Capitolo I

Un rumore sordo la svegliò di soprassalto.

Il suono si ripeté ancora, e ancora, e ancora.

Si strofinò gli occhi per cercare di abituarsi alla poca luce che entrava dalla finestrella che le illuminava la parte alta del viso.

Si rese conto di essersi addormentata lì per terra e capì cos'era quel dolore alla base della schiena.

Il suono di uno sparo si propagò nell'aria, e la bambina si ritrasse spaventata. Non le erano mai piaciute le armi, a parte la sua amata spada da combattimento, che rimpiangeva di aver lasciato a casa.

O tra i suoi resti, se si vuole essere precisi.

Susseguirono altri colpi, che crebbero sempre più di intensità, tanto da sembrare ancora più vicini dei precedenti.

Alcune voci concitate urlavano delle parole che alle orecchie ancora assopite della bambina non giungevano distintamente, ma capì che erano richieste di aiuto.

Chiuse gli occhi di nuovo, sperando che tutto quel maledetto trambusto finisse presto. Era solo una bambina, ed aveva già subito fin troppo.

Per alcuni attimi, non sentì nessun rumore portatore di morte e sangue, e aprì gli occhi.

Davanti a lei, dall'altra parte delle sbarre, si ergeva imponente una uomo dai capelli color grano che sfioravano le spalle larghe. Portava una barba incolta e i suoi occhi erano di una castano caldo, rassicurante.

A guardarlo bene, sembrava un uomo gentile e buono, ma la sua constatazione cadde appena vide la scimitarra nascosta sotto la il mantello nero con il cappuccio calato in testa e la pistola in mano.

«Cosa ci fa una bambina qui dentro?» chiese l'uomo. Gli sembrava impossibile che una creatura così dolce e pura fosse rinchiusa lì dentro.

A meno che non fosse una Creatura Pericolosa, ma scartò subito l'idea. Non sarebbe logico lasciare una tale specie in una prigione abbandonata e non utilizzarla per ben altri scopi.

«Chi sei?» domandò tremando la dolce ragazzina con occhi spaventati. Per quanto l'uomo le ispirasse fiducia, aveva comunque paura. In fondo, non lo conosceva ed era armato dalla testa ai piedi.

«Io mi chiamo Jeremy, Jeremy Blacks» rispose lui, accovacciandosi per trovarsi all'altezza della bambina. «E tu?»

«Io mi chiamo Elyve»

«È davvero un bel nome» si complimentò Jeremy, apprezzando molto l'unicità di quelle cinque lettere messe insieme. «Ma dimmi, dove sono i tuoi genitori?»

«Sono morti» Elyve rispose con un'espressione neutra, ma sentí ancora più male al solo dire quelle parole di cui aveva paura pronunciare.

«Signore, stanno arrivando le guardie» un uomo sui quarant'anni si avvicinò ai due, guardando Lyv con occhi compassionevoli.

Anche lui pensa a quanto sia strano trovarmi qui?, pensò la ragazzina, ma preferì rimanere zitta. Odiava essere compatita.

«Dì a Kallan e Lian di venire qui con La Lama e prepara gli altri per la fuga» ordinò Jeremy con cipiglio fermo. Era un uomo giusto e buono, ma in guerra nessuno doveva mai replicare ai suoi ordini.

«Si Signore» la figura maschile si allontanò scomparendo nel buio.

«Elyve» Jeremy pronunciò il suo nome con un tale dolcezza da farla avvicinare alle sbarre. «Vorresti venire con me? Mi farebbe piacere poter averti al mio fianco ed adottarti. Vorrei tanto un bambino ma non mi è possibile e tu sei stata il mio miracolo. Ti va?»

Elyve, sebbene abbia incontrato questo uomo da pochi minuti, capì che lui poteva darle un'altra possibilità e una nuova famiglia da cui essere amata.

Allora annuì, convinta che non se ne sarebbe mai pentita.

Proprio in quel momento altre due figure, entrambi maschi e piuttosto giovani, si avvicinarono a colui che sarebbe diventato il suo nuovo padre.

Uno dei due aveva tra le mani una lunga spada dall'impugnatura finemente decorata e, al centro dell'elsa, nella parte dove è incastonata la lama, brillava un bellissimo rubino.

La lama era di uno strano materiale che brillava anche al buio. Elyve rimase affascinata da una tale arma da restare imbambolata con gli occhi fissi sull'arma particolarmente affilata.

«Questa, piccola, è La Lama. È interamente fatta di Diamante, uno dei pochi cristalli preziosi ancora esistenti dopo la Guerra, e Vibranio*. È molto resistente e taglia qualsiasi cosa»

Elyve era completamente sbalordita. Non aveva mai visto un diamante se non in uno dei numerosi libri che suo padre amava collezionare nella biblioteca e osservarne una spada completamente costruita con esso era qualcosa di spettacolare.

«Allontanati» le disse colui che teneva fra le mani la Lama, e lei ubbidì senza fiatare. Voleva vedere quanto potente fosse quell'aggeggio più unico che raro.

Il ragazzo, con una sola e semplice mossa, tagliò lo spazio tra la porta della prigione e le sbarre, rompendo così la serratura e rendendo libera la piccola prigioniera.

Elyve aveva gli occhi sgranati e la boccuccia rossa aperta in una O. Pensò che niente potesse essere più strabiliante.

Mosse un passo nella direzione della porta e, appena ne sorpassò la soglia, si sentì libera come un uccellino appena uscito dalla gabbia dove era stato richiuso.

Libera dal dolore, dal peso di quelle lacrime che l'avevano accompagnata nel suo soggiorno.

Jeremy tese una mano verso la sua esile figura, ed Elyve appoggiò la sua sul palmo ruvido dell'uomo. Una strana sensazione, forse di familiarità, la avvolse nel suo tepore.

«Ora piccola, bisogna correre. Ce la fai?» le chiese gentile.

La bambina scosse la testa in segno di negazione. Da quando era stata rinchiusa, non si era mossa dalla sua posizione fetale e le gambe le dolevano per l'inattivitá protratta fino a quel momento.

Jeremy si accovacciò, e, con una spinta, si mise in spalla la giovane.

«Ora ti devi tenere forte» le intimò, girando la testa in modo che Elyve lo potesse guardare di profilo.

«Aggrappati bene e chiudi gli occhi, ciò che accadrà non credo che tu possa vederlo senza provare orrore»

Lei si strinse forte alle spalle dell'uomo e annuì von la testa, chiudendo gli occhi.

Sentì il proprio corpo muoversi velocemente su e giù, capendo che Jeremy stava iniziando a correre, probabilmente verso l'uscita.

Sentì degli spari ed immaginò che i colpi venissero dalle pistole delle persone che avevano accompagnato il suo futuro tutore in questa pericolosa missione, anche se non ne sapeva assolutamente il motivo.

Dopo una decina di minuti, avvertì una brezza gelida entrare nella vestaglia troppo leggera ed aprì gli occhi.

Si trovavano in un bosco, nei dintorni dell'edificio, e tutto era coperto da una strana cosa bianca che, appena toccò, le trasmise una sensazione di freddo indescrivibile.

«È neve» spiega Jeremy, che le aveva appoggiato il suo mantello sulle spalle per scaldarla. «In poche parole, è acqua ghiacciata. Non avevi mai visto la neve?»

«No...» sussurrò, sorprendendo tutti. «Neanche con i miei genitori ho potuto ammirare questa bellezza»

Jeremy rimase spiazzato. Per avere solo dieci anni, età suggerita dal suo aspetto fanciullesco, parlava come una nobile.

«Ti ricordi chi erano i tuoi genitori e il loro aspetto fisico? Sai come sono morti?»

La bambina grugnì. Già le era difficile parlarne, se poi arrivava Jeremy con tutte queste domande...

«No, non lo rimembro. Ho un vago ricordo di cosa è successo: le fiamme bruciavano la casa nelle loro spire rosse e le grida dei miei genitori che mi chiamavano è l'unica cosa che mi è rimasta di loro»

L'uomo comprese a fondo il dolore della bimba, infondo anche lui aveva perso entrambi i genitori in giovane età e, quando vide le lacrime nei suoi splendidi occhi verdi, capì di aver premuto troppe volte un tasto dolente.

«Shhh» abbracciò la bambina, che scoppiò a piangere. «Scusami piccola, non volevo farti soffrire di nuovo. So come ci si sente» le alzò il viso e osservò i suoi occhi lucidi.

«Ora cominceremo una nuova vita. Insieme»

*: il Vibranio è uno dei metalli più rari del mondo; è più resistente dell'acciaio, ne pesa solo un terzo e assorbe ogni tipo di vibrazione. Ho avuto l'ispirazione da Capitan America.

Ecco il primo vero capitolo! Spero vi abbia soddisfatto... alla prossima!

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