neppure avvisarmi, trotterellando si fionda verso il negozio. 

«Mamma, la valigia!» Le faccio notare, ma lei tuona da lontano che la devo trasportare io. Sospiro e afferrando il manico, faccio sfregare rumorosamente le rotelle contro l'asfalto. 

***

Dopo un'oretta, la mamma finalmente si decide a uscire da quel dannato negozio. «Ho preso tre paia. Non si sa mai. La legge di Murphy è piuttosto cinica. Sandali comodi, poi una superstar-»

«Mamma, ma quelle sono scarpe adatte ai ragazzi!» Esclamo esasperata, mentre lei continua a disfare gli scatoli fregandosene di trovarsi fra le gente. «Me l'ha consigliate una mia alunna. E poi cosa vorresti insinuare? Io sono una lady, mia cara!» Issa il mento assumendo un'aria da presuntuosa.  

«Ma', dovresti darmi il tuo cellulare. Devo trovare una rimessa d'auto più vicina.» Le dico. 

Dopo un estenuante ricerca in internet, riesco a risalire a una concessionaria d'auto usate. È situata nei pressi dell'aeroporto, e così non ci impieghiamo molto ad arrivarci. 

L'uomo alla cassa – tarchiato, con un triplo mento e intento a fare la sua colazione con un croccante panino grondante di bacon e salse varie – ci osserva in tralice. 

«Scusi...» Esordisce la mamma facendosi notare. L'uomo, quasi infastidito, ripone il panino di semi sul bancone sgombero. Incurva le sopracciglia, aspettando che la mamma parli. 

«Volevo sapere quell'auto lì - credo sia una Volvo - quanto costa.» Prosegue la mamma vagamente irritata. 

«Quella... 8.000 mila dollari.»

«Quella carc-»

«La prendiamo!» Sovrasto la voce squillante della mamma, raccattando la mia carta di credito.

Lei mi osserva indispettita, poi si rifà avanti. «Scusi, vorrei chiedere qual è il rischio cui si va incontro per chi non possiede una pat-»

«PAGO CON LA CARTA!.» Sovrasto ancora una volta la voce della mamma, ma l'uomo pare abbia capito la frase; ora ci osserva sospettoso.

«Siete italiane?» Domanda lui afferrando con forza il panino come se qualcuno potesse rubarglielo. 

«Sì.» Rispondo sospirando. 

«Non si può circolare negli Stati Uniti senza patente.» Fa lui scuotendo un indice e ruminando come una bovino. 

«Potevi farti gli affaracci tuoi.» La redarguisco bisbigliando e senza farmi notare dall'addetto.

«Voi italiani volete sempre violare le re-» Interrompo il suo sguardo sornione intuendo il suo fine.

«Le do 16 000 dollari, ma deve anche procurarmi una polizza!» Ribatto severa prendendo l'uomo alla sprovvista. Lui si alza di scatto quasi vomitando il cibo. 

«Ecco le chiavi! Provvederò alla polizza» Pesca le chiavi da un apposito cassetto per poi adagiandole gentilmente sul bancone in alluminio. Dopodiché agguanta la mia carta di credito e sorridente procede alla vendita. 

«Sofy, sei impazz-»

«Mamma, ho bisogno dell'auto. E in questo momento i soldi non hanno alcun valore.» Rintuzzo.

Avverto la mia anima riaccendersi al vago sentore di rivedere quegli occhi

«Non posso che essere più fiera dalla mia ragazza.» Termina lei illuminandosi negli occhi e contemplandomi come se fossi una persona a lei sconosciuta.  Mi sorprende questo suo atteggiamento.

Ci mettiamo in cammino; ho deciso di guidare io poiché la mamma avrebbe impiegato del tempo ad adattarsi a guidare sulle strade americane.

«Sofy, che desolazione intorno a noi.» «È tutto così arido!»«Questo ambiente incute una tristezza solitaria. Mi sembra di essere in un romanzo di Orwell.» Sono queste le frasi che ho dovuto sorbire durante il tragitto. 

All'ora di pranzo, mentre in lontananza si delineava una indicazione cui ritraeva il logo di "Stop and eat", la mamma ha tirato in ballo papà.

«Non gliel'ho detto, Sofia. E forse non ci crederesti, ma tuo padre ha sofferto di più la tua assenza. Forse perché aveva dei rimorsi, ma era distrutto. Io lo conosco. Non avrebbe retto a una notizia del genere. Quando gli ho detto che  tu eri partita, ha scoperto che ti eri recata in Cina pur non sapendo il punto esatto. È venuto da te, Sofia, ma non ti ha trovata. Ha rischiato di essere licenziato, ma diceva che il lavoro non aveva più importanza per lui.» Così ho rimuginato su constatando che le mie azioni hanno inferte ferite dolorose

Perfettamente imperfetti è quello che siamo, ma imperfettamente perfetti è quello che crediamo di essere. Ha suggerito la vocina della mia coscienza.

La mamma mi ha rassicurata, ma neanche le sue parole sono bastate a rincuorarmi questa volta.

Ho capito che devo assumermi le responsabilità delle azioni da me prese e che il tempo di essere il gingillo della famiglia è terminato, dal momento in cui ho prenotato quel volo per il Tibet.

Giungiamo in un'isolata aria di ristorazione, dove un pick-up e una motocicletta sono gli unici mezzi parcheggiati. La mamma mi avvisa che andrà a scegliere il pranzo, mentre io mi occuperò di parcheggiare l'auto.  

Tento di ingranare la retromarcia, ma non ci riesco. Mi volto osservando se la mamma è già entrata e stranamente è impalata davanti ad un uomo dall'aspetto europeo.

È inghiottita dal suo sguardo, ma d'improvviso l'uomo dal ascetico sguardo, la cattura a sé abbracciandola come se non la vedesse da decenni.

Osservo la scena e fortuitamente innesco la retromarcia riuscendo così a parcheggiare l'auto.

[SPAZIO AUTRICE]

Sofia sta tornando alla comunità con i rinforzi, gente 💪.
Love on the road ❤️❤️

Una forza incontrastabile la spinge da lui, da Mathias. Sta facendo la cosa giusta, secondo voi?

E chi sarà l'uomo cui si è imbattuta Margaret? 😈😈

Vi aspetto più calorose e agguerrite che mai al prossimo aggiornamento. Vi voglio bene ❤️❤️

-LaVoceNarrante 💙💙

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