VI

(Chloe Blake)

Mi svegliai in un rantolo assonnato, sfregando la faccia nel cuscino. La mia testa era leggera e per dei lunghi attimi restai con gli occhi chiusi, beato, dimenticandomi di ciò che fosse successo il giorno prima. Niente mostri, niente Demoni, niente pericoli.

Sentii la voce di Kiral, soffusa e docile, provenire dal salottino, e i miei occhi si spalancarono come due fanali. I ricordi mi piombarono addosso peggio di una pioggia di lame e il cuore martellò più forte. Ero nella stanza in cui mi ero addormentato, quella dei miei veri genitori, e mi ero lasciato Manhattan alle spalle. Il mio cervello ebbe un secondo di diniego prima di ricordare a se stesso che fossi con mia madre, la quale avevo data per morta anni prima.

Corsi giù dal letto pieno di energie, carico e sfrecciai in soggiorno. Kiral era là ed era come la ricordavo: indossava una misa scura di pelle, le stringeva sui fianchi sottili. Incarnava alla perfezione l'ideale di amazzone, selvaggia, fiera e indistruttibile. Il tatuaggio fra le sue clavicole era il suo nome e immaginai che glielo avesse inciso Azrael.

Mi salutò felice e mi indicò l'orario. Dio, avevo dormito più di quindici ore, tutto il giorno precedente ed era quasi ora di pranzo. Il mio stomaco borbogliava affamato e dovevo andare tremendamente in bagno.

«Si è appena svegliato» ridacchiò lei, impegnata al telefono. Assunse un'espressione stupefatta. «Rilassati, Matt! Era esausto e l'ho fatto dormire con un po' di magia, non ti agitare.»

Mio padre si sarebbe arrabbiato molto se fossi stato a casa a dormire tutto il giorno, specie durante la settimana. Quella dormita mi era servita per gettarmi alle spalle la fatica dei giorni precedenti, del caldo infernale di New York e lo stress della scuola estiva. A pensarci bene, se non avessi dato gli esami a fine trimestre, mi sarei beccato la bocciatura.

Scrollai le spalle. Avevo altro a cui pensare.

Magia o no, le ero grato di avermi tolto gli incubi per una notte e di avermi fatto dormire serenamente. Mi sentivo rinato.

Alla fine, scontrosa, mi passò il telefono. «Vuole parlare con te» sbuffò acida, sedendosi mogia sul divano con le braccia incrociate.

Ecco, pensai, l'ha fatta arrabbiare. «Papà?» dissi, sfregandomi gli occhi.

La sua voce era impastata e turbata. Doveva essere ancora presto in America, persino per i suoi orari. A volte andava a dormire a notte fonda e si svegliava prima dell'alba per finire in tempo i progetti, sistemarli con i programmi sul computer e organizzare i meeting. Sentirgli usare quel tono mi fece stare male. Doveva aver passato una brutta nottata.

«As, stai bene? Ti è successo qualcosa? Che ti hanno fatto?» domandò a raffica.

Sospirai. «Niente!» tagliai corto per zittirlo. «Ho dormito fino ad adesso. Sto benissimo, mi sento... wow, rinato.»

Si masticò delle parole. «Sì, è magia. Puoi dire a Kiral di non farlo più? Non mi piace che usi degli incantesimi su di te. Può essere pericoloso e la sua, be', non è delle migliori.»

Per farlo contento glielo dissi e mi allontanai per non far sentire a mamma quelle dicerie. A parer mio erano cattiverie gratuite che nascondevano un po' di invidia. Papà non era quel genere di uomo e sapevo che appoggiasse la mia scelta di scoprire le mie origini, speravo solo che l'atteggiamento restio non fosse routine.

«Va bene» sospirai sconfitto. «Come sta Husk?»

«Quella bestia è sotto il letto. Dorme» ringhiò furente.

Sorrisi. L'idea che un Demone fosse a casa mia non mi sembrò così tanto spaventoso. Mi chiese cosa ne pensassi di Azrael e gli dissi che fosse, tutto sommato, okay. Era un tipo divertente, frivolo, a parte il suo umorismo. Gli raccontai che mamma fosse fantastica, che avesse combattuto in guerra e che a scuola tutti mi avrebbero invidiato.

«Senti, As, sono felice per te, però cerca di ricordarti che Kiral e Azrael non faranno mai parte del mondo umano» mi ricordò. «Non potranno venire ai tuoi saggi di violino o a prenderti a scuola, sono Demoni, eroi, e come tali vivono nel loro mondo. So che sei contentissimo, cerca solo di non dimenticartelo. Ti chiamerò ogni...»

Senza aggiungere altro, passai il telefono a Kiral e lei lo afferrò al volo, stupita. La mia espressione era un libro aperto e, per quanto fossi cattivo, fui felice che mio padre, o meglio, Matthew Klee, non fosse là. I suoi giudizi erano privi di fondamenta.

«Mi ha ripassato il telefono, penso tu lo abbia fatto arrabbiare... No, Matt, ora calmati. Starà con me e Azrael, ce ne occuperemo noi... Non lo so per quanto...» Mi lanciò un'occhiata. «È questa casa sua, Matt... Non te lo voglio portare via, ma sai cosa ho passato, ho dovuto rinunciare a lui per prendermi cura di un regno che non era affar mio... Potrai venire quando vuoi, qui sarai sempre il benvenuto; As però è mio.»

Discussero per alcuni minuti e finalmente trovarono un accordo: Matthew sarebbe potuto venire al rifugio ogni qualvolta lo desiderasse e io, se avessi voluto, avrei trascorso le vacanze con lui. Era onesto e a papà andò giù.

Mi dispiacque quando parlarono più tranquilli e Kiral gli raccontò gli anni che aveva passato da sola e i dodici nel regno degli Inferi, in silenzio, ad attendere. Sembravano amici di vecchia data e quando il disagio e il rancore svanì, risero insieme e parlarono del suo lavoro. Ringraziai il cielo che papà non avesse tirato fuori la questione del college.

Andai in bagno e mi feci una doccia, mettendomi dei vestiti puliti.

«Matt mi ha sgridata» mormorò lei, grattandosi il braccio.

«Sì, lo fa spesso quando è all'angolo. Dov'è Azrael?»

«Az va via spesso. Ti ha portato qui ignorando i protocolli di sicurezza e dev'essere andato a sistemare alcune scartoffie con i principi. Suppongo verranno anche loro. Ai Demoni non è consentito l'accesso illimitato a questa struttura, immagino vorranno vederti. Durante la guerra a New York ci hanno spalleggiati.»

Mi incuriosii parecchio. «Come mai non li fate entrare? So che ci sono dei Demoni ad Odda.»

«Sì, restano in città, controllano il perimetro e si assicurano che nessun mostro entri. Il rifugio è aperto a chiunque, le aure che si concentrano qui sono forti e per alcuni invitanti. Molti si sentono più sicuri a non aver Demoni vicino, è una razza ancora vista in modo differente» sibilò dispiaciuta.

«Ma tu sei una di loro e Azrael...»

«Io e Azrael siamo Demoni reali, i ranghi superiori godono di diritti diversi. Persino gli Angeli sono banditi e gli Arcangeli potrebbero entrarvi. Le cose funzionano così, entrambe le fazioni portano guai» rispose.

Scossi la testa. Non riuscivo a comprendere come facessero a giudicare una creatura solo in base al sangue o alla provenienza: i principi infernali avevano difeso New York, salvato vite, e venivano allontanati per paura. Gli umani erano terribili, eppure anche le creature magiche avevano le loro pecche. Gli Angeli sarebbero dovuti essere amati e venerati come dei, guerrieri celesti, invece la loro sorte non era stata diversa da quella di altre specie comuni.

«È una cazzata» brontolai. «Io non sono crudele.»

«Non lo penseranno» mi consolò dolce. «La gente ha solo bisogno di tempo e tu dovrai dimostrare loro che si sbagliano. Dopo quell'evento in tanti hanno avuto paura, le creature non si muovevano dai loro territori, preferivano morire anziché chiedere supporto.»

«E li hai convinti?»

Tentennò e mosse la mano, indicando metà e metà. «C'è ancora chi ha paura di me – e fanno bene – ma come ti ho detto a volte la questione è scegliere il male minore e io sono l'anello mancante tra loro e la potenza infernale. Il loro è diventato rispetto» parlò seria. «Tu sei il mio cucciolo, ma sei anche per metà Demone.»

«Non farò del male a nessuno» parlai chiaro e, mentre lo dissi, un brutto ricordo mi salì alla mente.

Avevo già promesso a mio padre, da piccolo, di non far del male alle persone che mi prendevano in giro o allontanare con la forza chi mi desse fastidio. Le mie emozioni erano pure, senza filtri, ed era un male.

Kiral mi diede un buffo sulla guancia. «Oh, lo so da me. Quando ti avevo nella pancia sapevo che fossi buono, la tua aura era docile. In ogni scontro mi davi la sicurezza e un motivo per cui combattere. Se non mi sono lasciata morire è solo grazie a te, ikki» sillabò melliflua. «Chiunque ti sentisse diceva che fossi diverso, destinato ad essere migliore.»

«Migliore di un Demone, intendi?»

«Migliore di tante cose, As. Il destino dei Demoni è triste, spero tu possa capirlo.»

Falsamente annuii. «Non hai paura che Azrael possa scomparire o perdersi?» domandai inquieto.

Lei rise, trovando sciocca il quesito. «Lo sentirei. Dentro.» Si mise una mano sul petto, tra i polmoni. «Az mi ha creata, siamo legati dal fato. E dal sangue. Il nostro Patto ci vincola; il Patto del crepuscolo lega due persone amate, le vincola all'altro, li rende dipendenti e incapaci di vivere da soli. Nel tempo in cui sono rimasta incosciente nel regno dei morti, Azrael ha patito pene enormi aspettandomi. La notte di luna nuova è dedicata ai Demoni per l'accopp...»

«Non mi interessa!» esclamai imbarazzato.

Sbatté gli occhi, incurante del problema. «Sei timido?»

Mugugnai. «No, è solo che non voglio sapere se...»

«Se ci accoppiamo?»

«No!»

«Tu non lo fai?» provò curiosa.

«Mamma, non sono affari tuoi!» ringhiai con la faccia più rossa di un peperone.

«Sappi che noi non abbiamo alcun problema, sia maschi sia femmine purché tu sia feli...»

Le lanciai un'occhiataccia, la migliore che riuscii a fare e lei gongolò. Kiral e Azrael stavano insieme da oltre sedici anni, erano una coppia navigata e mi imbarazzava che parlasse di certi argomenti con leggerezza. Sotto il punto di vista fisico pareva avere qualche anno più di me, forse ventuno o ventidue, tuttavia era pur sempre mia madre.

Uscimmo dai suoi alloggi per dirigerci in mensa, nel frattempo mi interessai con ardore al Patto del crepuscolo, alla magia sacra e al sangue. Probabilmente sarei stato esente dal berlo come unica fonte di nutrimento, adoravo i sapori del cibo umano, tipo la pizza e il ramen, e metterli da parte non era nei miei piani.

«Ogni persona ha un sapore unico, come tutte le creature. È un po' come l'odore. Il sangue di tuo padre per me sa di liquirizia ed è squisito. Io per lui so di vaniglia. Quando incontrerai la tua anima gemella stringerai anche tu il Patto» mi garantì. Ero turbato. «Tutti ne hanno una. Asmodeus, uno dei principi infernali, ha tre mogli.»

Deve divertirsi parecchio, pensai con brio. «Hai detto che è una magia sacra, perché i Demoni non ne soffrono? Dovrebbero essere feriti dal sacro.»

«Quel tipo di magia è neutra come lo è l'amore, in fondo» rispose calma. «I Demoni vengono respinti da ogni oggetto sacro, ma alcune volte dipende dalle intenzioni. Se sono cattive le Reliquie Sacre ottengono più reazione e i Demoni vengono feriti più a fondo, se uno di loro non ha alcun intento omicida l'effetto non si applica. Io posso entrare anche in chiesa.»

Aprii la bocca meravigliato. «Credi in Dio quindi?»

Alzò le spalle. «So che esiste qualcuno, però non ho mai avuto interesse a conoscerlo o dargli disturbi. I due regni hanno già abbastanza grattacapi, specie con l'Esercito in mezzo...»

In mensa successe qualcosa di strano. I tavoli lunghi e rettangolari erano imbanditi con le più squisite pietanze, eppure le panche erano vuote. La carne faceva da padrona e l'odore era invitante, c'erano costolette di agnello, carne di alce e filetti interi di merluzzo e salmone freschi, condite con verdure e frutta di stagione.

«Senti, As, siediti e mangia» mi consigliò apprensiva. «Io devo fare una cosa.»

Feci come mi disse e, a parte un tizio che ogni tanto veniva a rifornirmi il bicchiere di Coca Cola, nessuno si fece vivo. Tentai di dire a quel tizio inquietante che potevo cavarmela da solo e appena provai a prendergli la bottiglia dalle mani, si agitò e soffiò scontroso. Aveva avuto ordine di tenermi d'occhio e aiutarmi, scommisi da Azrael, e l'opzione di ignorare gli ordini del grande Principe dovette spaventarlo a morte. Per quanto avessi visto, Azrael era temuto da molti, mentre a me rivolgevano sguardi dubbiosi.

Mangiai del salmone – era ottimo se non ci fossero state quelle fastidiose spine – e mi guardai le mani e le vene che scorrevano sotto la superficie della pelle. Era tutto normale, niente sangue scuro o artigli improvvisi. Forse era quello il problema: ero troppo umano.

«Ehi, senti, tu cosa saresti per l'esattezza? Un Demone servitore?» gli domandai per fare conversazione. Mi fissava con giganteschi occhi gialli e non diede alcun segno di capire. «Non dovreste vivere all'Inferno o simili?» Aspettai alcuni secondi. «Grazie della chiacchierata, amico.»

La porta della mensa era chiusa e udii delle voci al di là del muro bofonchiare ed esclamare con insistenza. Le ignorai fino a quando il brusio si fece più ostinato e mi affacciai. Dietro alla porta trovai più di trenta ragazzi di varie specie, alcuni di loro avevano delle lunghe orecchie pelose, zampe caprine o da rapace, con ali piumate e corpi ricoperti di una strana peluria. I più diffidenti se ne restano distante, per la maggiore gli anziani e Kiral stava parlando con loro.

«Tu sei il principino!» urlò una ragazza con i capelli rossastri e due segni rossi sul viso, proprio sotto gli occhi. Aveva due grosse ali scure e i suoi artigli erano coperti da una veste consumata. «Sei così carino!»

«Ha un buon odore!» esclamò un'altra di rimando, rubandomi gli occhiali dalla faccia.

«Hai mangiato il multekrem? È una delizia!»

Venni letteralmente circondato da quella folla di ragazzi che non fece altro che toccarmi, pizzicarmi e spingermi. Qualcuno provò persino a tastarmi la schiena e il sedere per verificare se avessi delle ali o una coda. I loro occhi variopinti di sfumature irreali scorrevano su e giù sul mio corpo, mi sorridevano e mi parlavano curiosi.

«Da dove arrivi?» mi chiesero.

«Da Manhattan» risposi.

«E in che foresta sta?»

«In nessuna, è una città.»

«Che schifo le città, puzzano.»

«Ci sono i mostri in città.»

«Sei il figlio degli eroi della guerra di New York, sei il principino perduto. Oh, mamma mi ha raccontato la tua storia. Diceva che fossi morto!»

Mamma e papà avevano una leggenda, erano eroi. Io ero il figlio scomparso, l'Ibrido che a quel tempo era stato generato nonostante le avversità. Non avevo una storia, ero cresciuto come un semplice ragazzo americano, tra la scuola, gli hobby e i videogiochi. Quelle creature vivevano in un mondo diverso dal mio e, anche se in fondo ne facessi parte, ero un completo estraneo.

Kiral si intrufolò in mezzo alla modesta folla e tirò indietro tutti per farmi respirare. «Eva, Sithi, state buone. I vostri mentori sono ancora al rifugio, non serve che vi ricordi il vostro stato attuale.»

La ragazza uccello, Sithi, agitò le ali. «Credi che potrà giocare con noi dopo?»

Lei si morse le labbra. «Lo vedremo. Ora andate a mangiare. Subito» ordinò seria e nessuno osò calcare la dose.

Allegri, i ragazzi si avviarono nella sala principale, mettendosi composti sulle panche e iniziando a divorare ogni cosa a tiro. Si scambiavano battute, ridevano e due si azzuffarono e mi sembrò di essere tornato al liceo West.

Uno degli anziani, un vecchio caprone con una toga e lunghi capelli bianchi, mi lanciò un'occhiata severa. «Spero per te, Kiral, che il ragazzo non sarà un problema. Se diventerà tale, farai fede al tuo giuramento.»

Mamma non osò rispondere e lì lasciò passare. Mi tirò per il braccio e si allontanò, imprecando sotto il naso cose poco piacevoli sul conto di quei vecchi satiri. La sua presa era davvero forte e mi trattenni dal dire che mi stesse facendo male.

«Cosa vogliono da me?» domandai in panico.

Lei si guardò intorno, guardinga. «Nulla per ora. I cuccioli di Demone sono un problema, di norma la razza non si riproduce. I maschi sono sterili e le femmine, be', i loro organi riproduttivi sono atrofizzati. Io ero... ancora umana quando ti abbiamo concepito e la trasformazione in Demone ha fatto sì che tu sopravvivessi. Non era mai successo, As, per questo sei così famoso» disse a bassa voce. «I cuccioli di tutte le razze sono esuberanti e portano con sé poteri forti. A volte alcuni fanno fatica a contenersi, fanno del male o ne fanno a se stessi.»

«Vogliono cacciarmi?»

I suoi occhi lampeggiarono. Kiral non l'avrebbe mai permesso, lo seppi quando le fiamme le avvolsero le iridi color rubino, d'altro canto non potevo pretendere alcunché: Azrael aveva dimostrato di essere buono, o almeno non malvagio come altri. Io non avevo costruito niente.

«Qualsiasi minaccia non è tollerata. Questa è una regola di Thor, colui che ha costruito queste strutture. La violenza qui non è concessa, di nessun tipo. Quando mi addestrarono, rischiai varie volte di farmi cacciare dal Quartiere per colpa della mia indole.»

Kiral poteva fare quel che voleva, fin da giovane il suo atteggiamento non le aveva impedito di ottenere ciò che desiderava: aveva scalato ogni vetta, sconfitto nemici terribili, affrontato battaglie e aveva il peso di proteggere tante vite. Chiunque le avrebbe consigliato di mandarmi via. Io ero il nuovo arrivato, il cucciolo pericoloso, quello da tenere lontano dagli altri. Era sempre stato così.

Ci dirigemmo verso un'altra ala al piano inferiore. C'erano varie aule di riunione, piccole stanzette comuni dove rilassarsi e persino dei bambini che correvano dietro una pallina rimbalzante. Mi portò alla biblioteca o così la definii io, dato che fosse uno spazio troppo grande per i miei gusti: il soffitto era interminabile, mi persi a cercare una fine e sembrò che fossimo all'aperto, oltre la cima stessa della montagna. C'erano tavoli, sedie, poltrone morbide e persino un caminetto spento. Le colonne decorate reggevano vari scaffali e banconi ricolmi di libri, opuscoli, riviste e pergamene dall'aria troppo antica.

Quel posto sarebbe piaciuto un sacco ad Emma.

«Ricordi che sono dislessico, vero?» chiesi ironico.

Schioccò la lingua divertita. «Me lo ricordo. Qui molti libri sono scritti in lingua antica. I satiri e gli elfi sono coloro che si divertono a scrivere le loro storielle, appuntano qualsiasi cosa. Azrael mi ha detto che te la vuole insegnare.» Scrollai le spalle. «Ci ha provato anche con me e si è arreso.»

«A me ha detto che ti sei rifiutata.»

«È un pessimo insegnante e ha una gran bella faccia tosta. La lingua antica è una noia. Sto aspettando alcune persone, nel mentre ti ho portato qui. Sei un ragazzo curioso, forse questo posto ha per te più risposte di quante ne abbia io» sospirò. Non era una tipa da libri. «Questi libri me li ha lasciati Thor. Nel primo Quartiere la collezione era il triplo di questa e molte opere, con l'attacco, sono andate perdute. Un po' mi spiace.»

Girovagai in giro e cercai tra gli scaffali un po' a casaccio. Avevo tante domande e il tempo non mi sarebbe mai bastato per leggere tutti i tomi della sala. Le pareti erano dipinti con affreschi di creature mitologiche, Angeli e Demoni alla creazione.

Salii un paio di scale a chioccia dei piano più alti, poi tornai giù. «Hai qualcosa su New York? Della guerra che avete affrontato, intendo.»

Ci pensò e galoppò tra gli scaffali più bassi, esaminando i dorsi. Mi portò un dossier o quello che parve un piccolo libricino. Ci sedemmo in uno dei divanetti rossi accanto al caminetto e la vetrata sulla valle. Sfogliai le pagine di documenti, mappe e foto. Faticai a leggere l'inglese e, per lo più, mi raccontò lei cosa accadde il ventiquattro agosto alle prime ore della notte.

Tutto era iniziato con l'Imperatore degli Angeli Caduti, Lucifero, quando decise di dichiarare guerra all'intera umanità per pura vendetta. Durante il suo esilio eterno cercò l'unica Reliquia Sacra capace di riaprire i cancelli del Paradiso, la Chiave di All, e riappropriarsi del trono supremo. Il tesoro dell'Imperatore per anni era stato protetto dall'OverTwo, un'agenzia americana segreta che si occupava di tenere sotto controllo le creature magiche presenti tra gli umani e promuoveva la pace, in una base in Mongolia. Dopo il ritrovamento, in qualche modo la Chiave passò ad un ragazzo di nome Nathan Walden e si legò ad essa e alla sua magia. Lucifero attaccò il Quartiere, il primo rifugio, dopodiché si scontrò con l'esercito a New York.

«Lo abbiamo intercettato prima che andasse a Washington alla base dell'OverTwo. Avevamo mandato Nathan qui, tempo fa questo posto era solo una piccola baita, e io lo pregai di portarti con sé. Zoe, un Angeloid, mi aiutò a proteggerti ed è anche grazie a lei se sei vivo. Nathan ti ha custodito nella Chiave e la Reliquia stessa ti ha cullato fino a quando sei nato. Dopodiché ti hanno portato da Matthew» spiegò.

Accarezzò la foto sbiadita dei resti della battaglia, dove i rimanenti erano in piedi, fieri, sporchi e contenti, in mezzo alla Avenue. I grattacieli alle loro spalle erano distrutti, la strada distrutta e c'erano piume a terra, spostate dal vento e piene di sangue. In mezzo a loro c'erano soldati, agenti e creature magiche. Leggendo con fatica i pezzi di giornali, i media avevano attribuito l'attacco ad un gruppo terrorista.

«Quella battaglia unì l'Esercito dell'ordine demoniaco, Demoni, Angeli e umani. Eravamo schierati tutti contro i Caduti» raccontò, rivivendo quel giorno.

«Avete vinto, no?» la incalzai.

«Sono morte tante persone, As. Ho fermato Lucifero, ma non per sempre. Ho fatto la cosa giusta quel giorno, ho impedito che distruggesse l'ordine dell'universo e ho dovuto scegliere: l'unica cosa di cui mi pento è di non aver scelto te.» Scosse la testa.

Mi avvicinai a lei e si accoccolò contro la mia spalla, triste. «Non sono arrabbiato.»

«Grazie.»

«Che fine ha fatto Lucifero?» chiesi.

Sfogliai il libro per cercare una foto del più famoso ribelle della storia e non trovai alcuna traccia di lui, se non i pochi accenni dell'accaduto. Muoveva i fili nell'ombra ed era come se persino mamma avesse voluto dimenticarsi di lui.

Ebbe un brivido. «Nessuno lo sa. È scomparso.»

«Morto?»

Non seppe dirlo. Gli Angeli più potenti erano immortali ed essendo lui tale la questione era difficile da capire. Aveva fatto perdere le sue tracce di proposito e persino i Caduti smisero di farsi notare.

«Perché ce l'aveva con te? Cosa è successo tra voi?» chiesi e me ne infischiai della sua riluttanza a parlare dell'argomento. «Qui non c'è niente su di lui. Lo hai tolto tu.»

«Mi ha rapita» sancì, stringendo le dita. «Lucifero voleva me. Si ribellò a causa mia. Ero... la sua ossessione. Provò a persuadermi, a convincermi ad allearmi con lui e accettarlo come compagno, ma io scelsi Azrael. So che gli spezzai il cuore, distrussi ogni cosa in lui e ciò che fece fu il risultato delle mie azioni: voleva spazzare via ogni cosa.»

Lucifero aveva amato mia madre, la grande Kiral. Ciò che pensai fu che l'amore fosse tanto potente da trasformarsi in odio in fretta. Era orribile e ne fui amareggiato: io non avrei mai potuto odiare Emma. L'amore era comprensione, sincerità e rispetto, non possesso e gelosia. Lucifero non l'aveva mai amato, voleva solo possedere l'idea di Kiral.

«Lucifero era un Angelo, il più bello, ma ciò che vidi quel tempo fu solo un'ombra ridicola e fetida dell'essere puro di cui portava il nome. Usò la mia stessa vita, mi manipolò e uccise mia madre. Le mise un cancro nel cervello. Ecco perché l'ho cancellato, As. Non voglio vederlo mai più» disse e io annuii. «Gli Angeli sanno essere terribili.»

Sfogliai il libro, guardai le foto e i rapporti. Trovai persino una foto con mio padre e Nathan Walden e c'ero io tra le loro braccia. Stringevo nella manina paffuta la Chiave di All e piangevo. Il capo dell'OverTwo si chiamava Alees e fu l'unico nome che trovai sotto la sua foto, era un uomo di mezz'età con occhi chiari e una leggera barba bianca sulle guance. Lo avevo già visto prima a New York con papà, una volta o due, e non ci avevo dato troppa importanza. Vestito elegante lo avevo scambiato per un cliente. Avevo sbagliato a credere di vivere in simbiosi con il mondo umano, persino mio padre era stato su una linea diversa dalla mia.

La porta della biblioteca si spalancò ed entrarono tre persone. Kiral balzò in piedi e corse da loro, abbracciando la ragazza. Aveva dei lunghi capelli color caramello e dei bellissimi occhi celesti, la pupilla circondata da un'aureola brillante. Indossava un top azzurro e degli short di jeans da cui pendevano delle catenelle. Le fissai le gambe toniche e olivastre, e sentii loro due iniziare a parlare animatamente, mentre l'uomo al suo fianco mi gettò un'occhiata burbera e mi finsi attratto dal libro che ancora avevo in mano.

Era un colosso, con spalle ampie e la carnagione chiara. Dalle sue labbra intravidi i canini affilati. Dietro di lui c'era un ragazzo della mia stessa età, o tanto mi parve, con capelli mori e occhi azzurri con aria annoiata.

«Mi dispiace di avervi fatto venire con così poco preavviso, lui è...»

«As!» esclamò la ragazza con occhi spalancati. Ebbe un secondo di sconcerto, poi mi abbracciò. Soffocai nel suo collo e borbottai imbarazzato. «Oh, giusto, giusto! Non sai chi sono.» Si allontanò.

«Loro sono dei miei amici di vecchia data, come ti ho detto, mi aiutarono in battaglia. Chloe Blake, suo marito Joseph McKingsley e loro figlio, Zero. Zero ogni tanto viene qui e ci aiuta ad addestrare qualche recluta» canticchiò mia madre, contenta di vederli. «Ho pensato che potesse servirti un amico.»

«Anche Zero è un Ibrido» insisté Chloe e tirò il figlio avanti.

Lui sbuffò e si trattenne dal dire che non avesse alcuna voglia di trovarsi là, di certo non con me. Aprii il libro e cercai la foto di fine battaglia, come pensavo trovai Zero e Joseph in prima linea, seduti a terra con le facce sporche di polvere nera.

«Sono in Licantropo e Joe è un Vampiro. Non sei il primo della tua nuova razza, As, di certo però sei il più conosciuto. Sono contenta che tu mi abbia chiamata, Kiral. Era da un po' che non ti sentivo, mi stavo preoccupando. Odio la Norvegia, ogni estate fa sempre più caldo e quel ghiacciaio... oh, che tristezza a vederlo così» cinguettò Chloe.

«Colpa degli umani» ringhiò Joseph con crudeltà e la moglie lo sminuì.

«Sì, sì, è sempre colpa degli umani per te.»

Kiral si fece avanti e Zero la imitò, gonfiando il petto. Dimostrava diciassette anni e le sue braccia erano percorse da piccole cicatrici di battaglie e scontri, il genere per cui le ragazze vanno pazze.

«L'ho fatto venire in anticipo affinché possiate far amicizia. Siete simili» disse Kiral.

«Per addestrarmi» la corressi.

E poi col cavolo che volevo essere amico di quel tizio. Zero alzò un angolo del labbro, come se stesse pensando che fosse inutile provare ad addestrare me, che fossi un caso perso e buttato via. Lo odiai già e fu reciproco. C'era qualcosa in lui che mi fece storcere il naso, forse il mio istinto da Ibrido mi stava suggerendo di stargli alla larga o fu perché le particelle attorno a lui fossero diverse, più sottili e agili.

«Zero è un ottimo combattente» mi garantì Joseph. «È un po' narcisista e...»

«Pa'» lo zittì rabbioso. Dovette vedere Kiral come un'eroina perché la guardò imbarazzato e le chiese perdono. «Sono felice di aiutarla. Dopotutto io c'ero quel giorno, quando il ragazzino era ancora un moscerino dentro il suo ventre. Deve la vita a molte persone ed è giusto che impari a combattere. Se con me non impara nulla è un caso perso, io ho combattuto ad Arcadia.»

Alzai le spalle. Le sue parole non avevano senso per me.

«Parli troppo e sempre nei momenti sbagliati» lo rimbeccò il padre scontento. «Kiral. Perché lo vuoi addestrare con così poco preavviso? L'accordo era di portarlo qui una volta adulto e di integrarlo piano. Lo ha fatto Azrael? Quel figlio di...»

Si sfregò le mani e Chloe sussurrò qualcosa all'orecchio del Vampiro. Non cambiò espressione e le sue sopracciglia si aggrottarono per un secondo, prima di tornare piatte. Mamma allungò la mano in aria ed evocò un'arma; la falce era sproporzionata, di un metallo argenteo e la lama curva. Emisi un trillo e saltai indietro, con un sorriso enorme stampato in faccia.

«È una falce vera? Che roba!» esclamai e Chloe si mise a ridere, godendosi la scena.

Me la porse e senza indugio la afferrai. Appena chiusi le dita attorno al manico sottile, una scossa elettrica mi fece vibrare le membra e mi schiantai a terra. Soffiai sulla mano per alleviare il dolore, mentre Zero rise come un matto.

«Mi ha fulminato!» abbaiai fuori di me. «Quella cosa...»

Feci per reagire e Chloe mi fermò per un braccio prima che potessi afferrare quella dannata falce e spaccarla a metà. Kiral la difese come se fosse stata un'umana e si allontanò.

«Questa falce ha natura angelica. Mi è stata donata dall'Arcangelo Michele, era la sua spada ed è diventata la mia compagna, assumendo questa forma. Per un Demone è impossibile impugnarne una ed è grazie a questa se ho sconfitto Lucifero. La benedizione non si estende anche alla mia stirpe, noto» bofonchiò assorta, roteando l'arma tra le dita.

«Dammela e la spacco» insistei. «Posso farcela.»

«No» si irrigidì. «Holies non è un'arma comune. Troverai la tua o la forgerai.»

Strinsi le labbra e Joseph mi aiutò a tirarmi su da terra, spazzolandomi le spalle con troppo ardore. Quasi mi fece sputare un polmone.

«Dov'è quell'Angelo allora? Perché non è qui? Ho un paio di cose da dirgli!» continuai.

Mamma abbassò lo sguardo. «Anche io ne avrei.»

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