CAPITOLO 1 - VICOLI DI OMBRA (Parte II)
Al di sotto del tessuto, teso fra braccia e gambe divaricate, l'esausto mercante si costringeva a sopportare il calore generato non solo dalla scarsa traspirazione che la stoffa concedeva, ma specialmente dalla fatica che lo aveva sfiancato, prima nella corsa frenetica, poi nell'arrampicata su un cornicione che correva a circa tre metri da terra, percorrendo il muro sul fianco sinistro della stradetta in cui aveva riposto la speranza di sottrarsi al suo implacabile inseguitore.
Sospeso sulla stretta sporgenza, cercava di convincersi della decisione presa, giustificandola con la sicurezza che la sua attuale preparazione fisica non gli avrebbe reso possibile prolungare oltre la sua fuga; era chiaramente fuori allenamento rispetto agli anni più giovanili.
La situazione era però assai simile a quelle che aveva vissuto spesso durante un periodo non tanto lontano: non a caso gli era scattato nella mente quell'espediente che ora stava usando al fine di trovare scampo.
Sarebbe andata bene. Se l'era sempre cavata, d'altronde, in situazioni del genere. Specie grazie a quel suo raro "strumento del mestiere".
Era questo che seguitava a ripetersi, quando d'un tratto l'eco di quei maledetti zoccoli si fece vicino.
La mente di Engoras fece ancor più spazio alla memoria dei ricordi giovanili che ora gli sembravano di un'utilità sempre più vitale.
"Ricorda quello che ti hanno insegnato", pensava, "Quando non ha più scampo, la volpe si finge morta davanti alla minaccia che non può affrontare, stando immobile. Imperterrita, non tradisce la sua simulazione, a meno che non sia sicura di essere inevitabilmente uccisa restando in quello stato".
Bisognava perciò mantenere la calma e soprattutto bloccare la propria posizione.
Fino a quando quel terribile pericolo non fosse passato.
E respirare con la bocca, al fine di evitare il fruscio che il fiato avrebbe procurato, passando troppo velocemente attraverso il naso, spinto dell'affanno e della trepidazione.
L'unico movimento che bisognava necessariamente compiere era quello degli occhi che, attraverso una strettissima fessura praticata nella stoffa, indagavano dall'alto la stradina immersa quasi completamente nel buio. Attendendo con tensione. Scrutando con impazienza ciò che non si fece attendere a lungo.
Il cavaliere avanzava, fondendosi con l'ombramediante la serica, liquida oscurità del suo mantello, che lo copriva con uncappuccio sul capo, gli scendeva sulle spalle e sulla schiena completamenteavvolte, e si riversava poi sui fianchi e sul dorso del destriero, unendo così le due sagome in un'unica presenza lugubre e mostruosa.
Si era portato ormai alla metà della stradina, quando improvvisamente i guanti scarlatti guizzarono al di fuori del mantello tendendo le redini.
In basso, alla sua destra, Engoras – deglutendo a fatica – osservava il fantasma ammantato: stava fermo, impassibile, paurosamente silenzioso, in un atteggiamento che durò interminabili attimi, e che spaventava sempre più in quanto lasciava intuire che lo spettrale personaggio stesse valutando la prossima mossa da compiere.
Engoras si imponeva un'estrema rigidità, maledicendosi per ogni minima contrazione indotta dall'indolenzimento crescente: se avesse potuto si sarebbe fatto assorbire dal muro alle sue spalle pur di scampare a quella situazione.
Gli mancavano quei baccani di festa tipici di Efreim, tanto assordanti ed odiati, ma che ora purtroppo riecheggiavano lontani da quel nascosto viottolo, troppo lontani per essere utili a camuffare il martellante battito del suo cuore sconvolto.
La lacerante attesa sembrava non voler cessare.
Spinto da un'apprensione sempre più snervante, lo sventurato mercante si permise di spostare gli occhi appena per assicurare la posizione dei suoi stivali sul ripido cornicione di pietra che lo sorreggeva, ma proprio quando si accinse a farlo i movimenti della figura nemica sembrarono voler punire quell'azzardo.
Il mercante riportò velocissimo la concentrazione verso la fonte del pericolo, e momentaneamente si tranquillizzò: era stato solo il cavallo a spostare il capo verso la propria sinistra. In effetti, era la direzione in cui, poco più in alto, si trovava lui; ma era stato comunque il semplice movimento di un animale: nulla di cui preoccuparsi.
Bruscamente, tuttavia, questa sua fallace distensione si tramutò presto in una constatazione ben più amara, quando anche la testa del cavaliere si voltò a sinistra, sollevandosi, per giunta, lievemente verso l'alto.
Il cappuccio non lasciava intravedere alcun lineamento, conferendo a quello sguardo oscuro, che non si distoglieva dalla direzione della sua preda, una natura inumana.
Engoras si pietrificò nella sua posizione, aiutato in questo dalla paura che oramai lo aveva raggelato, penetrando nel suo essere proprio attraverso le pupille rimaste fisse verso il basso.
Il guanto scarlatto irruppe nuovamente in quel dominio dell'ombra, affiorando dalle lunghe ed ampissime maniche ed infilandosi subito dopo, con un movimento fluido, nel nero di una piega in prossimità del petto.
Quando riemerse si accompagnava ad uno scintillante riflesso argenteo: due dita stringevano un piccolo, rilucente coltello da lancio.
Engoras non aveva decifrato ancora la natura di quell'oggetto e non ne ebbe il tempo, poiché esso saettò con un movimento incredibilmente preciso e fulmineo dalla mano rossa verso il muro al quale stava aggrappato.
Il sibilo metallico con cui si era infisso poco distante dalla sua gamba destra era stato nondimeno inconfondibile.
Ma la volpe non deve muoversi!
Nemmeno il tempo di assumere un altro respiro ed un secondo sibilo argentino si avvicinò pericolosamente alla destra del suo torace.
Niente paura: non può vederti. Non muoverti!
La pausa che seguì sembrò sospendere il tempo.
La figura ammantata abbassò di nuovo il capo. Rimase come in meditazione.
Engoras continuò a mantenere la sua simulazione, costringendo tutto il suo essere, confidando nel suo sangue freddo, nei suoi ricordi, nella sua esperienza pregressa.
Gli attimi trascorsero lunghissimi, e sembrarono dargli finalmente ragione quando, ubbidendo ancora telepaticamente, il cavallo si rimise in marcia, procedendo sempre in modo lento.
Ecco che giungeva sotto i suoi piedi.
Quella lentissima marcia gli aveva magnetizzato completamente la vista: gli occhi non si staccavano da quell'incedere che non lasciava spazio a deduzioni di nessun genere.
L'animale superò di qualche passo il nascondiglio.
Era fatta.
La freddezza e l'astuzia della volpe avevano vinto.
Il trepidante Engoras ne gioì segretamente.
Ma per poco.
Come a voler diabolicamente giocare con la sua ansia, conscio di esserne l'artefice, lo sguardo di tenebra infranse la sua speranza, e si rivolse stavolta di scatto verso di lui, lo trafisse con rinnovato terrore.
Un altro rapido movimento della mano scarlatta.
Partirono in un istante tre scintille.
Due gli si conficcarono nella gamba sinistra, una nella spalla destra.
Il dolore si diffuse attraverso le terminazioni nervose con una rapidità impressionante.
La volpe aveva definitivamente fallito.
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