CAPITOLO 2 - DETTAGLI DI IMPRUDENZA (Parte II)
In quel luogo di riservatezza, lontano dal tumulto cittadino e da qualsiasi occhio indiscreto, il cavaliere parlò per la seconda volta:
« Mi aspetto i dovuti ringraziamenti. Di sicuro qui ti sentirai maggiormente a tuo agio, e farai in modo che la lingua ti si sciolga prima e meglio... lo farai anche per il tuo bene... ».
Quella voce aveva cambiato decisamente natura.
Non più un sibilo indistinto e lugubre, bensì un tono inequivocabilmente riconducibile ad un essere di natura umana (cosa di cui Engoras aveva più volte dubitato sino ad allora); era quasi armonico, sebbene non avesse abbandonato il suo carattere prepotentemente pungente.
Engoras, lasciato libero di muoversi, percorse zoppicando la lunghezza del tavolo centrale usandolo come appoggio, ma altresì come difesa, a giudicare da come si era premunito di sistemarsi presso il lato corto diametralmente opposto a quello presso cui stava la figura scura. Da debita distanza scrutava ora con atteggiamento timoroso ed indagatore; e seguitava a tacere, frenato ancora dalla paura e dal sospetto.
Poi improvvisamente una scarica di adrenalina gli scosse la nuca, allorché vide il cavaliere portare la mano al suo mantello nero, memore delle conseguenze che poco prima aveva più volte recato quel gesto.
Ma stavolta sulla drammaticità prese il sopravvento lo stupore.
La cupa coltre fu lasciata cadere al suolo. E dal setoso vortice di tenebre si rivelò la slanciata e snella figura di una bellissima giovane donna.
Il suo viso era al contempo duro e delicato, disadorno da qualsiasi cosmetico, eppure di rara grazia nei lineamenti precisi ed affilati.
I grandi occhi – due perle grigie incorniciate da folte ciglia – luccicavano decisi e vivaci in uno sguardo acuto e severo come quello di un'aquila.
La chioma rossa, fluente e voluminosa, le scendeva oltre le spalle e ben si accordava col colorito ambrato del volto
L'armatura leggera, dal colore scuro ed argenteo, era finemente decorata con volute e riccioli metallici in rilievo, e consisteva in bracciali, gambali ed un corpetto che costringeva il prosperoso seno di un corpo atletico e piuttosto alto.
Al di sotto dell'armatura, le gambe indossavano aderenti calzoni di pelle scura, e le mani erano coperte dai vistosi guanti rossi.
Alla vita pendevano, inoltre, un paio di cinture sovrapposte, a cui erano applicate borse in cuoio di piccola e media dimensione.
Ed infine, risaltava la lunga cappa color porpora che le copriva quasi completamente il lato sinistro del corpo, scendendo dalla spalla fino a terra, in modo necessario a dissimulare la presenza della lunga arma che Engoras aveva avuto la sventura di incontrare da vicino.
Dinanzi a quella inaspettata rivelazione, dopo qualche istante di immobilità e silenzio, al mercante non restò che lasciarsi cadere sulla pesante sedia disposta a capotavola; Engoras fissava incredulo la figura che stava in piedi a qualche metro di fronte a sé, stringendo le palpebre come a voler mettere meglio a fuoco quel che vedeva: il suo inseguitore, l'inarrestabile, demoniaco segugio che instancabilmente lo aveva braccato fino a stanarlo con aspra freddezza altri non era che una donna!
Affascinante e femminile come tante altre che aveva visto, ma terribilmente più tenace e volitiva.
Probabilmente rinfrancato ed esortato da un latente maschilismo, Engoras cercò di recuperare dignità disponendosi meglio sulla sedia e dandosi un tono di maggior contegno; prese un profondo respiro, si schiarì la voce e osò finalmente chiedere di nuovo, ma con tono fermo e deciso: « Chi sei? ».
Immediatamente la donna lo scrutò con gli occhi torvi e intolleranti che più volte Engoras aveva immaginato al di sotto del temuto cappuccio scuro, palesando il chiaro intento di ricacciarlo nella posizione subalterna che gli si addiceva in quel frangente.
« Sono io che voglio informazioni da te. Credevo lo avessi capito. Altrimenti perché pensi che mi sarei disturbata a rincorrere un ignobile topo di fogna come te per mezza Efreim? », rispose la guerriera con un tono caratterizzato dal sarcasmo tipico di chi sa di tenere in pugno la situazione.
Engoras fu zittito nuovamente, cosicché, confermata la superiorità sul suo interlocutore, la donna iniziò: « A quanto mi è stato riferito, in città ci sono poche persone che possono vantare una notevole competenza nel campo di manufatti rari e preziosi... ».
Fece qualche passo in avanti ponendosi meglio all'altro capo del tavolo con le braccia appoggiate al bordo; poi ammiccando con un sottile sorriso aggiunse: « Pochi eletti... come te, vero Engoras?
D'altronde ne avrai accumulata di esperienza durante gli anni della tua passata... attività...
Indubbiamente quello dev'essere un nostalgico ricordo dei bei tempi, nonché un pregiato articolo del tuo attuale commercio ».
Alludeva al mantello bruno caduto dalle spalle di Engoras e che ora giaceva ai piedi della sua sedia.
« Un mantello mimetico... degno di Engoras Beinir, grande ladro della gilda di Vulnus Reilen.
Un oggetto davvero interessante ed utile... ma purtroppo non contro tutto... », disse esibendo un altro sorriso acidamente beffardo.
« Ne avrai di tesori e di rarità come quello, ammucchiati in questa bella casa, e forse ancor più in questa stanza ben isolata. E, per l'appunto, a me interessa qualcosa di una preziosità piuttosto particolare ».
La guerriera strinse la pelle dello schienale di una delle grandi sedie, con una morsa che l'ex-ladro aveva già dolorosamente sperimentato.
« Ciò che voglio è il Cuneo per i Cancelli di Ragmha », dichiarò finalmente la donna con feroce risolutezza.
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