XX
(Asmodeus)
Un paio di giorni dopo mamma mi portò ad Odda; stavo rientrando da una delle mie uscite segrete con Aileen e, al contrario di sgridarmi o chiedermi come avessi fatto a scappare di nascosto, mi disse di seguirla. Utilizzò in uno dei passaggi segreti che usavo e mi finsi sorpreso, in ogni caso ero sollevato perché non mi stesse portando da Azrael.
Andammo al fast food dove lavorava Loki e ci sedemmo ad uno dei tavoli. Non avevo per niente voglia di tornare in quel posto, quel tizio mi odiava e cucinava peggio di me. Appena vide Kiral il suo volto sbiancò e venne subito a prendere l'ordine. Sapevo che volesse parlarmi di qualcosa di serio e tamburellai le dita sul tavolo in trepidazione.
Aspettò che avessi davanti un cestino di patatine fritte con ketchup e un bibitone di Coca Cola.
«Hai pensato a cosa fare?» le domandai. «Scommetto che Azrael non lo sa»
Era da quando i principi avevano lasciato Odda che il suo comportamento era mutato. Azrael era felice della notizia di avere in famiglia una nuova aggiunta e speravo che questo lo distogliesse dai suoi oscuri pensieri su suo padre e Gage Bryce, del resto però era la nostra unica traccia. I Demoni pensavano solo a se stessi e papà aveva tutta l'intenzione di prendersi cura di noi, lei era ancora fossilizzata sul pensiero dell'Incubo e voleva essere certa di essere al sicuro. Ci aveva attaccati e prima o poi lo avrebbe rifatto. Saremmo stati in grado di proteggere Lux?
«Ho bisogno di risposte, As. Di risposte certe. I principi non sanno nulla di questa storia e se lo sanno non tradiranno mai il loro Re. Già nella guerra di sedici anni fa hanno corso un rischio non indifferente per i regni» bofonchiò, scaldandosi le dita. «Devo trovare mio padre e ucciderlo.»
Che affermazione tetra.
«È un Incubo. Come si uccide un Incubo?»
Si morse le labbra. «Non ne ho idea.» Ottimo punto di partenza, pensai. «Ma c'è una persona che potrebbe saperlo.»
Mi strozzai con una patatina. L'idea di andare da Samuel Allan ad interrogarlo me la aspettavo da me, o alla peggio da uno dei principi – tipo Legione – ma da Kiral significava che fosse disperata. Aveva persino smesso di dormire la notte per l'ansia. Aspettare un cucciolo di Demone doveva essere un gran pensiero per lei. La storia si stava ripetendo un'altra volta.
«Azrael ha detto che fosse una pessima idea. Anzi, ha detto che fosse fuori discussione» le ricordai, sconvolto che volesse fare le cose di nascosto.
Kiral dette un'occhiata a Loki e lui prese a fare altro, fingendo di pulire il bancone davanti a sé, unticcio. «Potrei corromperti» propose.
Alzai le spalle. «Non mi interessano i soldi.»
«Ricattarti?»
«Con cosa, con queste patatine?»
Lei sospirò affranta. Lasciare che andasse da sola da quell'uomo era fuori discussione. Ci sarebbe andata, ne ero certo, era una testa dura e dovevo proteggerla. Il nonno non avrebbe mai accettato di parlarle senza un motivo valido e forse io sarei potuto essere quello stimolo valido. Dovevo giocarmi quella carta.
«Voglio di nuovo le mie uscite. Niente Demoni alle calcagna. Niente ramanzine sugli orari. Frequenterò le lezioni e farò i miei turni, ma voglio vedere Aileen» dissi.
Lei alzò un labbro. «So che continui a vederla di nascosto. Sei uguale a tuo padre, conosco ogni suo maledetto difetto e tu li hai tutti.» Si addolcì. «E così sia. Azrael odia suo padre, ripudia persino il titolo reale, ma questo ci ha causato solo problemi. È il Principe e anche tu lo sei. Non puoi scappare dal tuo destino.»
«Io credo che Aileen lo sia» feci calmo.
Avevano stretto il Patto del crepuscolo, sigillando il loro legame nell'eternità. Mi capiva. Il loro amore sarebbe durato per sempre e per l'universo era un'unica entità pulsate. Io volevo sentirmi così con Aileen.
Si strofinò il naso e fece un respiro profondo. Avevo sempre pensato che Kiral fosse gelosa degli altri, del fatto che stessi con un'altra ragazza e ogni mio pensiero fosse rivolto a lei. Aveva passato anni a sognare di stringermi tra le braccia, di riavermi, e ora io mi stavo muovendo nella direzione opposta. Matthew le avrebbe detto che stessi crescendo da solo e che stessi facendo un buon lavoro.
«La ami davvero tanto» constatò. «Tutti meritiamo un'anima gemella. Sono felice che tu l'abbia trovata. Quando ero umana non riuscivo a vedere il mio futuro, pensavo che... sarei morta prima, che mi sarei suicidata e forse lo avrei addirittura fatto. Sono contenta che Azrael mi abbia fermata.»
Allungai la mano e le accarezzai il polso. «Io ti vorrò bene sempre, mamma.»
«Anche io. Voglio che tu sia la cosa più importante per te stesso. Dopo vengono i tuoi amici del rifugio e infine me e tuo padre. Qualsiasi cosa accada devi promettermi che penserai a te.»
Era una ramanzina. Io combattevo faccia a faccia, mi gettavo nella mischia senza protezioni o piani di riserva. Sapevo che mi sarei fatto male e che mi sarei curato. Non avere un piano era il mio piano. Kiral voleva assicurarsi che sapessi i pericoli a cui correvo incontro accettando quell'incarico insieme a lei.
«Va bene...» borbottai in difficoltà. «So che hai degli incubi. Me lo ha detto Hypnos. A volte vedo delle cose e sono certo che veda anche tu. C'ero io, non è così?»
Le sue labbra tremarono e si prese la testa tra le mani, appoggiandosi al tavolo. Quei sogni erano visioni, segnali dal futuro e preannunciavano l'inizio di un'altra guerra, forse non così tanto distante. Quella di New York al confronto era un battibecco.
«C'eri tu e avevi distrutto il mondo. C'eravamo tutti e sentivo piangere... non c'era più niente sulla Terra, solo rovine, massi e fuoco. Persino il cielo si era rotto e gli Angeli stavano cacciando i sopravvissuti. Eri insieme a qualcuno e voi... eravate alleati» mormorò, pulendosi il naso arrossato.
«Chi?»
«Non lo so. As, penso che tu distruggerai il mondo.»
Dubitavo che lo avrei fatto, essere Demoni ed essere mostri erano cose diverse. Avevo conosciuto umani peggiori di esseri infernali e io amavo il mio pianeta, la mia parte umana. Era pieno di difetti, sì, come tutte le cose. Sapevo che fosse difficile, quasi impossibile, far coesistere le diverse razze e non avrei mai scelto tra una delle due. Umani e creature magiche meritavano entrambe di vivere, eppure il futuro che avevamo visto era chiaro.
Speravo con tutto me stesso che fosse sbagliato.
«Io non voglio far del male a nessuno!» mi impuntai. «Non sono crudele.»
«Il futuro è pieno di salti e buchi neri. Niente è definitivo, ma se vuoi la verità penso che sarai abbastanza forte per farlo. Eri disperato nella mia visione, inconsolabile. La tristezza porta le persone a commettere gesti terribili» continuò.
Stava parlando per esperienza, durante la battaglia aveva dovuto prendere una decisione e, dopo tornata, l'aveva mantenuta. Ero cresciuto lontano da lei, da ogni cosa in quel mondo e lo aveva fatto pensando fosse la cosa giusta. In quel momento la cosa giusta da fare era trovare il modo di fermare Gage Bryce e andare da Samuel Allan era il male minore. Azrael non ce lo avrebbe perdonato. Dovevo proteggerla per lui.
«Bene, dove troviamo l'amato nonnino?» chiesi, ignorando il buon senso.
«È in una caverna non molto lontano da qui.»
«Wow. Davvero?»
«No. Ha uno studio privato in centro a Seattle.» Prese un bigliettino da visita da una delle tasche dei grossi pantaloni neri e me lo passò sul tavolo. 4th Ave, 1116, Seattle, WA. Si trattava di certo bene. Gli affitti a Seattle erano un furto. «Anni fa, quando lo conobbi, aveva un'azienda di finanziamenti. Ora ha un vero e proprio impero di banche, sedi legali e finanziarie. Samuel va e viene in questo mondo, adora riniziare da capo i suoi giochi. Conosce il mondo in ogni suo lato.»
Mi girai il biglietto tra le dita, sperando di vedere qualcosa. «Okay, e quale sarebbe il piano? Che diciamo ad Azrael? Ci ammazzerà.»
Dirgli la verità era fuori discussione.
«Gli diremo che andiamo da Matthew.»
Allargai gli occhi. Azrael lo odiava, ma dall'altro lato ero certo che se gli avessimo chiesto di venire con noi avrebbe rifiutato. Avevo posticipato tutti i miei rientri per Aileen e i miei amici del rifugio e mi dispiacque. Era la scusa più sensata.
«Al ritorno passeremo a trovarlo, che te ne pare? È un buon accordo?» mi propose.
«È un ottimo accordo. Ci sto.»
Partimmo per Seattle l'indomani. Come immaginammo Kiral disse ad Azrael esattamente la stessa cosa che disse a me, che io volessi vedere Matthew e che ci saremmo fermati per alcuni giorni da lui. Gli proponemmo di aggiungersi e lui scosse la testa, alludendo a qualche (falsissimo) impegno. Un po' sembrò contrariato e fu più che comprensibile dato che l'Ibrida più famosa del regno magico stesse aspettando un altro figlio, il secondo principino. La mia presenza lo rincuorò e io mi sentii uno schifo a prenderlo in giro.
Prendemmo un aereo privato e tornai a casa mia, in America. Dall'alto era praticamente uguale a come l'avevo lasciata, bellissima e il mio cuore batté forte. Oltrepassammo New York per dirigerci a ovest, sullo Stretto di Puget. Seattle era una città enorme, molto simile a New York, ma molto più moderna e pulita. Lo Space Needle svettava oltre gli edifici come una torre spaziale, mi parve una metropoli futuristica.
«Perché non hai chiesto all'OverTwo?» domandai, tenendo gli occhi puntati sull'oblò.
Kiral aprì gli occhi e si massaggiò il ventre. Lo faceva spesso e in base a quel che avevo capito, Lux sarebbe arrivato la primavera successiva. La sua prima gravidanza era durata più di un anno e solo l'ultimo mese aveva una pancia leggermente evidente. Prima di allora il feto era un minuscolo ammasso di cellule e magia. Colpa dei geni, dicevano.
«Non c'è alcun motivo specifico» smentì.
«Non ti fidi?»
«Mi fido di Alees, ma... sono sempre stata scettica con tutti, persino da umana. Credo che mio padre abbia agito da solo, altrimenti altri nemici si sarebbero fatti vivi e nessuno dei nostri ha mai rintracciato alcuna energia negativa. Tuttavia qualcuno lo ha aiutato e lo ha fatto trasformare, anche se avvisassi l'OverTwo non potrebbero fare nulla dato che è un problema infernale. Non hanno autorità laggiù» mi spiegò. «E i principi sono famosi per essere degli zucconi, come Az.»
«Ho capito.» Bene o male avremmo trovato delle risposte, o ci saremmo fatti un viaggio turistico gratis. «È meglio se non lo fai.»
Il mio avvertimento la scosse e si tolse la mano dalla pancia. Era un gesto di protezione e, dato che eravamo in territorio sconosciuto, sarebbe stato meglio tenere quel particolare segreto persino a mio nonno. Un principino poteva capitare. Due era una sfida.
Atterrammo la notte e mamma mi portò allo Sheraton, in una suite all'ultimo piano del grattacielo. Chiusi gli occhi per un paio d'ore e per fortuna dormii tranquillo, la magia di Aileen mi ricopriva e dolcemente teneva lontano le maledizioni di qualsiasi genere.
Alla mattina ci alzammo presto e andammo all'indirizzo del biglietto. Sapeva già la strada, quasi l'avesse fatta un milione di volte, e io mi lasciai guidare. Ingoiai la mia voglia di chiederle di aspettare qualche ora, farci un giro per la città e visitarla: avevamo una missione da portare a termine. Mi sentivo una spia sotto copertura.
Mi accorsi subito quanto fossimo diverso rispetto ai comuni umani, alcuni ci guardavano rapiti, affascinati, e soprattutto gli uomini le rivolgevano ammiccanti sorrisi e occhiate sfuggenti. Lei era un raggio di sole e si muoveva tra la folla con scioltezza, conscia della sua bellezza e del suo effetto. Una ragazza mi fermò persino e mi gettò in mano un pezzetto di carta, dicendomi che mi fosse caduto. Mi aveva lasciato il suo numero.
Per quanto mi piacesse, Seattle era uguale a tutte le grandi città umane, piena di smog e avvolta dalla nebbia. Gli umani vivevano con un velo costante sugli occhi, pochissimi riuscivano a vedere oltre e, quei pochi, a volte si ficcavano in brutti guai e morivano in modo orribili da mostri e Cacciatori.
Mi tirò all'indirizzo scritto e, avvicinandoci a quella zona, notai con un certo sconcerto numerosi cartelloni pubblicitari e volantini che promuovano la N.C. New Contract Allan, insieme alla sua faccia.
«Sbruffone» ringhiò mamma tra i denti, visibilmente irritata. «Gli possa cadere addosso un palazzo.»
La sede principale era un grattacielo al centro del vertice finanziario di Seattle, tra banche, cooperative e negozi di lusso. Le vetrate erano oscurate e mi ci vedevo riflesso, all'ingresso c'erano enormi iniziali di bronzo con il nome New Contract. Mi concentrai, ma oltre alla lieve magia nell'aria non avvertii altre aure. Restai meravigliato, lo ammisi, perché pensavo di trovarmi davanti ad una magia infuocata o ad un muro invalicabile. Al contrario era invisibile.
Seppure l'orario presto la hall era già in fermento e nel pieno delle attività, numerosi uomini con cartelle di cuoio in mano correvano agli ascensori per andare agli uffici. Avvocati e uomini d'affari parlavano al telefono e c'era una gran confusione. L'interno era enorme e al centro potevo vedere l'ultimo piano, in una complessa scala che percorreva l'intero palazzo facendo da scheletro. Gli uomini della sicurezza perquisivano chiunque entrasse o volesse usare gli ascensori, alla cintura portavano pistole cariche. Mi misero un po' d'ansia. C'erano telecamere a circuito chiuso ovunque. Il nonno doveva essere un tipo molto eccentrico e stacanovista.
C'era persino una piccola zona dove servivano caffè e dolci gratis, mi avvicinai convinto e mamma mi tirò via, costringendomi ad andare alla hall. Pattinò verso la segreteria, si infilò tra delle persone e si intromise tra le donne sedute oltre il bancone, piuttosto impaziente. In meno di due secondi ricevette due badge visitatori e me ne passò uno.
«Be', è stato facile» commentai, mettendomelo al collo come un trofeo.
«Mi conoscono... Ho fatto un po' di baccano qui dentro» semplificò.
Dovemmo aspettare dieci minuti prima di passare i controlli. Eravamo all'inizio della giornata lavorativa, nel pieno mercoledì nero, e fummo travolti dalla marea di gente che lavorava per il Re infernale con tanto desiderio e fretta di arricchirsi.
Solo noi andammo all'ultimo piano. C'era un lunghissimo corridoio e una porta a vetri scura al termine. Per il resto, alla minuscola reception, c'era una donnina bionda con un paio di occhiali sul naso, intenta a pinzare con affanno dei fogli e riordinarli.
«Devo vedere...» iniziò Kiral e la donna aprì gli occhi a scatto, notandoci solo in quel momento.
«Mi dispiace, il signor Allan è impegnato al momento. Può lasciarmi nome e numero di telefono e appena è libero io...» parlò piano, come un robot.
«Stai scherzando?» sbottò. «Chiamalo subito!»
«Scusi, ho ordine di...»
«Chiamalo subito!» urlò di nuovo.
Non servì la magia per farla squittire impaurita e correre al telefono. Ancor prima che potesse spiaccicare parola, un uomo comparve dal corridoio e ci raggiunse. Era lo stesso che era sui cartelloni spiaccicati in tutta la città, colui che avevo scorto nel mio sogno: i suoi capelli erano ordinati, neri tanto i miei e quelli di Azrael. La sua espressione era di ghiaccio, educata, gli occhi verdi. Per un momento rimase a bocca aperta e la donna al tavolo emise dei versetti terrorizzati, sparando qualche scusa.
Il mio istinto andò su di giri, mi gridava di andarmene subito, di scappare e non tornare mai più indietro. Quell'uomo aveva molti tratti di un essere umano, quali la pelle, i capelli, il sorriso e i vestiti, in verità era una bestia senza emozioni. Seppi subito che fosse pericoloso.
All'improvviso saltò verso di me e mi abbracciò. Rimasi così sorpreso che urlai. Mamma si gelò.
«Mio nipote!» esclamò, facendo un ampio sorriso. Mi afferrò il viso e lo strinse. «Sei un figurino, sei tale e quale a me! E a tuo padre, si intende. Però, sì, gli occhi sono di Sasha.»
Mamma fumò di collera, odiando essere ignorata su due piedi. Samuel Allan mi passò una mano sulle spalle e mi tirò a sé, impedendomi di allontanarmi. Ero troppo scosso e turbato per farlo.
«Oh, mia deliziosa Sasha! Sono anni che non ti vedo. Sei sempre stupenda» la elogiò. Per tutti lei era Kiral. La chiamava Sasha e mi parve una presa in giro, un modo gentile per dirle che non l'avrebbe mai presa sul serio. «Karina, di' subito a qualcuno di portare qualcosa da mangiare a mio nipote. È mio nipote, hai capito bene? Hai mangiato, As? Sembri un po' a digiuno.»
La donna annuì, afferrò la cornetta del citofono e chiamò la reception. Mi sentii malissimo nel darle quella preoccupazione, era stata sgridata per colpa nostra e avrebbe passato dei guai.
«Parliamo nel mio ufficio» propose contento, tirandomi con sé lungo il corridoio. Le sue dita mi sfioravano il collo ed erano congelate. «È così difficile trovare una buona assistente al giorno d'oggi, suppongo dovrò trovare il modo di liberarmi anche di questa. Che seccatura.»
Rivolsi un'occhiata impaurita a Kiral e lei si affrettò a seguirci. Ero certo che Samuel Allan fosse un assassino, quelli della peggiore razza: avrebbe fatto di tutto per cacciare Karina dal suo posto, o meglio, l'avrebbe spinta a suicidarsi o scomparire come le altre prima di lei. Con lui il gioco non valeva la candela.
Il suo ufficio era fantastico, pieno zeppo di cose moderne di ultima generazione. Da quell'altezza vedevo tutta Seattle, compresa la Baia di Elliott. Era un panorama mozzafiato, toccavo quasi le nuvole e mi sentii così piccolo ed insignificante in quel posto lussuoso, pieno di gente importante. C'erano varie poltroncine di pelle lucida, un tavolinetto di caffè con una pianticella e un sigaro e un lungo tavolo di vetro per le conferenze. La sua scrivania era di legno antico, rosso, come quello del Pandemonium – informazione che preferii tenere per me – con un computer portatile Apple, vari cellulari e fermacarte. Le pareti erano tappezzate di quadri e foto di lui con altre persone. Di certo era un gran egocentrico.
«Ah! Che belle!» esclamai, mirando ai pezzi degli sacchi sulla sua scrivania, disposti in linea accanto ad alcune pratiche da firmare.
«Non toccare!» mi ordinò fermo e io tirai via la mano. Si corresse in un sospiro agitato. Avere dei marmocchi intorno lo stressava, magari era quella la ragione per cui Legione avesse tanto paura di lui. «Siediti pure. Se avessi saputo che eravate in città vi avrei portato al Capital. Oh, fanno delle capesante scottate che...»
Kiral alzò una mano. «Siamo qui solo di passaggio, Sam.»
Un brivido gli scosse la schiena. «Non chiamarmi Sam. Te l'ho detto un milione di volte» grugnì a denti stretti. «Dov'è Azrael? Perché non è qui a fare visita a suo padre?»
Fui fortunato che in quel momento mi stesse dando le spalle poiché feci una smorfia di palese smarrimento. Azrael lo odiava e Samuel non provava alcun affetto per lui, l'indifferenza era reciproca e fingere che fosse diverso era stupido.
«Lui non lo sa!» canticchiò l'uomo, arrivando a quella conclusione da solo. Kiral trasalì. «Sei venuta qui da sola con lui perché ti mancavo o perché volevi farmelo conoscere? Ho insistito per anni e me lo hai sempre negato, lo hai tenuto nascosto nel mondo umano e mi domando proprio cosa ti possa spingere da me adesso. Supporre un litigio è crudele?»
Kiral alzò le spalle in difesa. Spiattellargli subito il motivo della nostra visita era una mancanza di rispetto verso la sua clemenza, mi aveva permesso di vivere e aveva concesso a mamma il beneficio del dubbio. Era fin troppo intelligente per far passare la nostra visita come di cortesia, specialmente quando nemmeno io avevo mai insistito per conoscerlo.
Mi alzai e volai ad uno dei quadri per distrarli. «È il console Roy questo? Lo conosci?» esclamai, vedendo la foto di Samuel con uno dei più grandi protagonisti degli ultimi anni.
Era stato un giudice in Canada e gli era stato offerto un posto al consolato negli Stati Uniti, era un uomo onesto, dai grandi principi e Matthew diceva che sarebbe stato un buon politico. Era diventato famoso poiché c'era stato un attacco al consolato canadese e sua figlia era stata rapita.
«È un mio conoscente» si vantò Samuel.
Si aspettò continuassi e io gli sorrisi. «Fico.»
«Fico» ripeté, come se non capisse la parola.
La porta dell'ufficio si aprì e Karina arrivò con un vassoio con una tazza di caffè, un succo e una brioche. Lo poggiò davanti a me, sulla scrivania dell'uomo e si bloccò, non sapendo bene cosa fare. Io la ringraziai e lei passò in rassegna me e il suo capo, due o tre volte, per tentare di capire se fossimo davvero imparentati o se fosse un brutto scherzo. Io gli somigliavo, avevo gli stessi capelli, lo stesso sorrisetto malizioso e gli stessi tratti del viso, tuttavia Samuel poteva avere al massimo trentacinque anni e io sedici, biologicamente era impossibile che fossimo nonno e nipote.
Samuel le lanciò un'occhiata furiosa e lei scappò via. Guardai il cibo sulla scrivania, era invitante e quella brioche sembrava calda, croccante, piena di cioccolato e pistacchi. Mamma mugugnò e io restai a parte, in dubbio se mangiare o meno. Non sembrava avvelenato e uccidermi con tutte le persone che ci avevano visti entrare con lui era un azzardo enorme, persino per il grande Re.
«Siediti e mangia» disse e dal tonò mi sembrò un ordine. Una forza invisibile mi scaraventò sulla sedia davanti al vassoio, senza darmi altre possibilità. «Non c'è alcun veleno. Mi credi così crudele, As?»
Qualcosa mi disse di non rispondere. Con pazienza prese la tazza di caffè e lo bevve, facendo un lungo verso di gradimento. Presi la brioche e ne presi un morso. Era un comunissimo dolcetto burroso e gli zuccheri mi solleticarono il palato.
Mamma mi teneva d'occhio con apprensione, era vicino alla porta, pronta a scappare via. Vedermi rilassato non la fece sentire meglio. Il diavolo ti metteva sempre comodo prima di tagliarti la gola.
Samuel alzò le mani e si appoggiò distrattamente al divanetto nero, avvicinandosi a lei con passi felpati. «Allora, mia dolce Sasha. Ora posso avere la gentilezza di sapere cosa turba il tuo bellissimo viso? Sono vecchio, questo sì, ma non così stupido da non capire che mi detesti. Ti serve qualcosa e Azrael non era d'accordo, è palese. Puoi dirmelo o andartene, a te la scelta. Io sono impegnato e spero che i tuoi impegni girino altrove al tuo gusto per infastidirmi.»
Mamma si impettì. Erano rare le volte in cui qualcuno la metteva in difficoltà e la fermezza di Samuel era una di quelle. Era abituata a comandare, a combattere, ma contro quel tipo ogni sforzo era inutile. Samuel era peggio di un Incubo, sapeva dove e come attaccare con ogni persona.
«Siamo stati attaccati al rifugio.» Samuel bevve ancora un altro sorso di caffè, per nulla turbato. Accadimenti come quelli capitavano spesso, specie se uno aveva tanti nemici. «È stato Gage Bryce a farlo.»
Lui fece un sorriso acido. «Questo è impossibile.»
«Era un Incubo. Qualcuno lo ha trasformato e lo ha aiutato a fuggire dall'Inferno. Ho avvertito i principi e loro non ne sanno nulla, hanno cercato se nei loro ranghi mancasse qualcuno e, indovina un po', ci sono tutti. Solo mio padre mancava all'appello nel Tartaro. È una buffa coincidenza perché è venuto proprio da noi, in una notte senza luna, e ha attaccato As.»
Io stavo ancora mangiando, perdendomi nel loro discorso. Samuel ebbe un fremito e la sua fronte si aggrottò, prese un cellulare nascosto nella tasca del suo completo e verificò che quello che aveva detto fosse vero.
«Non sono stato messo al corrente di quest'iniziativa. Hai detto altro a loro?» domandò. «In ogni caso verificherò di persona. L'anima di Gage Bryce me l'hai servita su un piatto d'argento e io me ne sono sempre preso cura, era in un angolo del Tartaro dove la linea tra realtà e caos è più sottile che mai. Forse può averne tratto potere.»
«Sì, lo so, ma in qualche modo è fuggito» sottolineò stufa.
«Le tue sono provocazioni o sciocche allusioni?» ringhiò collerico. «Ciò significa che il guardiano delle prigioni è morto e questo è molto peggio di un traditore. Le anime che erano custodite là avevano un valore per me.»
«Hai sentito cosa ti ho detto? Voleva ucciderlo!» strillò.
Samuel roteò gli occhi. «As è forte. Un misero Incubo non avrebbe nemmeno potuto toccarlo. Smettila di fare la mammina premurosa, questo ruolo non ti si addice. O forse sì?» scherzò. «Risolverò il problema. Le anime scappano di continuo dai cancelli, ma se ha assimilato simile potere, be', è il caso di tenerlo sotto controllo. Dov'è adesso Bryce?»
Mi strozzai con un pezzetto di brioche e mi puntarono gli occhi contro. Bevvi il succo all'ace per deglutire l'ansia e mi persi ad osservare la pedina della regina nera davanti a me. Aveva un bel colore lucido ed emanava energia.
Kiral alzò le spalle. «È scappato. Aveva bloccato As e lui lo ha messo alle strette. Lo ha fatto fuggire dopo averlo affrontato» rispose. «Samuel, te lo richiedo: ne sai qualcosa? Puoi pensare che io sia stupida se vuoi, ma persino io so fare due conti. Gage Bryce era mio padre e io e te abbiamo un conto in sospeso. Lavorava per qualcuno, ne sono certa e volevano il cucciolo a tutti i costi.»
Samuel ridacchiò. «Per mangiarlo?» scherzò, passando le dita tra i miei capelli. «Gage Bryce è un traditore, un pagliaccio e un codardo, ma di certo non è un assassino. Come ti ho detto, che interesse avrebbe a prendersela con lui? Era rinchiuso in quella cella da anni, non sapeva nemmeno della sua esistenza. Anzi, chi ti assicura che non fosse un altro Demone o umano travestito da lui?»
«E a te chi assicura il contrario?» fece eco lei.
Finii il succo e mi pulii le dita dall'unto. «Era lui» affermai sicuro. «Mi è entrato nella mente e gli ho visto dei ricordi. Ci teneva un sacco a quei cumuli di bauli.»
L'uomo si voltò lentamente verso di me, colpito. «Sei entrato nella mente di un Incubo?» domandò, mantenendo un tono normale, leggermente meravigliato. Annuii. Ci riuscivo con tutti. «Pulisciti la bocca. Sei sporco.» Lo feci e mi fissò con aria curiosa. «Riusciresti a farlo anche con me?»
Ci pensai. Avrei faticato e lui avrebbe opposto resistenza, ma ero fiducioso nelle mie capacità. La mente delle persone come lui era programmata in un certo modo, il suo punto debole era non aspettarsi che qualcun altro potesse metterlo in difficoltà. Ciò che differenziava un Re non era la forza, ma la capacità di difesa dagli attacchi altrui e in questo mi avevano insegnato bene.
«Sì» risposi tranquillo.
«Ma scommetto che io faticherei con la tua» rigirò attento.
«Ci sono stati dei problemi anche in altre parti del mondo, Samuel. I tuoi Demoni sono fuori controllo» cominciò Kiral e lui la ignorò. «Stanno causando guai vicino ai rifugi costruiti, cacciano senza pietà e alcuni muoiono sotto l'Esercito inglese. A te non è mai importato di nulla, sei un pessimo Re! Dei bambini sono morti a Parigi in un incendio...»
«Cosa?» replicò attonito. Si lasciò alle spalle l'incredulità della notizia in un singhiozzo menefreghista. «Te l'ha detto il tuo amico dell'OverTwo. Com'è che si chiama, Alees? Che gran impiccione. Digli di farsi i cazzi suoi per una volta. Il mondo era bellissimo prima che quelle scimmie iniziassero a parlottare tra loro. Bei tempi.»
Kiral aprì la bocca. «Lo sapevi?»
«Con chi altro hai parlato, Sasha?» replicò serio. «Cos'altro ti hanno detto?»
Ci mise in difficoltà e trattenni il fiato, come se con quel misero gesto avrei potuto rivelargli un grande segreto. Quell'uomo sapeva molto più di quel che voleva dire, la sua maschera di creta era modellata a regola d'arte e avrebbe potuto imbambolare chiunque con le sue false promesse di aiuto. Lo avevo visto nel suo regno e stava pianificando qualcosa.
«I tuoi Demoni stanno aiutando gli Eretici. Stai tenendo lontano persino i principi, quindi credo proprio che...»
«Tieni giù quelle mani, ragazzino!» mi urlò contro, schiaffeggiandomi le mani. Avevo preso la torre nera in mano e la pedina aveva emesso un urlo acuto, simile ad uno sfiato d'aria. «Perché voi marmocchi mettete sempre le mani ovunque? Hai le dita unte!»
«Mi spiace» mormorai senza pensarlo davvero.
Kiral strinse i denti. «Tienti pure i tuoi segreti, Samuel, io e te non abbiamo niente da dividere. Di' addio ad As, questa è l'ultima volta che lo vedrai. L'ho tenuto nascosto per sedici anni, posso continuare a farlo senza problemi. Ho le prove che mi servono.»
Le luci sfarfallarono e la serratura della porta si serrò in un clack metallico, chiudendoci dentro. Mi domandai nella testa se un Re avrebbe avuto abbastanza potere per ucciderci in modo perenne e io di certo non volevo scoprire se fossi immortale.
Mi mise una mano sulla spalla e iniziò a stringere.
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