Cyberpunk AU
1 Gennaio, anno 3278 d.C.
Il mondo non era più come l’essere umano era abituato a vederlo. Tutto era collegato ad un a sorta di magia che negli ultimi anni tutti chiamavano tecnologia, in cui intelligenze meccaniche che potevano benissimo sostituire la mano d’opera umana.
Ad Elyve, quel mondo fatto di acciaio e robot stava stretto, come il genere di abito che suo zio le ordinava di indossare alle cene di gala della compagnia multimiliardaria che dirigeva. Dall’alto della sua posizione, un appartamento lussuoso ed avvolto nelle tinte del bianco candido e splendente, osservava con invidia la gente che passava per le strade: gente più povera di lei, ma che avevano in realtà un dono più prezioso che mai, che valeva più delle sue ricchezze e che lei non aveva mai potuto possedere.
Che lei non avrebbe mai potuto avere.
La libertà.
Lei era imprigionata in quello sfarzo che a tutti sarebbe potuto piacere, ma lei lo vedeva come un mero spreco di soldi che potevano essere utilizzati in maniera più proficua, come costruire scuole per chi non poteva permettersi la stessa scuola che aveva frequentato lei, oppure rifornire i medicinali per gli ospedali. Eppure tutti quei balli di beneficienza a cui aveva partecipato, obbligata a tenere in mano un flûte di champagne che neanche le piaceva, erano una facciata pubblicitaria, che serviva a nascondere il vero intento dei politici: quello di fare affari tra loro, parlando senza prestare attenzione alle immagini che scorrevano sul telo bianco per il proiettore che ritraevano paesaggi desolanti e persone in condizioni misere.
Elyve odiava quella civiltà. Soprattutto se a tenerla in quella gabbia d’oro era quello stronzo sociopatico di suo zio Kian.
Neanche l’avesse chiamato, lo spostarsi meccanizzato delle porte scorrevoli permise alla ragazza di vederlo apparire come d’incanto, anche se nella sua mente la scena in cui si avvicinava con passo sicuro ed elegante le ricordava un film dell’orrore.
Infagottato nel suo elegante completo, Kian aveva una mano infilata in tasca ed una lasciata libera di penzolare lungo il fianco, e con lo sguardo verde la osservava da capo a piedi, soffermandosi sui suoi jeans e la sua felpa di due taglie più grandi. «Mi sembrava di averti detto che stasera c’era una festa, o mi sbaglio?»
Probabilmente il suo subconscio aveva deciso che quello sarebbe stato il suo giorno di vita, perché la ragazza si ritrovò a mentirgli con tono di sfida. «Ti sbagli, zio, perché io non ero stata informata del tuo festino. O forse dovrei dire del tuo tentativo di truffa camuffato in festa» la sua espressione si fece fintamente colpita. «Ora capisco perché l’hai chiamata festa: soprannominarla come ti ho detto era troppo lungo»
«Elyve, non ti conviene sfidarmi. Lo sai quello che ti può succedere se mi fai diventare di cattivo umore» fece schioccare le dita, e dal bracciale elettronico che la giovane castana portava al polso destro si generò una scarica elettrica ad alto voltaggio. La sensazione di stordimento e di paralisi che la coglievano non le erano nuovi, ma facevano sempre male, e lei si ritrovò inginocchiata a terra, mentre sopportava il dolore digrignando i denti.
La sua tortura personale, che si protraeva da quando i suoi genitori erano venuti a mancare ben dodici anni prima ed era finita sotto la tutela del fratello di suo padre, finì presto per i suoi gusti. Avvertì solo il solito indolenzimento, e notò il paio di scarpe eleganti che si erano fermate davanti a lei.
Non alzò neanche lo sguardo, mentre Kian parlava. «Inaspettatamente, stasera, mi sento generoso: ti do la possibilità di alzarti di tua spontanea volontà e di prepararti a dovere con il vestito che ho fatto preparare appositamente per te. Altrimenti, le telecamere hanno già ricevuto gli ordini che tu ben conosci. Non vorrai passare tutta la notte a scorticarti la gola con i tuoi urli, non è vero?»
Ottenne in risposta un ringhio, ma Elyve trovò la forza di alzarsi in piedi e di dirigersi verso le ante della sua cabina armadio, dove sapeva che avrebbe trovato gli indumenti che suo zio voleva che indossasse.
Senza nessuna emozione, si spogliò, consapevole che quell’uomo rivoltante a cui purtroppo era imparentata se n’era andato.
Come sempre, prima di indossare l’abito, si guardò allo specchio. Era come un rito, quello di osservare il suo corpo magro pieno di cicatrici, che fossero quelle date da ustioni, da tagli o da colpi ben assestati di frusta. Le ricordavano che cosa aveva passato, ma le davano anche la forza di cui necessitava per dirsi che, se aveva sopportato tutto quanto fino a quel momento, avrebbe trovato il coraggio di uscire da quella stanza a testa alta. Perché lei era fiera di se stessa, sapeva che nessuno avrebbe resistito come faceva lei.
Perché, in fondo, li vedeva anche lei, dall’alto, i corpi degli inservienti che venivano trasportati fuori dal palazzo.
Sospirò mentre faceva passare le braccia nelle maniche del vestito verde. Era senz’altro un bellissimo capo d’abbigliamento: il busto stretto era tempestato di brillantini, e si apriva con una gonna larga e piena di balze che sfiorava il pavimento lucido. Le maniche trasparenti le arrivavano fino al polso, e finivano con un bordo in raffinato pizzo verde. Era bellissimo, e dovette ammettere che, nonostante il carattere, Kian aveva dei gusti accettabili in fatto di moda -non voleva dargliene atto, ammettendo che si vestiva proprio bene-.
Non attese le ragazze che, a turno, avrebbero dovuto truccarla. Anche se aveva bisogno di parlare con la sua migliore amica: aveva stretto amicizia con Einslyn, la bionda cameriera che era stata assunta cinque anni prima, e che era anche la sua confidente più intima, a insaputa del suo capo. Ma non era dell’umore adatto per parlare, perché poi lo avrebbe rovinato anche all’amica.
Indossò la maschera abbinata al vestito, uscì e raggiunse le porte che davano sul grande salone che era stato adibito per la festa. Si mischiò alla folla, lasciando che questa l’assorbisse. Venne accolta da saluti da parte di donne mai viste, complimenti di spasimanti che non le interessavano, occhiate interessate da uomini molto più grandi di lei. Era questo che la disgustava: le finte cortesie e l’ipocrisia di tutta quella gente che la integravano in discorsi sulle piattaforme petrolifere in evoluzione, o l’introduzione dei nuovi robot negli edifici scolastici. Le sorridevano accomodanti, ma era solo una facciata, una maschera che copriva intenti ben meno benevoli.
Non fece in tempo a domandarsi a quanto avrebbero ammontato le cifre offerte dai loro ospiti per donazioni che non sarebbero mai giunte a destinazione, che intravide un cameriere tirare fuori dalla divisa una pistola.
Uno sparo bastò per scatenare l’inferno.
Elyve vide la gente attorno a lei che veniva forzata ad inginocchiarsi per terra, le mani legate dietro la schiena, e ben presto anche lei fu costretta alla resa.
Tutti i camerieri avevano indossato una maschera per restare a tema con la festa, e capì che l’attacco -perché quello era- era stato premeditato, così da permettere a quegli uomini di infiltrarsi senza dare nell’occhio.
Lanciò un’occhiata a suo zio, ma le porte che venivano abbattute da un semplice calcio attrassero la sua attenzione come se lei fosse un pezzo di metallo che veniva avvicinato alla calamita. Le luci si erano fulminate, e la sola luce accecante che illuminava l’ambiente era quella che veniva da quel varco di fortuna, e la ragazza poté vedere in controluce diverse figure, ma quelle più imponenti erano due, quelle in testa al gruppo che stava entrando.
Solo quando le illuminazioni tornarono a funzionare, restò senza fiato: erano banditi, probabilmente un gruppo di soli uomini stufi di quella società che li poneva in svantaggio. Nonostante avesse paura e fosse scossa dai brividi, dava ragione loro: chi tra tutti loro aveva il diritto di lasciarli senza lavoro, senza soldi per comprarsi da mangiare o senza una casa a cui tornare?
Il primo uomo che si avvicinò a suo zio era molto alto, dai capelli biondi sporchi di terra e due occhi castani profondi ed intensi, lo poteva notare anche da qualche metro di lontananza, ed il mento era coperto da una leggera barba bionda. Aveva un portamento fiero, come quello di una bestia che stava per saltare addosso alla sua preda, e lo invidiò per quello.
Il secondo, probabilmente il vide del biondo, era un ragazzo poco più grande di lei, e restò senza parole, perché era di una bellezza sconcertante. I capelli neri erano più corti sui lati, mentre in cima alla testa erano più folti e lunghi, mentre i seri occhi blu oceano scandagliavano la sala. Era vestito da militare, come gli altri, ma la maglietta nera era bucata in più punti, mentre anche lui era sporco di fango sulla guancia e sui vestiti. In braccio teneva una mitragliatrice che incuteva timore, ed Elyve intravide due orecchini che adornavano i lobi delle orecchie.
Si guardava attorno disgustato, e le sembrò che il suo sguardo si fosse posato più volte su di lei, e supplicò il suo corpo di smettere di rabbrividire nel momento in cui lui la osservava. Ma non era sprezzante, bensì sembrava che la riconoscesse. Che l’avesse intravista mentre fuggiva dal suo appartamento quelle rare volte che Kian non era presente? Non sapeva rispondersi.
«Kian, quale onore. Sai, sarei venuto in pace se avessi ricevuto il tuo invito galante» fu il biondo a parlare. Aveva un tono caldo e roco, avvolgente, che in quel momento era ironico e duro come la roccia. «Non sai come ci sono rimasto male quando ho controllato la cassetta della posta e l’ho trovata vuota. O, almeno, così sarebbe se l’avessi»
«Cosa vuoi, Jeremy?» ringhiò l’uomo, inginocchiato davanti a lui. «Dillo, così ne parliamo e tu e tuoi amici straccioni ve ne potete andare, ed i vostri ideali di libertà ve li potete infilare su per il-»
«Oh, non essere così volgare, mio caro amico. Ci sono donne d’alta classe qui con noi» il viso di suo zio venne sollevato con uno strattone: Jeremy lo aveva afferrato per i capelli. I muscoli della mascella scattavano, segno che stava trattenendo la voglia di staccargli la testa. «Lo sai cosa voglio: la mia vendetta. Tu mi hai portato via tutto quello che avevo, e non parlo della società che dirigevo, che hai fatto crollare come un castello di carte fingendoti mio amico e truffandomi. No, io parlo di ben altro» strinse la presa sulla chioma di Kian. «Parlo di mia moglie e della mia unica figlia, la mia bambina, che ora costringi a fare quello che vuoi. E so anche che la sottoponi a torture, e Dio solo è a conoscenza di cosa darei per farti fuori, ma sono qui solo per riprendermi la cosa più importante per me: la mia Elyve. Dimmi dove è, e potrei riflettere se lasciarti in vita, o se darti in pasto ai coccodrilli della palude dove mi hai relegato dodici anni fa»
Fortunatamente non si era truccata quella sera, perché altrimenti Elyve avrebbe avuto due strisce nere che le sarebbero colate lungo le guance.
Non ci credeva. Suo padre non era morto, ed era lì davanti a lei.
Provava delle sensazioni contrastanti: era orripilata, disgustata, ma anche sollevata e felice. Perché, anche se tante volte aveva gridato al cielo la sua rabbia nei confronti dei genitori per averla abbandonata, non poteva non essere contenta che suo padre fosse vivo. I pochi ricordi che era riuscita a salvaguardare lo confermavano: le tornò alla mente tutte le sere che avevano passato a raccontarsi le storie, e la voce che rimbombava nella sua testa corrispondeva a quella dell’uomo a qualche metro più in là.
Fece per alzarsi, ma la voglie del presunto zio la bloccò.
«Non te lo dirò, e sai perché» fu la risposta di Kian, il quale gli afferrò il polso ed indicò il ragazzo alle spalle del biondo. «Tu mi hai portato via il mio unico figlio!»
«Lui non ha portato via nessuno. Sono stato io a decidere di andarmene» il ragazzo dai capelli neri si avvicinò ai due, ed Elyve trovò la loro somiglianza indescrivibile. Li avrebbe confusi per due fratelli gemelli, se uno dei due non avesse delle evidenti rughe intorno agli occhi. «Perché sei un viscido, che tratta tutti come oggetti e non come persone. Io ho deciso che non sarei mai rimasto qui a farmi comandare a bacchetta come se non valessi niente. E se sono qui, è perché so cosa hai fatto passare ad Elyve, e non ti permetterò che tu continui a fare a lei ciò che hai fatto a me» si indicò la guancia sinistra, attraversata da un’evidente cicatrice.
Se fosse rimasta con Kian, anche il suo viso sarebbe potuto diventare così?
Non lo avrebbe permesso.
Nonostante le gambe che tremavano ancora, Elyve si alzò in piedi, catturando così l’attenzione dei tre. Era futile presentarsi, perché il biondo l’aveva riconosciuta subito, perché assomigliava moltissimo alla sua defunta moglie. Ignorò Kian, mollando i suoi capelli, e si mosse verso la ragazza.
Si gettarono l’una tra le braccia dell’altro. Lyv piangeva felice, sentiva che quelle braccia l’avevano abbracciata con la stessa intensità di quando era piccola. Si ripromise che non ne avrebbe mai più fatto a meno.
La mano dell’uomo scorreva tra i suoi lunghi capelli, liberi da ogni acconciatura. «La mia bambina… Elyve…» mormorò, e le parve che stesse singhiozzando. «Non hai idea di quanto io ti abbia pensata in questi anni. Mi avevano detto che eri morta… e quando uno dei miei uomini si è infiltrato qui l’anno scorso e mi ha detto che c’era una ragazza di ventidue anni di nome Elyve non ho fatto altro che progettare un piano per venire a salvarti»
«Oh, papà…» pianse ancora la giovane. Il suo pugno si chiuse, imprigionando il tessuto della sua maglietta tra le dita. «Non fa niente, è tutto passato. Ora sei qui»
«Si, sono qui. E sarò sempre qui, con te» si staccò da lei e la prese per mano. La condusse davanti a Kian, ancora prostrato a terra, e lo indicò. «Se devi dirgli qualcosa, approfittane ora, perché non lo rivedrai mai più, piccola mia»
Elyve scosse la testa. «Non ho niente da dirgli. Non si merita nemmeno una delle mie parole di odio»
«Me la pagherete» Kian diede uno strattone, ma la canna della mitragliatrice del figlio che lo aveva rigettato gli sfiorò il collo. Iniziò a sudare freddo, ed il ragazzo sorrise divertito davanti a quella reazione. Poteva anche fare discorsi del genere, ma davanti alla realtà dei fatti, era come gli altri: dimostrava di non avere palle, non riuscendo ad assumersi le sue responsabilità.
«Forza Keydan, lascialo ed andiamocene. Non si merita neanche una pallottola»
Keydan. Ha un bel nome, rifletté la ragazza, e quando lo guardò, lui le sorrise. Distese le labbra con fare sincero, le balzò il cuore nel petto. Era bello, bellissimo ed affascinante, ed istintivamente si chiese se avesse già una ragazza.
Anche se non le era difficile immaginare la risposta, sebbene supponeva che con quel sorriso faceva stragi di cuori.
Keydan abbassò l’arma, ma non si trattenne dal piegarsi e sussurrare all’orecchio del genitore. «Sarà per la prossima volta, padre» disse con una nota maligna, per poi raggiungere Jeremy ed Elyve e scappare via.
Quello che accadde in seguito, fu un susseguirsi di eventi che cambiarono totalmente la vita di Elyve: imparò a vivere tra la gente più povera, ma le venne facile privarsi di tutti quei lussi con cui era stata cresciuta. Imparò a cacciare ed a combattere, grazie anche agli insegnamenti degli amici di suo padre: Koyl, esperto di tiro con l’arco: Rhys, praticante di arti marziali miste; Vysion, cintura nera di judo; Aidan, praticante di Karate; Ahran, l’uomo dalla mira infallibile e Keydan, il maestro delle armi. Einslyn si era licenziata e l’aveva raggiunta, e l’incentivo per rimanere al suo fianco le venne procurato da Aidan, con il quale aveva iniziato una relazione prima di entrare come spia per Jeremy. Tra Keydan ed Elyve era nato qualcosa di speciale, ed i due si erano messi insieme poco dopo aver detronizzato Kian ed averlo sbattuto in una delle celle più umide ed inospitali delle prigioni. La società era migliorata, la sua vita accanto all’uomo che amava e suo padre era come il paradiso, e la castana sentiva di aver ottenuto quella libertà che tanto aveva agognato.
So che questo AU è breve, ma sto morendo di sonno!😴🥺
Più che altro, la cosa che mi eccitava era l’incontro, il momento dell’attacco, e per me era quello che meritava di essere descritto. Il resto è storia Mi è piaciuto scrivere questo AU, un casino, quindi, anche senza tag…
AHHHH GRAZIE TAI!!❤️🌹 (anche se non sono sicura che vada bene, quindi perdonami se non fosse così🙏🏻)
Spero che un po’ vi sia piaciuto, e ci vediamo al prossimo AU! (E stavolta niente anticipazioni, perché devo ancora pensare quale fare!😂)
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top