Capitolo 7
25 Febbraio
-Temo di doverglielo confermare, mio signore.- il Generale Adalberto Crocero, comandante in capo dell'esercito Esfalo, era a dir poco rammaricato di dover riportare simili notizie. -I nostri soldati non possono essere impiegati in una guerra aperta in queste circostanze.- una grande mappa della regione era aperta davanti a loro, con delle bandierine di legno che raffiguravano le forze in gioco. Il Generale, un tarchiato e robusto uomo ormai prossimo alla sessantina, perfettamente sbarbato coi capelli grigi tagliati cortissimi e una profonda cicatrice che gli attraversava il volto, stava indicandoli muovendosi attorno al tavolo.
-Abbiamo seimila soldati sul continente intenti a pacificare la nuova colonia: al momento sono più della metà di quelli di cui possiamo disporre.- sospirò, ordinando con un gesto ad uno dei valletti di portargli del caffè: la levataccia mattutina era una prassi per la quale sei anni di caserma gli avevano fatto perdere l'abitudine. -A Roccadifalco io ho solo milleseicento soldati e meno di quattromila sono dislocati nelle fortezze statali.- indicò otto punti sulla mappa, posti rispettivamente vicino alle principali cittadine costiere, presso il loro arsenale militare e lungo i passi montani che conducevano al lago. -Già così sono quasi ai minimi termini. Potrei distaccare una o due compagnie da ogni fortezza e al massimo cinque o sei dalla mia. Però anche in questo modo, sarebbero meno di duemilacinquecento, che non saprei come poter trasportare in fretta. Mandarli a soccorrere quelli nelle Ipatzie al momento non credo sia possibile!-
-E se li si sostituisse con dei miliziani?- la domanda non proveniva da Riccardo, bensì da un uomo magrissimo, vestito interamente di nero, che si trovava alle spalle del suo signore. Egli era il primo ministro, il Gran Cancelliere Ludovico Mantegna: un uomo abilissimo nell'arte della politica, ma a livello militare non appariva molto preparato.
-Intende dire mandare i miliziani in battaglia o mettere i miliziani nelle fortezze?- domandò il Generale stupito.
-Quali sarebbero le conseguenze in entrambi i casi?- Mantegna faceva solamente arte da politico: domandava, non dava risposte.
-Allora...- Crocero si schiarì la voce: -...se mandassimo i miliziani in guerra li condanneremmo a morte. Per questi affari è necessario l'esercito regolare, i miliziani combattono solo in caso di invasione subita qui, sul territorio principale. Non sono addestrati per una campagna militare. L'esercito regolare Rialtino, per quanto sia scarso, probabilmente se li mangerebbe a colazione e ne risputerebbe le ossa.- fece una pausa per bere un sorso di caffè, finalmente arrivatogli. -Se invece mettessimo i miliziani a difendere le fortezze statali, sono sicuro che non si vorrebbero più muovere da lì: dai loro un dito e si prenderanno il braccio.-
Il ragionamento era purtroppo sensato: la loro marina era in ginocchio, l'esercito agguerrito e abile, ma troppo piccolo per una guerra aperta. I vari nobili avevano delle loro milizie private che fornivano un servizio d'ordine nelle loro ville, nei castelli e nelle relative cittadine, ma in battaglia si sarebbero potuti rivelare pressoché inutili: loro combattevano solo per difendere le loro famiglie e le loro terre, non si sarebbero mai battuti in attacco. Non con il misero pagamento che ricevevano per i loro servigi.
-Abbiamo notizie dalla Caradonna?- domandò nuovamente il Gran Cancelliere: quella mattina il loro Signore sembrava troppo silenzioso.
-Ieri ha attraccato a Faro Tozzo: scommetto che il governatore si è rintanato lì, temendo che gli avremmo chiesto di rispondere al perché se l'è svignata così in fretta.- rispose Crocero sconsolato.
-Manderò subito una scorta a prelevarlo per portarlo qui: abbiamo diritto ad avere risposte circa il suo vile comportamento.- si intromise il Capitano della guardia, rimasto fino ad allora in disparte. Egli tacque per un momento, aspettando una risposta che gli negasse questa iniziativa. Essa non arrivò, così il vecchio soldato provvide a dare le opportune disposizioni.
-Quindi per quanto riguarda il nostro nemico...- disse finalmente Riccardo levandosi la mano dal mento, che si massaggiava sempre quando era pensieroso. -...cosa mi consigliereste di fare?-
-In tutta onestà, mio signore?- disse Crocero cautamente. -Chiederei un incontro diplomatico per trattare il rimpatrio dei nostri soldati.-
Entrambi gli uomini lo fissarono seri.
-So che è una brutta prospettiva: di fatto si tratterebbe di ammettere la sconfitta, ma almeno salveremmo coloro che sono rimasti nelle Ipatzie e potremmo farli rientrare sani e salvi a casa.- fece una pausa per bere un altro sorso di caffè.
-Cerchiamo di essere pragmatici, mio signore. Abbiamo solo tredici navi da guerra ora, di cui appena due sono delle navi di linea.- spiegò accigliato. -Altre quattro sono fregate, il resto è naviglio minore: i nostri nemici ne avranno almeno settanta o ottanta, se non di più. La lotta sarebbe impari sulle acque.- indicò le isole di Rialto sulla mappa: non ci voleva un genio per capire che sul mare non c'era partita.
-Senza l'aiuto del Malice, potremmo sì combatterli sulla terraferma e forse anche batterli, ma in mare non avremmo alcuna possibilità di sopraffarli. E per raggiungere le Ipatzie dovremmo passare per un ampio braccio di mare. Sarebbe come invitarli a nozze. Continuare la guerra significherebbe distruggere anche le poche navi che ci restano.-
Aveva parlato in tono serio ed obiettivo, in modo da non apparire né preoccupato, né in ansia per le possibili conseguenze delle sue parole. Crocero ricordava bene quanto fosse incline all'ira il padre di Riccardo nei suoi ultimi anni di vita e, benché il figlio gli apparisse come una persona molto più pacata ed incline alla ragione, il Generale temeva che la genetica potesse smentire questa sua convinzione.
-Ho capito.- alzò una mano per mettere a tacere i presenti. Doveva riflettere.
-Faremo così: Mantegna, rediga subito una lettera per il principe di Rialto!- ordinò un paio di minuti dopo, indicando il suo cancelliere. -Lo informi che siamo disposti a trattare una cessione pacifica delle Ipatzie. Ne mandi una copia anche a chiunque sia il comandante della forza d'attacco.-
Si interruppe sospirando: quella colonia era riottosa e non forniva molte risorse. Forse era meglio così, ma non doveva apparire come una resa incondizionata: lui era appena salito sul trono; non poteva mostrarsi debole.
-Poi lei stesso si imbarcherà sulla Mietitrice con i nostri scrivani e si recherà a Porto Ipatzia, dove tratterà un accordo con il loro comandante. Imbarcherà poi i nostri soldati e li riporterà a casa!-
La Mietitrice era l'ammiraglia della flotta Esfala; un vascello di rappresentanza da ottanta cannoni, con un cassero spropositatamente grande, in modo da contenere un alloggio degno del Signore dell'Esfalia o di un suo funzionario.
-Come desidera mio signore.- disse Mantegna con un leggero inchino. -Mi lasci indovinare: devo fare in modo che la cessione delle isole appaia come una nostra concessione, non come una loro conquista. Dico bene?-
-Precisamente, esatto!- convenne Sforzi sedendosi su una delle poltrone. -Loro la prendano pure come una riconquista: noi diffonderemo la notizia che è stata una cessione che ci abbia fruttato qualcosa: si inventi lei i dettagli.-
Mantegna sorrise mestamente sotto i baffi. -Sarà fatto, mio signore!- si voltò come per andarsene, ma quando fu sulla soglia si voltò: -Lei mi accompagnerà, Generale?-
*
-Vedo che la nostra ospitalità non le ha fatto certo passare la sete, Colonnello.- il Generale Barbaglio si stava dimostrando un eccellente anfitrione, questo era certo. Dalla sera prima, quando Alessia era stata catturata, era stata trattata con ogni riguardo, e non si era certo fatta scrupoli di attingere alla scorta alcolica dei suoi nemici.
Ora, alle sette di mattina, il Colonnello Esfalo stava innaffiando la colazione con abbondante vino bianco, come a volersi sbronzare per non pensare alla sua sconfitta.
-Vuole un altro uovo?- chiese il Comandante Mondini indicandole il cesto contenente l'alimento indicato.
Alessia, con la divisa appena ripulita e rammendata dalle ordinanze di Barbaglio, aderì all'invito e, mentre sgusciava le tre uova che si era servita, cacciò uno sguardo fuori. Era stata condotta nella cabina grande della Leonessa, appena rimessa a nuovo dai carpentieri della nave, uniti a quelli Ipatziani. Stavano facendo un gran bel lavoro, visto che, almeno nell'ampio alloggio, non sembrava affatto di trovarsi in un'imbarcazione che aveva appena affrontato un combattimento in piena regola. Altre parti della nave erano ancora danneggiate e affollate di persone intente a sostituire le componenti martoriate dai colpi di cannone, tanto che in cabina si potevano udire i suoni degli scalpelli e delle pialle all'opera.
La poppa della nave puntava a sud, tanto che si riusciva a vedere chiaramente Porto Ipatiza, sul cui forte garriva ancora la bandiera dell'Esfalia: unico luogo in un raggio di decine di miglia in cui fosse ancora al vento.
-Fatemi indovinare...- disse finalmente la donna dopo aver mangiato un paio di uova. -Voi volete che ora io ordini al forte di arrendersi, dico bene?-
-In realtà non è che sia strettamente necessario, mia cara.- Barbaglio le sorrise, mettendo in mostra la dentiera d'argento che si metteva quando doveva mangiare. -A noi basterebbe aspettare: magari i suoi soldati tenteranno qualche altra sortita, o forse ci sarà una sollevazione cittadina, del resto i miei esploratori stanno già rifornendo di armi gli abitanti più insofferenti al vostro dominio.- fece una pausa per bersi un sorso di spremuta d'arancia: generalmente il vecchio evitava l'alcool prima di cena. -Ma converrà con me che una vostra resa sarebbe la cosa migliore: eviteremmo altri morti, che da entrambe le parti sarebbero inevitabili se continuaste a resistere, temo.-
Effettivamente non gli si poteva dare torto: Sperti non avrebbe retto a lungo la pressione di un assedio senza fare nulla. E se davvero i cittadini di Porto Ipatzia ora si stavano armando, appena i soldati fossero usciti per rifornirsi di cibo, una sollevazione popolare forse non avrebbe potuto causare la capitolazione del forte, ma ne avrebbe indebolito sensibilmente la guarnigione, senza che per i soldati Rialtini fosse necessario scendere in battaglia. Ormai quella breve guerra era persa, Alessia se ne era resa conto, ma ammetterlo davanti ai suoi nemici era fuori discussione, almeno per il momento.
-Posso pensarci su?- domandò la donna alzandosi dalla tavola. -Se proprio dovessi ordinare ai miei ragazzi di alzar bandiera bianca, dovrò pur fare in modo che non si deprimano troppo nel sentir la notizia.-
-Giuro che è la più assurda scusa per prendere tempo che io abbia mai sentito!- replicò Mondini trattenendo a stento una risata.
-Andiamo Comandante, non sia così insensibile.- Barbaglio si alzò faticosamente e, zoppicando, si mise di fronte ad Alessia, fissandola negli occhi. -Colonnello Guizzardi: ho la sua parola che non tenterà la fuga e che non farà alcun male ai membri del mio equipaggio fintanto che sarà nostra ospite?- le domandò severamente. Nelle sue iridi, normalmente serene e di un rassicurante azzurro, comparve una sorta di sfumatura rubino: come se il vecchio fosse capace di iniettarli di sangue a comando.
-Glielo giuro, Generale!- esclamò tristemente la donna, chinando leggermente il capo quasi spaventata dallo sguardo del suo interlocutore. -Non lascerò questa nave, non tenterò di fare nulla a nessuno e non tenterò di sobillare alcun ammutinamento. Ha la mia parola!-
-Tanto mi basta!- il vecchio le strinse la mano, tornando alla sua consueta espressione bonaria. -Datele un posto nel quadrato ufficiali: la signora sarà nostra ospite ancora per qualche giorno.- sospirò leggermente nel togliersi la dentiera. -Domani, dopo pranzo, io e lei vedremo di decidere come far sgombrare il forte. Spero che per allora abbia riflettuto abbastanza a riguardo.-
*
-Non avrà mica dormito di nuovo sul ponte, signore?-
Lorenzo venne svegliato dalla domanda postagli da uno dei suoi marinai: a quanto pare gli era successo un'ennesima volta. Come di consueto si sedeva sul cassero, a osservare le stelle, e dopo un po' finiva per addormentarsi lì, senza che nessuno dei marinai di guardia osasse destarlo dal sonno.
In effetti il giovane comandante si sentiva parecchio indolenzito: si ripromise per la centesima volta di non addormentarsi mai più all'aperto, ben sapendo che non sarebbe probabilmente riuscito a mantenere tale promessa, anche se fatta a sé stesso. Guardare il cielo notturno gli piaceva troppo.
Stropicciatosi gli occhi, decise di non pensarci più. Si rialzò dal pagliolato aggrappandosi a una drizza e, tornato in posizione eretta, scese in cabina, dove si concesse un goccetto prima di cambiarsi i calzoni e la camicia. La giubba e il gilet non li cambiò, del resto non erano né sporchi né sudati: avevano solo bisogno di un po' di sole per asciugarsi dall'umidità della notte.
Non ci mise più di una quindicina di minuti a radersi, bersi un caffè, rivestirsi e risalire in coperta ma, appena ci arrivò, vide la quasi totalità della ciurma con lo sguardo impietrito diretto a sud.
-Che succede?- chiese ancora mezzo addormentato appena ebbe notato le espressioni delle donne e degli uomini che occupavano la coperta.
Tre dei marinai indicarono verso meridione senza nemmeno aprire la bocca; nel seguire il loro sguardo, Lorenzo si risvegliò di soprassalto.
Una nave faceva rotta verso nord: una nave molto grossa con l'aspetto a dir poco sinistro.
Era un vascello due ponti con una polena raffigurante uno scheletro incappucciato che reggeva una falce. Ai lati della tetra scultura, le gomene delle ancore uscivano dalle bocche di due cobra scolpiti nel legno, i cui corpi scorrevano lungo le fiancate formando una linea di galleggiamento inutilmente pomposa, ma decisamente inquietante. Le loro code risalivano sullo specchio di poppa, a sua volta raffigurante una sorta di teschio demoniaco, con due corna che fungevano da sostegno per un ampio allargamento del casseretto, che diventava a dir poco immenso in proporzione alla stazza della nave.
I suoi tre alberi armavano vele di un rosso scuro molto vivo, con il simbolo Esfalo dei due serpenti che si univano ricamato in giallo oro su ognuna di esse, fatta eccezione per la randa, gli stralli ed i fiocchi. Il bompresso, che emergeva dalla prua di almeno una ventina di metri, era costruito in maniera abbastanza obsoleta, con un piccolo albero per la contro civada, ma in qualche modo non sembrava cozzare con lo stile della nave.
A poppa, su una lunga asta, sventolava un'enorme bandiera dell'Esfalia, mentre le troniere dalla forma tondeggiante erano tutte aperte, con i cannoni, almeno una quarantina per lato dalle bocche placcate in luminite, cosa che li faceva brillare nella fioca luce del mattino.
Lo scafo aveva una livrea scarlatta, alternata a del nero antracite che formava due spesse linee lungo lo scafo in prossimità dei portelli. I serpenti, la polena e il grande teschio di poppa erano stati decorati in un colorito argenteo, con piccoli frammenti di luminite incastonati in vari punti, in modo da dare ancora più luce alla nave nelle ore notturne.
Era davvero impressionante, anche se probabilmente si trattava di un legno più di rappresentanza che da guerra. Nonostante questo, un tentativo di azione contro di essa con un'imbarcazione di stazza ridotta come la Ladra di anime avrebbe avuto un esito decisamente scontato.
-Cosa vuole che facciamo?- Pietro sembrava preoccupato: la nave nemica si avvicinava in fretta, ma era ancora abbastanza distante da poter tentare la fuga.
-Salpate subito l'ancora! Mettete al vento tutte le vele tranne i coltellacci: voglio vedere se hanno intenzioni ostili.- decise Lorenzo cercando di non mostrare panico nella voce. -Se saremo sfortunati, potremo sempre svignarcela di bolina larga. Quella nave può anche essere abbastanza veloce al lasco o col vento in poppa, ma già al traverso deve essere una lumaca! Figuriamoci di bolina.- la seconda parte del discorso era rivolta più a sé stesso che alla sua ciurma: il Capitano era solito ragionare a media voce in situazioni di tensione.
L'ancora non era ancora stata interamente salpata quando dal vascello nemico partirono due colpi di cannone. Ad essi però non seguirono né un tonfo delle palle in acqua né un qualsivoglia tipo di suono che segnalasse un impatto: erano colpi a salve.
-Non fermatevi!- ordinò Lorenzo facendosi passare un cannocchiale: la grossa nave Esfala stava riducendo la velatura; probabilmente sapeva delle secche su cui si era fermata la Ladra di anime e non voleva rischiare di restarvi insabbiata.
-Sparate un singolo colpo a salve, presto!- aggiunse appena l'ancora venne fissata al suo paranco. Se i due colpi sparati erano a salve, rispondere con un solo colpo era il segnale internazionalmente convenuto per indicare che le reciproche intenzioni non erano ostili.
Il colpo partì alcuni istanti dopo. Ad esso seguirono delle bandiere che si alzarono a lato dell'albero di trinchetto del vascello.
-Lucia, cosa dicono?- chiese Lorenzo all'ufficiale addetto alle segnalazioni, una semplice Guardiamarina appena sedicenne, piccola e magra col volto coperto di lentiggini, che provvide subito ad impugnare un cannocchiale per osservare il messaggio.
Ci mise un minuto abbondante a decifrarlo: le bandiere erano parecchie; per fortuna in Esfalia e a Rialto si parlava la stessa lingua, seppur con accenti decisamente diversi e con la presenza di alcuni termini non comuni tra ambo le parti.
-Buone notizie, capitano!- esordì la ragazza con un sorriso. -Dicono che sono diretti a Porto Ipatzia per trattare una ritirata delle loro forze dall'isola. A bordo c'è il Gran Cancelliere dell'Esfalia in persona!-
Lorenzo sospirò sollevato.
-Non mi dire. Questa sì che è una sorpresa.- sorridendo si incamminò, arrivando vicino alla ruota del timone e prendendola personalmente in mano. -Segnalate loro di seguirci allora. Usciamo dalla secca e conduciamoli dai nostri amici. Cessate le operazioni sul velaccino e sul trinchetto: non ci serviranno per starle al passo!- ruotò di un paio di bracciate la grossa ruota verso dritta. -Domenico sarà felice di sapere che la guerra può già dirsi finita.- disse tra sé e sé mentre conduceva la sua nave fuori dalle secche.
*
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