CAPITOLO 2 - DETTAGLI DI IMPRUDENZA (Parte I)


Per più di mezz'ora Engoras si interrogò sulla fine che lo attendeva.

Tutto ciò che era successo – e che mai avrebbe pensato potesse accadergli – preannunciava la sua pena: sarebbe al fine giunto il castigo per una vita di egoismo, di inganni, di spregiudicatezza, di cinici interessi.

Quale inferno lo avrebbe accolto? Quanto peggiore sarebbe potuto essere rispetto a quell'orribile vicoletto?

Intanto lo stomaco continuava a dolergli come se fosse incessantemente preso a pugni, a causa della scomoda posizione prona tramite cui era stato sbattuto al di là della sella, sulla instabile groppa del cavallo che lo faceva sobbalzare ripetutamente.

Un ultimo colpo più forte e doloroso degli altri gli rivelò infine che si erano fermati.

Una presa violenta lo allontanò quindi dal suo triste tormento interiore per condurlo ad un altro tipo di sofferenza.

Ancora infagottato nella stoffa bruna, fu rimesso in piedi. Venne adagiato di spalle a quello che sembrava poter essere un cancello, ma la stanchezza lo fece scivolare fino a farlo sedere a terra; la gelida sensazione del metallo corse tuttavia rapida sulla schiena ad inibire qualsiasi accenno di torpore o di rilassamento.

E a nulla valse la carezza pietosa della fresca brezza notturna, che gli giunse in viso non appena gli fu scoperta completamente la testa in modo che potesse guardare, ruotando il capo, alla sua destra.

Preceduta da un piccolo giardino d'ingresso, una splendida costruzione dal profilo nitido si stagliava nel buio della notte grazie alla luminosità della sua facciata bianca, evidenziata dalla pallida luna. Si articolava in due piani. Quello inferiore era principalmente costituito da una serie di cinque ampie arcate – di cui quella centrale leggermente più alta – che creavano un profondo porticato scavato dall'ombra; il piano superiore ospitava invece le camere più pregiate, come suggerivano le numerose finestre rettangolari, corredate da vetrate con cornici dipinte a smalto e da eleganti balconcini in pietra finemente lavorata. L'abitazione era limitata da due massicci corpi laterali; aggettanti, simmetrici e ad un solo piano, essi erano decorati rusticamente da pietre grezze presso gli spigoli, e dovevano essere destinati piuttosto a locali di deposito.

Ognuna di quelle piacevoli peculiarità risaltarono immediatamente tutte insieme agli occhi di Engoras, che, pur nel suo stato di smarrimento, non poteva sbagliarsi: quella era proprio casa sua, la sua adorata, sfarzosa ed opulenta villa urbana.

L'inaspettata visione familiare, tuttavia, ben lungi dal provvedere a tranquillizzarlo, contribuì al contrario a gettarlo in un turbine di quesiti ancor più corrosivi: come aveva fatto il cavaliere a scoprire che quella era casa sua? Come faceva ad essere così informato su di lui? Come aveva fatto a rintracciarlo così facilmente?

A pensarci bene, però, tali domande gli parvero del tutto banali nell'istante stesso in cui vennero formulate.

Chissà di quali diavolerie era capace il suo inseguitore: figurarsi il reperire un semplice indirizzo! Anzi, era pronto a scommettere che questi fosse stato prima a casa sua, e che poi – intuendo che era momentaneamente disabitata – aveva tenacemente deciso di cercarlo tra le vie della città.

L'esausto mercante rimase per qualche altro attimo ancora appoggiato al cancello e assorto nella contemplazione nostalgica ed apprensiva della sua dimora, avvolto nel suo mantello come fosse grottescamente in fasce; poi di colpo il cavaliere si abbassò di nuovo su di lui facendolo sussultare. Frugò in prossimità della sua vita, ed afferrò con prepotenza la piccola sacca al di sotto del panciotto ricamato. Ne estrasse un mazzo di chiavi, agitandolo in faccia ad Engoras, che subito capì ed eseguì, indicando col mento una lunga chiave dall'impugnatura accuratamente lavorata.

Aperto il cancello, il disgraziato mercante fu costretto a rimettersi in piedi con suo enorme rammarico, ed insieme i due attraversarono il giardino all'ingresso, ricco di una vegetazione ben curata e sapientemente disposta.

I pochi passi del vialetto li condussero presso la facciata porticata immersa nell'ombra.

Nessun guardiano. Engoras contava su amicizie assai forti e influenti in città, che lo avevano fatto sentire rispettato, riverito e soprattutto protetto. Almeno fino ad allora.

Niente servitù. Una sola coppia di donne di servizio preparava i pasti principali della giornata e rassettava gli interni. E, ovviamente, a quell'ora tarda, e in una notte di festa, erano entrambe andate via. Il giardiniere, d'altro canto, era chiamato solo saltuariamente allorché ve ne fosse bisogno.

Tutto lasciava intendere che Engoras non amasse avere gente fra i piedi; tendenza, quest'ultima, alimentata da un lato ben marcato del suo carattere, ovvero la sua avarizia, che lo aveva portato a far scorta, oltre che di consistenti ricchezze, parimenti di solitudine.

Pessima conseguenza. Specie in casi come quello.

Il cavaliere continuava a trascinarlo trattenendolo per il collo, facendolo inciampare ripetutamente nel terreno ghiaioso che precedeva l'ingresso. Mostrava un evidente intento di tortura in quel suo fare, dato che si ostinava a farlo camminare sebbene fosse ferito, e nonostante la disponibilità del cavallo che li seguiva docilmente.

Giunto presso l'uscio, il cavaliere si attardò ad esaminare per breve tempo la struttura dell'edificio, focalizzando poi la sua attenzione su una particolare piccola torre che si ergeva presso il fianco destro della villa. Era di forma esagonale, così come il corrispondente profilo del tetto a spioventi; delle alte ed eleganti finestre a cuspide ornavano tre facce alternate della costruzione.

Il cavaliere, ad ogni modo, non venne distratto a lungo dal suo valore estetico.

Batté un pugno sul legno finemente intagliato della porta d'ingresso, intimando Engoras affinché aprisse lui stavolta.

Una folata di profumo li accolse: profumo di fiori, di legno pregiato, di sete fresche, di manufatti nuovi. Profumo di ricchezza.

L'intuibile bellezza dell'interno era nondimeno mortificata dalla flebile luce di due magnifici lumi ad olio in ceramica, posti simmetricamente sui lati corti della stanza.

Il cavaliere si avvicinò ad uno di essi, facendo ruotare la valvola del minuscolo braciere, che si allargò in modo tale da permettere all'olio di filtrare in maggior quantità, alimentando così la combustione.

Gradualmente l'interno si rischiarò, ed un ricco salone si rivelò alla vista dei due.

Tappeti, vasi, arazzi, oggettistica preziosa, rara e ricercata ornavano l'ampio spazio rettangolare, i cui contorni erano accompagnati da un delicato cordone in stucco recante motivi geometrici; la decorazione correva tutt'intorno alle pareti a circa un metro dal pavimento in marmo rosso che fino ad allora aveva riecheggiato i pesanti passi degli stivali di entrambi.

Ancora una volta il cavaliere dimostrò la sua fredda e pragmatica urgenza, non lasciandosi distogliere minimamente da tutto quello sfarzo, e individuando con determinazione la direzione che portava alla piccola torre, unico vero obiettivo del suo misterioso interesse.

Dunque si riavvicinò al lume ad olio, invertendo il gesto precedentemente fatto, fino a spegnerlo quasi del tutto, relegando nuovamente la grande stanza nel buio.

Si immise assieme al suo ostaggio in un piccolo corridoio che si sviluppava alla destra del salone, dopo un ingresso ad arco; dalle piccole finestre che affacciavano sul giardino poteva osservare il suo cavallo che faceva capolino, quasi volesse dimostrarsi indispettito di non poter godere il piacere della visita in quella casa di lusso.

In realtà, mossa dalla fretta e dalla sgarbataggine, quella era tutt'altro che una visita di cortesia. Ed Engoras lo intuiva chiaramente.

Con spintoni silenziosi ma eloquenti, il mercante era costretto a muoversi rapidamente sulla scala a chiocciola che conduceva alla mansarda sovrastante la torre, facendo leva principalmente sulla gamba destra, l'unica su cui potesse contare.

Dalla gamba sinistra, così come dalla spalla destra, gli erano stati intanto estratti i piccoli pugnali da lancio, e le ferite – benché profonde e ancora dolenti – si erano dimostrate tanto sottili da restringersi rapidamente e favorire una prima cicatrizzazione; erano ferite tipiche di un'arma utilizzata per immobilizzare temporaneamente, non per uccidere in modo risoluto.

Conclusa la scalinata, i due si ritrovarono di fronte ad una cortina metallica pesante e grossolana che fungeva da porta, e che vistosamente stonava con la delicatezza del resto dell'abitazione.

Dipinto con una strana vernice sanguigna, il grezzo pannello non lasciava apparentemente intravedere alcuno spazio né per la serratura né tantomeno per la maniglia.

Engoras restò qualche brevissimo istante in attesa, ma la severa presa del cavaliere non concedeva indugi, così come il suo atteggiamento da impassibile e freddo automa.

Il mercante s'impegnò, dunque, nel suo ingrato compito.

Perfettamente al centro del massiccio pannello di ferro si aprivano due fori, l'uno sopra l'altro.

Parevano fatti apposta per l'indice ed il pollice della mano di Engoras, che infilati ripetutamente in quella strana toppa, diedero il via ad una sincronica combinazione di movimenti: ruotando, spingendo, tirando fecero scattare complessi meccanismi interni, ed in poco tempo la porta cigolò pigramente sui cardini consentendo l'entrata.

L'interno della piccola torre – dopo la breve dissonanza del pannello metallico d'entrata – si riaccordava con l'eleganza della dimora. Consisteva in una saletta esagonale destinata ad uno studiolo privato. Presso un lato della stanza vi era una bella scrivania in mogano intagliato, con un piano di vetro lucido ed affollato da carte, mappe, volumi pregiatamente rilegati, un candeliere in argento e strumenti per la scrittura.

Le pareti di intonaco liscissimo erano dipinte da un chiaro giallo paglierino, ed ospitavano raffinati dipinti ad olio, per lo più vedute urbane rappresentanti la città di Efreim.

Tutt'intorno librerie, scaffalature che abbondavano di incartamenti vari, rotoli e specialmente faldoni ricolmi di carte lievemente scomposte, testimonianza dei numerosi affari.

Ma a catalizzare l'attenzione era il grande tavolo rettangolare, che con la sua notevole lunghezza divideva nettamente l'esagono della stanza; esso si estendeva dall'ingresso fino ad uno dei lati aperti dalla corrispondente alta finestra cuspidata, per mezzo della quale il pallore lunare si allargava come un velo lattiginoso sul levigato piano in legno di quercia. Era molto probabilmente il tavolo riservato alle riunioni private con persone di un certo conto.

Con un'ultima spinta, il cavaliere fece entrare Engoras e poi entrò egli stesso, socchiudendo il pesante uscio alle sue spalle.

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