Capitolo 5


23 Febbraio

Giulio si svegliò di buon'ora: la tenda in cui dormiva assieme a Guido e ad altri due soldati era piuttosto angusta, quindi nella notte, non solo si riscaldava facilmente, ma finiva con l'avere un'aria decisamente viziata e pesante, tanto da fargli sempre anelare di alzarsi presto pur di poterne respirare di fresca. Sbadigliando si abbottonò la camicia, infilò calzoni e stivali, si fissò i primi, già piuttosto ingrigiti, con le bretelle e sopra di essi indossò la giubba blu dai risvolti rossi, che fermò in vita con lo spesso cinturone scarlatto che aveva in dotazione, prima di uscire dalla tenda. Lasciò che i commilitoni continuassero a dormire: era difficile dire che ore fossero, ma di sicuro non c'era fretta di muoversi.

Uscito dalla tenda si calcò il berretto in testa: esso era piuttosto sbrindellato a causa del suo continuo utilizzo, tanto che il cinque ricamato in nero sulla fascia rossa che occupava la base del copricapo, era decisamente sbiadito. Quel numero indicava la sua compagnia di riferimento, mentre il colore rosso era stato dato a tutti i membri delle truppe che avevano già dato la loro disponibilità a rimanere nelle Ipatzie a guerra finita. Esse, qualora il conflitto fosse stato vinto, avrebbero ricostituito il reggimento di quella provveditoria, e ovviamente Giulio ci sperava, essendo nato e cresciuto su quelle isole.

Soffocato un secondo sbadiglio, il Caporale si incamminò per l'accampamento. La grande tenda della fureria era già aperta, e i pochi soldati già svegli stavano facendo colazione con pane, aringhe affumicate e caffè caldo sulle rozze panche che avevano infilato nell'ampio spazio coperto dalla tenda. La mattinata era già più calda che nei giorni precedenti e la notizia della vittoria nella battaglia navale della giornata precedente aveva sollevato il morale dell'esercito. Se però quello delle truppe era ormai alto, l'entusiasmo tra i membri della marina appariva assai più mogio, essendo la vittoria costata le vite di molti marinai.

Le voci riguardo l'andamento dello scontro erano rimbalzate tra un orecchio e l'altro nell'accampamento e continuavano a diffondersi. A quanto si diceva, nella notte la Saetta era stata mandata a tirare di nuovo in acqua la Libeccio, il cui equipaggio pareva essere in gran parte scomparso dopo una spedizione a terra. Ora la malconcia fregata stava venendo rimorchiata nel porto di Castel di baia, dove avrebbe potuto essere riparata almeno dalla maggior parte dei danni che aveva subito. Per riparazioni definitive sarebbe servito un bacino di carenaggio, e il solo presente nella regione era a Porto Ipatzia, cioè alla loro destinazione finale.

Una loro nave era affondata, altre due erano troppo danneggiate per navigare o combattere, un'altra era alle costole del vascello fuggito e una sola nave nemica era stata catturata. Altre due erano bruciate, due affondate e le ultime due se l'erano svignata. Non certo una grande vittoria, visto che quasi seicento persone avevano perso la vita tra le file Rialtine. Le vittime Esfali quante potevano essere state, invece? Era difficile quantificarlo: alcune voci dicevano settecento, altre ottocento, altre dicevano che forse ammontavano addirittura a mille, ma Giulio ne dubitava.

Certo, ci avevano rimesso una nave di linea, e visti i costi che aveva la costruzione di un simile vascello, di sicuro sarebbe stata una brutta perdita per la loro marina. A parte quello, però lo scontro aveva reso molto più numerosa la guarnigione di Porto Ipatzia, quindi c'era poco di cui gioire, purtroppo. Quella guida: Anna, sosteneva che la guarnigione del capoluogo ammontasse a circa seicento soldati, e quasi altri duecento presidiavano Faro Maggiore, ma costoro erano fuggiti verso Porto Ipatzia appena la flotta era passata davanti al paese. Quindi ora dovevano esserci quasi ottocento persone, alle quali si dovevano aggiungere i superstiti delle truppe sbarcate, il cui numero però era ignoto ai Rialtini.

Quanti nemici potevano rimanere da affrontare ora? Un migliaio, forse anche di più. In campo aperto ne avrebbero avuto ragione essendo loro ancora più di tremila, ma dover attaccare una posizione ben difesa...beh, quello era un compito molto più complesso. Gli Esfali erano universalmente riconosciuti come soldati migliori di quelli RIaltini, anche se in mare la situazione era esattamente opposta. Probabilmente però, gli scontri navali potevano ritenersi terminati in quella guerra: ora era il turno dei soldati. E per un soldato, nulla è più pericoloso di assalire un forte ben difeso.

Questo era il dubbio di Giulio, un dubbio che non mancò di confessare a Silvia, appena essa lo raggiunse sotto la tenda della fureria. I due, condividendo la colazione, si dissero entrambi preoccupati per il proseguo della guerra: molta altra gente sarebbe potuta morire.

-Ti dirò: mi sembri quasi un idealista quando parli così.- scherzò la donna sorseggiando il suo caffè. -Stai tranquillo, vedrai che passeremo oltre il canale e conquisteremo il forte in pochi giorni.-

-Vorrei avere il tuo stesso ottimismo.- rispose Giulio con un mesto sorriso. -Piuttosto dimmi: che hai in tasca?- cercò di cambiare argomento per non pensare al peggio, notando come la giubba di Silvia avesse le tasche decisamente gonfie.

Lei sorrise, soffocando una risatina soddisfatta, poi si infilò le mani in tasca e ne estrasse ben quattro fiaschette piene, che sventolò davanti agli occhi dell'amico, causando anche ai soldati vicini qualche risata. -Lo sai: toccava a me ispezionare le sentinelle stamattina.- disse lanciando due dei recipienti al tavolo vicino e passandone uno a Giulio, che lo stappò e se lo portò alla bocca.

Da quando Giulio conosceva Silvia, aveva notato come essa fosse molto più a suo agio durante una campagna militare, specie se con un po' di alcol nello stomaco, piuttosto che quando si trovava a casa con suo marito. Marito che lei non amava per niente, per questo si era sempre rifiutata di congedarsi: il suo lavoro era anche la sua fuga da un matrimonio decisamente infelice, che però non poteva sciogliere. Lo stato concedeva raramente i divorzi, e per quanto quella donna detestasse il marito, non poteva certo farlo fuori. Lei era un soldato, tra i più efficienti della sua generazione, ma non certo un'assassina.

-Grazie, mia cara.- esclamò Giulio dopo aver scolato il contenuto della fiaschetta. -Ma chi erano gli sventurati a cui l'hai sequestrato?-

-Quattro fantaccini del reggimento di Dente del Drago. Erano ancora mezzi addormentati.- spiegò Silvia senza smettere di sorridere.

-Dente del Drago? Ma tu non sei autorizzata a dare ordini a quel reggimento!- si stupì il giovane. Il reggimento di Dente del Drago, ossia le truppe reclutate ed addestrate in quella provveditoria, erano contraddistinte dalla divisa coi risvolti bianchi, essendo essa la regione più montuosa della Repubblica.

-Ah lo so.- rispose la donna. -Ma a quanto pare loro no.-

I tavoli vicini scoppiarono in una fragorosa risata: era tipico che alcuni sottufficiali facessero degli scherzi del genere ad altri reggimenti, e da quando Silvia era diventata Sergente, non si era certo tirata indietro dal seguire questa moda, che tra l'altro trovava pure divertente.

Per una buona mezz'ora, i soldati continuarono a chiacchierare del più e del meno in attesa di ordini. Il tutto per cercare di non pensare al fatto che la guerra ancora non era conclusa. Ognuno di loro aveva paura di non uscire vivo dal conflitto, ed ovviamente il dubbio su come assalire il forte, attanagliava le menti di tutti, ma in momenti simili, era bello liberarsi dai pensieri tragici.


*


Le medesime preoccupazioni attanagliavano anche i vertici dell'armata, che nella sala dei banchetti di Castel di Baia stavano per l'appunto discutendo di come procedere nella guerra.

Questo castello, dal nome assai poco fantasioso, era stato al contempo il primo edificio ad uso militare costruito sulle isole e la seconda sede della provveditoria locale, anche se aveva avuto quest'ultima funzione solo per poche settimane.

Infatti, nella guerra di sei anni prima, quando Porto Ipatzia era stata persa a seguito della caduta del forte, il Provveditore delle Ipatzie, ossia il magistrato che fungeva al contempo da governatore e da comandante militare delle isole, era fuggito con le poche truppe che gli rimanevano su Ipatzia Longa, barricandosi nel castello, che era però stato espugnato dopo solo cinque giorni di assedio.

La roccaforte sorgeva su una piccola baia, affacciata sullo stretto che divideva le isole, ed aveva la forma di due C concentriche. Quella più esterna, dalle mura alte tre metri e mezzo, percorreva il terreno circostante la baia, andando a creare due braccia che costituivano un porto grande abbastanza per contenere un paio di navi anche abbastanza grandi. Al suo interno vi erano le varie caserme e gli alloggi, oltre alle stalle e ai magazzini. A circa venticinque metri più all'interno, vi era la seconda cinta, con mura alte quasi cinque metri, le quali erano in realtà più la corazza per un terrapieno che altro, visto che servivano a contenere la bassa scogliera sulla quale sorgeva il massiccio torrione, con un'enorme vetrata decoratissima che si affacciava sul mare. Questa vetrata forniva luce naturale al salone dei banchetti, nel quale si sarebbero potute sedere comodamente quasi duecento persone, mentre ai piani superiori vi erano le stanze dei notabili o, al momento, degli ufficiali che ne avevano preso possesso.

-Un attacco a testa bassa contro il forte è fuori discussione!- il Comandante Mondini, seduto a un'estremità del grande tavolo che occupava il centro del salone, si poneva con tono categorico sull'argomento. -Il comando delle operazioni terrestri è mio, quindi sappiate che non ho intenzione di mandare a morte i nostri soldati lanciandoli contro le mura del forte di Porto Ipatzia!-

-Il comando è suo, certo.- replicò con tono minatorio Piero Loredan, Capitano di Vascello al comando della Scirocco, unica delle fregate danneggiata lievemente dagli scontri, e quindi ancora in grado di muoversi autonomamente. -Ma lei sa bene che il Generale ha la facoltà di rimuoverla se lo ritenesse necessario, quindi stia al suo posto, signore. La sua parte del lavoro finora è stata di gran lunga la più semplice. Noi invece...-

-Finitela, per favore!- il Generale Barbaglio sembrava dolorante: tanto che chiamò con un gesto la sua ordinanza per farsi staccare il supporto della gamba di legno: tolto quello assunse un'espressione più rilassata. -Signore e signori miei: la guerra non è mai facile e lo sappiamo bene tutti.- fece una pausa per riempirsi una tazza di caffè e gustarselo con calma. -Tuttavia il Comandante Mondini ha ragione: non possiamo lanciare un attacco contro il forte. Forse riusciremmo a prenderlo, ma perderemmo troppi soldati. E allo stesso tempo non possiamo bombardare la città: uccideremmo anche dei civili, molti civili. E il loro appoggio ci sarà fondamentale, se vorremo tornare ad avere il controllo pacifico di queste isole.- una nuova pausa, più breve stavolta, durante la quale si massaggiò il moncherino. -Tentare di assediarla vi sembra un'idea praticabile?-

Silenzio assoluto.

L'ordine del Principe e del Maggior Consiglio era stato chiaro: la guerra doveva durare poco. Non si doveva lasciare all'Esfalia il tempo di reagire o di implorare l'aiuto del Malice una seconda volta. Un assedio invece avrebbe richiesto tempo, forse parecchio tempo.

-Con tutto il rispetto, Generale.- fu Chiara Rigamonti a prendere parola. -Sappiamo tutti che i nostri tempi sono ristretti. La nuova stagione del traffico mercantile inizierà tra meno di un mese, e per allora dovremmo aver già completato la conquista delle due isole. I nostri finanziatori sono stati molto chiari a riguardo.-

Le due sorelle del Maggiore Rigamonti operavano come dirigenti nell'Alleanza Mercantile: un'enorme compagnia nata dalla volontà dei mercanti più ricchi di salvaguardare i propri interessi, che nel corso dei decenni era cresciuta tanto che ormai ogni armatore di una nave mercantile, sapeva bene che avrebbe potuto strappare prezzi migliori per la sua merce, se solo si fosse unito ad essa. I dirigenti dell'Alleanza erano stati i principali finanziatori dell'operazione di riconquista delle due Ipatzie, tanto da premere perché ci fosse almeno un suo inviato tra gli ufficiali superiori. Era chiaro che potevano fare delle Ipatzie un importante snodo commerciale, oltre che un vero e proprio paradiso fiscale, cosa che nella zona est del continente mancava da alcuni anni. La cosa che premeva all'Alleanza Mercantile era quindi che ne venisse creato uno. La politica dell'Esfalia era fortemente centralista ed il suo controllo fiscale sui suoi domini era eccessivamente capillare.

La Repubblica di Rialto faceva invece i soldi prevalentemente con le banche ed il commercio, quindi la tassazione sulle merci per l'Alleanza era molto più conveniente nelle sue terre. Poter avere una base nelle Ipatzie, avrebbe quindi reso i loro profitti potenzialmente ben più alti.

-Anche questo è innegabile.- convenne l'anziano Generale grattandosi la barba. -Allora faremo così: manderemo una compagnia a Faro Maggiore, in modo da avere una cittadina fortificata sicura anche nell'altra isola.- osservò i presenti, posando poi lo sguardo su uno di loro: un emaciato Capitano di fanteria basso e biondo senza più il braccio destro. -La tua sarà perfetta. Parti immediatamente assieme ai tuoi soldati, prendete ciò che vi occorre ed occupate gli alloggi della guarnigione: erano quasi il doppio di voi, quindi starete belli comodi.-

Il Capitano non rispose nemmeno: in un precedente scontro, oltre al braccio aveva infatti perduto anche la lingua. Si limitò così ad alzarsi facendo un segno di assenso con la testa e, girati i tacchi, uscì dalla stanza.

-Nel frattempo voi due...- stavolta Barbaglio indicò Loredan e Mondini. -...inizierete il trasbordo delle truppe verso l'isola meridionale: formerete tre accampamenti sui tre lati della città, abbastanza lontani per restare fuori portata dell'artiglieria del forte, ma abbastanza vicini tra di loro per poter accorrere facilmente l'uno in aiuto dell'altro se per caso servisse.-

-Qual è lo scopo di una simile tattica signore?- il Maggiore Forestan appariva perplesso: lui era un geniere, non un tattico, quindi capitava che gli sfuggissero alcuni particolari nei piani dei suoi superiori. -Dividendoci in tre campi, saremo probabilmente meno numerosi degli assediati, almeno se presi singolarmente.-

-Precisamente: ed è quello che voglio.- convenne Barbaglio facendo cenno alla sua ordinanza di aiutarlo a rimettersi la gamba. -Se uno dei campi venisse attaccato in forze, i soldati rimasti nel forte saranno rimasti in pochi, quindi il piano quale sarà?- rimase in silenzio aspettando che qualcuno rispondesse. Nel frattempo, dal suo sguardo era evidente che la procedura di installazione della protesi gli procurasse non poco fastidio.

-Se un campo viene attaccato...- ipotizzò la Rigamonti. -...il campo più vicino ad esso accorre in suo aiuto, mentre l'altro tenta l'assalto alle mura?-

-Esattamente.- si complimentò il Generale, per poi strizzare gli occhi a causa del fastidio dato dal supporto per la gamba che gli veniva fissato sul moncone. -Nel frattempo, per provocare la sortita, i nostri esploratori faranno delle incursioni dentro la città la notte, in modo da iniziare a spingere la gente a ribellarsi all'occupazione nemica.- alle sue spalle era appesa sul muro una grande mappa che ritraeva l'emisfero occidentale, dove si trovavano le loro isole. -Quanti abitanti ci sono a Porto Ipatzia?-

Fu Mondini a rispondere, essendo nativo della città presa in questione. -Poco più di ventiduemila, signore.- esclamò. -E sono sicuro che la maggior parte di esse, almeno tra i più adulti, sarà a nostro favore, così ritengono le mie spie, se non altro.- per qualche istante il Comandante rimase in silenzio ad osservare la mappa. -Anche parte della mia famiglia è tra di loro.-


*


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