Capitolo 3
22 Febbraio
-Eccoli, sono laggiù!- Giulio seguì le voci delle vedette, arrivando in cima ad una scogliera, sita all'incirca a metà strada fra Castel di Baia e Faro Minore, dove si era radunata la maggior parte del corpo d'armata di Rialto.
L'accampamento temporaneo era stato spostato in quella posizione per non gravare sugli abitanti dell'isola. Secondo le disposizioni del comando, solo venti soldati, presi dalla II compagnia erano stati stanziati a Faro Minore, in modo da garantire un servizio d'ordine sulla cittadinanza. Altri centottanta, composti dal resto della II e dalla I compagnia, erano invece alloggiati a Castel di Baia, formando quello che sarebbe divenuto il presidio ufficiale sull'isola. A guerra finita le loro famiglie li avrebbero raggiunti, quindi le compagnie lasciate di stanza erano state scelte su base volontaria, col voto della maggioranza dei soldati.
Gli altri, Giulio incluso, si erano accampati lungo l'unica strada battuta che percorreva l'isola. Quando avevano sentito il suono delle prime cannonate, i soldati erano subito corsi sulla scogliera per vedere cosa stesse succedendo e, constatato che a meno di un miglio e mezzo da loro era in corso una battaglia navale in piena regola, ora più di duemila persone la stavano osservando con interesse fin troppo acceso. I pochi a possedere un cannocchiale stavano osservando i dettagli dello scontro, urlandoli al resto delle truppe, che erano costrette ad aguzzare la vista per scorgere i bastimenti scambiarsi le bordate.
I commenti degli osservatori suscitavano reazioni tra le più disparate presso il resto della truppa: pochi minuti prima avevano esultato per l'abbattimento del bompresso di uno dei vascelli, e ora alcuni di loro stavano addirittura piazzando scommesse sul possibile esito dello scontro.
In quel momento, appena le esultanze si erano placate, uno degli osservatori, un robusto Sergente di mezza età coi capelli già completamente grigi, fece una faccia terrorizzata, discostando l'occhio dalle lenti del cannocchiale.
-Una delle fregate ha preso un brutto colpo!- urlò a piena voce per farsi sentire da quanti più commilitoni possibili. -Il vascello più grosso le ha appena rovesciato una bordata a poppa.-
Ci furono alcuni secondi di silenzio tra le fila dei soldati. Avevano creduto di poter andare incontro ad una vittoria facile, ma questo scontro sul mare, fuori programma e appena iniziato, poteva rendere assai più complesso l'andamento della loro campagna.
-Due zecchini che quella fregata se la cava.- urlò un soldato alzando la mano destra, nella quale stringeva la posta che aveva appena messo in palio. -Chi ci sta?-
*
Il colpo subito era stato davvero brutto: l'albero di mezzana della Libeccio, centrato vicino alla base, si spezzò al di sotto del boma, cascando in mare assieme a tutti e sei i tiratori della coffa e della crocetta. Le palle di cannone avevano attraversato lo scafo da poppa a prua, devastando la cabina grande. Avevano ribaltato ben dieci cannoni, aperto diverse falle nell'opera viva, sbriciolato le lanterne, le cui schegge di vetro avevano fatto scempio degli uomini presenti sul cassero, e danneggiato gravemente l'argano, tanto che ora le gomene delle ancore stavano scivolando rapidamente in mare.
Caminetti, miracolosamente illeso, si rialzò di scatto ansimando e, con le palpitazioni cardiache salite ben oltre la normale frequenza, osservò la sua nave. Cercando di compensare l'ansia del momento, respirò profondamente, sentendo così l'odore della polvere da sparo e del sangue che si sovrapponevano nelle sue narici. Paradossalmente, questo miscuglio di effusioni nauseabonde, gli rimise in moto il cervello, sicché egli comprese al volo la drammaticità della situazione.
Essa era molto, molto grave, ma ancora non disperata, quindi il Capitano capì subito di dover tentare di salvare il salvabile: -Filate per occhio le gomene e sganciate le ancore! Non c'è tempo per riparare l'argano, cerchiamo di alleggerire la nave!- ordinò indicando a prua. Voltatosi, vide l'albero di mezzana che ostacolava i movimenti della nave: bisognava liberarsene.
Tratto un respiro profondo, estrasse la sua daga ed iniziò a colpire le sartie rimaste collegate al grosso troncone: -Tagliamo le cime, tagliamole tutte!- urlò più a sé stesso che ad altri. La sua Libeccio aveva certamente preso una brutta batosta, ma non era ancora sconfitta, quindi andava rimessa in grado di battersi il più in fretta possibile.
*
La battaglia imperversava su tutte le navi ormai: la Leonessa, portandosi col vento in poppa per affiancarsi alla Caradonna, aveva speronato uno dei brigantini che seguivano la scia della Bellabarba, su cui gli artiglieri di Barbaglio avevano rovesciato una seconda bordata, accompagnata da un intenso fuoco di moschetteria proveniente dal ponte. Il brigantino Esfalo, un bel due alberi da dieci cannoni con la linea slanciata ed una polena a forma di diamante, chiamato semplicemente Gioiello, aveva subito in pieno il peso delle cannonate. Esse erano state sufficienti a spezzare entrambi i suoi alberi, tanto che ora giaceva quasi immobile sul mare, con la sola vela di trinchetto ancora al vento e forse venti o trenta persone rimaste vive a bordo. Il suo ponte era diventato un colabrodo e il basso cassero era stato annichilito dai colpi nemici, che lo avevano divelto dalla sua posizione, mandando in pezzi tutti i bagli che lo reggevano. Incredibilmente però, non si erano aperte grosse falle nell'opera viva. La piccola nave forse si sarebbe potuta salvare.
La Caradonna, dopo aver colpito la Libeccio, era passata a prua della Pantera, facendo fuoco su di lei coi pezzi di sinistra. Essi avevano sforacchiato parecchie vele ed abbattuto il pennone di civada ma, a causa di una provvidenziale onda che aveva sollevato lo scafo della nave di linea quasi in concomitanza con la sua bordata, la conta dei danni era terminata lì. Essendo arrivati abbastanza in alto, i proiettili avevano colpito solo l'armo di quella nave dallo scafo stretto, il cui nero specchio di poppa era praticamente una seconda polena, avendo un aspetto che ricordava vagamente il muso di un felino.
In questo modo, il legno Rialtino aveva proseguito la navigazione in condizioni abbastanza buone.
Subito dopo, i ruoli si erano invertiti: la Pantera era passata vicino alla poppa della Caradonna, ma anche in questo caso, i quattordici pezzi da dodici libbre che occupavano ogni fiancata della piccola fregata, non avevano potuto infliggere gravi danni, malgrado il coronamento del vascello Esfalo avesse un aspetto decisamente peggiore ora.
La sua cabina grande era stata invasa dalle schegge di legno e vetro della grande porta-finestra poppiera, così come il quadrato degli ufficiali, che aveva subito una sorte simile. Per la fortuna degli Esfali, nessuna cannonata aveva reciso le cime di trasmissione del timone, quindi a parte alcuni problemi di natura estetica e la dipartita di altri quattro marinai, la nave non aveva subito seri danni.
A sorprendere i nemici nello scontro era stata però la Saetta: il veloce sciabecco stava praticamente ronzando come un insetto attorno alla Bellabarba, sparando solo quando si fosse trovato sulla poppa o sulla prua della nave di linea. Come per la Pantera, anche i ventotto pezzi dello sciabecco Rialtino non potevano certo fare gravi danni alle fiancate di una simile nave, e lo scafo molto leggero di quel tipo di imbarcazione sarebbe stato una facile preda per i cannoni pesanti della Bellabarba. Per questo il comandante della Saetta, una donna un tempo bionda di mezza età incredibilmente alta e corpulenta, chiamata Cristina Bonfiglio, faceva procedere la sua nave in una rotta ellittica. La Saetta virava di prua con un'agilità eccezionale, quindi poteva muoversi attorno al nemico abbastanza agevolmente.
I tre alberi dello sciabecco apparivano bassi, ma le sue tre grandi vele latine tinte di un blu intenso venivano manovrate con una precisione impressionante dai loro gabbieri, che dall'inizio della battaglia non avevano avuto un istante di respiro, ma che stavano permettendo alla loro nave di far sentire molto più forte il peso dei suoi colpi. Almeno dal secondo tentativo in poi.
Il primo passaggio a poppa infatti era stato piuttosto fiacco in termini di cannonate andate a segno. In compenso il secondo, a prua, aveva avuto ottimi risultati: le palle erano arrivate quasi tutte a segno, sbalzando tre cannoni dai loro affusti e sfondando la ruota di prua. Questo aveva fatto cadere in mare i marinai che avevano appena finito di tagliare la trinca del bompresso. Al terzo passaggio, la mira degli artiglieri si era affinata a sufficienza per poter sparare a colpo sicuro, e il quarto era ormai imminente.
Per la Bellabarba quel veliero era un fastidio non da poco. Ormai a bordo i marinai si erano liberati del bompresso spezzato, ma ora molti di loro erano occupati o a chiudere le falle o a pompare acqua fuori dalle sentine. La nave insomma era molto rallentata, considerando che stava finendo nel letto del vento, e non poteva far altro che continuare a sparare appena i cannoni fossero carichi contro chiunque le capitasse a tiro, essendo per lei molto difficile poter tornare manovrabile.
Poco a poco, anche la Principessa era entrata nello scontro: i due brigantini rimasti in grado di muoversi agevolmente, dopo aver evitato di avvicinarsi alla Leonessa, salvandosi così da una sconfitta sicura, avevano attaccato la corvetta a distanza ravvicinata, subendosi in pieno il peso delle sue carronate. Dopo di allora, le tre navi avevano preso la stessa rotta, e ora si cannoneggiavano con il legno Rialtino nel mezzo che sparava da entrambi i lati contro due bersagli molto meno potenti di lei, se presi singolarmente, ma tutt'altro che facili da battere se uniti.
Nel frattempo, a circa un miglio più a sudovest, la piccola Ladra di anime si stava mostrando degna del suo nome: a vele spiegate si era avvicinata alla flotta delle scialuppe, tagliando loro la strada verso la terraferma. Dopo aver scaricato sulle piccole barche i suoi tre pezzi di dritta, mandandone a fondo una e danneggiandone gravemente un'altra, era stata costretta ad iniziare un duello contro la Falce Lunare che, seppur già gravemente danneggiata, aveva una potenza di fuoco ben superiore alla sua, quindi poteva facilmente tenerla impegnata finché le truppe non fossero riuscite a sbarcare.
I soldati sulle scialuppe, con il Colonnello Biscardi in testa, vogavano come dei pazzi, cercando di ridurre la distanza con la terraferma. Erano stipati almeno in cinquanta o sessanta per ogni barca, molti più di quanti ce ne sarebbero dovuti stare normalmente, tanto che la distanza tra il capodibanda delle fragili imbarcazioni e il pelo dell'acqua era di appena una decina di centimetri o poco più. La costa era a solo mezzo miglio ormai, ma comunque troppo lontano per poterlo attraversare a nuoto in poco tempo. Inoltre il passaggio della Ladra di anime non aveva certo reso più semplice la traversata. La sola cannonata nemica andata pienamente a segno aveva spezzato la chiglia di una scialuppa, massacrando quasi la metà degli occupanti e scaraventando gli altri in mare. Essi avevano cercato di salire a nuoto sulla barca più vicina, ma il loro peso aveva fatto imbarcare acqua alla già sovraccarica imbarcazione, tanto che anch'essa ora si stava lentamente inabissando.
La scialuppa danneggiata era ancora a galla, anche se due soldati stavano usando le loro giubbe per tappare la falla, mentre gran parte degli altri, spaventati e in preda al panico, erano intenti a sgottare l'acqua, usando i cappelli come delle spatole per non andare a fondo.
Biscardi, pur rischiando di cadere in preda al panico, capì di non avere scelta: se voleva salvare i suoi soldati, doveva alleggerire le scialuppe di tutto il peso superfluo. Urlò così di gettare a mare tutto ciò che non fosse più che utile, inclusi gli zaini ed i pastrani, tanto con quella vogata stavano già riscaldandosi abbastanza. Molti dei soldati erano restii a farlo, ma pur di non lasciar affogare i propri amici, rischiando a loro volta di incorrere nello stesso fato, iniziarono a obbedire. Zaini, armi, la zavorra, il copertino, i pastrani e le giberne finirono in acqua. Molti soldati si levarono addirittura le giubbe e le gettarono via. Anche l'attrezzatura delle barche venne gettata in mare, tanto galleggiava e avrebbe potuto fornire un appoggio a coloro che non fossero potuti salire a bordo.
Persino i remi subirono la stessa sorte: si preferì conservare solo le pagaie. Dopo questo sacrificio, i soldati rimasti in acqua tentarono di salire. Stipare altri uomini e donne in così poco spazio sarebbe stato difficile, ma lo sembrò molto meno quando una seconda cannonata sfiorò due scialuppe, maciullando tre uomini che annaspavano per rimanere a galla.
Biscardi si rese presto conto che il tempo che gli rimaneva prima che i suoi nemici tornassero a colpirlo era veramente troppo poco: dopo che altri cinque soldati: tre donne e due uomini, furono saliti sulla sua scialuppa, ordinò agli altri di vogare verso terra il più in fretta possibile, e urlò alle altre barche di fare lo stesso. Coloro che fossero rimasti in acqua avrebbero dovuto appoggiarsi agli oggetti buttati in mare e cercare di farsela a nuoto: loro non potevano restare lì un minuto di più, se non volevano perdere ogni possibilità di sbarcare vivi.
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