Capitolo 2 - Sogni e Richiami dell'Addio [Parte 2]


2 maggio 2011 – Ore ??:??

Infine, esausto mentalmente, Daniel riesce ad addormentarsi. Tuttavia non gli è garantita la pace assoluta.

Si trova in pigiama e coi suoi consueti capelli a spazzolino, come se non avesse poggiato la testa su di un cuscino, dinanzi a quel punto fuori la scuola media, da lui tracciato come una forma circolare.

L'aria è silenziosa. Un'atmosfera spettrale, da cui suoni di un film horror, tipici di un pre-omicidio, sembrano provenire sia dalla leggera brezza rarefatta, emessa dal punto X, che dalla surreale vegetazione. Non sembra la strada secondaria dove gli studenti si danno appuntamento, ma un piccolo vicolo di una città sulla quale si è abbattuta una tragedia che coinvolge tantissimi innocenti. Il cielo è di un blu notte privo di stelle; non si odono né gufi né grilli.

I suoni, come viscere di una caverna profonda chilometri, si sostituiscono a delle voci di giovani persone, le quali sembrano anime dannate dei Gironi degli Inferi.

"Aiutateci!"

"Vi prego, aiutateci!"

"Tirateci fuori di qui!"

Le successive voci sembrano essere di giovanissime donne.

"Liberateci, ci tengono prigioniere!"

"Non fateci del male, vogliamo solo tornare a casa".

Il ventiquattrenne è già abbastanza spaventato da quelle inquietanti voci che sembrano rapidi sospiri penetrargli l'animo. Quando, dinanzi a lui, da una folata di vento compare la sua ex fidanzata, prima vestita in stile casual, poi mutarsi come per magia nel bikini che le ha visto indosso prima che sparisse. I suoi occhi lo fissano privo del sorriso che lui adora tanto.

Dopo un po', alla destra della ragazza compare il suo amico Atras. Ha lo stesso sguardo serioso.

E subito dopo, vicino a lui appare la sorella Fiona, la cui mano destra tiene salda la sinistra del fratello.

Ma dietro di loro, come ad essere trasportato da un filo invisibile, dal punto esatto ove si trova il cerchio si svela pian piano la presenza del misterioso ragazzo.

Una volta passato attraverso il terreno alza la visiera del casco; da essa fuoriesce un'aura composta di pura oscurità, che avvolge le tre persone dinanzi a Daniel.

Quest'ultimo non riesce ad andargli incontro per la grande paura; si volta dunque per fuggire, ma vede i suoi amici che lo fissano scuriti in volto, come se il malvagio che emana l'inquietante velo nero su Helen, Atras e Fiona fosse lui.

Poco dopo, martoriato dalla sensazione di puro terrore nel vedere i suoi amici in quelle condizioni così irreali, sente di essere travolto in petto dalla stessa oscurità irradiata dal misterioso personaggio.

Oltre a sentire qualcosa di sgradevole, come se il suo animo stesse bruciando al pari di una fiaccola accesa conficcatagli in corpo...

"L'oscurità ti sta cercando... perché tu sei parte di essa... Fatti abbracciare..." i sussurri sono carichi di uno spettrale eco e provengono dallo stesso punto del bruciore.

Istintivamente, in totale agonia alza il braccio destro e si volta nella direzione opposta; intravede l'aura allargarsi dal corpo dell'uomo, vestito da motociclista, inghiottire i tre giovani di fronte. Subito dopo sente che l'oscurità lo sta trafiggendo in vari punti del corpo e, con l'ultimo grammo di forza residua, nota che i presenti vengono risucchiati dal cerchio, che in quel momento è di un nero assoluto.


2 maggio 2011 – Ore 09:40

Grido dal terrore.

Mi sveglio di botto, con la testa alzata e il corpo completamente irrigidito in avanti. Il battito del cuore è elevatissimo; sono impaurito almeno come quando Helen se ne andò il giorno che mi lasciò. E sono anche sudatissimo.

Da quasi una settimana, è forse la prima volta che al risveglio non mi sento assonnato.

Riprendo un po' la calma, e noto infatti di aver almeno dormito più del solito.

Ci voleva uno spaventoso incubo per diventare una piacevole realtà?

Per quanto io abbia giocato alcuni videogame per gli imbecilli dell'Occidente, dove lo zombie ti salta addosso dal nulla e tu non puoi sempre reagire, e reali incubi di vita credo di averli realmente vissuti, questo singolo incubo, in alcune cose, sembrava così reale da terrorizzarmi.

Ricordo di dover andare alla Stazione di polizia: in questo momento è la cosa più lontana dai miei pensieri.

Penso e ripenso a una delle peggiori esperienze del sonno della mia vita.

Lo sguardo di Atras e Fiona. Sembravano avercela con me per qualcosa.

Non chiedevano aiuto, nonostante fosse così evidente che un maligno stesse per prenderli; preferivano farsi forza come si fa nelle vere famiglie: mano alla mano, manco fossero fidanzati. Cosa che a me fa venire il voltastomaco. Se avessi una sorella col cazzo che la toccherei; mai darei una tale importanza a un essere che con le tette chissà quanti cuori avrebbe infranto, ed essere costretto a sorbirmi punti di vista indifendibili su di una tavola da pranzo o cena.

Il mio migliore amico ha sofferto tanto per sua sorella, purtroppo nella realtà – e credo moltissimo nei suoi sogni notturni; però, sullo sbattersene dei familiari, non ha mai preso esempio da me. Dice di ammirarmi in alcune cose, e allora perché non inizia a farlo come faccio io? Non lo capisco. Oltre un certo punto, io non lo capisco.

Invece, lo sguardo di Helen mi è molto familiare. Era quello che aveva prima di volermi tirare un pugno per qualcosa che le dava molto fastidio. E non sempre ne spiegava il perché. Ma nel sogno era più cupo della realtà. Gli occhi fissi all'estremo verso i miei... per il male che mi ha fatto in passato dovrei averli io quegli occhi contro di lei.

E dannazione, mi fa troppa paura!

Simonsa, Dyvil e in particolare Lerin, che mi guardano così. All'improvviso, tanto della tremarella che mi viene alle gambe, ho il passo più lento e faticoso.

Hanno visto un demone, ma non hanno mosso un passo per aiutarmi a togliermene un altro dal petto che mi bruciava da morire. Come se mi odiassero per qualcosa che gli ho fatto. La dolcissima Sim non so se è davvero capace di guardare qualcuno così, ma se in qualche modo le avrei fatto una sola cattiveria, le chiederei scusa fino alla morte; finché non le tornerebbe quel sorriso e quelle parole dolci che, per quanto il mio inconscio rigettano, quando la conobbi mi fecero tantissimo bene. Anche perché mi ricordano...

No, non c'è tempo per pensare, perché la mia attenzione è rivolta alla Centrale di polizia. Molto familiare come posto: quella salita asfaltata tipo vialetto privato, che non so come cazzo un invalido possa permettersi di superare, quell'edificio in vecchie mura, le bellissime auto della polizia parcheggiate...


Ore 11:55

Chissà se c'è quel Commissario che, nonostante io avessi preso una coltellata vicino lo stomaco, voleva per forza mettermi dentro; era quella feccia ad avermi istigato, non io.

Entro dentro tranquillo, a differenza di altri che sembrano attendere per un richiamo ben più severo.

Aspetto quasi un'ora, che impiego per vedere cose sul cellulare e ripensare al sogno, e ciò che voglio dire e ciò che invece terrò per me. La solita stanzina d'attesa con sedie più o meno comode lungo i muri, una lobby vecchia e malandata, dove una guardia sembra presa più da altro che dal suo lavoro. Ma al posto di cercare quelle povere ragazze rapite, pensate a scaldar la sedia col vostro pigro culo nella vostra comoda e sicura stazione? Per un niente non mi usciva fuori dalla bocca.


Ore 12:50

Finalmente vengo chiamato ed entro in un ufficio.

"Mi ricordo di lei, Signor... Kùrtein." È proprio lui. Un uomo alto quanto me, molto robusto, di quelli che sembrano fieri di portare la divisa. Per il resto soliti lineamenti da giapponese medio: nessun segno particolare estetico.

Decido dunque di giocare un po' con lui. "Hürtain".

"È lo stesso".

Gli sorrido in faccia maliziosamente, per ripicca di anni fa, quando ben dieci volte pronunciò male il mio cognome. "No, io sono tedesco di nascita, e le posso assicurare che per quel poco che ci ho vissuto prima di venire in Giappone, la scansione del cognome per loro è un affare di Stato. Per questo ho imparato a star attento a ogni cognome di questo Paese".

"Oh, davvero? Questa mi è nuova, comunque faccia poco lo spiritoso, che qui abbiamo molto lavoro da fare."

Me l'aspettavo questa risposta. "E io andrei di fretta poiché dopo ora di pranzo avrei un colloquio di lavoro in centro città".

Sembra negativamente sorpreso dalla mia replica. "Ah, prima facevi a pugni coi pisciasotto e ora ti cerchi un lavoro? Bene, perché pare che qualcuno presuma che tu lavori in una sala giochi".

Gli rido in faccia. "Magari, Commissario... Sarebbe troppo bello per essere vero".

Il poliziotto cambia espressione, come a dire basta giocare. Io torno serio in volto. "Allora, non l'ho convocata per rissa o simili, ma come saprà dai telegiornali stanno sparendo molte ragazze. Ci servirebbe la sua collaborazione. Sappiamo che lei conosceva una delle ragazze scomparse: persone della zona ove sono stati trovati i suoi vestiti, hanno indicato Daniel Hùrtiin come ultima persona ad aver visto Helen Cyarmville..."

Il mio volto cambia completamente espressione: adesso pure i poliziotti devono aiutarmi a pensar a lei?

"Cosa ci dice? Vorremmo una sua deposizione..."

Io non sono tranquillo, ma cerco di dargli una risposta lunga e dettagliata, così da fargli credere che io e lei non abbiamo avuto una relazione. Dopotutto, mi ero già preparato a quest'evenienza. "Sì, sono disposto a collaborare. Ho visto i telegiornali ma sono molto sorpreso che di tutte le ragazze sparite, proprio quella che ho visto fosse la Cyarmville che ho sentito in tele..."

Lui volge lo sguardo verso il vecchio computer del suo ufficio. Inizia a scrivere e mi interrompe. "Dunque, lei dichiara di non conoscere la signorina Helen Cyarmville?" – "No, ma vorrei tanto conoscerla per chiederle un appuntamento, bella com'era".

Il capo si stizza. "La smetta di giocare, e poi non lo dica come se fosse realmente innamorato. Per favore, ci dica cosa è successo quel giorno".

In questo momento vorrei davvero aprirgli la bocca con forza e fargli rimangiare ciò che ha appena detto; ma anche se potessi davvero farlo, sento come se non ne avessi la forza mentale. Prendo un respiro facile, considerata l'intensa aria condizionata nella stanza, ed inizio la mia reale deposizione.

"Quel giorno stavo giocando con un amico in sala giochi, la FubukArcade Station. Passo molte ore lì, dunque molte ragazze che vanno al negozio d'abbigliamento più o meno di fronte, il Fashion AlternGirl, è sotto la mia vista. Però, quel giorno stavo giocando una partita molto coinvolgente, su di un cabinato non di fronte l'uscita a scorrimento dell'edificio. Quindi, ho visto la ragazza solo una volta che è passata di profilo rispetto la sala giochi. Non so se è davvero entrata nel negozio d'abbigliamento. Non aveva una borsa sulle spalle quindi penso non abbia comprato niente, al massimo avrà solo provato vestiti. Ho poi cercato di seguirla perché... beh, gliel'ho detto prima, avrei voluto conoscerla. Però, poi ho visto che una moto si è fermata davanti a lei, però non ricordo marca e targa perché poi se n'è andata subito. Credo fosse il suo fidanzato. Lui non l'ho visto perché aveva il volto coperto dal casco, però posso dirle che era robusto, alto quasi quanto me. La moto so solo dirle che era di grossa Cilindrata. Non so altro poiché non volevo avere problemi col ragazzo, che secondo me si sarà accorto che le guardavo la fidanzata..."

"Capisco..."

Dopo la sua affermazione carica d'interrogativo, il resto della mia deposizione diventa un ripetere cose su cose per fargliele scrivere per bene sul computer. Che idiota: con tutte quelle ragazze là fuori che forse si possono salvare, si concentra proprio su quella che mai potrà essere salvata finché quel motociclista non venga trovato. Non posso rivelargli del cerchio, altrimenti sono guai seri.


Ore 13:30

Dopo oltre mezz'ora di inutile girotondo, finalmente mi lascia andare, e dal saluto mi fa capire ma non capire se sappia della mia relazione passata. Io ricambio con sguardo come a dire Finalmente, così torni a fare il lavoro per cui ti pagano e non a perder tempo con qualcuno con cui ce l'hai a morte.

Però, riflettendoci... ho visto dappertutto, e l'ho visto per anni, ma mai sono entrato in quel negozio d'abbigliamento, nonostante il personale potrebbe conoscermi di vista; è ora che forse vada a farci un giro...

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