CAPITOLO 1 - VICOLI DI OMBRA (Parte III)

La sagoma indistinta del mercante scivolò dal cornicione, rovinando al suolo; durante la caduta i movimenti erano impediti, avvolti in qualcosa somigliante ad un volatile velo d'acqua attraverso il quale trasparivano, traballanti e sfocati, i contorni delle misere architetture del vicoletto e la fioca luce che proveniva dal suo sbocco.

Engoras crollò al suolo, cadendo proprio sulla spalla ferita.

Come inquinata dalla sudicia strada, la stoffa che poco prima aveva una consistenza liquida ed assolutamente trasparente si era tramutata d'incanto in un sottile drappo di color bruno, al di sotto del quale cominciavano a serpeggiare sottili rivoli di sangue.

Ora che il suo trucco era stato scoperto – e nulla più restava da nascondere e reprimere – la preda lasciò eruttare la tensione accumulata, e soprattutto il lancinante male, tramite un urlo misto di rabbia, sofferenza e paura, le cui vibrazioni vennero ovattate dalla stoffa in cui era ancora avvinto come in un sozzo bozzolo.

Ammutolì immediatamente, tuttavia, quando sentì due pesanti stivali che battevano contemporaneamente sul selciato: il cavaliere era smontato da cavallo, balzando agilmente dalla sella.

Raccogliendo gli ultimi brandelli di coraggio, Engoras si convinse che restare nascosto sotto il suo mantello non sarebbe certamente servito a sottrarlo a quell'odiato, ineludibile pericolo.

Aveva sperato che quell'oggetto potesse essere il suo rifugio: ora rischiava, al contrario, di tramutarsi nella sua miserevole tomba.

Sollevando a fatica la fronte, che sino ad allora era stata attaccata al terreno con abbandonata rassegnazione, Engoras si sforzò di farla ruotare verso il cavaliere, di cui al momento – attraverso le pieghe sollevate del tessuto sovrastante – poteva scorgere solo le punte dei lucidi gambali, coperti anch'essi in buona parte dalla sinistra cappa scura.

I pensieri del mercante corsero veloci, si affollarono nella sua mente, ed infine fecero emergere il lato più attuale della sua personalità.

Il mercante infilò le dita al di sotto del panciotto, cercando quell'arma che – come gli avevano dimostrato gli ultimi anni – riusciva ad essere, in molti casi più di tutte, capace di una notevole efficacia.

Engoras la strinse nella mano, affidando ad essa le ultime speranze. Dunque la lanciò dal di sotto del drappo e stette ad osservarne gli esiti con occhi tremanti.

Un sacchetto di lucido raso verde scivolò sull'acciottolato, fermandosi ad un paio di metri dai piedi del cavaliere oscuro. Le sporgenti pietre della pavimentazione sciolsero la stretta imboccatura della piccola borsa che lasciò fuoriuscire parte del suo splendente contenuto.

Una moneta d'oro rotolò fino a toccare la punta dello stivale del cacciatore nero.

« Prendili! Sono sicuramente molti di più rispetto a quanto ti hanno promesso. Ma posso dartene anche il doppio... il triplo! Parliamone... sono sicuro che potremo raggiungere un accordo... »

Sistemate le redini attorno al collo robusto del fedele compagno, lo spettro ammantato avanzò di pochi passi soffermandosi presso il sacchetto di raso.

Esitò per qualche attimo.

Poi, con fare sprezzante, lo scalciò mediante un rapido movimento del tacco, facendo volare la tintinnante pioggia aurea contro il muro laterale.

Engoras imprecò silenziosamente, stringendo i denti e gli occhi nel tempo che seguì.

Ad un certo punto sentì che la leggera protezione in cui aveva ostinatamente confidato sino all'ultimo gli veniva sollevata lentamente di dosso.

La sua immagine si rivelò in uno stato che mai avrebbe voluto mostrare: adagiato sul fianco meno malconcio si tratteneva la ferita alla spalla con la mano sinistra che non cessava di tremare, scossa dallo spasimo e ancor più dal panico.

Il respiro si era ridotto ad un rantolo nervoso.

Torcendo la parte inferiore del corpo in una posa innaturale, aveva cercato di adagiare al meglio la gamba sinistra da cui sporgevano i due sottili pugnali: nell'urto della caduta questi avevano perfezionato il loro compito spingendosi ancora più nelle carni, ed ora lasciar gravare il peso dell'arto non era certo una buona idea.

In quella miserabile condizione, con i suoi bei vestiti ora laceri e impregnati di lerciume, Engoras avrebbe dovuto fronteggiare il suo destino.

E questo non tardò ad avvicinarsi.

Lo sguardo di tenebra tornò ad indagare cupamente.

La debole vittima, pervasa dalle più tetre aspettative, lo incontrò con i suoi occhi di un azzurro divenuto oramai vitreo.

Chi stava guardando dinanzi a se? O meglio che cosa? Perché tanta ostinazione in quell'inseguimento? Perché proprio lui era stato scelto come obiettivo?

Di nemici ne aveva accumulato certamente: è doveroso – per chi ha il proposito di arricchirsi in fretta – non avere scrupoli e quindi ferire un gran numero di persone. Ma mai avrebbe immaginato una conseguenza simile, una condanna così terribile per le sue azioni.

C'era qualcosa in questo nemico di anomalo. Qualcosa che esulava dalla semplice commissione di un assassinio; il secco rifiuto di tutto quel denaro lo aveva dimostrato indiscutibilmente.

Nella sua mente si affollavano innumerevoli e confuse riflessioni negative, che però furono spazzate via bruscamente allorché lo spettro cacciatore, chinandosi su di lui, sembrò volerlo esaminare più da vicino: era per meglio riconoscere la sua vittima, o, più probabilmente, per godersi lo spettacolo della sofferenza che aveva provocato con tanta tenacia?

« Sangue... fango... quanto è sottile la differenza in certi casi, non trovi? ».

Il gelido sussurro che, imprevisto e malvagio, si divertiva a schernirlo confermò la seconda ipotesi di sadico divertimento negli intenti del suo inseguitore.

Raccogliendo i frammenti della coscienza che iniziava a sgretolarsi, Engoras proruppe nella domanda che più di tutte lo aveva torturato in quella dannata notte: « Chi... chi diavolo sei?! ».

Alla risposta, tuttavia, si sostituì un freddo ordine; il sibilo fluì da un timbro di voce indistinto, ma la sostanza di quelle parole non lasciava spazio ad indugi o a repliche.

« Ora mi dirai ciò che voglio sapere... ».


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