VIII
(Zero McKingsley)
La mattina dopo mi alzai alla buon'ora. Il dolore al petto era scomparso, almeno quello legato al colpo di Zero, e rimaneva solo la vergogna che provavo. Mi sentivo ancora uno schifo per essermi messo in quella situazione, per essere finito in infermeria come un cretino. Ero certo che nessuno avrebbe detto a papà cosa fosse successo, Matthew era fin troppo protettivo e sapere che un altro ragazzo mi avesse fatto del male lo avrebbe fatto scoppiare. Ero sempre rimasto nello stato di New York, persino andare a trovare la nonna a Seattle era un'impresa. Mi domandai come avrebbe preso la notizia della mia dipartita momentanea, lei che era fissata con l'istruzione e la famiglia.
Non chiusi occhio quella notte e quando lo feci mi immaginai le facce deluse di Kiral, Azrael e Matthew. Mi guardavano amareggiati e ammettevano che fossi una perdita di tempo. Sognai persino Sky, la quale disse con voce stridula e fastidiosa che risultassi umano al cento per cento.
Sithi e Yina corsero nella stanza a svegliarmi. Ero di nuovo finito nel letto dei miei genitori in vista momentanea e quando entrarono emisero dei versetti eccitati, vedendomi senza maglia. Mi coprii con il lenzuolo.
«Sei già sveglio?» mi domandò Sithi, allargando i suoi enormi occhi scuri. «La tua mamma ci ha fatto venire, ha detto che altrimenti dormivi fino a domani!»
Yina si appigliò alle lenzuola e montò sull'enorme materasso. Nel mondo umano sarebbe stata catalogata come un nano, era piccola, con la testa grande ed ovale. A vederla sembrava quasi una specie di robot telecomandato.
«Come stai?» mi chiese, dandosi dei colpetti sul petto.
Mi massaggiai le spalle. «Sto bene.»
«Puzzi di incubo, lo sai?» Corrugai la fronte. Io vedevo le particelle che le creature emanavano, o almeno i Demoni con chiarezza, e lei con l'odore scovava ogni mio segreto. «Sono cose brutte, As.»
«Non è nulla, li ho sempre avuti. A volte dormo male, nulla di cui preoccuparsi. I farmaci non fanno effetto» commentai e, approfittando della loro poca attenzione – stavano studiando con curiosità la suite di Kiral e Azrael – scesi dal letto e mi vestii.
Sithi corse verso di me e mi aprì la bocca, guardandomi in gola. Mi scansai e mi annusò guardinga. «Oh, As, se un Incubo ti tocca devi dirlo subito. Tu sei così pulito! Quegli esseri hanno tormentato la mia razza per molto tempo, sono crudeli!»
Feci per allontanarmi e ci ripensai, fissandomi allo specchio. «Vedi qualcosa?»
«No. La tua anima è così linda.»
«Hanno detto qualcosa su di me, ieri?»
Sithi e Yina si guardarono ed entrambe negarono. Non dissi loro che sapessi della bugia, avevo dato prova alla gran parte dei ragazzi che fossi debole e non avevano il coraggio di dirmelo in faccia. Mi sentivo come i ragazzi viziati del liceo West, stupidi ed intoccabili.
Guardai l'ora. Erano le otto, l'ora della colazione al rifugio. Mi misi le scarpe da ginnastica e mi affrettai. Le due ragazze mi trottarono dietro.
«Dove vai, As?»
«Vuoi venire fuori con noi?»
«Cavolacci, ho proprio fame.»
Andai in mensa e non trovai né Azrael né Kiral. Non mi aspettai di vederli, i Demoni si nutrivano di sangue e non aveva alcun senso per loro perdere tempo in quel posto. Trovai i tavoli imbanditi con deliziosi dolci, dai muffin ai mirtilli fino ai cereali nel latte al cioccolato. C'erano pochissimi ragazzi e Joseph e Chloe erano seduti in un tavolo distante, intenti a bere una grossa tazza di caffè.
I ragazzi alzarono una mano e mi salutarono. Dissi a Sithi e Yina di precedermi e andai verso Chloe e Joseph. Il Vampiro fissava la tazza tra le sue mani (i Vampiri bevono caffè senza zucchero?) e Chloe sonnecchiava, gli occhi semichiusi.
«Buongiorno» dissi per svegliargli ed entrambi saltarono attenti. «Vorrei parlare con Zero, per favore. Quello che è successo ieri è colpa mia.»
Chloe si stropicciò gli occhi e inclinò il capo a lato, sorridendomi con dolcezza. «Oh, As, è molto carino quello che dici. È stato Zero a farti male però. Come stai?»
«Meglio» dissi. «Sono alquanto resistente. Potrò giocare ancora con lui?»
Joseph bisbigliò qualcosa alla moglie e lei, con il suo udito fine, lo udì molto bene. Deglutì aspramente e si grattò il braccio. «Non so se è una buona idea. Zero è stato allenato fin da bambino dai più abili maestri di Arcadia, ha appreso le tecniche di difesa, le arti marziali e ha affilato i suoi sensi. Se ti avesse attaccato davvero ti saresti fatto molto più male.»
Non ebbi il coraggio di prendermela. Zero aveva persino evitato di andarci giù troppo pesante e, nei pochi minuti in cui eravamo stati a contatto, aveva capito che non avessi nulla di un vero Demone, né velocità né forza.
«Zero non ha un buon autocontrollo, ragazzo. Evita di strafare» mi disse Joseph serio.
«È un consiglio?» Annuì. «Allora non lo prenderò in considerazione. Vieterete a Zero di giocare con me?»
Joseph mi gettò un'occhiata tagliente e lo fissai nei suoi intensi occhi rossi. Fino a pochi giorni prima sarei scappato di paura e ora avere un Vampiro assetato di sangue non mi arrecava alcun pensiero. Joseph e Chloe erano più preoccupati per mia mamma, per quello che aveva passato per me, l'abbandono e il ritrovamento in poco tempo, e non volevano darle altri pensieri.
«No» disse Joseph. «Ma dirò ad Azrael di vietare a te di giocare. Questo posso farlo.»
Una punta di fastidio mi vibrò nelle viscere e mi stuzzicò fino alla punta del cervello. Rimasi in piedi davanti al Vampiro, il quale era seduto molle sulla panca a contemplare il suo piatto vuoto e me. Avrei voluto dargli un pugno e fargli ingoiare quelle stupide paranoie.
«Non sono un cucciolo» ringhiai e lui fece un sogghigno per smentirmi.
Chloe fremette e avvertì qualcosa nell'aria. Si alzò e mi toccò la spalla, convinta di potermi aiutare. La sua mano mi bruciò ed avvertii un fremito in quel punto, doloroso e profondo. Mi spostai e la scansai furente.
«Io non mi calmo» ribadii.
Voleva toccare le mie emozioni, plasmarle, e non mi andò bene. Ero arrabbiato con loro e calmare la mia indole era la cosa che meno desideravo al momento. Reprimere le mie emozioni era come gettare benzina sul fuoco.
Joseph arcuò un sopracciglio e Chloe mi distanziò, dandomi spazio. «Hai avvertito la mia magia» considerò lei. «E l'hai distrutta.»
«Hai provato a calmarmi» la accusai. «Queste stronzate con me non funzionano» la avvertii e capì al volo che non avrei tollerato una seconda volta.
Joseph appoggiò il gomito sul tavolo, sorreggendosi il meno con un dito. «Allora non sei poi così male, cucciolo. Ti do un consiglio più utile: se vuoi migliorare allenati. Se ti alleni puoi superare qualsiasi ostacolo e nostro figlio è uno di questi, vero?»
Chloe aprì la bocca, scontenta dell'epiteto.
«Tu lo sei» risposi. «Dov'è Zero? Voglio parlare con lui.»
Chloe sospirò. «È uscito con Ru molto presto. Ha detto che andavano in città per...» Si mangiò le parole quando il Vampiro le dedicò uno sguardo furioso. Da quel che avevo capito, la relazione che coinvolgeva Zero e Ru turbava Joseph. Peccato. Ru era simpatico. «Be', ecco, a volte Zero si accampa da qualche parte e sta via giorni...»
«Non è pericoloso stare nei boschi in questo periodo?» domandai.
Zero aveva mentito ai genitori e aveva chiesto a Ru di aiutarlo con il Wendigo perché sapeva che fosse l'unico a non dargli del pazzo. Kiral e Azrael lo avevano cercato per settimane senza risultati e Zero aveva troppa speranza o fiducia in se stesso. Chloe e Joseph avevano di gran lunga più intelligenti del figlio.
Il Vampiro affilò lo sguardo. «Come sai questa cosa?»
Mi bloccai. Era un segreto che mi aveva rivelato Zero, una cosa che persino mamma aveva evitato di dire troppo in giro per evitare paure. Confermare pubblicamente che ci fosse un mostro predatore vicino ad un rifugio voleva dire mettere in discussione la sicurezza del luogo.
Presi il cellulare dalla tasca e finsi che qualcuno mi stesse telefonando, nonostante in quel posto prendesse pochissimo. Scappai via prima che quei due decidessero di placcarmi e farmi altre domande. Feci una piccola colazione insieme ai ragazzi e ascoltai il loro discorso sui piazzamenti del prossimo torneo. Dopo la guerra e la creazione del rifugio, Azrael aveva ideato dei tornei di combattimenti per scaldare gli animi e divertire i primi ragazzi protetti. Era diventata una tradizione e, con l'arrivo di Zero, le scommesse vertevano tra lui e Kai.
Azrael mi arrivò alle spalle e mi spaventò a morte, saltandomi addosso come un puma. Quasi gettai a terra la tazza con latte al cacao.
«Non è divertente» gli dissi scioccato. «È successo qualcosa?»
«No» esclamò tranquillo, rubando dal mio piatto l'ultimo pezzo di brioche e facendolo saltare in bocca. Mi appuntai che ad alcuni Demoni piacessero i cibi umani e che il vizio fosse un loro peccato. «I ragazzi si stanno allenando. Kiral sta dando loro lezioni con la spada e pensavo ti sarebbe piaciuto assistere.»
Mi voltai con occhi brillanti. «Posso usare una spada vera?»
«Certo!»
Saltai in piedi euforico e gli corsi dietro, salutando gli altri. La razza di Sithi e Jenos (il ragazzo splendido con la pelle olivastra e i capelli bianchi di carp) erano pacifiche e come tali odiavano le armi. Erano ninfe, spiriti e bestie della foresta ad abbracciare i legami con la magia e, per quanto fosse anche per me un argomento affascinante, l'idea di tenere in mano una spada mi eccitò.
Chloe ci tagliò la strada con un'espressione corrucciata. «Azrael, sai cosa ha detto Kiral. Lascialo in pace, non è pronto per...»
«Stronzate, io non ho sentito nulla» la ignorò. Joseph ridacchiò. «E poi As vuole stare un po' con suo padre. Non è mica come Zero che preferisce passare le notti di luna piena con pessime compagnie» puntò.
Mi diede una gomitata e mi svegliai. «Sì! Voglio provare!»
Prima che potesse aggiungere altro, Azrael mi tirò con sé e scappammo via correndo. Lo sentii ridere e sfrecciò con velocità davanti a me, quasi seminandoli e io lo inseguii. Per alcuni secondi ripensai a mio padre, alla figura paterna che avevo lasciato a casa a Manhattan e di tutti i ricordi e giochi che avevo fatto con lui. La faccia divertita di Azrael mi illuminò e mi fece dimenticare ogni brutto ricordo malinconico: per quanto mi fossi fatto male davanti a tutti, lui ancora era felice di vedermi. E io di essere lì.
Il suo sorriso era splendido, ampio, uguale al mio. Mi disse però che il mio sguardo fosse molto più simile a mamma, perché anche lei a volte era nel suo mondo, turbata o pensierosa. Davo spesso quell'impressione, quasi fossi caduto in un mondo a parte e non volessi più tornare. Un po' lo desideravo.
Mentre passeggiavamo mi raccontò di Thor, del primo dio che si era insediato sulla Terra e aveva posto radici perenni. Era il figlio di Odino e Jord, sarebbe dovuto diventare re degli dei se il padre non lo avesse esiliato da Asgard a seguito del suo matrimonio con un'umana molti millenni fa. Aveva seguito suo fratello minore Loki durante una guerra e aveva creato un Quartiere in Alaska, tra i monti elevati, e la sua prima casa in Norvegia.
Lo descrisse come un uomo severo, giusto, talvolta troppo superbo. Mi narrò delle sue gesta, delle guerre a cui parteciparono e si affrontarono, a volte come nemici, altre come alleati, e di come avesse radunato le creature magiche al Quartiere. Era stato il primo ad accorgersi dei movimenti dei Caduti e ad addestrare la mamma, nonostante lei fosse una ribelle di prima categoria. Dopo la vittoria aveva rimesso insieme i pezzi e i sopravvissuti, con l'OverTwo aveva creato nuovi rifugi sicuri, mentre l'Esercito era tornato a cacciare Demoni in tutto il mondo.
«Caccia Demoni» ripetei guardingo. «Caccerebbero anche me?»
«Con me ci hanno provato molte volte, prenderli in giro è stato divertente, ma i loro metodi diventano più brutali ogni giorno che passa. I Demoni scappano e usciti dal regno diventano prede. Persino i più stupidi sanno che non conviene attaccar briga con i reali» disse.
Inclinai il capo. «Intendi i principi o il Re dei Demoni? È mio nonno, giusto? Vorrei conoscerlo!» cantai.
Azrael si voltò con ferocia, puntandomi un dito contro la faccia, dritto sul naso. «Non» ringhiò «dire più una cosa del genere. Non con me.»
Aprii la bocca e mi tirai indietro, intimidito. Si rese conto di essere stato rude e si scusò. Evitai di dire altro su di lui o su suo padre, il Re dell'Inferno che regnava su tutti i Demoni. Riconoscevo bene la paura e l'odio e lui li aveva entrambi per quella persona che non avevo mai conosciuto dal vivo. Doveva avergli fatto qualcosa di orribile per rendere Azrael in quello stato irrequieto. Ingoiai la richiesta di conoscere un altro membro della famiglia.
Mi fece un sorrisetto e mi passò un braccio sulle spalle, tirandomi più vicino e tornammo verso la palestra. C'era un gruppetto di ragazzi che si allenava, alcuni di loro correvano lungo un percorso ad ostacoli, saltavano buche e ponticelli mobili, affrontavano manichini pieni di spine e lance che tentavano di colpirli. Sul soffitto c'erano degli anelli sui cui arrampicarsi e cinghie a cui reggersi.
Kiral stava parlando con una ragazza con un falcetto in mano, molto simile alla sua falce e le stava dando dei consigli su come maneggiarla. Appena mi vide la sua faccia sbiancò, lasciò la ragazza ai suoi allenamenti e marciò verso di noi.
«Che stai facendo?» lo interrogò provando a non usare un tono alterato. «È presto per mettergli una spada in mano, Azrael.»
Quando mamma lo chiamava con il suo nome completo significava guai in vista.
Il Demone fece una smorfia. «Quando sei venuta qui ti hanno messo una spada in mano il giorno stesso. Gliel'ho già chiesto, vuole imparare, che male c'è? Sarà un momento padre figlio per instaurare un legame più solido. Vuoi forse impedirmi di essere un buon genitore? È una cosa cattiva!»
Lo scherno era l'arma più efficace e Kiral aveva il suo modo di affrontarlo: ignorarlo. Fece scomparire la falce che impugnava con fiducia per evitare che prendessi altre scosse mortali. Mi consolò il fatto che nemmeno Azrael potesse toccare l'arma.
«Che vuoi fare?» gli domandò con sospetto.
Azrael mi portò verso l'armeria e mi mostrò la sua spada, descrivendola. Da vicino era maestosa, con incisioni nella lingua antica che vibravano a contatto con la sua magia, l'elsa era formata da un'impugnatura solida e una guardia placcata di metallo infernale. Le armi infernali erano rare e forgiate nelle profondità del Tartaro; le migliori però erano quelle elfiche, imbevute di magia antica e indistruttibili.
Dedicò un minuto a tutte le armi presenti, dalla kama all'ascia. C'erano martelli, spade lunghe con la lama curva, catene piene di spine e pugnali. Holies, la falce di Kiral, le era stata dall'Arcangelo Michele, successivamente era stata danneggiata nella guerra di New York e l'aveva riforgiata tra sangue, sudore e lacrime. Azrael l'aveva costruita da sé, creando un legame unico. Avrei dovuto avvertire qualche genere di contatto provando le armi, invece assaporai solo la lieve magia residua di chi le aveva maneggiate prima di me.
Presi una spada comune e mi fece vedere qualche tecnica di affondo e difesa, tra colpi di punta, montanti e la guardia. Lentamente mi allenai con lui, piano, e appresi le prime mosse offensive e di parata. Azrael dosava la sua forza ed era paziente.
Passammo alcune ore così, finché si fermò. «Dovresti allenarti sul serio, ora.»
Mi asciugai il sudore dalla fronte. Mi facevano male i piedi e le ginocchia. Fare esercizio fisico non era mai stato tra le mie attività preferite.
«Hai scherzato fino ad adesso?» borbottai angosciato.
Lui sogghignò. Mamma era poco più in là e a volte ci gettava delle occhiate di studio, controllando che Azrael non mi massacrasse o che io non esagerassi. Si era calmata quando aveva visto l'approccio giocoso e pacato di Azrael, decidendo di non intromettersi.
Il Demone si allontanò per parlare con Kai, il quale stava colpendo un grosso tronco mobile con la sua mazza chiodata. Il troll si fermò subito e ascoltò con devozione le parole del Demone, annuendo, poi i due tornarono da me.
«Kai testa cucciolo di Demone» mi disse, prendendo una spada dall'armeria.
«Kai spacca cucciolo di Demone» tradussi.
«Ci andrà leggero!» esclamò a voce alto per via di Kiral. «Vacci leggero, Kai» lo pregò sottovoce e il troll annuì.
Lei fumò di collera, vedendo che i suoi consigli fossero gettati al vento, e si allontanò offesa. Analizzò il percorso ad ostacoli che i suoi allevi stessero facendo e solo in due riuscirono a finirlo, nonostante i graffi e le botte prese.
Kai marciò verso di me e si posizionò a qualche metro di distanza. Ero contento di non vederlo con la mazza, eppure anche con una semplice spada di metallo metteva una fifa nera: era alto il doppio di me, grosso il quadruplo. Solo un vero Demone lo avrebbe fronteggiato senza problemi.
Tenni i gomiti piegati, vicino al corpo, le gambe divaricate, pronte a muoversi in caso di bisogno. Kai venne verso di me e alzò la spada, colpendomi su un fianco. Rotolai e lo evitai.
«Cucciolo di Demone rotola come trottola» mi accusò.
Meglio trottola che morto, pensai.
Mi caricò altre due volte e sempre lo schivai, sotto lo sguardo confuso di Azrael. Si aspettava altro e lo sapevo, e io non facevo altro che chiedermi come poter battere quel bestione di Kai senza perdere un braccio. Disarmarlo era impossibile, teneva la spada serrata nella sua grossa mano blu e pelosa e prenderlo di soppiatto era allo stesso modo stupido.
Kai si impuntò spazientito e venne ancora verso di me. Anticipò la mia mossa e fendette l'aria nella stessa mia direzione, bloccandomi la via. La sua finta mi lasciò di stucco, deviò la lama quasi rasente al terreno e cambiò di netto la traiettoria del colpo.
Ancorai i piedi a terra e feci l'unica cosa che mi venne in mente di fare per non essere spaccato a metà, ossia alzare la spada sopra la testa per parare il colpo diretto. Il fendente di Kai cadde perpendicolare e si schiantò sulla lama della mia spada, producendo un eco acuto che fece rabbrividire tutti nella palestra.
Le braccia cedettero subito e crollai indietro, schiantandomi sul pavimento, mentre il troll mi puntò la punta sulla faccia. Kiral emise un gemito di terrore e corse verso di noi, gettandosi in mezzo.
«Ora basta!» urlò angosciata. «Hai vinto, Kai. E tu, Az, sei contento?»
Azrael chinò il capo e io rimasi a terra senza risposte. Ero talmente debole da non riuscire a mantenere la presa sulla spada e Kai mi aveva disarmato con un singolo colpo che, tra l'altro, ero riuscito a parare in anticipo. Quella tra noi era una pura divisione di forza e lo compresi nel modo peggiore, vedendo lo sguardo impaurito di mia madre e quello sconfitto di mio padre, il quale aveva creduto di aver allevato un giovane eroe.
La rabbia mi montò dentro e fu terribile: era un'onda che mi sovrastò, densa e nera. Mi inondò ogni muscolo, tendine e viscere, mozzandomi il respiro e ogni pensiero logico. Quello che provai in quei secondi fu solo un puro sentimento di odio, sia verso Kai sia verso di me.
Presi la spada da terra e mi rialzai, tornando verso il troll che nel frattempo stava giocherellando con la spada, nella sua mano era più uno stuzzicadente. Lasciai perdere ogni logica, del fatto che fosse più forte, che provassi una stanchezza enorme e permisi alla rabbia che provavo di controllarmi, di annebbiarmi il cervello.
«As! Fermo!» urlò Kiral, temendo il peggio.
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