CAPITOLO 3 - INCURSIONE DI INTRUSI (Parte I)

La taverna dell'Alabarda Argentea, tra le più antiche ed apprezzate di Efreim, era quel che poteva definirsi una "locanda di lusso".

Lo dimostravano anzitutto le sue dimensioni: i due vasti piani, che sul prospetto si allungavano per oltre una ventina di metri, dominavano visivamente la via che aveva ricavato il nome proprio dal prestigioso locale.

Il lusso delle camere era individuabile immediatamente dalle finestre abbellite con cornici di pietra scura, ricche di volute e piccoli mascheroni; le aperture del secondo piano – più alto e più costoso – si aprivano, invece, tra sobrie quanto eleganti colonnine in marmo chiaro coronate da timpani curvilinei.

La facciata bianca, dall'intonaco non dipinto e lavorato con una caratteristica ruvidità, era aperta al centro del pianoterra da un'ampissima porta d'ingresso fatta di un legno biondo e lucente, intagliata geometricamente e sormontata da un arco in vetro, al di sopra del quale, sospesa su due corni bianchi, scintillava una lunga e lavorata alabarda.

Il nome, tuttavia, più che da quella indicativa decorazione, derivava originariamente dall'assidua frequentazione di membri della guardia scelta di Efreim, soldati di alto rango che molto spesso amavano riunirsi nei momenti di licenza e di riposo per bere dell'ottimo vino, godersi un buon pasto, oppure per ascoltare le storie e le canzoni ed ammirare le danze che esperti intrattenitori – talvolta provenienti dalle zone più remote del Reame – erano abilissimi nel proporre per allietare il folto ed esigente pubblico.

Una particolarità assai gradita dalla clientela, e riservata a quella meglio pagante, era poi la vasta loggia che, alla sommità dell'edificio, ne costituiva un terzo piano scoperto. Vi si svolgevano le feste più ricercate e gli intrattenimenti più esclusivi, a cui potevano partecipare solo taluni "invitati speciali".

E naturalmente la lieve pioggia di quella notte non aveva fornito certo un ostacolo al suo piacevole utilizzo; approntati rapidamente degli ampi teloni che provvedevano a riparare i lunghi tavoli e lo spazio destinato ai giochi ed alle danze, essa funse, al contrario, da gradita parentesi di freschezza per un ritrovo più chiassoso del solito.

Talmente chiassoso che riuscì quasi a coprire completamente la cavalcata che un grosso destriero nero faceva echeggiare in quella via, per poi arrestarsi alcuni metri più in basso, affondando gli zoccoli nel selciato bagnato.

Il cavaliere femmineo, ancora in sella, osservava dal di sotto del cappuccio ed attraverso i sottili rivoli d'acqua piovana che vi scivolavano sopra, stillando dinanzi ai suoi occhi impegnati nell'attenta indagine.

Fissava accuratamente la zona d'ingresso del prestigioso locale: un porticato ligneo, formato da pali intagliati con decori arborei, che si intervallavano lungo una balaustra fatta di belle colonnine corte e panciute anch'esse di lustro legno.

Al centro si apriva una breve scalinata che introduceva alla grande porta principale, robusta ed elegante al contempo, dal cui arco in vetro proveniva una forte luce dorata e gli schiamazzi dei numerosissimi avventori.

Il cavaliere, smontato dalla sella, ascoltò ed esaminò con apparente titubanza.

Ovviamente escludeva l'idea di sistemare il suo compagno al riparo, nell'attrezzata e ben curata stalla aperta sul fianco della taverna, in cui trovavano posto alcuni dei più forti, veloci e preziosi cavalli di tutto Zonthar.

Il suo destriero, che nulla aveva da invidiare a quei suoi simili, dovette pertanto pazientare alle intemperie ancora per un po', nell'ombra di un vicolo stretto, pronto a ripartire speditamente dopo l'ennesimo impegno del suo padrone.

Questi, difatti, accarezzatogli il muso in segno di gratitudine per la mitezza che dimostrava, si allontanò dall'animale per incamminarsi verso il rumore e la luce della locanda.

Il cavaliere aveva concluso la piccola scalinata di legno usurato e stava per afferrare la grossa maniglia dell'ingresso, quando un'imprecazione volgare ed urlata lo trattenne dal procedere oltre.

« Bastardo d'un Beorn! », esclamò una voce rude e grave.

« Figlio d'una cagna! Bestia! », fece eco una seconda voce altrettanto indelicata, avvicinandosi più velocemente all'uscita.

La guerriera, mossa dall'istinto, si spostò con velocità alla sinistra dell'uscio, nascondendosi nell'ombra, favorita dal cupo mantello.

La porta si spalancò con violenza, fermandosi ad appena un soffio dalla sua spalla; ella rimase immobile ed assolutamente silenziosa.

Uscirono due uomini corpulenti, alti e vestiti da abiti la cui eleganza si scontrava con i modi alquanto violenti e sboccati con cui esprimevano il loro fastidio.

I due scesero la piccola scalinata d'ingresso, battendo con rabbia gli stivali sui gradini e sostando noncuranti sotto la lieve pioggia.

Il cavaliere restava sulla sinistra della porta, alle loro spalle: era evidente che la sua presenza non era stata notata dai quegli uomini troppo occupati a levare improperi.

« Chi diavolo crede di essere! », disse quello più alto dei due, con barba e capelli biondi e piuttosto lunghi, agitando le braccia e facendo scuotere il proprio spadino sul fianco. « Qualche incarico speciale, qualche riconoscimento da parte del generale e si sente una divinità! ».

« Giuro che la pagherà. La pagherà prima o poi ! », ribatté l'altro con forzata flemma, premendo le braccia conserte in una posa di vendicativa meditazione, e spostando poi la mano sull'elsa intarsiata della sua corta sciabola per stringerne con nervosismo il pomo. « Escludere noi, noi di grado superiore, da un ritrovo riservato da anni alla guardia scelta... e tutto perché un bifolco arricchitosi con la pratica mercenaria manifesta le sue preferenze su chi vuole o non vuole incontrare... un bifolco come quello osa offendere dei membri superiori della guardia scelta!

Questa città non rispetta più i ranghi oramai. Ed ecco che quel cinghiale armato riesce a mischiarsi non solo a quelli come noi, ma anche a cittadini di potere e persino a qualche esponente della nobiltà fanaticamente affascinato dalla sua fama; tutta gente che lui riesce a smuovere a piacimento e che è pronta ad assecondare ogni suo capriccio di simpatia o di antipatia.

E quello stupido oste – Daenor, imbecille! – non fa eccezione ».

« Ma verrà il giorno in cui qualcuno gliela farà pagare », ribadì rivolto al suo compagno.

« Qualcuno che gli cancellerà quel maledetto ghigno compiaciuto dalla faccia e lo ricaccerà nel fango da cui proviene!», declamò con vigore.

Tuttavia il soldato non fece in tempo a concludere l'ultima imprecazione, più sentita delle precedenti, che – volta a punirla – d'un tratto una spruzzata giallognola, ben più corposa della pioggerellina notturna, cadde sulle loro giacche insudiciandole, e li distolse dal quell'agitato rimuginare.

« Fareste meglio a cambiare aria per stasera! », urlò più in alto un uomo, affacciando la testa rasata ed il busto nudo e muscoloso dal parapetto della loggia. « Beorn ha un orecchio fino ed una lama ben spessa, come dovreste sapere. Allontanatevi a spettegolare più in là, se non volete che scenda e si disturbi a prendervi a calci », li avvertì sfrontatamente, trattenendo ancora con l'indice il manico del boccale da cui aveva lanciato la sua birra.

I due soldati si scambiarono uno sguardo incredulo ed inferocito, ma non osarono rispondere all'offesa appena ricevuta.

Scrollando le giacche con un gesto sdegnato, si allontanarono dalla taverna rivolgendo un'occhiataccia torva all'uomo rasato, il quale, al contrario, li accompagnò visivamente con una espressione divertita e tracotante.

Il cavaliere aveva osservato dal buio del porticato tutta la scena, e, ben lungi dal coglierne la comicità, ne derivò piuttosto importanti considerazioni.

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