La diagonale Alechin
LA DIAGONALE ALECHIN_di Arthur Larrue Ed. Neri Pozza, 2022; 256 pagine
Provo ammirazione, quasi sempre, verso i musicisti. Non tutti. Esclusivamente verso alcuni violinisti, alcuni pianisti, ultimamente anche, spulciando nel jazz, verso qualche trombettista. Consumo, sottraggo, esaurisco - almeno ci provo - la loro arte quando sono davanti a loro. Ciò che smuove questa mia propensione di meraviglia è l'incredibile passione che recano e, presumo, la rigida disciplina che fin da bambini avranno maturato, fin a riuscire a chiudere quel che noi, comuni e normali, fatichiamo ad unire: l'intelligenza alla praticità e alla bellezza. Diverso è per i pittori o gli artisti in generale, creatori materiali di opere (si annoverano pur scultori e perché no, scrittori, fotografi anche) perché in loro scovo molto spesso parecchie note di egocentrismo che assolutamente li differenzia, li smarca, li rende anche e spesso antipatici. I musicisti non li vedo mai con questo difetto. Anche perché, diciamolo chiaro e tondo, paiono chiusi in una sorta di ottusità quando escono da quel circuito che, ribadisco, contrariamente a noi, par riescano a chiudere. Ma non bisogna parlare di psicopatologie. Perseveranza, capacità espressiva, una sorta di morbosa manifestazione, queste sono le cose che li contraddistingue.
Ma non è di musicisti che tratta La diagonale di Alechin. Tratta di scacchisti, di uno in particolare, ritenuto da molti "lo scacchista contro il quale è impossibile giocare" e mi son reso conto anche, osservando video, leggendo, informandomi sull'attuale campione norvegese Magnus Carlsen ( 5 titoli irridati che non difenderà nel 2023, pare per mancanza di stimoli, ovvero, manifesta inferiorità secondo lui dell'avversario preposto) quanto di mente, queste persone, siano simili a quegli stessi musicisti che ammiro.
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"Mezzo assopito, ancora un po' immerso nei suoi ricordi, Alechin si chiese quanti individui, tra i giocatori di scacchi del secolo scorso, fossero sprofondati nella follia[..]Perché una simile frequenza non si ritrovava anche nelle altre arti? Cosa, negli scacchi, costava così tanto l'anima? L'idea che la complessità di questo gioco andasse oltre la ragione lo lusingava. E lui, era riuscito a dominarla quella complessità?"
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O forse son di tutt'altra follia?
Ve lo anticipo, non farò spoiler del libro. Parlo di fatti, fatti che tutti possono documentare nella biografia di Alechin e, andando subitissimo al dunque, egli non riuscii a dominare questa strana complessità della ragione che aliena questo tipo di persone. Il romanzo, a mo' di biografia, si dipana dagli anni Quaranta del secolo scorso fino alla fine del conflitto. Occhi d'acciaio, di un azzurro terreo, bocca stretta, Aleksandr Alechin era di origine russa, sostenitore degli Zar. Scampò da una condanna a morte dopo la Rivoluzione Bolscevica ed ottenne, dopo aver abbandonato la terra natia, la cittadinanza francese. Durante i suoi soggiorni in Sud America divenne campione mondiale di scacchi nel 1927 a Buenos Aires, sfidando il campione cubano Capablanca, che dominava la scena da quasi un decennio.
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"Cosa lo distingueva da tutti gli altri giocatori di scacchi che erano spuntati un po' ovunque per secoli? La sua assenza di genio, precisamente. Le ferite che si era dovuto sistematicamente infliggere per ottenere ciò che gli era stato rifiutato per nascita. Fin dalla più tenera infanzia, Alechin aveva dovuto sottoporsi a una disciplina stretta come un nodo corsoio, pungente e penetrante come un ago sotto un'unghia. Questa disciplina lo aveva portato a diventare quell'essere che Ruben Fine aveva definito il "sadico degli scacchi": un giocatore capace di godere delle sofferenze che poteva infliggere all'avversario[..]"
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Il romanzo di Larrue ha un qualche aspetto che sa di personale. Non credo sia dato al caso l'aver scelto un soggetto di questo tipo. Lui stesso, francese, migrato in Russia a San Pietroburgo ed insegnante di letteratura francese, ha dovuto lasciare il paese a causa del suo primo libro "Partir en guerre", una critica forte della Russia e la dissidenza artistica contemporanea nel paese. Come il protagonista del suo romanzo è costretto a risiedere nelle varie capitali europee in attesa di prendere in mano il proprio destino.
La narrazione de La diagonale di Alechin è caratterizzata non solo da una onniscienza a focalizzazione zero, ovvero non orientata dal punto di vista del personaggio principale, ma da molto più. L'autore si concede molto spazio: interviene commentando esplicitamente la diegesi interpretando e giudicando fatti e personaggi, racconta spesso il non detto ovvero l'implicito del personaggio ed esprime idee invitando il lettore alle diverse peculiarità di ogni situazione:
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"[..]Alechin già non era più là. Come un segnale opaco perso in lontananza, vide la silhouette di Grace assottigliarsi sulla promenade. Costeggiava il lato cabinato della nave. Si aggrappava al passamano di legno della balaustra. Non si voltò neppure un attimo verso l'oceano. Sembrava avesse paura. E se fosse scivolata sul carabottino? Se fosse precipitata oltre il parapetto cadendo in acqua a capofitto? Nel tempo necessario perché Alechin uscisse dal suo scacchiere mentale, afferrasse un salvagente e glielo lanciasse, lei non sarebbe colata a picco? Avrebbe avuto qualche possibilità di nuotare, impedita com'era dalla pelliccia? Ma sapeva poi nuotare? La temperatura dell'acqua e la paura degli squali non sarebbero stati sufficienti a folgorarle il cuore?"
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Conosce passato, presente e futuro. Esso viene presentato a volte come cronaca: sa quel che pensano e sentono intimamente i personaggi e, ancor più, esprime idee, che possono essere semplici considerazioni personali o impressioni comuni in un determinato tempo di determinate persone:
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"[..]Grace gli sembrava meno invitante. Era americana, e gli americani non avevano nessun senso della conversazione. Spiriti volgari, mercanti inglesi privi di buona educazione e di Storia, credevano solo nel potere dei dollari. Presto, pensava con tristezza il marinaio, avrebbero regnato su un mondo universalmente monetizzabile e c'erano buoni motivi di chiedersi come sarebbe stato possibile adattarsi a tanta rozzezza."
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In sostanza l'autore si pone direttamente nei confronti del lettore, manifestando a chiare lettere che sta narrando una storia, documentata ed avvenuta realmente, precisando e appuntando spesso, quali conseguenze o quali risultati verranno a determinarsi, illustrando la vita antecedente di alcuni personaggi interponendoli in questo modo alla narrazione principale. Ha quasi le medesime fattezze di un Manzoni nei "Promessi Sposi".
Larrue inoltre, furbescamente, ammette in un punto preciso del romanzo, che davanti al lettore scorreranno i fatti attraverso una cronaca fattuale, non documentata da alcun tipo di archivio. E' un ottimo stratagemma per affiancare alla più fedele cronaca di ogni avvenimento, una fervida fantasia:
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"[..]In questi eminenti specialisti degli scacchi, la probità del trattamento delle fonti vien prima di tutto. Essa prevale. Prevale anche sull'ammirazione per Alechin in quanto giocatore di scacchi. L'esame freddo e scrupoloso degli archivi costituisce la primissima virtù di questi storici e non può stupire che il loro rigore scientifico li abbia tenuti lontani dal campo abominevole e poco documentato in cui stiamo per avventurarci a partire da adesso."
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(CONTINUA)
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