Chapter 117









Canzoni per il capitolo:

Giorgia ~ Quando una stella muore

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Beyonce ~ Daddy

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20 ottobre 2017... una voce femminile dall'altoparlante...

Sono assente, il viso appiccicato al finestrino e su nel cielo, fosche nuvole si corteggiano arrivando a scontrarsi.

Ogni istinto vitale mi è stato sottratto dalle parole di Raoul: Sofia, tuo padre è morto.

I tipici rumori dell'imbarco, mi sono indifferenti. Sciami di persone prendono posto e li sento borbottare sommessamente.

Dio solo sa quanto oro darei a un mercenario per rivedere mio padre. Ma lui non c'è più, andato via chissà dove, chissà in quale posto.

Non vedevo il suo viso da mesi e durante l'ultimo periodo nella mia mente non è balenata l'idea di chiamarlo, di chiedergli se fosse tutto apposto.

Ci ha pensato la mamma a rassicurarlo, mi sono detta; ma questo non basta: papà doveva sentire la mia voce, ascoltare le mie parole, percepire i miei sentimenti.

I sensi di colpa sono come avide sanguisughe che salassano la mia anima. Le sento sulla pelle, viscide, putride succhiare sangue, energia. Non mi è concesso il privilegio di scacciarle. Devo farmi succhiare il sangue, io devo, perché sono stata una persona orribile. Papà aveva bisogno di me. 

Sì, Sofia, quanto affermi è tremendamente vero: sei stata un'egoista, il tipico essere umano. La corrente pessimista elaborata dalla mia mente viene appoggiata dalla vocina della coscienza. 

Sofia, non devi disperarti. Credevo che avessi afferrato il concetto che la vita è fatta di scelte. Tuo padre se ti ha voluto veramente bene avrà compreso il tuo bisogno di fuggire lontano. Sono certa di questo. Lui sapeva che la sua Sofia, necessitava di tempo per riprendersi la vita. Il suo sacrificio è stato ripagato. In America non sono accaduti soltanto avvenimenti terribili: hai ritrovato Mathias, riabbracciato tua madre, scoperto di avere un fratello e hai avuto il coraggio di chiedere scusa alla tua amica Serena. La vita è fatta di scelte, e queste ultime quanto giuste o sbagliate che siano, provocheranno delle conseguenze. La vocina malefica tenta di scacciare l'aria nefasta che aleggia nei miei pensieri. 

Un interminabile scricchiolio di pelle viene rilevato dal mio udito. 

«Sono salpati! Furio e gli altri. Raoul ha trovato posto avanti, di fianco a una vecchia megera con i peli nel naso.» Sussurra Serena faceta.

L'informazione viene elaborata dai recettori della mente, ma subito dopo cestinata come un inutile file dalla fonte sconosciuta.

Annuisco sostenendo il peso della testa con una mano. Quant'è pensate il mio corpo, il mondo, l'universo! 

«Perché non hai voluto che venisse? Intendo Mathias.» Le iridi di Serena sono così spente. 

«Non lo so. Sento il bisogno di rimanere estraniata dal mondo per un po'.» Mi ributto nella visione del cielo.

Un gatto randagio arranca con la schiena ricurva e raggrinzita verso dei bidoni, ma alla fine ci ripensa, accasciandosi contro la staccionata metallica.

«Okay, ti capisco. Anzi non ti capisco, nel senso che non ho mai perso un genitore. Sono sempre un disastro in queste situazioni. Non so mai cosa diamine fare. Le odio.» Serena si esibisce in un tafferuglio convulso di constatazioni. 

«Sere... Sai sempre come risollevarmi il morale. Forse è per questo che la nostra amicizia non conosce tempo, perché ci completiamo, l'una senza l'altra siamo nulle.» Le dico sorridendo debole. 

«In effetti, siamo delle detective con le palle, i testicoli se si vuole usare un linguaggio dettagliato. Molte persone rompono il cazzo riguardo i termini corretti!» Strabuzza gli occhi riproducendo un sbuffo simile a quello di uno mandrillo.

«Ma che se ne vadano al diavolo, loro e la precisione. Cazzo, non vogliono comprendere che è il fottuto caos che determina l'andamento delle cose. Guarda il tuo caso... Perché tuo padre sarebbe dovuto morire, e per di più in una chiesa, un "luogo sacro"... Scusa l'ho fatto di nuovo. E che non mi so contenere. Questi eventi mi fanno imbufalire.» Le rivolgo uno sguardo comprensivo. 

Il tonfo delle turbine soverchia il parlottio e l'aereo non ci impiega molto a lasciare l'Inghilterra.

***

Per un attimo ho immaginato Ertera come l'occhio del ciclone: il Tibet, gli Stati Uniti, l'Inghilterra vi orbitavano intorno; al centro c'è sempre stata questa maledetta cittadina con i suoi apparenti volti sorridenti e la folta vegetazione che la fanno assomigliare a una arcaica contea della Scozia.

Ma si cela qualcosa dietro l'oggetività, una forza che mi riporta sempre qui, al punto di partenza. La Forza ha voluto che vi ritornassi per la morte di mio padre e ora mi domando seriamente per quale altro motivo riapproderò su questo suolo dannato. 

«S-sofia, m-mi d-dispiace. I-io non s-sapevo come dirtelo.» Raoul mi si affianca. Il suo colorito è malaticcio. 

«Ti ringrazio. Hai preso un volo per dirmelo di persona.» Lo stringo forte a me e lui interdetto allarga le braccia goffamente, poi le serra sulla mia schiena.

«È stata mia madre a dirmelo. Era qui per la sua solita vacanza. Ieri abbiamo fatto una video chiamata e mi ha riferito che è successo l'ennesimo omicidio. O almeno è quanto è stato detto la polizia. Il cognome della vittima mi era familiare...» Chino il capo mentre alle mie spalle un diverbio tra due persone cresce di volume. 

«Diavolo, Serena si sta litigando con l'uomo di fianco al metal detector.» Constata Raoul afferrandosi le labbra.

«... È UNO SCHERZO? STAI REGISTRANDO CON IL CELLULARE PER PRENDERMI IN GIRO; MAGARI POSTI IL VIDEO SUL YOUTUBE COSÌ INCREMENTI LO STIPENDIO.» Serena sbraita e l'uomo pacato risponde: «Non è uno scherzo. Dobbiamo controllare la sua borsa.»

La raggiungiamo. 

«Mi ha scambiato per Margot di Lupin, questo imbecille. "La sua borsa potrebbe nascondere qualche oggetto metallico."» Ci dice apertamente e senza scrupolo.

Sul viso dell'uomo traspare un gesto di stizza. «Mi servono dei rinforzi.» Borbotta poi con la bocca rivolta all'interfono.

«Ora anche i rinforzi? Ma ti sembra che siamo in Mission Impossibile?» Gli urla contro Serena. Raoul la invita alla calma. 

«Le ripeto: non deve muoversi da lì.» Un gruppetto di agenti in divisa azzurrina accorrono verso la nostra posizione. Ci discostiamo dal metal detector. 

L'agente che ha sollevato la questione, ora rivolta la borsa di Serena. «Cazzo! È Luois Vuitton. È geloso perché non puoi compararla a tua moglie?» Inveisce Serena. 

L'uomo solleva lo sguardo. «Sono gay!» Esclama glaciale. Raoul inarca le sopracciglia. 

«Fa lo stesso!» Il gruppetto di agenti ha gli occhi puntati su Serena. 

«Sere, basta! Non troverà nulla e ce ne andremo.» Le suggerisco e lei borbotta. 

«Quanto ci vuole? La mia amica qui ha avuto un lutto e non vorrei che ritardassimo.» Si affaccia al bancone e l'uomo infastidito risponde: «Pochi minuti. Mi dispiace, signorina.»

«Grazie!» Affondo lo sguardo sul pavimento. Un secco tintinnio metallico accresce la curiosità di Serena. 

«Queste per lei sono niente?» La interpella astioso l'uomo. Tra le sue dita, delle manette ricoperte di uno strato di piume rosse ballonzolano a destra e a manca. 

«Ci dai dentro, mia cara!» Constata Raoul ridanciano. 

«Cazzo, ho dimenticato di levarle.» 

«Non sapevo usassi determinati attrezzi.» Le dico sottovoce. 

«A Furio non piacciono le cose tradizionali! Christin Gray era un suo allievo.» Si raschia la voce. 

«Queste servono per uso privato, intimo direi.» Assume poi un tono solenne.

Una signora anziana si trova a passare; getta lo sguardo sulle pompose manette rosse per poi guardare indignata Serena. 

«Signora, se vuole gliele presto. Suo marito potrebbe spassarsela.» Fa Serena e l'anziana aumenta il passo. 

«Signorina, non è consentito trasportare questo genere di oggetti.» Puntualizza l'uomo. 

«Okay, quindi? Ripeto che siamo qui per un motivo serio. Non ho intenzione di perdere tempo.» Serena incrocia le braccia. 

«Dovrà pagare una mo-»

«Ecco la carta di credito. Pin: 829102. Faccia lei. Ne ho diverse.» Sorride teatrale e l'uomo trasale agguantando meccanicamente la plastica. 

La controversia si risolve nel giro di pochi minuti. Serena prenda la carta, getta la ricevuta tra lo sgomento dell'uomo e ci raggiunge all'uscita. 

«Bastardo!»

«Quanto hai pagato?» Chiede Raoul.

«Non ho la più pallida idea.» Risponde lei. 

Il cielo sembra abbia difficoltà ad esprimersi: le nuvole coprono parzialmente il giorno, anche se sprazzi di luce riscaldano il suolo. L'aeroporto è desolato così come la strada maestra. 

«Sofy... Vuoi che ti accompagni?» Chiede Serena. 

«È in ospedale. Credo ci stiano facendo... la...» Subentra Raoul.

«Capisco. Non voglio andare in ospedale. Ho bisogno di andare a casa di mio padre.» Pronuncio scacciando una ondosa ciocca di capelli. 

«Speriamo che Lynne funzioni ancora.» Serena cerca qualcosa con lo sguardo avviandosi verso il parcheggio. 

«Chi diavolo è Lynne?» Si chiede interrogativo Raoul. 

«La sua auto.» Rispondo assente e con la testa altrove. Papà è in ospedale, e immaginare a cosa sia sottoposto il suo corpo, mi immobilizza gli arti.

***  

«Noi ti aspettiamo qui, okay?» Dice Serena fermandosi sotto casa di papà. Frattanto debole gocce di pioggia cercano di trafiggere il parabrezza.

Annuisco. 

«Ehi, Sofia. Mi dispiace, davvero.» Le iridi di Raoul luccicano. Scuoto la testa. Sono stanca di sentirmi dire "Mi dispiace". Ho già la nausea.

Mi stringo le mani nel petto levando lo sguardo in cielo. 

So che non sei lì, so che non esiste nulla, eppure qualcosa mi spinge a pensare che tu viva ancora, in posto nascosto.

Corro percorrendo un piccolo sentiero pullulante di giovani alberelli. La villetta di papà è la seconda della fila ed è immensamente solitaria.

Scavalco la recinzione, salgo le scale e raggiungo la porta in legno.

Una risata isterica contrae le pareti dello stomaco. Rifletto sull'unico posto in cui mio padre avrebbe nascosto le chiavi di casa. Immergo la mano in una pianta di basilico e vi trovo al primo tentativo le chiavi.

Faccio un giro, poi un altro e la porta si apre lenta, inesorabile. Mi tuffo dentro. 

Mio padre e l'ordine sono sempre stati gli antipodi: ci sono pile di libri accatastati ai piedi del divano, piante rinsecchite e un pira di indumenti disposta sul tavolo.

Allungo la mano agguantando una camicia bianca. Il suo odore inconfondibile, intenso si è permeato sul morbido cotone.

Quando ero piccola ne ero perdutamente innamorata. Quanto l'ho amato da bambina, lui era il mio unico Dio, l'unico protettore, un guerriero imbattibile, lui era semplicemente il mio papà. La nostra prima discussione risala quasi a un anno fa, la ricordo... Mi ammanto nella camicia inumidendola con le mie lacrime. 

Il vostro rapporto ha subito un collasso a causa di ambo le parti. Nessuno ha ragione, nessuno ha torto. Constata razionale la vocina della coscienza. 

Batto la suola delle scarpe contro la ripida scalinata: un'aria di stantio aleggia nel corridoio.

Spinta dall'istinto apro la prima porta ritrovandomi nella sua camera da letto. Le lenzuola sono cincischiate e l'aria è profumata.

Il suo profumo... Amava spruzzarsi tonnellate di Bulgari, Dolce e Gabbana o qualsiasi altro profumo dalla fragranza regale.

Oltre la finestra, la pioggia dona alla stanza un torpore paternale.

Avanzo lungo la parete, pescando gingilli... Cinture... Fin quando mi imbatto nell'arma letale che distrugge il mio cuore.

Siamo io e lui, ritratti nei miei primi giorni di vita; rido al tocco delle sue dita.

E rido anche adesso, ma di amarezza perché ho appena compreso che mio padre è andato per sempre, sparito come una luccicante cometa che visita la terra per un effimero secondo. 

Volto la foto e il retro nasconde una pergamena scritta. 

24 luglio 1998, un giorno dopo la tua nascita, piccolina di papà. Quando ho posato lo sguardo sul tuo faccino queste parole non fanno altro che tormentarmi. Io e tua madre ci siamo guardati e dal quel momento ho capito che il mondo esisteva perché tu vi dovessi vivere.

TU! Dolce petalo incantato
leggiadra fatina ascetica
romito dono a me dato!

Giaci nell'epicentro dell'amore
attorniata d'una aguzza corona,
impenetrabile
cui l'accesso, demoni, tentano di rubare

Noi, generatori di tale perfezione
guardiani di tale fardello
come umili servitori
vegliamo il tuo sogno

È un istante: ci guardiamo.
La favilla a noi sottratta.
La ragione a noi rinnegata.
Unanimi, avvantaggiati dal tacito consenso
annunciamo l'ascesa di una Dea.

Il mio viso subisce un'onda anomale di lacrime.

[SPAZIO AUTRICE]

Questo capitolo è dedicato al rapporto padre e figlia.  Credo sia chiaro...

Prossimo capitolo si entra a capofitto nella vicenda!

Cosa ne pensate? Il padre di Sofia nonostante la sua constante assenza, l'amava come non tutti i padre sanno fare.

Sofia non ha voluto che Mathias andasse con lei. Perché secondo voi?
E cosa succederà con Furio e gli altri?

Vi aspetto più calorose che mai al prossimo aggiornamento. Dovevo trovarvi un nome.... Ma l'appuntamento è rimandato 😂😂😂... Vi voglio bene ❤️❤️

Vi ricordate dell'easter egg che ho annunciato all'ultimo capitolo? Era la data della morte del padre di Sofia:

Chapter 16 p.2: 20

Chapter 9: sette + tre= 10 mese/ ottobre

Chapter 8: diciassette anno

Un proverbio recita che il primo amore non si sposa; un fondo di verità c'è: come può una figlia sposare il proprio padre?

-LaVoceNarrante💙

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