XI

(Alfie)

«Questa è la lettera A. Scrivila» disse Alfie, disegnando una strana curva su un foglio di pergamena.

La lingua antica aveva un suo fascino, lo ammisi, ed impararla fu molto meno impegnativo del previsto, nonostante fosse completamente diversa dal classico alfabeto a cui ero abituato. Era una lingua fonetica, dove i caratteri venivano associati e scritti in base ai suoni prodotti in complicati sinogrammi. La lingua odierna si era mescolata nel corso dei secoli con gli alfabeti del mondo, assumendo diversi spunti dalla scrittura cirillica.

Ogni mattina mi alzavo, facevo colazione con gli altri e poi andavo da Alfie, il quale mi aspettava in biblioteca. Pensavo che i libri non facessero per me dato che le lettere mi vorticavano in mezzo agli occhi, rovesciandosi e perdendo senso, eppure la lingua antica la appresi dopo appena pochi giorni. Aveva ragione Azrael, il mio cervello la riconosceva meglio dell'inglese e tutto ebbe un senso logico. Avevo la brutta abitudine di capovolgere alcune lettere, sbagliavo sempre la direzione della E e della R e mi rimase il tarlo.

Leggere divenne molto più divertente una volta appresa la lingua antica e, quando il caldo sole dell'estate lasciò posto a nuvoloni pieni di pioggia e raffiche di vento, si era fatto già novembre inoltrato e avevo imparato moltissime cose su quel mondo. Tra tutti gli argomenti più interessanti i migliori secondo me erano gli Elfi e i Licantropi.

Diedi la pergamena ad Alfie, completa, poi tornai sul paragrafo che stavo leggendo. Il satiro era seduto di fianco a me su un tavolino della magnifica biblioteca piena di libri, aveva accanto una pila di libri pieni di polvere.

Mi lanciò un'occhiata furtiva e mi immaginai volesse provare ad incantarmi di nuovo. Ogni tanto ci provava. Senza successo. Per quanto osasse o si sforzasse, il mio dono mi rendeva del tutto immune ad ogni attacco mentale e di certo non era per via delle mie enormi doti di intelligenza. La mia aura era diversa da quella degli altri, persino comparata con quella di Kiral, la grande Ibrida del mondo infernale, era su un altro livello.

«Alfie» dissi mogio, «qui c'è scritto che gli Elfi non hanno partecipato alla guerra a New York. Sono stati gli unici a farlo. Odiano i Demoni?»

Alfie scosse la testa, però capii che stesse mentendo – o che almeno stesse cercando di alleggerire la realtà dei fatti: i Demoni non erano i benvenuti in molte culture.

«Si sono dichiarati neutrali. Gli Elfi condannano la violenza di ogni genere» parlò e osservò con nostalgia il ritratto dell'attuale sovrano degli Elfi, il re Aurelion.

Era un uomo stupendo, con lunghi capelli argento, orecchie a punta e occhi verdi dal tratto a mandorla, le labbra color pesca. C'erano molte leggende su di lui, storie di magia e, benché molti sapessero che il regno elfico fosse insediato nella brughiera, l'ingresso era invalicabile. La natura e la magia bloccavano ogni essere vivente, sia buono sia cattivo.

«Ma hanno un esercito» insistei. «Mamma ha combattuto con un esercito misto e quel tizio si è rifiutato di aiutarla? Poteva morire e il mondo sarebbe finito.»

«Il mondo rischia di finire ogni giorno, As» mi corresse. «Qui hai scritto al contrario.»

Mi fece vedere il foglio, mostrandomi l'errore. Imprecai. «Perché non ci ha aiutato?»

Il satiro sospirò, prese il libro da sotto il mio naso e me ne diede un altro, diverso. Questo era più piccolo, la copertina era nera e aveva delle incisioni in una lingua sconosciuta, quasi artistica come decorazioni floreali. Io non riuscii a leggere nulla, ma Alfie, che era un vecchio satiro pieno di conoscenza, mi tradusse le prime righe del famoso periodo buio della storia elfica.

«Sono stati attaccati varie volte. Gli Elfi sono stati una delle prime creature nate sulla Terra dopo la sua origine, si sono presi cura del mondo, la natura ha infondato loro la magia e quando sono arrivati gli esseri umani hanno provato ad insegnare loro il rispetto, l'arte e la pace. Gli umani li cacciarono dal loro mondo, li esiliarono» parlò.

Persino i satiri, i centauri e molti altri spiriti magici furono cacciati dal mondo moderno dopo la caduta del regno della Grecia, dove mitologia e magia erano al loro massimo splendore. Con la venuta di altri imperi, da quello romano e quello ottomano, la magia scomparve quasi del tutto, spezzando i fragili legami con gli esseri umani. Ciò che ricordavamo erano le ombre, i miti del passato.

«Crearono un mondo loro, lontano dal resto e per un po' restarono isolati. Dei Cacciatori li trovarono e diventò una guerra così brutale da far intervenire persino l'Esercito dell'ordine demoniaco; seguirono le tracce e ammazzarono chiunque incontrassero, Elfo o Cacciatore che fosse. Quel giorno più della metà della popolazione morì e la brughiera marcì sotto il sangue degli Elfi» narrò. «Da quel momento il re Aurelion chiuse i confini. Tuo padre per scherzo ha tentato di entrare nella brughiera varie volte.»

Arricciai il naso. «Azrael?» ripetei guardingo. Consideravo mio padre un ragazzino, ma dal dare fastidio a me ed arrecare danni ad un popolo intero il passo era enorme. «E mamma non...»

«Parlo prima di Kiral, ma forse sono cose che non dovrei dirti io» sibilò, preoccupato che qualcuno potesse sentirlo e dargli problemi. Insistei. «Tuo padre, As, mi dispiace dirlo, ma non era affatto una brava persona. Si divertiva a dare problemi e si metteva in guai continui. Se non ci fosse stata l'OverTwo a proteggerlo e a sanare i suoi disastri il mondo sarebbe finito in fiamme molto tempo fa.»

Dell'OverTwo ne sapevo troppo poco ed era uno degli argomenti su cui mamma parlava poco. Erano alleati, questo mi bastava, e mi domandai se prima o poi avrei dovuto intraprendere dei dialoghi anche con loro. Se mi fossi dimostrato all'altezza sarebbe stato inevitabile, Kiral gestiva importanti strutture e senza l'aiuto dell'OverTwo sarebbe stata troppo sola. Il mondo si stava rimpicciolendo.

Strinsi le labbra, ripensando ad Azrael. «Alfie, cosa ne sai tu del Re infernale e dei principi? Quando gliene ho parlato lui... si è alterato.»

Chiuse i libri e li spostò. «In molti sanno del rapporto conflittuale tra il Re e suo figlio. Si sa che è stato partorito da una donna umana e che il Re, non soddisfatto di lui, abbia punito la madre. Tiene imprigionata la sua anima in una delle cave più profonde del Tartaro, dove persino il grande Principe non ha potere e non è mai riuscito a trovarla. Ora il Re vive nel regno degli esseri umani, si gode il lusso e altri piaceri più sfrenati.»

Fece per continuare e io lo interruppi: «Cosa voleva il nonno da lui?»

«Nonno» sbeffeggiò il termine. «È strano sentirlo dire, mi dispiace. Per quel che ne so, i Demoni non possono fare figli né ne hanno bisogno. Penso che tuo nonno volesse provare a creare qualcosa, a quel tempo, e che Azrael non sia il risultato che sperava.»

«Se lo odiava perché tenerlo in vita? E soprattutto perché non fermare Kiral?»

Alfie scrollò le spalle. «Suppongo per noia. Quando vivi così a lungo ogni cosa perde significato e ti rintani in ogni goccia per agitare il mare. Finché non metti a rischio il regno non ha alcun interesse per te. Parlo in modo generico» si scusò e io mi guardai le mani. «Perché vuoi conoscerlo?»

Arrossii. «Non voglio conoscerlo!» esclamai.

Era un po' vero, dopo ciò che avevo ascoltato non avevo più molta voglia di incontrarlo. Sapere che avesse fatto del male ad Azrael mi fece montare una strana sensazione nel petto, per molti versi era come se una parte di lui fosse dentro di me e mi richiamasse. Da quando ero arrivato al rifugio il legame che nutrivo con il mondo infernale cresceva giorno dopo giorno.

Il satiro inclinò il capo, riconoscendo bugia. «Dammi retta, ragazzo, lascia i giochi di corte agli altri. I Principi hanno decretato che tua madre fosse una creatura infernale all'epoca della sua creazione, tu con essa, ma i loro affari sono diversi. Persino lei li evita.»

Mi alzai e corsi in giro, cercando dei libri sui principi infernali. Per quanto li cercassi, e ci spesi davvero del tempo tra scaffali, mensole e cassettoni, non trovai alcun cenno a fatti specifici infernali. Speravo di trovarne almeno un po', ma sapevo che i Demoni non erano grandi appassionati di letteratura o arte, custodivano i loro segreti con grande cura.

Tornai al tavolo con aria abbattuta, sbuffando. «Sono così paurosi?»

«Si fanno vedere poco» sminuì, tornandosi a concentrare sulla pergamena. «Amministrano i gironi infernali e a parte delle storie non so nulla su di loro. Cinquant'anni fa, credo, c'è stato un grave problema con l'Esercito inglese e, be', uno dei principi, Mammon, è morto. È una storia orribile, te la racconterà tuo padre se vorrà. La questione è passata per le sue mani.»

Battei il pugno sul tavolo con fare curioso. «Che è successo? I Demoni reali sono immortali, quindi non è possibile che sia morto!»

«Te la racconterà tuo padre, quindi zittisciti e continua a scrivere.»

La settimana successiva la passai unicamente a cercare in largo e in lungo qualsiasi cosa contenesse il nome di mio padre o quello del Re degli Inferi. Per quanto chiedessi e mettessi a soqquadro ogni angolo della libreria, pareva che qualcuno avesse tolto ogni notizia a riguardo dell'Inferno, o almeno sui ranghi più elevati della scala sociale. C'erano alcuni tomi che parlavano delle caratteristiche della specie, delle abilità e debolezze – trovai persino un raccoglitore con le vecchie foto del Quartiere – per il resto era tutto off-limits.

Una mattina Alfie mi chiese gentilmente di andare a raccogliere l'erba hosbus che a detta sua era l'ingrediente fondamentale per la creazione di pozioni curative. Prima di andare domandai a mamma dove crescesse e lei mi disse che non esistesse affatto. Scoprii, tornando da quel lurido satiro, che avesse preso una cotta per una ninfa e che volesse togliermi di torno, almeno per un po'. Gli ressi il gioco e approfittai del giorno libero per uscire dal rifugio.

Presi il cellulare e cercai la rete, trovando il sentiero per andare a valle. Non entrai nei boschi, mi limitai a rimanere sulla strada ghiaiosa e percorrere a ritroso la via per Odda. Faceva freddo in quella stagione, persino molto più di quello che tirava a New York a gennaio e doveva essere perché le grandi città fossero ammantate da uno strato perenne di smog e inquinamento.

La Norvegia era fantastica, dalla cima della montagna riuscivo a vedere l'immenso fiordo che si gettava sul mare. C'erano pezzi di ghiaccio trasportati dalla corrente e camminai verso il ghiacciaio: era la prima volta che ne vedevo uno dal vivo, era gigantesco, un muro di ghiaccio solido dal quale colavano dei fiotti d'acqua. Un tempo doveva essere stato spesso il doppio e il triplo.

Andai ad Odda, trovando la strada asfaltata e mi limitai a seguirla, con il cappuccio della felpa sulla testa per coprirmi dalla pioggerellina. Era una cittadina tranquilla, fredda e con quel tempo anche lugubre, le case erano vecchie, con giardinetti incolti e orti disordinati. Il centro città non era poi diverso dal resto dell'ambiente, con qualche negozio, botteghe artigianali e persino un supermercato con prodotti americani.

Era ancora troppo presto per chiamare mio padre, perciò decisi di mangiare qualcosa in città e dopo provare a contattarlo. Esplorai, quel poco che mi fu permesso dato che fosse minuscola, e mi appostai al molo. La puzza era troppo forte, tra il pesce e il fumo delle industrie.

Trovai un fast food, o almeno la sua brutta copia: era un locale ampio quanto un piccolo bar, con tre tavoli e un bancone con scritto le poche offerte fritte del momento. Entrai e guardai i vari panini e i contorni, dopodiché mi diressi verso l'unico dipendente in vista. Era un ragazzo alto e magro, con dei capelli ondulati e neri, occhi verdi.

«Buongiorno» dissi cordiale. «Vorrei ordinare un...»

«Qui io non servo i meticci come te» mi rispose disgustato.

Rimasi immobile, troppo confuso se mi avesse riconosciuto come un Demone e subito dopo riconobbi l'offesa.

«Cosa hai detto?» replicai. «Io non sono un meticcio.»

«Sì, invece. Puzzi. Sei un Ibrido e io mi rifiuto di servire gente come...»

Stette proprio per dire il "come", quando Joseph arrivò alle mie spalle e sbatté la mano sul bancone, facendo vibrare la cassa intera e fece cadere i barattoli di salsa.

«Ora basta, Loki. Se non vuoi farti friggere un'altra volta, dai al ragazzo quello che vuole. È un ordine» ingiunse diretto e il ragazzo deglutì, tastandosi la fascia scura al collo.

«Voglio delle patatine e un hamburger doppio» dissi.

Joseph affilò gli occhi. «Lo hai sentito, mettiti al lavoro.»

Loki deglutì il resto delle proteste, mi fece pagare il conto in anticipo (e di sicuro fece una cresta incredibile), dopodiché sparì dietro i macchinari e iniziò a friggere le patatine nell'olio bollente.

«Mi sputerà nel piatto» sospirai con pentimento.

Joseph rise, mi toccò la spalla e mi tirò con sé verso un tavolo. All'interno non c'era nessuno, la gente lavorava e gli studenti erano ancora a scuola. L'aria nel fast food iniziò a puzzare di fritto, cosa che non mi infastidì molto.

Guardai un attimo Joseph. Indossava un maglione color crema e dei jeans attillati, persino con quei vestiti era fuori posto con l'ambiente in generale. L'aria superficiale da Vampiro la conservava in ogni occasione.

«Che ci fai qui, As? Tua madre lo sa?» mi tentò.

«Alfie mi ha mandato a cercare un'erba» risposi evasivo. Non era una bugia in fondo. «Avevo fame e sono venuto qui ad esplorare la città. Non mi fanno uscire spesso per...»

Mi mangiai la lingua prima di dire altro. Se avessi parlato a sproposito del Wendigo avrei finito per mettere in mezzo anche Zero e la sua stupida avventura nei boschi.

Joseph inclinò il capo, attento come un predatore. «So che sei a conoscenza del Wendigo e so anche che Zero lo sta cercando. Gli ho detto tante volte di lasciare perdere, ma è una testa dura ed è meglio che impari la lezione da solo. Persino Chloe non riuscirebbe a battere un Wendigo a digiuno» sentenziò e un brivido di terrore mi scosse le spalle. «Lo stai cercando?»

«Ho detto di no» commentai acido. «Probabilmente se lo incontrassi mi ucciderebbe e non ho voglia di morire. Zero lo sta cercando da settimane, se non lo ha ancora trovato significa che quel mostro lo sta prendendo in giro. È una scusa per girovagare per i boschi da solo con Ru... Oh, scusa.»

Il Vampiro non parlò, poi abbassò le spalle. Era impossibile che non sapesse della relazione strana tra quei due, le molecole della loro magia vibravano sempre quando erano vicine e portavano l'odore dell'altro ogni notte di luna piena.

«Tranquillo, lo so» disse sereno, ignorando la rabbia dell'argomento. «Sono abituato ai loro atteggiamenti.»

«Ti da fastidio perché è Ru o hai dei problemi con la sua sessualità?» persistei.

Alzò gli occhi al cielo. «Ho dei problemi con Ru e basta. Non sopporto quel tipo» dichiarò. «Ho conosciuto Chloe al liceo, a quel tempo vivevo a Wolverhampton, una cittadina in Inghilterra ed ero umano. Era una ragazza irresistibile, vivace e aveva l'indole da maschiaccio.»

Sogghignai. «Ed era una gran gnocca» puntai. Smisi di ridere quando mi rivolse uno sguardo geloso. «Sapevi che fosse un Licantropo?»

«All'inizio no. Era tornata dai suoi nonni materni dopo che i saggi dell'isola di Arcadia la cacciarono. Quando lo scoprii ne fui traumatizzato, la temevo, ma lei rimase sempre la stessa Chloe e imparai a conoscerla meglio. Tu e Zero siete stati i primi Ibridi ufficiali, i più famosi almeno. Non sospettavamo nemmeno che Chloe potesse rimanere incinta e... be', Zero è stato un errore. Avevo diciannove anni quando arrivò.»

Mi morsi un labbro. «Oh.»

«Non era programmato. Io avevo paura, ma Chloe era tranquilla. Sapeva che Zero fosse buono, che fosse migliore di noi due e non ci sbagliavamo. Erano le stesse cose che Kiral diceva di te. Mio figlio è un idiota, però è una brava persona, su questo non ho dubbi.» Loki strillò angosciato e rovesciò per sbaglio un hamburger congelato a terra. «Ru ha trasformato Chloe in Licantropo.»

«Pensavo i Licantropi nascessero tali» mormorai vigile.

«È così. Ru è un purosangue, discende da una famiglia di Licantropi puri. Costoro possono trasformare una singola persona con il veleno che possiedono e lui, per gioco, ha tra scelto lei. Entrambi siamo finiti in questo mondo da forze più grandi di noi e quando è nato Zero, Ru ha avuto l'imprinting con lui.»

Aprii gli occhi a scatto. Avevo letto quasi sei libri sui Licantropi e per loro la cosa più importante della loro esistenza era l'imprinting, il legame che si viene a creare con una determinata persona dopo l'incontro. Era uguale all'amore a prima vista, al sentimento di estrema protezione e Ru, benché spesso cercasse di nasconderlo molto bene, ne era affetto. Ru e Zero erano stati uniti fin dalla nascita.

«È una cosa da lupi e io non posso comprenderla, Chloe ha persino evitato di dirmelo per i primi mesi della nascita di Zero. Temeva potessi diventare irrequieto e così è stato, ma l'atteggiamento di Ru è mutato. Ha insegnato a Zero a camminare, a parlare, a leggere e persino a combattere. Vorrei solo che...» borbottò in imbarazzo.

Si passò una mano tra i capelli bruni e scosse la testa. Per quanto mi sforzassi di capire le sue emozioni, Joseph rimaneva un mistero. Zero era forte ed intelligente, sapeva difendersi da solo. Erano i miei genitori, anche Matthew stesso, a preoccuparsi di non farmi finire triturato ogni giorno. Se avessi avuto un figlio avrei voluto assicurarmi che fosse amato dall'altra persona.

Gli fissai le mani. «Vedo la loro magia» gli dissi per rasserenarlo. «Zero è al sicuro con lui. Ru lo ama davvero.»

Joseph mi fece un modesto sorriso e in quel momento arrivò Loki e mi spalmò sotto il naso il vassoio con un hamburger orribile e delle patatine affogate nel ketchup. Si voltò adirato e se ne andò.

«Hai dimenticato la Coca Cola» gli ricordò Joseph.

«No, non è vero. Non l'ha ordinata» berciò Loki.

Osò contraddirlo e una scossa elettrica gli bruciò il collo e lo fece strillare in modo sguaiato. Corse verso il minuscolo frigo, afferrò una lattina di Coca e me la tirò, sudando freddo.

«Grazie» dissi a mo' di scuse.

«Strozzati con quelle patatine, Demone.»

Piagnucolando se ne andò nel retro bottega, pulendo la friggitrice e il bancone di lavoro. Doveva aver avuto una vita peggiore della mia per finire in quel lurido posto.

Mi feci saltare una patatina in bocca. Offrii anche al Vampiro e ovviamente rifiutò. Sperai solo che non desiderasse bermi il sangue per pranzo.

«Che problemi ha quel tizio?» chiesi per continuare a conversare.

Si grattò il mento e mi guardò pigramente mangiare. Dover dire addio ai piaceri del cibo doveva essere stata una vera tortura, soprattutto perché lui era stato un essere umano. Mi rattristai all'idea di come io, un mezzo Demone, potessi cibarmi di ogni cosa e lui no.

Joseph mi spinse più vicino l'hamburger, facendomi cenno di mangiare. Poteva leggermi la mente? Era un potere dei Vampiri? Ero nei guai. Il suo era più un istinto paterno che aveva sviluppato con Zero.

«È solo Loki, è fatto così» lo sminuì. «È il fratellino di Thor, anche lui è un dio antico. Rievoca l'astuzia e l'inganno. Sedici anni fa aveva aiutato il Re infernale e questa cosa Kiral non l'ha mai digerita. La posizione del Quartiere era sconosciuta, si è servito di Loki per tenerla d'occhio e spiare la situazione all'interno.»

Mi accigliai. «Il nonno?»

Annuì. «Quando Azrael gli disse di aver creato un Ibrido non fu contento. Erano vietati a quei tempi, i Demoni erano imprevedibili e nessuno capì con esattezza come fosse potuto succedere. Il veleno dei Demoni è diverso da quello dei Vampiri e Licantropi, ti distrugge l'anima nel profondo» parlò, tastandosi il petto in un doloroso ricordo. «Persino quando seppe di te non fece nulla. Presumo fosse curioso di sapere cosa sarebbe nato da un simile incrocio e quando tua madre sparì dalla circolazione si agitò. Il Re infernale non è tipo da preoccuparsi, ma vuole avere le cose sotto controllo.»

Bevvi un sorso di Coca frizzante. «E noi non eravamo nei piani» tradussi.

«Affatto. Be', siete vivi. È un passo enorme.» Vivi era un modo molto generico per definire la nostra esistenza. Kiral era morta per salvare anche me. «Dopo la guerra Azrael ha dato la caccia a Loki e lo ha imprigionato qui, a servire gli umani che tanto disprezza. Lo ha legato come un cane e ogni tanto passo a vedere come sta. Ha imbrogliato anche noi Vampiri.»

«Quindi vi conoscevate già?»

«Conoscevo tuo padre dalla guerra ad Arcadia. L'isola è sempre stata nascosta e pacifica, quando arrivarono i Vampiri la situazione peggiorò e Loki li spinse ad attaccare. Li imbrogliò e scendemmo alle armi per riportare la pace. Azrael mi aiutò a quell'epoca. È uno dei miei più fedeli amici. Quando mi disse ciò che aveva fatto, di aver creato un Ibrido e di aspettare un figlio della stessa razza, lo protessi. Gli devo la vita.»

Mi raccontò della guerra di Arcadia, gli stessi argomenti che trattavano i libri, come la venuta dei Vampiri e la sconfitta dei sette saggi che regnavano e dominavano l'isola. Al loro posto erano saliti i quattro supremi della Lega, i campioni di Arcadia. Mi disse dell'amicizia con Azrael e delle loro avventure insieme, lo descrisse come un amico di vecchia data e non ne parlò mai male. Fu incredibile come Alfie mi avesse detto l'opposto.

«Hai mai avuto paura di Azrael?» Finii le patatine e mangiai il panino.

Era unto, molliccio e la carne era pessima. Loki era un pessimo cuoco.

Joseph si incupì. «No. Perché dovrei?»

Feci spallucce. «Ho sentito delle cose sui principi e su mio nonno... cose brutte.»

«È il Re dei Demoni. Non potranno mai essere cose belle» soffiò acido. «Permette ai Demoni di girare indisturbati sulla Terra, di far male a popoli interi, tormenta gli esseri viventi con i suoi Patti ed è protetto dalle leggi supreme. L'universo esigerà sempre un sovrano per gli Inferi e, senza di lui, non ci sarebbe equilibrio. Hai paura di diventare come lui?»

Ci pensai e poi scossi la testa. «Io non sono come lui. Non voglio esserlo.»

«L'ignoranza è una benedizione, Asrael. Sii felice di non incontrarlo.»

Cercai di immaginare come fosse mio nonno, se brutto, maligno o solo incompreso. Anche io a scuola ero considerato un tipo strambo, uno stupido con tendenze violente, la verità era che fossi stato rinchiuso in una gabbia, in una vita che non mi apparteneva. Il mio interesse non diminuì di intensità, eppure se mia madre e mio padre lo detestavano a tal punto significava che fosse una persona pessima.

«Kiral ha scelto Odda come accampamento perché tra queste montagne si sentiva sicura. I boschi coprono l'odore e i ghiacciai sono utili per mascherare le tracce. Ha perso fin troppo per mani di altri per vedere il suo mondo crollare un'altra volta» sillabò e nei suoi occhi i frammenti della guerra tornarono a scuotergli le membra. «Vuole proteggere i cuccioli ad ogni costo.»

«Per Lucifero, vero?»

Il Vampiro ebbe uno spasmo d'orrore e chiuse gli occhi per dimenticare. Avevo fatto un passo falso a rievocare quella brutta storia, quell'Angelo Caduto aveva inferto troppe ferite nell'animo dei sopravvissuti per lasciar loro la bandiera della vittoria. Si era assicurato di lasciare sopravvissuti, non vincitori.

Delle pentole caddero nel retro e io sobbalzai impaurito.

Joseph mi sfiorò il polso. «Per favore, evita di dire quel nome.»

«Mi dispiace» affermai.

Abbassò lo sguardo e guardò oltre la vetrata, verso la cittadina che viveva la sua esistenza lontano dai giochi della magia. Per trovare la pace mia madre era dovuta correre ai confini del mondo e ancora adesso era minacciata. Rischiare di perdere tutto di nuovo, vivere nell'ansia e nella paura di una nuova guerra era atroce.

Mamma aveva perso molto più di me quel giorno.

Joseph mi domandò se mi servisse un passaggio, aveva un pick-up blu nel parcheggio, e rifiutai per vari motivi: a) trascorrere mezz'ora in auto con quel tipo sarebbe stato imbarazzante, b), avrei dovuto passare il resto del pomeriggio con Alfie e sorbirmi le sue indignazioni e, infine, c), dovevo ancora chiamare papà.

Lo salutai e tornai al molo, in quel minuscolo spiraglio asfaltato. Erano le prime ore della giornata in America, o almeno in quella zona a ovest. Provai e il cellulare squillò. Mi rispose Cassie Thomson, la segretaria di papà allo studio. Era una persona dolce ed ero cresciuto in mezzo ai suoi collaboratori, mi conoscevano ed ero il "bimbo di tutti".

Papà corse al telefono nonostante fosse impegnato con un cliente e fu felicissimo di sentirmi. Gli mandavo costantemente messaggi, video e foto per farlo sentire presente e mamma altrettanto.

«Dove sei? Sento un baccano incredibile» mi fece notare.

C'erano dei tir che passavano per trasportare legno alle industrie. Tappai il microfono. «A Odda, ho la giornata libera. Alfie, quel satiro pervertito, ci stava provando con una ninfa e, oh, ho incontrato il dio Loki in un fast food.»

Lui rimase in silenzio a digerire la vagonata di informazioni. «Be', deve essere stato bello. Gli hai chiesto l'autografo?»

«No, era uno stronzo. Mi ha insultato. A quanto pare Azrael lo ha imprigionato qui per punirlo ed è stato troppo buono a non ucciderlo. Il Vampiro cattivo mi ha detto che Thor ha chiesto indulgenza per lui, non riesco a comprendere questo mondo, dico davvero.»

«Sai che puoi tornare quando vuoi, vero? Questa sarà sempre casa tua.»

«Grazie, papà.» Per me Matthew rimaneva sempre il mio vero padre. «Perché non hai mai cercato di contattare Kiral, insomma, riprendere i rapporti con lei?»

Si allontanò e sentii un "clack" metallico, segno che dovesse essersi chiuso dentro il suo ufficio. Ci vollero dei secondi per farlo rispondere. «Non volevo sforzarla. Non è mai stata in grado di gestire le sue emozioni o di affrontare troppe cose allo stesso tempo. Lei sembra forte, in realtà non è così. Sasha ha bisogno di protezione e sapevo che Azrael potesse dargliela. Io... mi sono messo solo da parte.»

Era l'unico che la chiamasse così. Sasha. Il vecchio nome di Kiral, quando ancora era un essere umano come molti altri, prima di diventare una delle più grandi leggende del mondo contemporaneo. Matthew la vedeva ancora come la ragazza che frequentava il suo stesso liceo, una dolce creatura da difendere, e la guerra non aveva fatto altro che fortificare quei pensieri.

«Sei in contatto con qualcuno? Intendo...»

«So cosa intendi» mi bloccò. «Solo con un paio di uomini dell'OverTwo, gli stessi che ti hanno portato qui e controllavano il tuo andamento. Li ho dovuti informare quando sei andato via, del mostro e di Azrael. Dammi retta, As, stai lontano da alcune questioni.»

Sospirai. «Me lo dite tutti.»

Un'ora dopo ero già sulla strada per tornare al rifugio. Aveva smesso di piovere, i sassi erano ricoperti da una patina umida e il muschio era scivoloso. Strappai dell'ortica selvatica da portare ad Alfie, spacciandola per hosbus e lui, pur di non dirmi la verità, la accettò. Non ebbi idea di cosa cavolo successe, forse qualche altro satiro la usò per una pozione o finì per sbaglio nell'armadio delle erbe medicinali, ma dodici ragazzi passarono quattro giorni a grattarsi e io mi beccai due settimane di punizione. 

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