LE TERRE A ORIENTE

Le onde si infransero per l'ennesima volta sulla spiaggia seguita da una distesa di erba immensa, la quale era decorata qua e là da boschetti e cespugli. L'acqua lambì ancora i piedi di Mathias, disteso sulla sabbia, e si ritirò.
Il ragazzo stava osservando il cielo, facendo attenzione a non puntare gli occhi verso il sole. Era da vari Cicli che non lo vedeva bene e che non poteva apprezzarlo, viste le condizioni atmosferiche del regno di Shujaa. Era bello, con le nuvole che qui e là macchiavano di bianco il suo caratteristico azzurro; troppo bello per essere vero. Quest'ultimo pensiero lo portò a chiedersi come potesse essere lì a guardarlo, quando fino a poco tempo prima si trovava sotto alle nubi scure della sua terra. Forse era morto, forse era il paradiso. Imprecò, perché avrebbe voluto fare tante altre cose prima di andarsene, e poi si stupì di essere finito in un posto al quale non credeva.
I ricordi cominciarono a riaffiorare nella sua mente: il molo in fiamme, la barca, la Sfera...
Il garrito dei gabbiani e il cinguettio di alcuni uccelli sostituiti dal ruggito delle fiamme che aveva ancora in testa e del quale aveva avuto paura, nonostante il fuoco fosse un elemento che considerava molto familiare.
Il fumo dell'incendio li aveva celati alla vista di chi non era arrivato dal mare, e perfino da quella della Sfera, giunta in volo sul posto. Questa, convinta dalle segnalazioni dei suoi subordinati che loro fossero nascosti da qualche parte nel porto, era scesa a terra per controllare personalmente ogni possibile nascondiglio e incenerirlo con i propri poteri; navi, barche, magazzini, bancarelle, rimesse, niente era stato risparmiato. Il fumo sempre più alto e denso delle fiamme in propagazione aveva contribuito maggiormente a nasconderli, mentre remavano come forsennati nell'oscurità più totale, desiderosi di vedere l'isola da cui erano partiti sparire oltre l'orizzonte.
Conoscendo i poteri volanti e infuocati della suddetta Sfera, essi avevano continuato a remare fino a molto dopo aver smesso di scorgere la loro patria, poiché dal cielo il campo visivo poteva essere più ampio; anche di notte, considerando l'uso di un elemento naturalmente luminoso. Il tutto fino al sorgere del sole, che avevano ammirato quasi con le lacrime agli occhi, prima di crollare dalla fatica e perdere i sensi.
Il fatto che fosse successo tutto su un'isola aveva contribuito a salvare loro la vita: sulla terraferma gli inseguitori avrebbero avuto pure i cavalli e come commilitoni soldati persino in grado di assumere sembianze animali, senza contare la maggiore vicinanza alle basi dei militari di rango più elevato; loro tre quindi non avrebbero avuto via di scampo, anche se nella realtà dei fatti si erano salvati per un soffio, dato l'arrivo imprevisto della Sfera. Inoltre anche la capacità di trasformarsi in lupi dello stesso Mathias e di Ellen li aveva aiutati: la resistenza di tali creature e quella degli esseri umani, unite alla velocità in corsa delle prime, avevano permesso loro di correre più a lungo e di coprire distanze maggiori in meno tempo, garantendo loro di fare pochissime pause, durante le quali si erano fermati solo per scambiarsi Alexander come passeggero, per poi proseguire eventualmente camminando velocemente per non sprecare troppe energie e contemporaneamente non farsi raggiungere. Nonostante tutto ciò, però, non erano riusciti a mantenere la loro velocità massima tanto a lungo nemmeno usandola per brevi tratti, perché ore di fuga li avevano stremati prima di giungere al porto e non erano mai riusciti a riposarsi abbastanza, anche se avevano cercato di non mostrarsi stanchi davanti al nemico.
Mat non ricordò in che ordine si erano svegliati, poiché nei giorni successivi erano svenuti altre volte; ricordò solo che la prima volta si era ritrovato con le ferite più gravi lavate e bendate: quella barca era un peschereccio minuscolo con un po' di equipaggiamento per il primo soccorso. Si erano presi cura gli uni degli altri ed egli stesso aveva pescato e cucinato qualcosa in rare occasioni.
Lo stomaco gli brontolò, interrompendo i suoi ricordi e facendogli capire di essere ancora vivo: un morto non poteva avere fame.
Fame e sete, quelle cose che non erano mai riusciti a placare. Il minuscolo peschereccio aveva delle botti di frutta e acqua, per nutrire e dissetare l'equipaggio minuscolo fintanto che stava al largo, e del pesce pescato prima del coprifuoco, ma non scaricato per mancanza di tempo: cibo sufficiente per poche giornate di pesca con cinque uomini, e non per tre individui a tempo indeterminato. Infatti avevano mangiato e bevuto pochissimo, il minimo indispensabile per non morire subito, dando priorità al bisogno idrico sopra a ogni altro. Il cibo era stato cucinato poco, quando cucinato, per non consumare la poca brace che c'era nella minuscola cucina e non incendiare il legno della barca; sebbene a una certa erano stati costretti a sacrificare i remi e l'ormai inutile vessillo per avere qualcosa da bruciare.
Non avevano parlato tanto, sfiniti com'erano, ed erano soltanto riusciti a farsi dare da Alexander il permesso di chiamarlo "Alex" o "Ale" nel giro di pochi Archi.
Alla fine, dopo quasi una Luna e mezza, la barca si era scontrata con uno scoglio e le onde li avevano portati su quella spiaggia.
Una mano lo toccò, facendolo trasalire e quasi alzare di scatto, se non fosse stato troppo debole per dei movimenti così rapidi.

Elly gli porse una bacca, dicendogli: «L'ho trovata nei cespugli qua vicino e ce ne sono delle altre. Spero solo che non sappia troppo di mare.». La mangiò e quasi volle sputarla. «A fare in culo le mie speranze, ma almeno è qualcosa.»

Il fratello si alzò con molta fatica e vide che il suo coetaneo si stava cibando dei suddetti frutti direttamente dalla fonte, senza mostrare alcun tipo di problema. Notò che era dimagrito molto e che sua sorella non era da meno. Si disse che sicuramente si trovava nelle stesse condizioni pure lui, ma non aveva specchi per verificarlo e non volle averne uno davanti in quel momento.
Arrancò fino a un cespuglio e si mise a mangiare, in parte augurandosi che non stessero mangiando niente di pericoloso e in parte disinteressandosi completamente a ogni pericolo che avrebbero potuto incontrare facendo così. Non avevano per niente un buon sapore e quasi gli venne da vomitare per questo, ma erano succose e si costrinse a deglutire ogni boccone per sfamarsi e dissetarsi al tempo stesso.

Fra un boccone e l'altro, Alex domandò: «Cosa faremo adesso? Dove siamo?»

«Abbiamo avuto il sole davanti per molto tempo durante mattina, quindi probabilmente siamo andati verso est. Ma non so dirlo con certezza: non sono stato molto attento sull'ultimo tratto.» gli rispose il ragazzo dai capelli biondo scuro a bassa voce. «Se avessi ragione, vorrebbe dire che ora ci troviamo nelle terre a oriente. Cosa faremo? Troveremo del cibo in più per fare scorta, ripareremo la barca e torneremo indietro dai ribelli. Non possiamo rimanere qui e nostro fratello sarà preoccup-...». Tossì ripetutamente. «Dicevo...»

Vedendo che non riusciva a proseguire, la ragazza prese la parola dopo un po' di esitazione. «Nostro fratello conosceva i rischi, quando ci ha mandati qui, e nemmeno lui avrebbe voluto farlo. Non possiamo tornare così: verremmo catturati. Superare le Sentinelle con quella barchetta venendo da fuori? Non se ne parla.». Alzò la testa e annusò in giro. «Non sento l'odore di altre bacche, ma sento la puzza di qualcosa di strano in lontananza e da più fonti. Faremo meglio a raccogliere i frutti vicini e metterceli in tasca: dobbiamo andarcene.»

«Voi avete quegli strani poteri e avete paura? Io dovrei averla: siamo nelle terre a oriente. Conoscete le dicerie, no? Chiunque sia partito da Shujaa verso questo posto non è mai tornato. Si vocifera di mostri che persino le più potenti magie faticano a eliminare. È molto meglio tornare indietro o almeno cercare un altro posto dove approdare.» ribatté Ale, seguendo comunque il consiglio di Ellen e iniziando ad allontanarsi da dov'erano in quel momento. «Posso anche accettare di unirmi ai ribelli, visto che per tutto il viaggio non mi avete ucciso, quando avreste potuto. Ma non qui. Anche se una parte di me pensa che potreste essere dalla parte di Giza, che in realtà mi vogliate catturare e che abbiate fatto finta di affrontare gli altri soldati per guardagnarvi la mia fiducia.»

«Comprensibile: non sarebbe la prima volta che fanno così. Ma ti ricordo che siamo quasi morti di fame e di sete anche noi; e più di te, visto che siamo di costituzione più debole.» replicò l'altro ragazzo, osservando addosso a lui il fodero della spada che gli aveva prestato . «Ma ti avviso di una cosa: mi fido dell'istinto di mia sorella. Quindi se è lei a non voler fare una cosa...»

L'interpellata, che li precedeva, disse: «Speriamo solo di non dover camminare a lungo: sono già di nuovo stanca e quelle bacche non so quante energie ci abbiano dato.». Attese che la raggiungessero e intanto ne approfittò per riprendere fiato. «Dei nostri poteri parleremo più tardi, ora pensiamo a risparmiare le forze e a trovare un posto più sicuro: qua siamo troppo scoperti e non sappiamo se veramente nessuno ci ha seguiti. Ma nel caso in cui lo avesse fatto, farebbe meglio ad agire ora che siamo indeboliti, perché dopo che avrò mangiato, bevuto e dormito abbastanza...!»

Il fratello le mise una mano sulla bocca. «Ferma. Non sopravvalutarti troppo: potrebbero avere la meglio anche in quel caso.»

«Siamo in tre e so lavorare in gruppo, a differenza tua.»

«Io so lavorare in gruppo! Solo che non sto in mezzo a tale gruppo, sto in disparte e aiuto da fuori.»

«Solo da fuori, appunto. Ti ricordo che quella notte sei quasi morto per colpa di un soldato semplice e ti ho salvato io. Là sei stato impulsivo.»

«Come potevo sapere che si sarebbe ripreso subito? E ti ricordo che ti aveva disarmato!»

«Non era stato detto di non parlare?» chiese Alexander, perplesso dal battibeccare dei due fratelli.

Questi si voltarono e gli ordinarono in coro: «Stai zitto, non ti riguarda!»

«Ehi! Al massimo prendo ordini solo da lei!». esclamò lui, ridendo e indicando la ragazza.

Ella gli spinse il mento dal basso verso l'alto e gli chiuse la bocca, prima che potesse farlo da solo . «Trovati un'altra.»

«Prima o poi...» ribatté il licantropo. «Sicura di non volere un capolavoro come me?»

«Sicura. Non insistere.»

«Ah! Non hai negato che io sia un capolavoro!»

La giovane si mise una mano sul viso, rassegnata.
Tacquero per il resto della camminata, che durò circa tre Rintocchi. La pianura, alternata da colline basse, mostrò ai forestieri delle macchie boschive sempre più frequenti.
Nascosti in uno di quei boschetti, si misero a mangiare di nuovo, ma poco e giusto per dissetarsi e sfamarsi lievemente.
Fu proprio nel mezzo di tale pausa che li udirono: passi pesanti e prodotti da una creatura molto grande. Decisero di spostarsi perché l'istinto disse loro che sarebbe stato meglio non incontrare chi li produceva.
Furono costretti a muoversi più volte, perché a ogni sosta i suoni si facevano sempre più vicini e pure la puzza che la giovane aveva sentito prima ora era più forte, al punto che anche Catack la percepì lievemente.
Il sole stava per tramontare e presto sarebbe arrivato il buio.
Una volta ritenuto di essersi allontanati abbastanza, decisero di preparare un falò finché ancora si vedeva qualcosa, nella speranza che tenesse lontani i pericoli almeno per la notte. Raccolsero dei rami, liberarono l'area designata da tutto ciò che era infiammabile, per non causare un incendio, e con un semplice tocco della mano Mathias accese un fuoco molto debole davanti agli occhi meravigliati di Alex. Dopo di che toccò ai due fratelli ingrandirlo.

«Allora.» fece l'ultimo arrivato, rilassandosi al caldo per la prima volta dopo settimane nel freddo autunnale. «I vostri strani poteri. Volete parlarne?»

Voleva provare a conoscerli meglio per potersi fidare di più di loro. Lo avevano salvato, avevano rischiato la vita, mangiato, dormito e digiunato assieme per poche Fasi, ma non avevano mai avuto un momento in cui parlare seriamente e quindi non aveva potuto saperne di più sul loro conto.

«Magia.» rispose brevemente Mat, mentre tamburellava con le dita sulle ginocchia. «Niente di strano.»

«Usiamo la stessa magia.» spiegò Elly, allungando la risposta del fratello. «Ma non è per quello che ci trasformiamo in animali. Per quello usiamo due poteri da due fonti diverse. Nel mio caso...»

Proprio in quel momento il suono di altri passi giunse alle loro orecchie, ma questa volta così vicini da far tremare il terreno. E fu allora che videro una di quelle creature di cui avevano parlato prima: un essere dalle fattezze umane maschili, completamente nudo, ma senza genitali, probabilmente alto circa dodici Passi e con una bocca molto larga, tenuta aperta come se avesse una paralisi facciale. Era sbucato da dietro gli alberi che avrebbero dovuto proteggerli e ora si stava dirigendo verso di loro con una camminata molto veloce.

«Che cazzo è quello?!» chiese il lupo nero, alzatosi per lo spavento e vedendo l'essere tuffarsi verso di loro con le fauci spalancate. «VIA!». Si gettò senza guardarsi indietro nella prima direzione libera che trovò, augurandosi di non aver calcolato male la traiettoria di chi li stava aggredendo e di non venire perciò schiacciato o divorato. «SUBITO!»

Il trio si disperse istintivamente, terrorizzato, e ognuno sperò di non venire scelto come obiettivo da quel mostro che già si era rialzato; la bocca piena di rami bruciati e brucianti, terra ed erba.
Nell'aria si diffusero il sibilo e il fruscio di qualcosa che si stava avvicinando molto rapidamente.
Ellen si ritrovò inseguita e si voltò per affrontarlo, la spada già sfoderata, ma si pietrificò per la paura prima di poter chiedere aiuto, vedendo il suo volto umano e allo stesso tempo innaturale; e la sua bocca emise solo un gemito soffocato, invece di una richiesta di aiuto. Mathias allora chiuse le braccia attorno a sè, fintanto che un cerchio di rune azzurre compariva sotto ai suoi piedi, e una grande scultura di ghiaccio a forma di ali membranose li avvolse. Il mostro vi sbatté contro con un forte tonfo e continuò a cercare di avanzare.
Si udì il suono del metallo che strisciava su altro metallo.
Alexander osservò nuovamente sbalordito gli effetti della magia del coetaneo, ora di nuovo allo stremo delle forze, e intanto si mise a controllare che la compagna di viaggio stesse bene. Ella volle biasimarsi per aver esitato, ma il trambusto causato dai tentativi vani del gigante di raggiungerli la distrasse dai suoi pensieri. Capì che avrebbe continuato finché sarebbero rimasti visibili e tentò di rendere il ghiaccio del fratello meno trasparente.
Ma proprio in quell'istante il gigante piegò la testa all'indietro, colpito alle spalle da qualcosa, e stramazzò. Una sagoma cadde a terra lì vicino e ruzzolò sull'erba tra lamenti, sospiri soffocati sul nascere, colpi di tosse e altri versi brevi.
La scultura di ghiaccio svanì e il suo creatore sputò sangue. Anche la sorelle mostrò di non essere nelle migliori condizioni: cadde in ginocchio, stordita e confusa.

Dopo essere rimasta distesa per qualche Battito, la figura che aveva appena salvato il trio si rialzò, mosse rapidamente le mani sui propri indumenti per mandare via la polvere, si massaggiò una spalla, un ginocchio e la testa doloranti, alzò lo sguardo verso di loro, molto confuso e allibito, e mormorò: «Cosa?! Voi non... Chi...? Perché...? Eh?!»

Un robusto cavallo bianco con delle macchie nere trottò vicino alla bestia abbattuta e si fermò accanto al padrone, nitrendo.

Egli era un ragazzo dalla carnagione quasi come quella dei ragazzi che aveva appena salvato, che in una Luna e mezza in mare si erano un po' abbronzati e quasi scottati, di diciotto Cicli, alto e magro, con i capelli neri, gli occhi marroni e un paio di occhiali rettangolari, tenuti attaccati alla testa con un laccio di cuoio. Sopra alla maglia e ai pantaloni indossava un'imbragatura, a cui erano fissati due minuscoli arpioni, posti all'altezza dei fianchi, e due grossi foderi, messi poco sotto al bacino e aventi ciascuno una piccola bombola di gas fissata sopra e collegata a un dispositivo situato dietro la schiena, nella parte più bassa di quest'ultima. Tale dispositivo aveva in sè le matasse dei due cavi degli arpioni e un ugello centrale, destinato a far uscire il gas; e a prima vista, i ragazzi di Shujaa non furono in grado di capirne il funzionamento. A completare il tutto vi erano inoltre un paio di stivali scuri, alti fino alle ginocchia, una giacchetta marroncina, che copriva solo le braccia, le spalle e il petto, una fusciacca marrone legata sotto alla vita, e una mantellina verde con il cappuccio e due ali stilizzate, una bianca e una blu, cucite dietro.
Gli altri riconobbero che era un'uniforme da militare e un sentimento di avversione e timore si fece strada in loro, portandoli a guardarlo con astio e con le armi in pugno.

Lui ricambiò l'espressione e lì rimproverò dicendo: «Dovreste ringraziarmi perché vi ho salvati, invece di mostrarvi ostili! Avrei potuto lasciarvi morire per il grave reato che avete commesso: è severamente vietato uscire dalle Mura senza autorizzazione e senza essere un soldato! Provarci può portarvi dritti sul patibolo! Anche se pure il riuscirci può essere fatale, ora che ci penso.». Li osservò meglio. «E cosa pensavate di fare con quelle spade ridicole contro un gigante? Scommetto che è un metallo qualsiasi, probabilmente ferro o acciaio di bassa qualità. Vedo che non sono nemmeno messe bene: scheggiate e smussate. Sareste morti sicuramente. In più avete l'aria di chi mangia, beve e dorme pochissimo o per niente da troppi giorni.
Comunque sia, verrete con me: siete in arresto.»

I tre ragazzi, che erano stati distratti dall'enorme cadavere accanto a loro poiché aveva cominciato a emettere del fumo bianco, ritornarono a guardarlo dopo l'ultima frase.

«IN ARRESTO UN CORNO!» sbottò Ellen, camminando verso di lui aggressiva e puntandogli contro la spada. «Grazie per il salvataggio, ma non dobbiamo sottostare alle leggi di chi non ci governa in una terra che non sapevamo nemmeno che fosse abitata! Nessuno da oltre il mare lo sa!». Indicò la direzione da cui erano arrivati, con la spiaggia e l'acqua salata nascoste da pochi Campi di colline, pianure e boschi. «Da che parte stai?! Chi è il tuo re?!».

Il soldato sbuffò, dopo aver spostato la punta della lama avversaria con la propria con estrema facilità. «Credo che non abbiate capito bene in quale situazione vi troviate, cicci. Mare?! Cosa state blaterando? Voi siete pazzi!».

Mathias sapeva perché la sorella aveva paura di finire in cella, ma si stupì lo stesso dell'astio mostrato verso il suo coetaneo. Egli stesso era spaventato all'idea di finire dietro le sbarre; e sarebbe potuta finire anche peggio, secondo quanto detto dal loro salvatore.
Si intromise senza pensarci fra lei e lui, colpendo il piatto delle lame di quest'ultimo per spostarle e difenderla. Tuttavia non fece in tempo a fare altro, perché una forte botta sulla nuca lo mise al tappeto: il ragazzo in uniforme lo aveva colpito con l'elsa.

«Ma che cazzo!» esclamò la ragazza con rabbia e sgomento, ignorando la distanza di sicurezza che ella stessa si era creata con la propria arma e gettandosi in soccorso del giovane vissuto venti Cicli. «Non puoi...».

Il freddo del metallo sul collo la zittì immediatamente.

«Abbiamo iniziato con il piede sbagliato.» disse Catack, sperando di essere abbastanza cauto con le parole da non venire attaccato a sua volta, impaurito dalla rapidità che l'altro aveva dimostrato. «Accettiamo di venire con te: sarà sempre meglio che rimanere qua o tornare indietro ora. Mettiamo via le armi.».

Ma le lame rimasero sfoderate, perché il ragazzo voleva avere qualcosa che lo facesse sentire al sicuro, fintanto che rifletteva sul da farsi.
Nel frattempo il grande cadavere vicino aveva già perso alcuni lembi di pelle e di muscoli, lasciando scoperti dei pezzi dello scheletro a causa della sublimazione che stava subendo.





































































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A bordo del carro con la copertura bianca in cui erano stati obbligati a salire, i tre ragazzi di Shujaa mangiarono malvolentieri il cibo che il soldato aveva offerto loro, dopo aver visto in quali condizioni si erano ridotti. Era soprattutto la fame a guidare il cibo verso le loro bocche, più che un senso di gratitudine e apprezzamento: non vedevano quale potesse essere il lato positivo del nutrire e dare quel genere di trattamento caritatevole a dei probabili futuri condannati al patibolo. Un modo per tenerli vivi fino a un processo e a un'esecuzione ufficiali, ossia in grado di mettere in bella mostra il sistema giudiziario e militare lì presente? L'idea di poter essere usati da qualcuno per darsi arie non li allietò affatto. Mangiarono guardandosi attorno, in cerca di una via di fuga che non avevano ancora trovato dall'inizio del viaggio.
Non ebbero modo di scappare nemmeno quando si fermarono per sgranchirsi le gambe o per svuotarsi: ogni volta che uno si allontanava, il militare prendeva gli altri due in ostaggio per assicurarsi che quello tornasse indietro, conscio del fatto che chi si separava non li avrebbe mai abbandonati in quelle condizioni e non sarebbe mai riuscito ad andare troppo distante, prima di soccombere ai pericoli presenti in giro.
Egli a una certa disse loro che non avrebbero avuto problemi con altre creature come quella da cui li aveva salvati prima, poiché di notte erano totalmente innocue e immobili.
Rifocillati e svuotati dagli eccessi, i tre crollarono a dormire e il guidatore del carro fu lasciato solo con i propri pensieri.
Sbadigliò, anch'egli stanco, e subito si tirò uno schiaffo sulla guancia per costringersi a rimanere vigile: i giovani che stava trasportando sarebbero potuti svegliarsi e fuggire, proprio approfittando del fatto che fosse addormentato.
Era curioso nei loro confronti, perciò decise che li avrebbe portati prima dal suo comandante. Nel caso in cui la loro assurda storia si fosse rivelata vera, li avrebbero nascosti in una base della sua armata per un po', per scoprire qualcosa in più su quel mondo esterno di cui avevano parlato; altrimenti li avrebbero consegnati alla Polizia Militare e lui stesso si sarebbe assicurato di vederli processati come meritato.
Mare? Che strana parola. Cos'era? Non ricordava villaggi con quel nome dentro alle Mura, ma non li conosceva tutti. E perché avevano indicato verso il nulla? Si erano forse persi?
Il cavallo nitrì, quasi inciampando su un sasso, e gli ricordò che anche lui aveva il compito di stare attento alla strada percorsa: era buio pesto da qualche ora e le uniche luci erano date dalle lanterne dondolanti appese al carro, che con il loro continuo movimento illuminavano ora sì e ora no minuscole porzioni dell'ambiente circostante. Tuttavia non si sarebbero fermati: ora che i giganti erano completamente inattivi, approfittarne per mettere quanta più distanza possibile fra loro e il luogo in cui quegli incoscienti avevano acceso il falò, attirando l'attenzione, era la cosa migliore da fare; soprattutto perché sarebbero rimasti in quelle condizioni per più giorni.

«Quell'albero strano l'ho già visto... No, non è quello. Merda, sarebbe più facile con il sole!» pensò. «Fra quanto sorgerà? L'orizzonte non si è ancora illuminato.»

Si maledisse per aver perso di vista il suo Corpo ed essersi smarrito, però dopo gli venne in mente che senza tale avvenimento non avrebbe mai salvato chi stava trasportando. Al suo ritorno sarebbe stato sicuramente deriso. Francis Cornish, il nuovo argomento per far ridere la Polizia e la Guarnigione. Almeno i suoi amici, quelli non ancora divorati, sarebbero stati felici di rivederlo e così pure i pochi familiari che gli erano rimasti.
Uno sbuffo e un nuovo nitrito gli fecero capire che il cavallo era stanco e doveva riposare. Sapeva che gli sarebbero bastare poche ore di sonno e che all'alba sarebbe stato molto probabilmente già sveglio prima di tutti, se gli avesse permesso di dormire come si deve; quindi lo slegò per permettergli di stendersi, non volendo che riposasse in piedi. Lui invece decise di addormentarsi sulla cassetta, sperando che i passeggeri fossero ancora troppo stanchi per destarsi e scappare finché era distratto; non aveva abbastanza forze per rimanere ancora sveglio da solo per controllarli.
Fu Mathias il primo ad aprire gli occhi al sorgere del sole, e ad accorgersi che si erano fermati e che il militare non stava più prestando loro attenzione. Fece alzare quindi anche gli altri due per decidere come approfittare della situazione.

«Rubiamogli una lanterna e andiamocene subito. Anzi, rubiamogli tutto il carro.» sussurrò Ellen, restituendo a tutti le armi che aveva ripreso con cautela dalla cassetta del cocchiere. «Non ci finisco in carcere. Non di nuovo.»

«Nemmeno io, ma non possiamo lasciarlo così: senza cavallo e carro dubito che possa fare molto contro quelle creature umanoidi. Quella strana attrezzatura che si porta con sè gli serve per ucciderle, ma non sappiamo lui da solo quanto possa fare, visto che prima è caduto dopo averne uccisa solo una; immaginalo in un'orda.» le rispose il fratello con lo stesso tono. «Potremmo rubargli del cibo e una lanterna, per poi andare via da soli. Con le nostre magie dovremmo essere in grado di scappare o almeno di nasconderci da quegli esseri. Raggiungeremo la costa e ce ne andremo.»

Alexander si avvicinò all'equino di Francis con una mela, ma questi, svegliatosi e alzatosi, appiattì le orecchie e si girò con uno sbuffo.

«L'idea di prendergli il cavallo non sarebbe comunque fattibile: non mi fa avvici-... Ehi!» bisbigliò il coetaneo di Mat, evitando di farsi colpire da un calcio sferrato dall'animale. «Secondo me varrebbe la pena di visitare il posto da cui questo ragazzo proviene: potremmo avere finalmente un letto decente su cui dormire e del cibo da mangiare attorno a una tavola. Senza contare che potremmo farci realizzare un mezzo per tornare a casa. Ci basterebbe collaborare, no? Non credo siano tutti come l'esercito di Giza.». Chiuse gli occhi e sospirò. «Dite che ci sarà anche qualcuno che potrà vedermi per la meraviglia che sono?»

«Devo ricordarvi ancora una volta delle Sentinelle? E come pensi di farci costruire una barca per affrontare il mare, se questa gente non sa nemmeno cosa sia il mare?» domandò Elly, contraria al piano del ragazzo per il quale erano stati mandati sull'isola dove lo avevano conosciuto una Luna e mezza prima. «E le guardie sono guardie. Le nostre, quelle vere, ci hanno abbandonati o traditi!»

«Avevo paura che sareste fuggiti, ma mi sbagliavo.» mormorò Cornish, ridestatosi, cogliendoli di sorpresa. «Avete fatto colazione, cicci? Appena il mio cavallo avrà mangiato, partiremo. I giganti si staranno svegliando e non possiamo stare qui fermi troppo a lungo, altrimenti si accorgeranno di noi e dopo sarà più difficile portarvi a casa.»

«Casa nostra è di là.» puntualizzò il giovane dagli occhi grigio verdi, indicando dietro di sè e parlando con un volume così basso che Francis lo vide solo gesticolare. «Ci basta il legno per una barca per...»

«Quello che intendeva dire è che preferiremmo andare nella direzione opposta, dove c'è molto più di quello che tu pensi.» disse Alex, dopo aver messo una mano davanti alla bocca del compagno dì viaggio. «Ma ti seguiremo fino a dove vivi e risponderemo alle domande, ma ad alcune condizioni.»

Il destinatario delle sue parole lo guardò perplesso. «Non credo che siate nella posizione giusta per decidere delle condizioni per fare qualcosa, amori belli.»

I due fratelli sfoderarono le spade e lui fece lo stesso, rimproverandosi di non avere nascosto meglio le loro.

Il ragazzo di Shujaa dai capelli più scuri tagliò corto. «Cibo cucinato in casa, da mangiare attorno a un tavolo, un posto per lavarci, perché la nostra igiene lascia molto a desiderare ultimamente, delle stanze dove dormire, non celle di una prigione, e un mezzo per andarcene dopo aver risposto alle domande.»

«Puoi accettare o scegliere quanti draghi o quanti lupi affrontare; da uno a due. Ma probabilmente anche solo con la spada o qualche pugno ben assestato potremmo farcela.» soggiunse il coetaneo. «Questo se non dovessi accettare le condizioni. Abbiamo mangiato e riposato abbastanza per poter ingaggiare in combattimento contro di te. Abbiamo sufficiente et-...»

«Mettete tutti giù le armi: rendete tutto più difficile!» esclamò Alexander, che ancora aveva le mani libere. «Queste sono le condizioni e non mi sembrano complicate. Ti aiuteremo anche a combattere quelle strane creature, qualora dovessero presentarsi lungo il percorso da qua a dove vivi. E non tenteremo di scappare.». Si girò verso il giovane alleato. «Quanti draghi e quanti lupi?! Cosa stai dicendo?»

Il ragazzo del luogo lo fissò dubbioso. «Vi porterò in una base del mio Corpo: Legione o Armata Esplorativa, Corpo, Legione o Armata di Ricerca, Corpo Ricognitivo, Corpo, Legione o Armata di Ricognizione, Corpo Esplorativo, Legione o Armata Ricognitiva, Corpo, Legione o Armata d'Esplorazione, oppure come volete; avete capito il concetto, vero? Perché ci sono tanti altri nomi che ho tralasciato. Risponderete alle domande che vi verranno fatte e io rispetterò le vostre condizioni al meglio delle mie possibilità; e in più vi fornirò delle bende nuove, se ne avrete bisogno. Ma ne aggiungo una io: se dovessi venire a sapere che mi avete mentito o se doveste provare a fuggire, vi farò passare uno dei momenti peggiori della vostra vita.
Anche se ancora non capisco perché vogliate andarvene, pazzi.»

Il trio gli sorrise spavaldo, ripensando al regno di Shujaa e a cosa avevano passato negli ultimi Cicli. «Buona fortuna con la tua condizione.»

Riconnessi cavallo e carro, ripartirono.
Scelsero di rimanere costantemente in movimento, ma senza andare di fretta, se non in caso di pericolo, durante il giorno e di andare più veloci durante il tramonto e l'alba: i mostri che abitavano quelle terre erano più attivi più alto era il sole e quindi le prime o ultime ore di luce, ossia quando molti di essi si stavano ancora svegliando o si erano già addormentati, erano i momenti perfetti per accelerare il passo. La notte venne usata per mangiare e bere poco, fintanto che erano in movimento, e svuotarsi, sgranchirsi le gambe e dormire, mentre il carro era fermo; anche se pure durante le ore diurne fecero a turno per schiacciare un pisolino.
Dopo diversi Archi, nei quali quasi esaurirono il cibo a disposizione, il soldato annunciò che erano arrivati e i tre videro comparire oltre l'ennesimo bosco e l'ennesima collina un lunghissimo muro di cinta grigio, visto come imponente anche dalla grande distanza a cui ancora si trovavano.
I forestieri lo fissarono stupiti, increduli che qualcuno di umano potesse vivere in quelle terre, e quasi ignorarono quell'uccello che li aveva osservati e seguiti da molto in alto durante gran parte del tragitto, apparendo quasi come un puntino nel cielo; seppure all'inizio terrorizzati dalla sua presenza al punto di non riuscire a respirare e poi rassicurati da Cornish del fatto che fosse un volatile come tanti, almeno secondo lui e secondo il fatto che non avesse causato loro nessun problema.
La loro attenzione ritornò a ciò che Francis aveva indicato. Che oltre quella cinta muraria vi fossero le tante persone che nella storia avevano provato a esplorare quelle terre, senza mai tornare? Che fossero riusciti negli anni a costruire quell'opera mastodontica, ma senza poter tornare indietro? Si dissero che non era possibile: con quei giganti in giro sarebbe stato impossibile compiere un'impresa del genere. O forse quei mostri non erano sempre stati lì e c'era stato il tempo per realizzare quelle mura.
Avvicinandosi all'imponente muro di colore grigio, Mathias, Ellen e Alexander notarono dei rinforzi a intervalli regolari e che l'altezza di quella costruzione si aggirava intorno ai settantacinque Passi. Poi videro che una parte di tale difesa sporgeva in avanti, per avvolgere qualcosa al di fuori del resto del muro, ma erano troppo in basso per capire cosa fosse.

Notando la loro curiosità, il soldato disse: «State osservando il distretto di Quinta. Abbiamo tre cinte murarie concentriche, ognuna con quattro distretti così al di fuori. Servono ad attirare i giganti troppo vicini, così che non si disperdano lungo tutto il perimetro e ci diano modo di concentrare poche difese in punti specifici.»

Era più grande di quanto pensassero, una costruzione per la quale ci sarebbero voluti molti Cicli per rifarla. Sicuramente era estremamente antica, anche se tenuta molto bene.
Il carro si diresse verso una porzione situata fra due barbacani più vicini fra loro degli altri e avente, verso la base, il bassorilievo della testa di una donna con una tiara. Tale rappresentazione si trovava al centro di uno di quei semicerchi in muratura che sporgeva in orizzontale dal resto della muraglia; era la via di accesso per il distretto che avevano dinnanzi.

«EHI! APRITE IL CANCELLO!》tuonò qualcuno dalla sommità della gigantesca parete.《ABBIAMO UN RITARDATARIO DALL'ARMATA RICOGNITIVA!»

Dalla base la sua voce risultò molto più bassa.

«PRONTI AI CANNONI!» ordinò un altro. «CONTROLLATE CHE NON CI SIANO TITANI NELLE VICINANZE!».

La porzione con la testa di donna prese a muoversi verso l'alto, sostenuta e tirata da pesanti catene metalliche. La stessa cosa successe anche dall'altra parte del muro e il mezzo passò quindi fra queste due saracinesche, rimanendo per pochi secondi in una galleria corta e semibuia, dove venne salutato e schernito scherzosamente da un gruppo di militari con due rose rosse sulla schiena.
Francis interruppe le pratiche di bentornato con un gesto della mano, dichiarando di dover raggiungere velocemente il proprio comandante per fare rapporto e di aver bisogno di un rapido rifornimento di cibo, e gli altri soldati gli permisero quindi di passare ridendo, dopo averlo lasciato scendere per prendersi un barile di mele, uno con pezzi di carne e uno con del pane, caricarli rapidamente, e poi risalire al comando del suo carro, senza controllare quest'ultimo perché non riuscirono nemmeno ad avvicinarsi a causa dell'odore sgradevole che sentirono.
Appena il mezzo fu dall'altra parte del muro, le gigantesche saracinesche si abbassarono lentamente, mettendo a disagio i passeggeri nascosti all'interno con il forte rumore che produssero nel mentre. I suddetti passeggeri si guardarono bene dallo sbirciare oltre l'apertura sul retro del telo bianco, nonostante la curiosità, per evitare di essere scoperti: avrebbero osservato l'ambiente circostante da tale apertura più avanti, una volta messa abbastanza distanza fra loro e quei nuovi soldati, e dopo aver atteso che la curiosità della gente scemasse, portandola ad allontanarsi verso le proprie mansioni.














































































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Giunti ufficialmente nel distretto umano, i quattro attraversarono un grande agglomerato di case di calce, fango, paglia e letame secco, supportate da telai di legno, a più piani e affiancate di tanto in tanto da delle torri di pietra; materiale, quest'ultimo, che compariva anche nella struttura di alcune abitazioni, specialmente nei piani inferiori, sebbene in alcuni isolati in lontananza fu possibile vedere la presenza solo di esso. Al centro, a pochi Campi di distanza da dove si trovavano, vi era una fortezza circondata da una grande piazza, e le strade che conducevano a essa erano molto più larghe e piene di persone, bancarelle e botteghe.

La loro guida disse: «In quel castello teniamo rifornimenti di gas e lame per quando dobbiamo combattere, oltre a riserve di cibo e mediche. Ma credo che lo sappiate già e non è là che siamo diretti: andremo oltre il muro interno ed entreremo più in profondità nel territorio umano.»

«In realtà non lo sapevamo, grazie.» rispose Alex. «Anche gli altri distretti sono così?»

Il destinatario della sua domanda si chiese se veramente non sapessero nulla di quel posto perché non vi erano mai stati, se stessero soffrendo di amnesia o se stessero fingendo, ma comunque replicò: «Sono abbastanza simili.»

I forestieri, sbirciando dall'apertura sul retro del carro, ammirarono gli edifici che li circondavano con stupore. Alcuni erano simili a quelli presenti su alcune delle Sentinelle e nella capitale di Shujaa, sebbene si trovassero in un posto completamente tagliato fuori dal resto mondo.
Anche altri luoghi del mondo avevano le stesse case, stando ai racconti che Mathias ed Ellen avevano sentito dai loro genitori quando erano ancora bambini; lo stesso problema aveva portato alla stessa soluzione in diverse parti del globo, anche se queste non erano mai entrate in contatto fra di loro. Forse gli antenati degli abitanti venivano proprio dai luoghi a cui stavano pensando e per questo il posto in cui si trovavano ora vi assomigliava così tanto.

«Per poter costruire queste case senza problemi, avete realizzato prima le mura?» domandò Alex. «Come avete fatto a farle così alte? A Shujaa abbiamo città con mura enormi, ma sono vicine a miniere e cave o a vie di trasporto per tali materiali; qua non vedo montagne vicine e con quei giganti non credo ci siano cave nei dintorni. Forse dentro?»

«Non lo sa nessuno. Perfino nei ricordi del più anziano sono presenti da sempre. Nessuno sa da dove siano stati presi i materiali» gli rispose Francis. «E rimanete nascosti! Non voglio problemi!». Sì accorse che i tre stavano guardando meravigliati la cinta muraria e si affrettò ad aggiungere. «Non c'è niente di bello: sono opprimenti. Vorrei che bastassero più basse e che si potesse farne a meno del tutto il prima possibile.»

Incuriosito, Catack allora gli chiese: «Quanto sono alte?»

«Cinquanta metri, più o meno.»

«Metri? Cosa sono?»

«Unità di misura per altezza e lunghezza.». Cornish allungo le braccia, lasciando andare le redini, per mostrargli a quanto equivaleva un metro, sperando che l'altro lo vedesse bene dalla fessura anteriore del telo bianco che li separava. «Ma perché sto a dirvi cos'è un metro o a spiegarvi tutte queste cose? Non ditemi che sto iniziando a credervi del tutto!»

«È più che giusto credere alla verità. Non penserai che un giovanotto affascinante come me ti stia mentendo, spero.» replicò l'altro. «Comunque credo che un metro possa valere più o meno un passo e mezzo.»

Raggiunsero il cancello nel muro difensivo dall'altra parte della città. Era molto simile a quello già incontrato, ma una volta superato li condusse prima attraverso un altro agglomerato di case e poi in una enorme distesa di campi coltivati, prati e boschi, che ricordò ai tre ragazzi di Shujaa quella che avevano visto prima di incontrare il soldato.
Invece di proseguire dritto, il carro fece una piccola deviazione, seguendo una di quelle cose che differenziavano quelle terre protette da ciò che c'era all'esterno: le strade. Tali strade erano di terra battuta o di ciottoli, alcune larghi e altre strette, percorse da altri carri, cavalli con gente in groppa o da semplici persone a piedi impegnate nelle loro attività.
Appena giunsero in prossimità di un villaggio circondato dagli alberi, Mat chiese al giovane soldato di fermarsi e di dare loro la possibilità di avere dei vestiti nuovi, poiché aveva avvistato una bottega apposita; e in più domandò che pure lui si cambiasse e lasciasse la sua uniforme nel retro del carro.

«Non scapperemo e nemmeno ti aggrediremo appena sarai disarmato, Francis.» disse tentando di rimanere calmo, ma lasciando trapelare molta preoccupazione dal suo tono di voce. «Per favore!»

Elly gli fece cenno di abbassare il volume e sussurrò: «Non l'ho più rivisto da quando abbiamo superato il primo cancello. Credi che sia ancora sopra di noi?»

Il fratello la guardò negli occhi. «Ho un brutto presentimento. Meglio essere pronti.»

Alex lì osservò confuso e concluse. «Ne sapete più di me e neanche io mi fido. In più dei vestiti nuovi ci renderebbero meno individuabili, anche se non mi piace indossare cose nuove senza essermi prima lavato.»

Francis non comprese il perché delle loro richieste, ma decise di fidarsi e li accontentò comprando loro degli indumenti circa della loro taglia, con la promessa che avrebbe pagato un suo superiore e di non tornare mai più in quel negozio nelle condizioni in cui si trovava in quel momento, ossia così maleodorante.
Una volta indossati gli abiti di ricambio, più pesanti di quelli precedenti e utili per le temperature che si stavano abbassando, ripartirono.
Il viaggio durò per qualche altro Arco e la puzza che emanavano ormai tutti loro li costrinse pure ad abbandonare il percorso principare, per evitare di attirare troppe attenzioni indesiderate che avrebbero potuto portare a una perquisizione del carro: sebbene fossero di fatto suoi prigionieri, Cornish non voleva che si sapesse di loro prima dell'arrivo a destinazione. Per non essere scoperti essi conversarono pure il meno possibile fra di loro, lasciando al giovane soldato il compito di parlare ai pochi che si avvicinarono e di allontanarli gentilmente.
Giunsero infine davanti a un piccolo castello, circondato da un fossato vuoto e da un muro di cinta di dimensioni ridotte rispetto agli altri visti quel giorno. Sui prati circostanti alcuni cavalli erano impegnati a pascolare e solo pochi esemplari li degnarono di qualche attenzione.
Il ponte levatoio si aprì e dalla fessura anteriore della copertura del carro i tre passeggeri videro altri mezzi di trasporto come il loro all'interno del cortile. Francis, impegnato a salutare con un ampio gesto del braccio qualcuno che stava facendo altrettanto da una delle torri, li coprì alla vista delle persone presenti nella fortezza assieme al telo bianco.

«DOVE SEI STATO?!» gli domandò con un grido uno da lontano, correndogli incontro.

«Ti credevamo morto!» esclamò un altro. «È passato un sacco di tempo dalla missione fuori dalle Mura! Abbiamo pure avvisato i tuoi genitori e fatto un funerale!»

Una voce femminile gli chiese: «Tu e il tuo cavallino vi eravate persi?». Dopo qualche secondo di risate collettive, confermò: «Vi eravate persi.»

Sentirono il rumore di uno schiaffo. «Ci hai fatto preoccupare! Ti abbiamo creduto morto per due settimane e osi ripresentarti così in una nostra base, senza preavviso?! FRANCIS CORNISH, SEI IN GROSSI GUAI!»

«Il comandante vuole vederti, spero tu abbia una bella storia per lui.»

«Ci occuperemo noi del tuo carro e del tuo cavallo.»

Udirono del trambusto e la voce di Cornish che diceva frettolosa: «No! Ops, scusatemi: non è stato un viaggio facile. Grazie, ma faccio tutto io. Tranquilli! Dopotutto è il carro che mi hanno assegnato in questa spedizione, no? È compito mio. Continuate pure a divertirvi!»

«Sicuro di non volere nessuno? E cos'è questo odore? Da quanto non ti lavi? Sta venendo a tutti da vomitare! Che schifo! Dai facciamo noi!»

Il soldato che i giovani di Shujaa avevano conosciuto fuori dalle imponenti mura ribatté subito: «Preferirei fare io: ci sono delle cose nel carro che sono mie e so io dove vanno. Però vorrei delle persone qui per darmi una mano, se non sono impegnate altrove.»

«Ho capito chi vuoi! Certo che ci sono! Sono a pulire i sotterranei, vado a chiamarli. Saranno felicissimi di vederti! Ma non di sentire il tuo odore. Comunque ti comporti in modo strano, sappi che ti terremo d'occhio e che faresti meglio a svuotare il sacco prima che ti scoprano i piani alti del Corpo o di tutto il reparto militare.»

«Certo, certo. Ora vado!»

Il carro riprese a muoversi fino ad aggirare tutta la struttura, e si fermò in una zona poco affollata e nascosta, dove nessuno poté vedere i forestieri che smontavano ed entravano nella struttura da una porta secondaria.
A quel punto chi li aveva condotti fino a lì fece loro cenno di rimanere immobili e se ne andò, tornando dopo qualche minuto. Non si stupì del fatto che non fossero fuggiti: nelle condizioni in cui erano non sarebbero andati lontano e aveva capito che non era al momento nei loro piani.

«Ricordati delle nostre richieste, Francis.» bisbigliò Alexander, fintanto che percorrevano una rampa di scale con passo svelto. «E niente guardie davanti alle porte, altrimenti sarà come essere in cella.»

«Ormai è quasi sera e io sono troppo stanco. Non voglio perdere tempo obbligandovi ad accettare di avere una guardia davanti alla porta» lo rassicurò il destinatario delle sue parole. «In questo castello ci sono abbastanza soldati da impedirvi di scappare senza autorizzazione, pur lasciandovi andare in giro a vostro piacimento; ma preferirei che non lo faceste per il momento.» Indicò due stanze. «Una è mia e di Samuel. Voi due ragazzi dormirete con noi. Tu, Ellen, dormirai nell'altra con Sophie e Karina.»

«Ma non le conosco!» protestò Elly, prima di ricordarsi che avrebbe fatto meglio a sussurrare per non farsi sentire. «Non... Mi piacerebbe cambiare stanza. Posso stare da loro solo per lavarmi e cambiarmi?»

Cornish scosse la testa e replicò: «Vi ricordo che siete in arresto con dei permessi speciali momentanei. Ho accettato alcune vostre condizioni, ma non accontenterò altre vostre richieste fino al chiarimento della vostra posizione.
È già tanto se non sono ancora andato a fare rapporto ai miei superiori e se non lo farò includendo anche voi, almeno per il momento.»

I due fratelli si divisero e il più vecchio entrò assieme a Catack nella camera del soldato che li aveva accompagnati, domandando permesso e mettendosi dietro al coetaneo, dove rimase fino a quando non si rese conto che tutti gli inquilini della stanza erano più giovani di lui.
Samuel, che Mathias non guardò in faccia per non sembrare irrispettoso o aggressivo, si lamentò come tanti altri prima di lui della puzza e li spedì a lavarsi nel bagno della camera, dove aveva preparato tre grossi barili pieni d'acqua.
Dopo essersi tolti i vestiti, la coppia di Shujaa si tolse anche le bende, coprenti ferite ormai completamente guarite, con la crosta o cicatrizzate, e quindi non più sanguinanti. Coperto dal bordo del barile in cui si era infilato, ognuno di essi poté lavarsi senza guardare gli altri o essere visto. Non chiacchierarono fra di loro, ma pensarono solo a rilassarsi, lieti di potersi godere un bagno caldo dopo essere rimasti senza tale comodità per un periodo lunghissimo, viste le condizioni della loro terra natia.
Nel frattempo Ellen aveva già finito di lavarsi, si era fatta prestare dei vestiti, che però Sophie e Karina avevano dovuto prendere in prestito di nascosto dalla camera di un'altra compagna d'armata, e ora stava mangiando davanti a una scrivania rovinata dai tarli e convertita in tavola per la cena. Tale cena fu composta dai pezzi di cibo in più che le due altre ragazze, più giovani di Elly di qualche Ciclo, avevano richiesto alla cucina come spuntino di mezzanotte, dopo aver consumato le loro porzioni nella mensa, fintanto che la ragazza si puliva nella stanza chiusa a chiave.
Ognuna delle due camere era dotada di una coppia di letti, separati da un comodino, altri due comodini, ognuno a lato di un letto, verso l'esterno, un comò, un piccolo armadio, uno scaffale con mensole piene di libri e delle coperte buttate a terra nel tentativo di formare un giaciglio per i nuovi arrivati.
Tutti loro a turno si lavarono i denti con foglie di salvia, con i nuovi arrivati lieti di sapere che quella pianta esisteva pure lì.
L'inverno era ormai arrivato dal punto di vista della temperatura esterna, ma per il calendario sia del luogo che di Shujaa era solo alle porte. Francis, Samuel, Sophie e Karina si consideravano agli inizi del dodicesimo e ultimo mese dell'anno; invece per Ellen, Mathias e Alexander quello erano il principio della decima Luna. In ogni caso faceva freddo e i tre forestieri furono molto lieti di potersi coricare con delle camicie da notte sotto a delle coperte pesanti.
Essi, durante una breve chiacchierata a cui i giovani nati in quelle terre sconosciute non seppero se credere o meno, spiegarono che a Shujaa, prima della salita al trono di Giza, i letti separati erano cosa non comune, perché il loro prezzo era inversamente proporzionale al numero di persone destinate a dormirci sopra, e che, pur non essendo come altri luoghi in cui solo i nobili li avevano, mentre le persone comuni dormivano su coperte e giacigli di fortuna, era comunque normale vedere più individui coricarsi sotto alla stessa coperta come in tali posti; con la differenza che a Shujaa nessuno andava a dormire con sconosciuti e potevano pure rifiutarsi di riposare con i parenti o gli amici di famiglia, quando materialmente possibile.
I giovani soldati invece spiegarono loro che lì il prezzo di un letto era direttamente proporzionale alle sue dimensioni e che quindi era molto più facile procucarsi letti singoli pure per i poveri, seppure con l'obbligo per alcuni di dormire su giacigli improvvisati a causa della disponibilità monetaria scarsa o nulla.
Vi erano poi le differenze nei bagni: a Shujaa le case ne avevano uno solo con l'occorrente per espletare i propri bisogni e lavarsi determinate parti del corpo di conseguenza, ma per un lavaggio completo si usufruiva invece di bagni semipubblici, ciascuno riservato agli abitanti di un determinato quartiere o agli appartenenti a un determinato gruppo e destinato anche alla socializzazione all'interno della stessa vasca, con i nobili che potevano permettersi quest'ultima nella propria dimora; e invece in quelle terre piene di giganti ci si lavava in singole botti, sempre con i più ricchi dotati di vasca, in un modo che, a detta di Samuel, era più igienico. Gli abitanti del luogo vennero informati del fatto che nel mondo esterno vi erano entrambi i casi, a seconda del posto.
Troppo assonnati per continuare a parlare con i rispettivi compagni di stanza, si zittirono uno dopo l'altro, chiusero le tende davanti alla finestra, spensero le candele e si addormentarono.















































































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Le Mura: alte cinquanta metri o settantacinque passi, con dei distretti sporgenti verso l'esterno e situati nei quattro punti cardinali principali di ciascuna di queste tre cinte concentriche come ottimi punti strategici in cui concentrare i cannoni, così da evitare di spendere troppi soldi e materiali per proteggere tutto il perimetro. Un'opera colossale con un punto debole altrettanto imponente.
Un punto debole, esso, sul quale un'ombra stava ora comodamente seduta, consapevole che il buio e l'assenza di pattuglie di ronda l'avrebbero tenuta nascosta.
Altre due figure lo raggiunsero sulla sommità della parete, riferendogli qualcosa a bassa voce. I tre rimasero a scambiarsi informazioni, idee e opinioni per diverso tempo, in parte tenendosi svegli con delle bevande tenute in piccole ciotole e in parte riposando a turno; e di tanto in tanto usarono il fuoco di un piccolo falò per incendiare un bastone e agitarlo, in modo da mandare un segnale a una persona rimasta in basso o a qualcun altro che si trovata più lontano, i quali rispondevano a loro volta allo stesso modo.
A una certa, dopo aver capito di avere tutto pronto, essi diedero altre indicazioni a chi si trovava sotto di loro e poi si gettarono dall'altra parte del muro, sparendo nella notte fintanto che alle loro spalle si udiva un numero sempre più alto di voci e altri rumori, come cigolii, scricchiolii e clangori.
Il cielo doveva essere nuvoloso, date le poche stelle visibili a illuminare quella notte altrimenti nera come la pece. Pure la luna quasi piena era seminascosta dalle nubi.
A rompere di tanto in tanto il silenzio assoluto di quelle ore dalla parte della parete difensiva opposta a quelle del brusio in aumento vi erano il frinire dei grilli, lo squittio di qualche roditore e di alcuni pipistrelli, e il bubolare di pochi rapaci notturni.
L'alba giunse, accompagnata dal richiamo di alcuni piccoli uccelli e dalle voci delle persone più mattiniere. Tra queste ultime vi erano i membri della servitù dei nobili, che cominciarono subito a preparare le case e il castello reale in cui lavoravano al risveglio dei loro datori di lavoro; colazioni, bagni caldi, e vestiti nuovi e profumati furono ciò di cui si occuparono principalmente.
In seguito si destarono pure i militari, perché chiamati al dovere o per via del loro orologio biologico, e quelli di rango più alto mandarono i subordinati a svolgere le solite mansioni per il mantenimento dell'ordine fra i cittadini e per la manutenzione delle Mura, dopo il pasto mattutino servito dai primi che si erano alzati e consumato nella tranquillità dei territori umani più interni e sicuri. Il vociare delle persone si fece nel frattempo sempre più evidente man mano che queste uscivano di casa o aprivano le finestre; suoni di altri animali come cani, gatti e uccelli si mischiarono ai rumori degli umani, fintanto che questi ultimi cominciavano e svolgevano le loro attività mattutine.
Alcuni dei suddetti soldati si accorsero però che qualcosa non quadrava quel giorno, dopo aver dato una rapida occhiata in giro e aver parlato fra di loro per confermare i sospetti che erano sorti, e così corsero dai loro superiori con un messaggio che avrebbe dovuto avere la priorità su tutto il resto, se non fosse stato per la volontà dei ricconi più capricciosi di non voler interrompere le loro conversazioni a senso unico con alcuni capisquadra e un comandante.

«E tu cosa diavolo vuoi?!» domandò in tono sgarbato uno degli umani di ceto alto di quelle terre, rivolgendosi a chi si presentò davanti al capitano con cui stava parlando e che stava cercando una scusa per potersene andare. «Non vedi che è impegnato con me ora?!»

Il suono di un breve scoppio lo ammutolì.

«Chi?» gli chiese a sua volta il destinatario di quelle domande con voce calma. «Non c'è nessuno con cui parlare.»

Il nobile si voltò e si accorse che chi gli era accanto fino a un attimo prima se ne stava adesso disteso sul pavimento del corridoio in cui stavano camminando, riverso in una pozza di sangue. Un brivido di terrore e confusione percorse la sua schiena, immobilizzandolo e impedendogli di parlare.

«FERMO DOVE SEI!» sbraitò un militare, con la sagoma della testa di un unicorno verde dalla criniera bianca cucita sul retro della giacca della divisa, aprendo all'improvviso una porta laterale e puntando immediatamente il proprio fucile verso l'intruso vestito come lui. «IDENTIFICATI!»

La persona tenuta sotto tiro sbuffò.

«Fai quello che ha detto!» esclamò una donna con lo stesso stemma del compagno sulla schiena, arrivando da in fondo al corridoio e mirando con la sua arma da fuoco alla schiena dell'individuo indesiderato, il quale ancora non aveva obbedito.《E FALLO ORA!»

Sia lei che il suo commilitone crollarono improvvisamente a terra morti con un buco in fronte.

Coloro che li avevano assassinati comparvero in seguito dal nulla alle spalle dell'uomo benestante dicendogli: «Venga con noi: sarà la chiave che ci aprirà tutte le porte.»

Tuttavia l'ostaggio si dimostrò troppo impaurito e allo stesso tempo ostinato per collaborare, e allora i due, per ordine di chi era arrivato lì prima, lo afferrarono per le braccia e lo trascinarono via di peso, dopo avergli messo un bagaglio davanti alla bocca per ridurre le sue urla a semplici mugugni.
Assieme uscirono dall'edificio da una porta secondaria e attraversarono vari vicoli stretti, evitando in tal modo le strade più larghe e trafficate, fino ad addentrarsi in un palazzo più grande, sempre senza utilizzare l'ingresso principale. Il tutto finché un'altra figura incappucciata uccideva con minuscole lame e dardi i pochissimi che osarono mettersi anche solo accidentalmente sul loro percorso, dopo aver rivolto loro uno sguardo di delusione e al tempo stesso divertimento.
Purtroppo per i quattro, ad attenderli dopo qualche rampa di scale in salita vi furono altri membri della Polizia Militare, ossia quelli con l'unicorno verde come simbolo, assieme ad alcuni componenti del Corpo di Guarnigione, i soldati con le rose sulla schiena.
La truppa non attese e fece fuoco immediatamente, sperando di poter liberare colui che era stato rapito e agendo prima che loro potessero usarlo come scudo umano. Ma il quartetto rimase in piedi, infastidito da quell'interruzione.

«FATE FUOCO DI NUOVO!» sbottò un gendarme, sparando un'altra volta.《E SE NECESSARIO, PORTATE QUA UN CANNONE!》.

Uno dei bersagli mormorò: «Si tratta di riavere chi paga una notevole parte del loro stipendio. Altrimenti...»

Il primo intruso cadde sotto i colpi dei fucili, sporcando il pavimento di sangue, e lui sbuffò, infastidito per essere stato interrotto dagli scoppi dei fucili.
I soldati del posto mirarono pure a chi era rimasto e aveva rimediato solo qualche graffio, ma in quel momento udirono una voce che li lasciò atterriti.

«Ditemi: ora che la minaccia è dentro le Mura, cosa vi proteggerà?». A parlare era stato chi aveva ricevuto diversi proeittili nel corpo pochi secondi prima, che si era messo seduto e si stava ora rialzando come se niente fosse. «Il genere umano di questo cosiddetto "Paradiso" a quanto pare è ancora incapace di ragionare come si deve, vista la sua grande ignoranza.». Il mantello che lo avvolgeva fino a prima cadde, rivelando il suo aspetto ai presenti. «Pensavo che avrei ricevuto un'accoglienza più degna del mio stato, non del metallo ad alta velocità.». Guardò le facce esterrefatte dei più veterani fra i destinatari delle sue parole. «Be', pazienza. Ho altro di cui occuparmi per ora.». Dei fulmini minuscoli lampeggiarono attorno alle sue ferite fumanti e non più sanguinanti, fintanto che egli si rimetteva lentamente in piedi. «Sareste potuti essere degli ottimi candidati, vista la vostra devozione a chi sta in alto. Purtroppo vi siete trovati nel posto sbagliato al momento sbagliato e avete agito nel modo errato. Qualcuno la chiamerebbe "sfortuna", però io la definisci una serie di brutte coincidenze. Ci è andata male, avremmo dovuto pensare a una strategia migliore e avere più tempo a disposizione: molti di voi militari hanno sospettato in pochissimi minuti del fatto che ci fosse qualcosa fuori luogo. Un vero peccato: se tutto fosse andato meglio, ora sarei riuscito ad arrivare più lontano senza questo disastro imminente e senza l'aiuto del vice di un mio parigrado.». Controllò che i suoi due sottoposti avessero alzato lo scudo e che si fossero nascosti del tutto o almeno per la maggior parte dietro di esso, e che l'ultimo da lui nominato non fosse più sulle scale, ma che si fosse allontananto approfittando della confusione; e in tutto ciò ignorò il nobile che stava ora scappando. «Spero che gli altri siano come voi in quanto a devozione, ma che la loro sia reale e che compiano la scelta giusta.»

L'intero edificio tremò attorno al plotone attonito e le sue finestre andarono in frantumi assieme a quelle dei palazzi adiacenti, nei quali gli inquilini si alzarono da tavola o dal letto, uscirono dalla vasca, caddero dalla sedia o dalla poltrona, oppure faticarono a rimanere in piedi; e vi fu anche chi se la prese con la servitù per quell'evento inspiegabile. La temperatura salì vertiginosamente in un'istante e le ombre degli oggetti e degli esseri viventi presenti nelle vicinanze cambiarono direzione. Nel palazzo che aveva visto quell'essere umano rialzarsi dopo essere stato fucilato, i muri si riempirono di crepe e si gonfiarono, emanando intanto una forte luce gialla e un boato assordante da tali solchi sempre più ramificati.
Il fenomeno che accadde dopo, tuttavia, fu estremamente silenzioso per chiunque osservò il tutto dall'esterno del suo raggio d'azione e da abbastanza lontano.

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