TRE SEMPLICI PAROLE
Quando qualche ora più tardi sentii i pneumatici dell'auto di mia madre corsi ad aprire la porta. Stava togliendo alcune borse dal bagagliaio perciò non si accorse subito che le ero andata incontro.
"Mamma!?", la chiamai.
Balzò di lato, lasciando quasi cadere a terra un sacchetto.
"Micol! Mi hai fatto prendere un colpo". Si portò la mano al cuore, controllando il suo orologio da polso. "Non dovresti essere a lavoro? Che ci fai a casa?".
"Ho preso un permesso".
Mi lanciò un'occhiata severa.
"E' venuta a trovarmi Sarah", mi giustificai.
Notai che la sua fronte si stava corrugando nello sforzo di capire di chi diavolo stessi parlando. Poi collegò: "Oh, la tua amica di Port Townsend?".
Presi due borse e l'aiutai a trasportarle in veranda.
"Passava da queste parti e ha pensato di fermarsi fino a domani. E' stata una sorpresa anche per me".
Se non fosse stato per ciò che era successo con Stephen mi sarei messa a danzare in giardino.
"Può restare a dormire da noi?", la supplicai.
"Certo che sì, è ovvio".
Aprì la porta e i suoi occhi si posarono per la prima volta sull'unica persona che aveva condiviso con me ogni giornata di quegli ultimi otto anni. Mi chiedevo cosa stesse provando. Se le parti si fossero capovolte, al suo posto avrei provato gelosia per quella ragazza sconosciuta che conosceva sua figlia meglio di lei.
"Ciao Sarah", le strinse la mano, cordiale.
All'apparenza non sembrava gelosa, né innervosita dalla sua presenza. Sembrava piuttosto incuriosita, desiderosa di scoprire parte della mia vita.
"Buongiorno, signora", abbozzò lei, sulle spine. "Finalmente ci conosciamo. Micol non ha fatto altro che parlare di lei in questi ultimi anni".
"Davvero?". Mia madre mi guardò con la coda dell'occhio, allargando le labbra in un sorriso. "Mi dispiace che l'altra volta non ci siamo conosciute".
Quella frase portò via con sé tutto l'imbarazzo iniziale.
"Perché non mi aiuti con le borse mentre Micol va di sopra a sistemare la stanza per stanotte? Così mi racconti cosa avete combinato in questi ultimo otto anni", propose a Sarah.
"Mamma", roteai gli occhi mentre già salivo le scale. "Non la tormentare".
"Stai scherzando?", si intromise Sarah, raccogliendo in fretta una borsa. "Quale miglior occasione per raccontare il peggio di te?".
Salii in camera mia e tirai fuori dal comodino lo spazzolino da denti che avevo comprato qualche settimana prima. Poi rovistai nell'armadio alla ricerca di un cuscino e lo sistemai accanto al mio. Non avevo voglia di gonfiare il materassino ad aria, perciò mi limitai a cambiare le lenzuola – dal momento che la scorsa notte il mio letto era stato un po' affollato – e tornai in soggiorno in un attimo.
"Davvero non beve più?", sentii la voce apprensiva di mia madre in cucina.
Mi bloccai in fondo alle scale e trattenni il respiro.
"Glielo assicuro", rispose Sarah. "I primi tempi che la conoscevo arrivava in classe ubriaca, fumava... era come se dovesse sempre trovare un modo per staccarsi dalla realtà. Ma poi col tempo si è come rassegnata. E onestamente non so se questo è un bene".
"In che senso?".
Seguì una breve pausa, rotta solo dal rumore dei sacchetti che una delle due stava piegando.
"Non so se faccio bene a parlargliene, signora. Ma la rabbia di sua figlia in qualche modo dovrà placarsi e se lei è tornata a Port Angeles è proprio per...".
"Per?", la incalzò mia madre. La voce tanto preoccupata che mi fece scattare.
Attraversai il soggiorno di corsa, lanciandomi verso la cucina.
"E' bene che lei sappia che il motivo per cui Micol è tornata...".
Oh mio Dio!!! Il cuore mi balzò in gola. Percorsi l'ultimo metro quasi senza toccare terra.
"Ehi!", urlai, entrando. "Di che stavate parlando?".
Mia madre e Sarah sussultarono e stiracchiarono le labbra in due sorrisi talmente fasulli da farmi montare la rabbia.
"Di nulla!", si rubarono le parole di bocca.
Sarah mi venne incontro e mi afferrò il polso. "Perché non andiamo un attimo in camera tua?", propose tesa.
Scelsi di fingere di non aver sentito nulla. "Va bene".
Il pomeriggio trascorse veloce; sistemammo tutte le foto di noi due a Port Townsend in un album nuovo, mi aiutò ad installare la nuova versione di Photoshop, scendemmo in cantina e le mostrai tutte le cose che erano appartenute al mio passato, poi, dopo cena, tornammo al computer per mandare un e-mail a mia nonna.
"Tu la vedi ogni tanto?", le chiesi, mentre digitavo veloce sulla tastiera.
"Sono passata a trovarla l'altro giorno", annuì, controllando ciò che stavo scrivendo. Era proprio una ficcanaso.
Mi scappò un sorriso spontaneo. "Scommetto che aveva fatto una delle sue torte".
Digitai ancora qualche parola, la salutai da parte di Sarah e inviai il messaggio.
Girai sulla sedia e controllai ciò che stava facendo. Ora era intenta a giocherellare con un orsacchiotto di peluche che avevamo tolto dagli scatoloni in cantina.
"Se ti pace te lo regalo".
"No". Scosse la testa imbronciata, tirandogli un orecchio, "Lo vedi che il tuo passato non è così brutto? Io non ce l'ho mai avuto un orsetto di peluche".
"Quello appartiene al mio passato più bello".
Il broncio non svaniva. "In tanti anni non mi hai mai detto perché fossi tanto triste".
"Lo sai perché non l'ho fatto".
Sospirò, lasciandosi cadere sdraiata sul letto, a pancia in giù. Giocherellò con una ciocca di capelli, attorcigliandosela al dito. Poi si voltò verso di me.
"Perché sei così convinta che io possa morire se me lo racconti?".
Mi andai a sdraiare accanto a lei. Posai la testa sul gomito e restai ad osservarla. Era una delle persone a cui tenevo di più.
"Se tu avessi anche solo il sospetto che, confidandoti con me, io rischiassi di morire, che faresti? Non staresti zitta?".
Ci pensò un po' su, roteò su un fianco e corrugò la fronte, cercando di immaginarsi in una situazione simile. "Non saprei. Forse, e dico forse, lo rivelerai a qualcuno parlandogli nell'orecchio. Nessuno lo scoprirebbe mai".
Valutai con calma le sue parole. "Come posso metterti in pericolo? Proprio te? E' troppo rischioso".
Mi alzai dal letto per prendere una coperta e tornai a mettermi accanto a lei. Mi sembrava un buon metodo per chiudere il discorso. Spensi la luce e le augurai la buonanotte. Lei ricambiò automaticamente e per qualche minuto scese il silenzio. Era bello avere accanto qualcuno di cui non si aveva paura.
"Micol!", bisbigliò dopo un pò. "E' per questo motivo che tu e Stephen avete litigato?".
Una fitta al cuore mi riportò a qualche ora prima. Era incredibile come un attimo di felicità, svanendo, potesse far più male di anni e anni di sofferenza.
"Pensavo che lui fosse diverso. Tutto qui", minimizzai.
Seguì un altro lungo silenzio, poi parlò di nuovo. "Il fatto che non ti ama come vuoi tu non significa che non lo faccia con tutto sé stesso".
"Lo so", sussurrai.
"E allora perché, Micol? Perché non l'hai reso partecipe della tua vita?".
"Sai bene il perché. Il motivo è lo stesso per cui nemmeno con te mi sono mai aperta".
Cambiò posizione e mi ritrovai sul bordo del letto, in bilico. Sentii dell'aria fresca sulle spalle e capii che mi aveva tolto la coperta.
"Che stai facendo?", domandai, accendendo la luce del comodino.
Sbattei gli occhi per abituarli alla luce e la trovai accucciata accanto alla mia scrivania, intenta ad accendere il computer.
"Che fai?", domandai ancora.
Mi sorrise impertinente. "Ti salvo la vita".
Scesi dal letto e la raggiunsi. "Tu fai cosa?".
Sul computer era apparsa la mia casella di posta elettronica. Finalmente collegai tutto.
"Oh no, no, no", protestai, sfilando il mouse da sotto le sue dita. "Non gli manderai un messaggio".
"Smettila di fare la bambina e dettami quello che hai da dirgli".
"Non ho niente da dirgli".
Mi inviò uno dei suoi sorrisi sadici. "Io credo di sì".
Mi stavo arrabbiando. "E cosa dovrei scrivergli?".
"Un "mi dispiace" tanto per cominciare. Oppure potresti inviargli quel capitolo del tuo diario-libro che tieni in una casella nascosta". Rise della mia espressione. "Pensi davvero che non lo sappia? Tu non ti confidi con nessuno. Mai. E' normale che il tuo passato sia scritto da qualche parte qui dentro", batté l'indice sullo schermo.
Mi sistemai sul bordo della scrivania, mordicchiandomi l'unghia del pollice.
"Quindi?", mi incalzò.
"Quindi sono troppo arrabbiata con lui per un mi dispiace. Diciamo che sono più propensa per un vai al diavolo".
Mi accorsi troppo tardi che stava trascrivendo ogni mia parola. Appiccicai il naso al computer e rilessi il messaggio.
"Non lo inviare", dissi svelta.
Eppure, quando premette il tasto invio provai un arrogante senso di trionfo.
Restammo tutte e due con gli occhi fissi sulla casella "messaggi in arrivo" e quando dopo cinque minuti non arrivò nessuna risposta tutto il moto di trionfo che avevo provato lasciò rapidamente il posto ad un'agonizzante disperazione tipo che cosa ho fatto?
"Starà dormendo", non c'era un filo di convinzione nel suo tono.
Abbattuta tornai sotto le coperte e nascosi la testa.
"Si sistemerà tutto, Micol, vedrai", m'incoraggiò, cercando di tirare l'orlo della coperta.
Sentii le dita fredde dei suoi piedi sulle mie gambe.
"Sei comoda?", chiesi.
"Sì, tranquilla".
"E a te come va? Oggi abbiamo parlato solo di me".
Ridacchiò. "Non ci crederai mai ma sono stata mollata anch'io".
"Sì, ma tu hai tre fidanzati. Te ne restano altri due".
Le sfuggì uno sbadiglio e capii che da lì a poco si sarebbe addormentata. "Ma è quando ne hai uno solo che smetti di sentirti sola".
"Sembra un paradosso".
Ridacchiò ancora. "Già".
Trattenni uno sbadiglio. "Hai sonno?".
"Da morire. Ma prima di addormentarmi volevo chiederti ancora una cosa", aggiunse in fretta.
"Dimmi".
"Tu hai mai fatto l'amore?"
Impiegai un minuto buono per trovare il coraggio di risponderle. "Sì".
"Wow! Con Stephen?".
Restai in silenzio a lungo."No".
"Ehi", posò la mano sulla mia guancia. "Perché questo tono tombale?".
Mi rannicchiai tra le sue braccia. "Perché avrei tanto voluto che Stephen fosse il primo".
Sarah se ne andò la mattina dopo col primo treno della giornata. Come al solito aveva insistito perché non l'accompagnassi alla stazione, perciò ero rimasta nel letto rigirandomi inquieta, senza nessuna voglia di alzarmi prima di mezzogiorno. Il mio turno al Burgher King iniziava alle quattro del pomeriggio quindi mi restava una buona fetta di giornata da riempire. E il mio morale era così a terra che non riuscivo a far altro che vegetare sotto le coperte e a sbirciare di tanto in tanto sullo schermo del computer per assicurarmi che nel frattempo Stephen non mi avesse inviato una risposta. Mi sarei accontentata di tutto, mi sarebbe bastato anche un messaggio offensivo piuttosto che quel silenzio.
Stephen era passato nella mia vita veloce come il vento. Era entrato nel mio cuore, gettando nel caos ogni certezza che aveva organizzato la mia vita in una scaletta facile da seguire: lacrime, alternate ad urla e ancora lacrime...
E poi se ne era andato, veloce come una raffica di vento, lasciandomi paralizzata dal freddo, incapace di fermarlo. Perché il vento non si può catturare e richiudere in un barattolo. Ti fa sentire vivo, ti scuote dal torpore e poi ti lascia sola, col desiderio di percepirlo ancora.
Esisteva solo un modo per farlo tornare da me. Lo sapevo bene. Quello che però ancora non sapevo era se sarei stata tanto egoista da raccontargli tutto, anche a costo di metterlo in pericolo solo per il mio bisogno di averlo vicino e di riprendermi il suo amore
La risposta era chiara nella mia testa: sì, avrei sacrificato tutto, anni di silenzio, di solitudine, la sua vita stessa.
Aprii i file dove avevo nascosto il prologo del mio diario-libro e lo guardai, rifiutandomi di leggere le parole.
Esisteva un atteggiamento più egoistico di questo?
Chiusi gli occhi mentre cliccai su STAMPA.
Potevo farlo?
Potevo scegliere tra la mia felicità e la sua sicurezza? Entrambe le alternative mi lasciavano scontenta, dolorante dalla punta dei piedi alla testa. Era un bel compromesso, e i compromessi funzionavano in quel modo. Non c'era un'alternativa e sapevo che a mente lucida me ne sarei pentita.
Ma ormai avevo già deciso.
Ero tornata ad essere un mostro.
La stampante smise di sputare i fogli, li raggruppai e li infilai in una busta. Era come se il pavimento si fosse incrinato di 45° e io stessi scivolando. Mi attaccai alla scrivania per mantenere l'equilibrio e solo quando quella sgradevole sensazione passò ritrovai il controllo delle mie gambe e corsi in macchina.
Mancava solo mezz'ora all'inizio del mio turno ma me la sarei fatta bastare. Se avessi avuto più tempo, sicuramente la mia coscienza mi avrebbe indotta ad essere obiettiva e mi avrebbe fatto tirare dritto per la provinciale, verso il Burgher King. E i fogli del mio prologo sarebbero rimasti al sicuro, dentro la macchina di mia madre.
Dovevo agire d'impulso. Quello era il trucco! Non dovevo lasciare il tempo alla mia coscienza di immischiarsi.
Perciò stritolai il volante e imboccai l'autostrada, verso casa di Stephen, proprio mentre un raggio di sole rimbalzò sull'asfalto e mi abbagliò. Abbassai l'aletta parasole e pigiai forte sul pedale dell'acceleratore, facendo protestare il vecchio motore dell'auto e superando il traballante furgone bianco delle poste.
Raggiunto il vialetto davanti casa di Stephen inchiodai a pochi centimetri dal parafango della sua Audi, sollevando una nube di sassolini. Fissai l'altalena legata al ramo di un albero e per un momento mi persi nei ricordi.
Stephen dovette sentirmi arrivare perché quando spalancai la portiera era già lì, di fronte a me, in calzoncini e canottiera.
Non spensi il motore né scesi dall'auto. Mi limitai ad afferrare la busta e a consegnargliela. La sentii scricchiolare mentre le sue dita l'aprivano per togliere quei pochi fogli freschi di stampa.
"Prologo?", lesse. Poi sollevò gli occhi e mi guardò da sotto le sue lunghe ciglia nere. "E' quello che penso?".
Ero incapace di parlare. Nella mia testa continuavo a ripetermi: la mia felicità o la sua vita. Quella frase rimbombava come colpi di frusta, lasciando piaghe fresche e pulsanti sul mio cuore.
Stephen si accucciò di fianco alla portiera aperta e tese il viso verso l'alto, guardando pensieroso il sole. Le sue pupille si restrinsero e tornarono ad allargarsi quando sbatté le palpebre. Poi guardò me.
Mi guardò ancora.
E ancora...
"Non voglio leggerlo", disse infine. Allungò verso di me la mano con la quale reggeva la busta.
"Perché?", balbettai. "E' il metodo più sicuro che ho per dirti la verità".
Sollevò le spalle, fingendo indifferenza. Era ancora arrabbiato, glielo si leggeva in faccia.
"Perché non me lo hai fatto leggere prima?", mi sfidò.
Abbassai lo sguardo. "Non potevo".
Per un breve istante tutto il suo distacco si attenuò e tornò a fissarmi come se di me gli importasse ancora.
"Nemmeno ora puoi, ma lo fai perché ritieni sia il metodo più veloce per fare pace con me. E se condividerlo con me ti spaventa, come posso desiderare ancora di sapere la verità?".
Strinsi le labbra, affranta. Avevo fatto tanto per trovare il coraggio di arrivare fin lì. Non potevo sopportare l'idea che andasse sprecato. Non potevo nemmeno sopportare l'idea che lui mi voltasse le spalle e rientrasse in casa senza avermi lasciato la possibilità di farmi perdonare.
"Ti prego, Stephen. Ti prego. Leggilo. Perché ho bisogno che almeno una persona sappia quello che ho fatto. Ho bisogno che tu sappia che...", la voce mi morì in gola.
"Cos'hai fatto di così terribile?".
Deglutii un paio di volte e socchiusi le labbra, sussurrando al suo orecchio le tre parole che per anni non ero mai riuscita a pronunciare ad alta voce. "Sono stata violentata".
Per un lungo istante Stephen rimase immobile, pietrificato, con le mie labbra ancora incollate al suo orecchio. Fissava un punto davanti a sé, senza vederlo, senza più riuscire a guardarmi in faccia.
Ma non fu quello a mandarmi in pezzi il cuore. Fu quel semplice luccichio nei suoi occhi che spesso precede le lacrime. L'avevo visto arrabbiato, malizioso, arrogante, avvolto nella più diabolica perfidia. Ma mai, mai l'avevo visto talmente ferito da apparire arreso. Andava oltre a qualunque cosa fossi in grado di sopportare.
E poi quel luccichio diventò una lacrima solitaria, impigliata tra le sue ciglia, e si decise a scendere solo quando io inserii la retro e i nostri sguardi, attraverso il parabrezza, si incontrarono per la prima volta dopo quelle tre parole.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top