XXI

(Samuel Allan)

«Mamma...» la chiamai senza fiato.

I suoi occhi arsero con fare protettivo. «Lascialo.»

«Sai, Sasha, tu hai tantissimi problemi e gran parte di questi te li sei trascinati dietro con la tua umanità. Ti ricordi cosa ti consigliai di fare quella volta, quando sei venuta da me furente per chiedermi dove fosse tuo padre? Dovevi spegnere i tuoi sentimenti, lasciarti manipolare dall'ira e dalla vendetta. Ti ho vista in quelle vesti e sei divina» vantò lascivo, massimizzando la presa. «Sai chi è capace di rinunciare alle proprie emozioni? Un dio, ecco chi. Tuo padre è diverso, si nutre della paura e del rancore. Lui è un Incubo di natura.»

Mamma cominciò a sudare freddo. Sapevamo entrambi che fosse immischiato in questioni losche, ma non ci aspettavamo che stesse scoprendo le sue carte una ad una senza problemi. Non ci vedeva affatto come una minaccia e questo era un serio problema, stava pensando di eliminarci o come farci sparire senza tracce.

«Azrael non sa che sei qui, questo significa che non ti cercherà. Almeno per un po'. Mossa piuttosto stupida. Mi hai regalato tempo e al giorno d'oggi è un dono prezioso, ti ringrazio» commentò. «Me lo hai nascosto per anni e io non sono mai riuscito a vederlo per via della sua aura. Mi dicevo che fosse un mio tarlo, che As fosse come suo padre, inutile e senza talento, ma mi sbagliavo, non è così? Lui è speciale perché lo hai creato tu.»

«È solo un ragazzino, Samuel. Non c'entra con tutto questo!» si scaldò.

«Anche io lo ero a quel tempo, ma ho avuto l'ardore di prendere ciò che mi spettava» rispose, avvolse le dita tra i miei capelli e li tirò, facendomi piegare la testa verso l'alto.

Era appoggiato alla scrivania e avevo le unghie conficcate nei braccioli della poltrona.

«Sei così pieno di energie, così giovane... Mi ricordi me» borbottò l'uomo. «I Demoni si nutrono di sangue e persino tua madre ne sente il richiamo. La quantità di zuccheri e proteine che ingerisce con il cibo umano non è abbastanza per lei, tuttavia per te lo è. Ti ho visto goderti quel dolce fino all'ultima briciola. Ne sono quasi invidioso. Non hai mai bevuto del sangue» sentenziò. «Sei puro.»

Battei i denti. «Non ne ho bisogno...»

Mi lasciò andare. «Voglio vederti meglio. Togliti la maglia» ordinò secco.

Rimasi immobile, senza reagire, mentre l'espressione dell'uomo si incupì, notando il mio smarrimento generale. La prima cosa che feci fu guardare mia mamma e chiederle aiuto. Persino a lei la richiesta le parve strana, Samuel non era un tipo espansivo e odiava toccare le persone. Con me era l'opposto.

Kiral strinse i pugni. Aveva il viso rosso. «Con questo hai chiuso, ce ne andiamo.»

Un'ombra salì dal pavimento e bloccò la soglia. Il tanfo della sua aura appestò lo studio e mamma si coprì il naso con disgusto. Gage Bryce si materializzò davanti l'uscita e la oscurò con la sua presenza. L'ufficio piombò nella penombra, illuminato solamente dalle piccole lampade arancioni da scrivania e dalla fioca luce del computer.

L'Incubo ammantò ogni cosa e restò davanti alla donna, inclinandosi in avanti per farle un ampio sorriso. Kiral respirò affannosa e fece due passi indietro. Pur non entrandole nella testa riuscii a vederle con chiarezza il terrore per quell'uomo che ancora le provocava orrende visioni.

«Cosa diamine hai fatto?» gli urlò contro. «Vuoi davvero ucciderci?»

Samuel arricciò il naso. «Perché dovrei uccidervi? Mi serviva solo il ragazzino» rispose con noia. «In questo piano non ci sono telecamere. Su, non essere timido. Ti do cinque secondi e poi lo farò io stesso.»

L'Incubo mosse le dita e le sfiorò una ciocca di capelli color grano. «Tu sei mia» borbottò euforico. «Io e lui abbiamo fatto un Patto. Avrei dovuto portargli il bambino intero, ma era debole. Mi serviva nel pieno del suo potenziale, sveglio, e ci ho giocato un po'. Come sospettavo lo hai portato tu da lui. Ora ho l'intera eternità per vendicarmi di te.»

Ansimai e scossi la testa. «No, aspetta!» mi intromisi. «Farò quello che vuoi, ma non farle del male, per favore.»

Mi tolsi subito la maglia e la gettai a terra, mostrandogli che fossi disarmato. Probabilmente pensava che fossimo venuti con intenzioni di guerra, di smascherare le sue opere davanti ai principi e i regni, mentre mamma voleva solo avere le sue risposte. Le aveva ottenute, alla fine: era stato lui a creare Gage Bryce, a liberarlo dalla sua prigione e spingerlo contro di noi. Tutto per me, per avere quel momento.

L'uomo alzò un angolo del labbro e spinse l'Incubo lontano dalla donna, dato che aveva cercato di afferrarle il braccio. Il mostro ululò a terra, soffrendo per la mancata occasione.

«Per favore» ripeté Samuel stupito. «Mi piacciono i ragazzi educati. Se fai come ti dirò io, ti prometto che non farò del male alla tua mammina, okay, nipote?»

Annuii, masticandomi la lingua e l'Incubo sputò qualche insulto, ricordando la promessa dell'uomo sul loro verbale accordo. Gage Bryce avrebbe dovuto portarmi da lui quella notte, era lui il misterioso mandante e, dato che il Re non poteva avvicinarsi ai rifugi per le rune difensive, aveva mandato altri a farne le veci. La vera domanda era perché volesse me dopo tutto quel tempo.

Samuel mi dette un'occhiata dall'alto in basso e mi sfiorò un orecchio. Tracciò con il dito la linea della mandibola, la vena del collo e la spalla, fino ad arrivare in mezzo alla schiena. Mi toccò le ossa e vi premette forte la mano.

«Devo essere io a chiedertelo?» sospirò scocciato.

In un debole pigolio lasciai andare le ali e mossi i muscoli addormentati. Alcune piume corvine caddero a terra e le tirai vicino al mio corpo, quasi per difesa. Samuel ne afferrò una manciata alla base e io mi piegai, soffocando un gemito di dolore. Tirò così forte le piume da strapparmele dalla carne.

«Samuel, ti prego! Non fare del male al mio bambino» lo supplicò Kiral.

Lui non la ascoltò e di conseguenza fece due passi in avanti. L'Incubo le tagliò la strada, era una nube di foschia tenebrosa, sorvolava il pavimento senza i piedi e le restò davanti. Il Re guardò il suo trofeo tra le dita e le lasciò cadere con aria annoiata.

«Hai la coda?» mi interrogò. Balbettai. «Sai, una volta si diceva che i Demoni più potenti avessero la coda, è il loro unico punto debole. Serviva, come dire, a renderli più vulnerabili. Tuo padre l'aveva e io gliel'ho tagliata. Avrebbe dovuto ringraziarmi quell'idiota e invece si è lagnato per settimane. La trovo una cosa così sporca.»

Scossi la testa. «Uhm, no. Non ce l'ho.»

«Sei sicuro?»

«Sicurissimo, nonno.»

Singhiozzò una risata e pensai di averlo fregato. Un secondo dopo mi afferrò i capelli e mi schiacciò sulla scrivania, con la faccia premuta sul legno. Feci forza con le braccia senza successo. Il mio fiato caldo creò un alone di vapore sulla superficie liscia, aumentando con la mia ansia. Mi mise una mano nei pantaloni e io mi piegai, urlando. Tirò fuori la coda e la torse. Ebbi un capogiro e restai in silenzio a tremare.

«Eccola qua, come sospettavo» sibilò nervoso. «Odio le bugie. Forse dovrei rompertela per darti una lezione.»

«La coda... non...» dissi in un borbottio.

Le dita mi tremavano mentre l'uomo giocava con quell'estremità sensibile, la piegava e tirava a suo piacimento, nonostante l'arto avesse degli spasmi improvvisi e cercasse di essere lasciato in pace. Avevo la mente otturata e le gambe molli.

L'Incubo guardò la scena con aria tetra. «Questo non è un buon segno.»

«Questo è un ottimo segno» gioì Samuel.

Gage Bryce gli passò un coltello e l'altro mi tagliò sulla spalla. Era sottile e bruciava. Strinsi i denti e lui mi leccò il sangue dalla pelle, gustandolo. Ebbe uno spasmo e tossì, mentre la sua faccia diventò scura, buia.

«Smettila!» urlò Kiral, evocando la sua arma.

«Finiscila di urlare, sei fastidiosa» ringhiò l'ombra. «La paura rende più dolce e pungente il sangue e quello di As è... speciale. La sua potenza è disumana.»

Samuel tolse i denti dalla mia spalla e io iniziai a piangere, singhiozzando. La ferita si chiuse in pochi secondi, il sangue si asciugo e restò a fissare la mia capacità di guarigione, umettandosi le labbra. Mi lasciò la coda e io respirai di nuovo.

«Allora?» lo incalzò l'Incubo.

«Sì, è proprio lui» esclamò. «Ti ha scelto, As. Aveva scelto anche me, tanto tempo fa. È un grande onore questo, sei contento?» Scossi la testa. «Oh. Un'altra bugia. Non ci siamo proprio. Sei un ragazzino molto sfortunato, nipote. Se fosse stato un altro, se solo il destino non ti avesse giocato questo scherzetto, ti avrei lasciato in pace. Tua madre era diversa, ecco perché l'ho lasciata in vita. Lei era divertente. Tu no.»

Piegai i gomiti e provai a sollevarmi un po'. Kiral si mosse a lato, sollevando la sua arma e altrettanto fece il mostro. Si gettò su di lei e la avvolse. In un turbine di polvere nera, Gage Bryce la fece volare contro la parete e lei sbatté forte la schiena, rotolando a terra.

Samuel mi afferrò la testa e ci entrò. Fu rapido, indolore, perché la sua potenza riuscì ad abbattere le mie difese in un soffio, fu quasi come trapassare un fazzoletto di carta con un ago affilato. Penetrò in un unico punto e ci ficcò denti, unghie e radici. Allora una fitta lancinante mi spezzò la testa e rividi passarmi davanti i ricordi che avevo coltivato in quegli anni. Rivide la mia infanzia con Matthew, la nostra casa a Manhattan, il liceo a cui andavo, i miei compagni di classe e persino tutti gli episodi che dimostravano che non fossi un comune bambino, passò in rassegna ognuno di quelli e li analizzò con cura.

Mi mossi e lui staccò le unghie dalla testa. «La tua mente è una delizia, è così ordinata, come se mi stesse dicendo dove guardare. Dovresti vedere la mia, è una cattedrale di segreti» giocherellò, accarezzandomi il fianco con la punta delle dita. «Ho avuto tanti ragazzini in questa posizione, credimi, ma devo dire che il piacere che mi stai dando in questo momento è grandioso. Grandioso è riduttivo. Fai parte di un enorme piano cosmico. Noi ne facciamo parte. La cosa brutta è che solo uno di noi può rimanerci.»

Gage Bryce si pulì le mani. «Ti ha sputato fuori dalla sua testa. È normale?»

«Sì.»

«Cazzate. Non dovevi essere tu il più forte?»

«Per il momento» soffiò. «Possiamo fare le cose in due modi, As: uno doloroso ma veloce, o dolorosissimo e lento. In entrambi i casi ti farai molto male e finirai con il darmi ciò che mi spetta.»

«Non ho niente! Non voglio niente da te!» strillai angosciato.

Questo lo alterò, mi tirò i capelli e mi sbatté la testa sul tavolo. Il colpo fu talmente potente da fare una crepa nel legno massiccio. La testa diventò buia, senza pensieri e la vista fu annebbiata da puntini neri. Mi tirò in piedi e mi gettò a terra, contro il muro. Scivolai sul pavimento e mi accasciai senza forze, con il sangue che mi colava dalla ferita alla fronte.

Credetti che Kiral dicesse qualcosa o fu una mia impressione. Insomma, ci fu un grido femminile e io tentai di capire che diamine significasse. Era come se ogni cosa fosse senza senso e avevo le vertigini.

Samuel strinse i pugni. «Mi ruberai il trono» ringhiò, iniziando a perdere la pazienza per davvero. «E questo non lo posso permettere. Sei solo un ragazzino, un Ibrido disgustoso...»

Mi disse altro. Le sue labbra si mossero e io mi guardai i piedi confuso. Nell'occhio destro si stava formando una palla di sangue e la patina rendeva difficile capire cosa stesse accadendo nel mondo reale. Ci vedevo malissimo e la luce peggiorava le cose. Avrei preferito che fosse tutto buio in modo tale da affidarmi all'istinto.

Kiral provò a rialzarsi e Gage Bryce la spinse con un piede a terra. «Ho aspettato anni questo momento, figlia mia. Resta al tuo posto. Tra un po' sarò tutto per te.»

Lei rantolò. «Lascia andare lui... Fai un Patto con me!» lo pregò.

«E perché mai dovrei?» scherzò. «Posso finalmente toccarti! Non hai nulla.»

Samuel sbatté gli occhi, piegò la testa e iniziò a ridere. «Sei di nuovo incinta, piccola?» le domandò, avvicinandosi con passi leggeri. L'Incubo tirò le labbra in una smorfia disgustata e il diavolo le sfiorò la pancia. «Ed è un maschietto! Congratulazioni! Pensavi di poterlo tenere nascosto? Lo sapevo da quando sei entrata qui.»

Gage Bryce sogghignò. «È proprio il mio giorno fortunato.»

«Non credo» lo bloccò Samuel. «Ti avevo promesso lei e basta. Il resto appartiene a me. Mi chiedo che gusto avrà, sono anni che non divoro un cucciolo di Ibrido. Avrei dovuto divorare As quando era ancora nella tua pancia.»

Kiral si abbracciò e pianse con la testa a terra. Mi si spezzò il cuore a vederla in quelle condizioni, i suoni erano ancora soffusi. Vidi in modo chiaro le aure di quei mostri, erano buie, senza fondo e quella di Gage Bryce era la copia di quella di Samuel. Era chiaro che lo avesse creato con le sue mani, le radiazioni erano le stesse e quella di mamma era pallida e volatile.

Mugugnai e provai a muovermi. Il mondo girò su se stesso e scivolai. Ci riprovai, dicendo a me stesso che avrei fatto di tutto per smettere di vedere le persone che amavo soffrire davanti ai miei occhi. Avevo causato troppo male con la mia esistenza, avevo portato mamma in quel posto e la colpa era del tutto mia: Samuel voleva me.

Ero ancora troppo debole. Era inaccettabile.

«Sam...» bofonchiai con tono allegro e l'uomo si gelò. Persino l'Incubo ammutolì, pensando che fossi completamente impazzito. «Ti chiami così? Sammy.»

Camminò verso di me e l'ombra sospirò, scuotendo la testa. «Ehi, ricordati che ti serve» fece fiacco, disinteressato.

L'uomo mi scivolò accanto e mi diede un pugno nello stomaco. Le viscere si contorsero ed ebbi l'impressione che lo stomaco mi salisse in gola e che avrei potuto vomitarlo. Prima che potessi scivolare a terra mi prese per la spalla e mi tirò davanti a sé.

«Vuoi ripeterlo?» mi tentò, alzando il pugno.

Premetti una mano sullo stomaco, tossendo. «Lascia in pace la mia mamma e il mio fratellino» gli intimai. «O ti farò male.»

La minaccia lo fece ridere di gusto. Lo avrei fatto anche io vedendo il mio avversario a terra, quasi nudo, pestato a sangue. Mi faceva male ogni parte del corpo e quello non era il momento per pensare a me.

Si accucciò e mi accarezzò la testa dolcemente. «Sei così piccino e patetico. Mi ricordi tuo padre! È normale che tu sia più debole di me, sono io il Re.»

Alzai una mano per colpirlo e lui mi fermò per il polso, lo storse fino a che non si udì un rumore secco. Urlai con tutto il fiato in gola, soffocando. Kiral tentò di raggiungermi e Gage Bryce le saltò sopra, bloccandola.

«Te l'avevo detto che eri inutile» le disse il mostro a denti stretti. «Hai portato il tuo cucciolo qui pensando che fosse uno scherzo. Che volevi fare, Sasha? Non ti senti stupida?» Le diede delle pacche sulla testa per darle una svegliata. «Morirà davanti a te, come sarebbe dovuto essere quella notte!»

«Mamma!» urlai impaurito, diedi una spinta a Samuel e provai a passare.

Lui mi schiaffeggiò per avergli sfiorato l'abito costoso e mi tirò i capelli. «Mi ignori? Sei un gran maleducato» disse neutro. Mi scosse. «Perché cazzo sei nato? Sei inutile. Sei un insetto. Sei debole. Perché ti vuole così tanto? Sono meglio di te!»

Il polso destro era piegato a lato in una orribile posizione scombinata. Strinsi i denti. «Non credo.» Affilò lo sguardo. «O per quale motivo avresti così tanta paura? La sento» gli rivelai piano, con un sorrisetto stampato in faccia.

Ogni emozione aveva un odore o un colore specifico. L'aura di quell'essere era fin troppo intinta di agonia e tenebra per riuscire a distinguere altro. Vivendo nel mondo umano, a stretto contatto con altri ragazzi, avevo sperimentato su me stesso quei sentimenti. Il suo non era del tutto odio; mi temeva.

«Puzzi» lo presi in giro. «I tuoi Demoni la avvertono. Non è la mia. Io non ho paura di te.»

Gage Bryce annusò meglio l'aria e riuscì a percepire quel cambiamento. Era minuscolo, quasi impercettibile, però dopo avergli indicato dove cercare la scovò. Oltre l'odore di sudore, del sangue e dei ricordi, c'era la paura di mio nonno. Del grande Re. Ed era per me, un minuscolo, piccolo ed insignificante Ibrido.

Lo capii in quel momento: io e lui eravamo uguali, quasi la stessa persona. Io però ero migliore.

Allungò le braccia e mi conficcò le dita nel cervello, andando più a fondo. Rimasi con le gambe deboli e le braccia stese lungo i fianchi, incapace di reagire. Vide Aileen. La toccò, ne sentì l'odore e desiderò di toccarla, di farle male. Percorse a ritroso le memorie e percepì i miei sentimenti per lei, trovò i nostri baci, il profumo di miele e fiori della sua pelle, i suoi occhi che riflettevano il cielo e il battito del suo cuore.

«No! Lei no!» urlai e Samuel tolse le mani, fissandomi storto.

«Oh» esalò, leccandosi le labbra. «Hai trovato un piccolo Angelo nomade? Come si chiama...» Si picchiettò le tempie. «Aileen. Che nome delizioso! E lei è così... bella. Te la sei già fatta? Quelle creature sono caldissime! Devi divertirti alla tua età, ragazzo.»

Gage Bryce rise forte.

«Non dire il suo nome» lo avvertii. «Oppure ti strapperò la lingua dalla gola.»

Fece un enorme sorriso per sfidarmi, picchiandosi una mano sul petto. «Allora prova a rubarmi il trono, nipote! È mio di diritto! Ne ho uccisi tanti come te, li ho divorati! Prova con questo tuo minuscolo corpicino debole a fare qualcosa!» mi prese in giro. «Divorerò te e la tua stupida aura una volta per tutte e dopo torturerò quella puttana. Ucciderò il cucciolino nella sua pancia, andrò dal tuo amato Angelo e le farò assaggiare il piacere dell'Inferno!»

La mia mente era una linea piatta. Sapevo che forse sarei morto in modo orribile, quel mondo non lasciava spazio all'amicizia o legami di fiducia troppo intensi. Se Azrael non fosse stato a New York quel giorno sarei finito tra le fauci di quell'Hinichilus in pochi minuti. Attiravo guai e lo avrei sempre fatto. Starmi vicino era una maledizione.

Accettavo l'idea di morire, eppure lasciarmi dietro tristezza e solitudine ancora no. Kiral meritava di essere felice, per tutta la sua vita era stata maltrattata, ripudiata dal suo stesso padre e, quando aveva pensato di essere al sicuro, Samuel l'aveva imbrogliata. Aveva imbrogliato tutti, soprattutto me.

Avrei fatto di tutto per proteggere la mia famiglia, compresa Aileen. Io la amavo e, fanculo, nemmeno il Re infernale me lo avrebbe impedito. Prima di trovarla non sapevo nemmeno cosa significasse amare davvero una persona: non potevo vivere senza di lei, avrei preferito morire anziché starle lontano. Il mondo mi faceva paura senza Aileen al mio fianco, ogni minuto pensavo a lei e desideravo che fosse accanto a me ad illuminare la mia esistenza.

La mia storia era un disegno che potevo ancora modificare. Avevo la forza necessaria.

Abbassai le spalle. «Sei un bullo» giudicai. «E mamma mi ha insegnato che c'è un solo modo per comunicare con un bullo.»

Si morse la lingua, pronto a sentire la barzelletta. Feci un respiro e gli diedi una testata in piena fronte. L'urto mi fece girare la testa, mi diedi uno schiaffo e tornai in me. L'uomo cadde all'indietro e il ghigno si spense a metà, creando una smorfia di assoluta sorpresa. Tentò di rialzarsi e si ritrovò con le braccia tremanti, provando la mia stessa sensazione di smarrimento e terrore. Il colpo lo aveva stordito.

Mi alzai e mi infilai la maglietta, dopodiché mi rimisi a posto il polso con una mossa. L'osso tornò in ordine e lo girai un po' per acquistare la sensibilità. Gage Bryce saltò in piedi e io lo fissai.

«Fermo!» ringhiai e il suo corpo ebbe un sobbalzo. Si immobilizzò sul posto e guardò il suo Re, sperando lo aiutasse. «Ora basta. Vattene!»

L'Incubo eseguì il mio ordine, nonostante ogni fibra del suo corpo volesse il contrario. Si vaporizzò e l'ufficio tornò sereno, con la luce del sole che penetrava dall'esterno. Mi stropicciai gli occhi e andai da mamma, aiutandola a rialzarsi. Le pulii il viso e le tolsi le lacrime dagli occhi.

«Sto bene, sto bene...» piagnucolò, accarezzandosi il ventre. Mi prese la mano e la analizzò. «Te lo sei rimesso a posto.»

«Non è nulla. Me lo sarei potuto sistemare prima, ma non volevo offenderlo. Si è impegnato parecchio» risposi. «Ehi, stai bene? Ti ho fatto male?» domandai a Samuel.

Agitò la mano in aria. Era ancora seduto con il sedere a terra, con un brutto bitorzolo sulla fronte. «Non azzardarti a toccarmi!» ingiunse furioso. «La tua stupida voce è fastidiosa, chiudi la bocca! Odio la tua gentilezza!»

Mi grattai la testa. «Io sono gentile» mormorai. «Te lo dico nel modo educato, nonno: se mi entri un'altra volta nella mente te la distruggo, non sto scherzando. Noi ce ne andiamo. Se provi a fermarci ti ammazzo. Se provi a cercarci ti ammazzo.»

«Tu sei mio!» ringhiò e i suoi canini crebbero nelle gengive. «Non ti permetterò di uscire da questo posto! Chi ci credi di essere? Sono il tuo Re!»

«Sei scemo?» ironizzai.

Scattò verso di me e mi saltò addosso, afferrandomi le braccia. Spinsi leggermente mamma indietro per proteggerla e ancorai i piedi senza muovermi. Le sue dita premettero sulla pelle, stringendo per incastrarmi e si infiammarono. Le fiamme avvolsero il mio corpo, scottavano e fu una sensazione piacevole, come stare vicino ad un caminetto durante l'inverno. La temperatura doveva essere molto più elevata di quella che percepii perché la maglietta e i pantaloni bruciarono. Risucchiai il fuoco nelle dita e sputai il fumo.

«I Demoni sono immuni al fuoco» gli feci notare. «Riprenditelo.»

Gettai fuori tutte le fiamme che avevo accumulato e usai la rabbia che provavo per alimentarle. Il fuoco si scurì e divenne azzurro, scottando la faccia del grande Re. Samuel guaì, si prese il volto tra le mani e si piegò sulle ginocchia. La pelle gli si sciolse tra le dita e il suo corpo cercò di guarirsi, lasciando una brutta cicatrice rossa.

«Lurido schifoso ragazzino! Questa te la faccio pagare, te lo giuro» mi minacciò.

Kiral afferrò la piantina sul tavolinetto e gliela lanciò contro in un gesto simbolico. Gli si ruppe in testa e cadde sul tappeto sotto le sue ginocchia senza ottenere altro. Strinse le labbra e la fissò storto.

«Hai chiuso, Sam» disse Kiral in un rantolio. «Andiamo via prima che altri mostri arrivino. Torniamo a casa...»

Samuel restò a terra ed emise dei singhiozzi. Feci qualche passo prima di scoprire che stesse ridendo. Pensai che il mio colpo lo avesse mandato KO.

«Vai da Azrael dopo quello che ti ha fatto, Sasha? Ne hai di fegato» puntellò con scherno.

Kiral rabbrividì e mi tirò più in fretta, ignorando la sua provocazione.

Mi bloccai. «Papà è meglio di te.»

«Ohh. Non glielo hai detto?» Si rivolse a Kiral e lei mi pregò di andarcene via, spaventata. «No, non lo hai fatto! So qualcosa che lui non sa!» esclamò.

«Cosa?» berciai stufo.

«Non starlo a sentire» mi disse mamma senza fiato.

«Digli quello che è successo davvero, Sasha, di come ci siamo conosciuti io e te e di quello che è avvenuto quella notte. Ti diverti un sacco a vantarti di come hai ucciso quegli Angeloid, di come hai costruito i rifugi e hai vinto quella patetica guerriglia di strada, ma quando si tratta del tuo passato, be', in quello tendi a dimenticati tante cose» continuò. «As, mi dispiace tanto per te. Avrebbe dovuto dirtelo!»

Mi stava confondendo. «Cosa stai dicendo?» ringhiai.

«Sei nato da un atto così vile che persino i Demoni lo ripudiano. Io ho condotto suo padre al peccato, però anche mio figlio lo ha fatto in un'altra strada. Lei doveva morire quella notte, lo credevamo tutti. Il suo corpo ha retto meglio del previsto e, cazzo, quanto rimpiango di non essere stato io a farlo, nipote.» Spinsi via Kiral per togliermela di dosso e lei mi lasciò, tremando. «Quella notte Azrael l'ha violentata, As. Sei il frutto di quella violenza.»

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