'Il leone e la lupa' di Nataperscrivere
Titolo: Il Leone e la Lupa
Autore: Nataperscrivere
Genere: Avventura/Storico
Tipologia: Romanzo
Stato: Completata - Autoconclusiva
Rating: Giallo
Avvertimenti: La storia contiene scene di sesso.
Trama:
Damone è un gladiatore della scuola di Capua. È bello, sfrontato e così abile nei combattimenti che il suo lanista, Batiato, lo ha soprannominato Leone.
Livia è la figlia di Antonio Liviano, un ricco patrizio di Capua molto vicino al senato
di Roma. Nessuno sa che Livia ha un passato tormentato: il suo vero padre non è
Antonio, ma un cliente sconosciuto di sua madre, che faceva la prostituta. Quando la
donna muore Antonio, che ne era l'amante, decide di adottare la bambina, cambiandole nome e garantendole così una vita agiata. Ma Livia non può scordare il suo nome di battesimo: sua madre voleva farle capire che una condizione di debolezza può diventare un punto di forza. Così l'aveva chiamata Lupa. Tuttavia,
Livia è vedova di Claudio, un uomo che amava con tutta se stessa.
I due non potrebbero essere più diversi, e le barriere sociali li dividono. Ma la
passione non conosce ostacoli, neanche quelli posti dalla ragione umana.
Disclaimer: I personaggi sono di mia invenzione, tranne Batiato, Marco Crasso e Crisso, che sono personaggi storici, cioè realmente esistiti, e Lucrezia, che è ispirata
al personaggio impersonato da Lucy Hawless, nella serie tv Spartacus. Non si intende
violare nessun copyright.
Copyright © Nataperscrivere, tutti i diritti riservati
La storia Il Leone e la Lupa è nata circa un anno fa. Da sempre sono un'appassionata di storia romana, che ho studiato anche all'università. Per questo, decisi di seguire la serie tv Spartacus, ambientata durante il periodo Repubblicano. Inizialmente la storia nacque come appunti, nulla di definitivo: ancora non conoscevo Wattpad, perciò la storia, sotto forma di bozza, è rimasta parecchio tempo nel mio computer. Guardando la serie pensavo: cosa accadrebbe, se scoppiasse l'amore tra un gladiatore e una patrizia, ossia una donna ricca e libera? E così è nata la storia, capitolo dopo capitolo.
I primi due capitoli li ho scritti al mare, a maggio, sulla sabbia, carta e penna, lottando con il vento che cercava di strapparmi il quaderno dalle mani. Di norma, però, preferisco scrivere con il pc, solo, però, se mi sento ispirata per postare un capitolo. Di solito le idee più importanti mi vengono di notte...
Dal capitolo 3 – La profezia
"Devo proprio andare?" mormorò Livia, capricciosa, davanti allo specchio. Le era passata completamente la voglia di andare alla festa organizzata da Batiato e da Lucrezia. Gemina terminò di rifinirle l'acconciatura, e soddisfatta del risultato, guardò la padrona. "Su, bambina, che senso avrebbe rimanere in casa?" la incoraggiò, facendo cenno alle schiave di prendere i gioielli che Livia avrebbe indossato quella sera. "Sono due pidocchi, mi cercano solo perché sono la figlia di mio padre" mugugnò Livia, con la luna storta. "E tu hai accettato solo per passare una serata diversa. Siete pari, mi pare." ribatté Gemina, per nulla turbata. "Su, metti il bracciale e gli orecchini, la lettiga ci aspetta!" le diede un buffetto sulla guancia e le porse il bracciale d'argento, da spalla, che suo padre le aveva regalato qualche anno prima. Se lo mise controvoglia, sbuffando davanti allo specchio. Poi uscì dal suo cubiculum, maledicendo il giorno in cui aveva accettato l'invito.
Il tocco di classe che Batiato aveva riservato per la serata era una sibilla, fatta venire dal tempio di Apollo a Cuma, affinché divertisse gli ospiti con le sue profezie. E in effetti, quando Livia varcò la soglia, seguita da Gemina, c'era già una discreta fila davanti al tripode sul quale la giovane era seduta. Il capo coperto, tra le mani la ciotola che doveva contenere foglie d'alloro, o qualche sostanza che producesse vapori tali da indurla in estasi. "Una sibilla ad una festa privata?" mormorò Gemina, sconvolta. "Sarà una ciarlatana" commentò Livia, disgustata. "Livia, figlia di Antonio Liviano!" annunciò lo schiavo portinaio, e Livia, a disagio, sentì che l'attenzione della sala era tutta su di lei. Di certo era una delle ospiti più pregiate, e vide parecchie donne scrutarla con sospetto, mentre i loro mariti la fissavano con tutt'altro spirito. "Livia, benvenuta!" Lucrezia le era corsa incontro, sorridendo.
"La tua presenza onora questa casa. Vieni, posso offrirti una coppa di Falerno? Viene dalla riserva di mio marito Quinto. Ti prego, sentiti la padrona qui." Aggiunse, scortandole verso un triclinio dove potesse accomodarsi. Questa donna è estremamente gentile pensò Livia, che aveva risposto a quello sproloquio con un sorriso educato, accettando la coppa di vino. Ma si vede che è una gentilezza interessata concluse, mentre Lucrezia le faceva mille complimenti sulla stoffa dell'abito, sull'acconciatura e sul bracciale. Livia bevve il vino a piccoli sorsi, annoiata. "Tra poco sarà servita la cena. Spero tanto sia di tuo gradimento!" aggiunse Lucrezia, che in realtà provava una sincera ammirazione per Livia. "Ti ringrazio, lo sarà di certo." Gemina, che era rimasta in piedi, continuava a fissare la sibilla. "Sei interessata a una profezia? Quinto l'ha fatta venire direttamente da Cuma! Vuoi sentire cosa ti riserva il futuro?" la tentò Lucrezia, in tono complice. "Ti ringrazio, Lucrezia. Ma sapere cosa mi riserverà il futuro non ha interesse per me." Rispose Livia, freddamente. Lucrezia si morse la lingua, maledicendosi per aver parlato troppo. Come poteva una vedova essere interessata al futuro? Al passato, semmai. Ma non era facile scendere nel regno di Plutone, pensò sarcastica. "Perdonami, non volevo offenderti." Disse, in tono dispiaciuto. Livia fece un gesto che stava a significare che non aveva importanza. "Vieni, voglio presentarti alcuni amici!" Lucrezia la prese per un braccio, come se fossero amiche, e la portò verso un gruppetto di persone che parlottavano allegramente, in un angolo. Passando vicino alla sibilla, così vicino che avrebbero potuto toccarsi, Livia sentì un sussurro. Lupa. Si fermò, guardandosi attorno. "Qualcosa non va, mia cara?" chiese Lucrezia, interrogativa. "Nulla" rispose Livia, in fretta. Se lo era solo immaginato, o qualcuno aveva sussurrato il suo nome, il suo vero nome? Guardò la sibilla, che scrutava con aria assente nella sua ciotola. Che fosse...? Ma no, non poteva essere, si disse. Riprese perciò a camminare, accanto a Lucrezia.
Era almeno un'ora che, in piedi, mangiucchiava acini d'uva, ascoltando il resoconto che una pomposa matrona, di nome Giocasta, le stava facendo sulle peripezie del suo gatto. Aveva smesso di ascoltare già da tempo, ormai. Lupa. Ancora quel richiamo. Sussultò, ma Giocasta non parve farci caso, impegnata com'era nel suo noioso racconto. Lupa, vieni da me. Guardò nella direzione della sibilla: la stava guardando, e non poteva essere un caso. Che cosa voleva da lei? E come faceva a sapere della sua vera identità? Strinse gli occhi, riducendoli a due fessure. Vuoi vedere che era tutto un gioco di Batiato e Lucrezia, per ricattare lei e suo padre? Ah, ma per Giove tonante, l'avrebbero pagata cara. "Perdonami" disse alla matrona, che rimase di stucco quando Livia si incamminò verso la sibilla, che era scesa dal tripode e che le aveva fatto di raggiungerla. "Domina, che succede?" le sussurrò Gemina, agitata, seguendola. "Non lo so ancora, Gemina. Tu guardami le spalle." Rispose, attraversando l'arco in muratura, dietro al quale si era nascosta la sibilla, senza neanche dare il tempo alla libertà di rispondere. La ragazza era di spalle, e Livia la strattonò per un braccio. "Stammi a sentire, piccola ricattatrice..." iniziò, minacciosa. Le parole le si strozzarono in gola quando vide che la sibilla aveva gli occhi velati di bianco, in preda al furor: Apollo era entrato dentro di lei. Lasciò la presa, trovandosi con le spalle al muro. Lupa, figlia di Mesia disse la sibilla, con una voce che non era la sua. Tu credi di aver finito il pane, ma altro ne dividerai. Livia era in preda al terrore, non riusciva neanche a gridare, da quanto era sconvolta. La sibilla guardò verso il corridoio, e sorrise. Sta arrivando, presto sarà qui. Poi guardò Livia. Preparati piccola Lupa, presto incontrerai il tuo destino. E Livia, a quel punto, svenne.
"Mi senti, domina?" Livia riaprì gli occhi a fatica, sentendo del bagnato sulla fronte. Un giovane, vestito con una tunica che sembrava stargli stretta, la guardava. Livia si tirò a sedere con uno scatto. "Fai piano, o ti sentirai male di nuovo." Disse il giovane, aiutandola a mettersi seduta. "Chi sei? Dove mi trovo?" chiese Livia, agitata, guardandosi intorno: era in un piccolo giardino, seduta sul bordo di una fontana. "Sta' tranquilla, non voglio farti del male. Sono Damone, un amico di Batiato, e ti ho trovata svenuta in corridoio. Ho pensato che l'aria fresca della sera potesse aiutarti. Cos'è successo?" Già, cos'è successo? Si chiese Livia. Quella sibilla era vera, per Giove! E com'era quella profezia? Si portò le mani al volto, spaventata. "Mica vorrai svenire di nuovo?" la stuzzicò Damone. Ha ragione Batiato, è bellissima si disse. Non sarebbe stato un sacrificio troppo grande portarsela a letto. Si sedette accanto a lei. Livia si alzò, stizzita. "Dove vai? Sei ancora debole." Le disse Damone, cercando di trattenerla. Batiato lo aveva autorizzato ad usare ogni mezzo, per sedurla, ma non se la sentiva di approfittarsi di quella donna. Era così debole, e sembrava così confusa. Ebbe un improvviso lampo e rivide il volto di sua madre, che credeva di aver dimenticato. Ebbe un singulto, che cercò di soffocare. Cosa gli stava succedendo? Da quando aveva visto quella donna, Livia, si era sentito strano. Sbatté le palpebre, cercando di riacquistare il controllo. "Fatti i fatti tuoi, Damone." Disse Livia, sputando quel nome come fosse un insulto. Poi fece per incamminarsi verso la villa, ma l'uomo la trattenne. Aveva un lavoro da sbrigare, pagato bene, e per quanto quella donna lo turbasse, Batiato era il suo padrone, quello che gli riempiva la pancia e gli garantiva la sopravvivenza. Strinse ancora la presa, mentre Livia cercava di divincolarsi.
Lucrezia era in cerca di Livia. Sorridendo agli ospiti, che stavano cenando al suono dei flauti suonati dagli schiavi, scandagliava la sala. Sarà tornata a casa? Si chiese, con sgomento. Ma poi vide che la sua libertà si stava guardando intorno come lei. Le si avvicinò. "Dov'è la tua padrona?" Gemina, per tutto risposta, le scoccò un'occhiata torva. "é quello che vorrei sapere, domina. E' sparita da ore. E suo padre non ne sarà affatto contento." Disse, in tono secco. Lucrezia sentì un brivido gelido da ore. E suo padre non ne sarà affatto contento." Disse, in tono secco. Lucrezia sentì un brivido gelido correrle lungo la schiena. "Sono sicura che sarà qui vicino" disse, sorridendo. Doveva trovarla, e subito. Si avvicinò a un legionario che era di guardia. "Cerca Livia, e fai presto!" ordinò, ma quello non si mosse. "Che fai lì impalato?" esclamò, stizzita. "Mi dispiace, domina, ma devo tenere d'occhio Damone. Non posso muovermi di qui." "Damone?! Ma che dici, è nella sua cella!" disse Lucrezia, trasalendo. Il legionario capì di aver detto troppo, e abbassò lo sguardo. La donna lanciò uno sguardo al marito, che stava ridendo tranquillamente con alcuni ospiti. "Quinto, puoi venire un attimo?" mormorò Lucrezia, con voce flautata, scusandosi con gli ospiti con un sorriso. "Cosa c'è?" chiese Quinto, bevendo dalla sua coppa, annoiato, una volta che si furono allontanati. Lucrezia gli si accostò all'orecchio. "Potrei sapere perché un gladiatore se ne sta andando in giro liberamente per la villa?" chiese, con asprezza. Batiato tossicchiò, imbarazzato. "Non so di che parli." Lucrezia gli conficcò le unghie nel braccio. "Falla finita e ascoltami. Ti avevo detto che Livia non è il tipo che si sollazza con i gladiatori. Ora ti chiedo: dove l'hai portata? Rischiamo la testa, lo hai capito?" sibilò. "Non so dov'è. Ho detto a Damone che poteva andare dove voleva." Disse Batiato, spaventato. Lucrezia chiuse gli occhi, sforzandosi di calmarsi. "Che cosa gli hai detto? Di usarle violenza?" Batiato scosse vigorosamente la testa. "No, assolutamente. Devono solo accoppiarsi." Lucrezia fece un verso di scherno. La testardaggine di suo marito rischiava di rovinarli per sempre. "Trovalo subito, Quinto. O nell'arena ci finirai tu, la prossima volta."
"Lasciami subito, razza di idiota!" urlò Livia, mentre Damone stringeva la stretta. Non voleva farle del male, solo cercare di trattenerla con lui il più possibile. "Urlerò con tutto il fiato che ho in gola, chiaro?" urlò di nuovo la donna, lottando come una tigre. Nella concitazione, un nodo della tunica di Livia si sciolse, e Damone, nella porzione di pelle libera, vide un segno. Era un cerchio sbiadito, che doveva esserle stato inciso nella carne molto tempo prima. Rimase allibito: perché mai una matrona doveva avere quel tipo di segno? Lo guardò meglio, ed ebbe quasi un mancamento. Intorno al cerchio si vedeva un piccolo sole. Era il simbolo di Nuyade, la proprietaria di bordelli più famosa di Roma. Lasciò la presa: chiunque fosse quella donna, non era la matrona stupida che Batiato credeva, oh no. Non le avrebbe mai arrecato danno, non a una donna marchiata come lui. "Chi sei, tu? E perché porti sulla pelle il simbolo di Nuyade?" le chiese. Livia sussultò, sentendo quel nome che sperava di dimenticare. "Come fai a conoscerlo tu, piuttosto. Non è un posto che si addice a una bella tunica come la tua." Rispose, sarcastica. Per tutta risposta, Damone se la tolse. "Che significa?" chiese Livia, guardinga. "Non sono un ingenuo, un nato libero. Sono uno schiavo, un gladiatore." Disse, mostrando il segno che portava sulla pelle: una B sulla schiena, simbolo della scuola di Batiato.
"Siamo uguali, io e te. Non potrei farti del male".
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top