Capitolo 2 (Parte 2)


-Generale, abbiamo compagnia!- il messaggio arrivò tramite un passa parola fino al cassero della Leonessa dove, seduto sulla panca del coronamento, vi era un uomo di bassa statura decisamente anziano, con la gamba sinistra amputata sotto il ginocchio e sostituita da una protesi di legno intarsiato. Il vecchio appariva assorto nei suoi pensieri, intento a massaggiarsi distrattamente la folta barba grigia che gli copriva mento e collo.

Nella mano sinistra teneva saldamente un bastone con l'impugnatura dorata a forma di testa di leone. Non che quell'oggetto gli servisse per camminare: nonostante i suoi settantadue anni e la sua grave menomazione, Domenico Barbaglio, Capitano Generale della Repubblica di Rialto, era perfettamente in grado di muoversi sul ponte di una nave. Quel bastone, oltre ad indicare il suo ruolo, veniva da lui usato per fingersi debole ed infermo davanti ai suoi nemici. Tuttavia, in realtà quell'uomo era tutt'altro che inoffensivo; coloro che avevano avuto la sfortuna di essergli stati nemici lo sapevano bene.

-Ma non mi dica.- esclamò in tono sarcastico, sorridendo bonariamente. -Chi si è autoinvitato alla nostra festa?-

-Due navi di linea, signore.- rispose un preoccupatissimo Capitano di Corvetta appena assegnatogli come primo ufficiale sull'ammiraglia. Era evidente che non avesse mai navigato con il vecchio prima di allora.

Il Generale rimuginò per un momento: -Devono avere con sé i ricambi della guarnigione di cui mi parlava Fabrizio.- disse infine rialzandosi in piedi con un'espressione imbronciata. Per un momento rimase in silenzio guardando verso l'alto, come se stesse osservando la direzione in cui soffiava il vento.

-Saremo entrambi al traverso, solo da mure differenti.- parlava a voce alta, ma non guardava negli occhi nessuno. -Formeremo una linea di battaglia: noi, la Libeccio, la Scirocco e la Pantera!- ordinò assumendo un tono più severo. -Dopo il primo passaggio, noi ingaggeremo una delle due navi più grosse, le fregate, con l'appoggio della Saetta, penseranno all'altra!-

La Saetta era lo sciabecco che, seppur armato con solo ventotto cannoni di calibro piuttosto basso, avrebbe potuto influire sullo scontro grazie alla sua notevole agilità e manovrabilità. -I brigantini saranno pane per i denti della Principessa e della Ladra di anime. Li abbiam già visti all'opera poche ore fa: non sono capaci di opporre gran resistenza. Ma se necessario daremo loro un altro assaggio delle nostre palle.- rimase in silenzio per un momento, notando che nessuno si stava muovendo. -Su, che aspettate?- esclamò agitando il bastone fin quasi a sbatterlo contro il boma. -Correte ai vostri posti! Caricate quei cannoni e preparatevi alla battaglia. Abbiamo delle cavallette da schiacciare.- aggiunse riferendosi all'appellativo che era usato per indicare i soldati Esfali.

I rinforzi nemici erano arrivati prima del previsto: questo avrebbe reso il compito del Generale molto più complesso, ma non per questo egli si sarebbe tirato indietro. Se gli Esfali desideravano battersi, lui li avrebbe accontentati.

*


Il vento, come notato da Barbaglio, soffiava quasi di traverso alle due flottiglie: con le mure a dritta la squadra di Rialto faceva vela verso ovest-sud-ovest, mentre quella Esfala avanzava verso est-nord-est con le mure a sinistra.

La Caradonna e la Bellabarba procedevano fianco a fianco, distanti circa duecento metri l'una dall'altra, con tre dei brigantini disposti in linea lungo la scia della seconda nave. Il quarto, un dieci cannoni chiamato Falce Lunare, già abbastanza danneggiato dal breve scontro avuto con la squadra nemica, si stava dirigendo verso terra con al vento solo i trevi, per fornire un minimo di protezione alle scialuppe che, sovraccariche di soldati, si muovevano verso terra a suon di remi.

L'altra flottiglia invece, aveva ultimato lo schieramento, con una formazione in linea: la Leonessa procedeva in testa, seguita lungo la propria scia dalle tre fregate: Libeccio, Scirocco e Pantera. La Saetta navigava a circa trecento metri più a sud dell'ammiraglia, ma si muoveva in fretta e presto si sarebbe portata in testa alla squadra, pur non allineandosi ad essa per poter sfruttare al meglio la sua agilità. La Ladra di anime, il piccolo brigantino-goletta da sei cannoni, si stava invece fiondando con ogni vela al vento contro la Falce Lunare, ancora molto distante, chiaramente intenzionata a fare una strage tra le scialuppe Esfali: facile preda per i suoi cannoni. La Principessa invece, essendo piuttosto lenta, era in coda alla formazione, pronta a rovesciare il contenuto delle sue diciotto carronate su chiunque fosse scampato alle sue sorelle maggiori. Quei tozzi pezzi d'artiglieria erano più veloci da ricaricare rispetto ai cannoni, e sparavano proiettili molto più pesanti, ma potevano essere utilizzati solo a distanza ravvicinata, quindi la corvetta dalla poppa tinta di rosa, avrebbe cercato di ingaggiare qualche nemico molto da vicino.

Da un lato sette navi di classi piuttosto diverse, con milleseicento marinai a bordo in totale. Dall'altro due navi di linea a pieno equipaggio, oltre a quattro piccole navi già in parte danneggiate, ma che avrebbero sicuramente cercato di fare la loro parte. Inclusi i soldati rimasti a bordo, c'eran circa millequattrocento persone, oltre a quasi altre seicento in fuga sulle scialuppe.

I numeri non erano a favore degli Esfali in teoria, ma lo era la potenza di fuoco delle due navi maggiori combinate, se si andava a contare il peso della bordata, quindi lo scontro non sarebbe stato affatto impari.

La distanza tra le due flottiglie, col passare dei minuti, si riduceva sempre di più: i cannoni, ormai carichi, erano in batteria. Le coffe erano gremite di tiratori coi moschetti pronti al fuoco. I gabbieri tenevano il fiato, pronti a cambiare la regolazione delle vele appena si fosse passati per la prima volta a fianco al nemico. Gli ufficiali invece respiravano profondamente, cercando di rimanere calmi e di non mostrare paura ai propri sottoposti: sapevano di dover dare l'esempio.

Sul cassero della Caradonna, il Capitano Tancredi si levò il tricorno e lo gettò nel lucernario che dava alla sua cabina: in combattimento gli sarebbe stato d'impiccio, ed ormai la cabina era stata sgombrata di tutto ciò che conteneva, portato nelle stive per evitare che venisse danneggiato.

Sul cassero della Leonessa, il Capitano Generale Barbaglio si reggeva al parapetto che stava a prua della doppia ruota del timone, e osservava il suo nemico avvicinarsi. Non aveva indosso la giubba: nonostante l'aria fosse piuttosto fredda, se la teneva semplicemente appoggiata sulle spalle, pronto a levarsela in tutta fretta qualora fosse stato abbordato. I suoi capelli bianchi, portati sciolti e lunghi fin quasi alla base del collo, ondeggiavano nel vento e il suo volto continuava a mostrare un mesto sorriso pacifico. Un sorriso che, non appena la prua della sua nave passò in mezzo alle due nemiche, si tramutò in un terrificante ghigno sdentato.

-Fuoco!-

*


Le fiancate della Leonessa sembrarono di colpo incendiarsi. Passando in mezzo alle navi nemiche, tutti i pezzi del vascello Rialtino fecero fuoco di fila man mano che la prua di un legno nemico entrava nel loro raggio d'azione, vomitando centinaia di chili di ghisa addosso agli scafi rossi e bruni.

La Bellabarba perse il bompresso. Colpito da diversi colpi all'altezza della polena, raffigurante un azzimato uomo dalla folta barba, che si ritrovò senza più la testa e le spalle. Il grosso palo si spezzò, cascando in mare a dritta della nave, e iniziando a frenarne parzialmente la corsa, essendo ancora trattenuto dalla trinca, talmente ben stretta da non lasciarlo andare nemmeno in quella circostanza. La Caradonna fu più fortunata: nessun albero o bompresso venne perso nella prima bordata, ma non ne uscì comunque indenne: diversi colpi trapassarono lo scafo, tanto che non meno di cinque cannoni del lato di dritta vennero sbalzati dai propri affusti, schiacciando chiunque si trovasse vicino ad essi.

Le bordate unite delle due navi Esfali, non fecero certo bene neanche all'ammiraglia Rialtina: la scala centrale, che garantiva l'accesso al castello di prua, venne fatta a pezzi, con le schegge che sfrecciarono per il ponte ferendo vari marinai. Le sartie sinistre di maestra furono quasi tutte spezzate all'altezza delle bigotte, facendo precipitare due marinai sul ponte ed un terzo in mare. Due cannoni di dritta vennero sbalzati dagli affusti e nelle vele si aprirono alcuni buchi, ma a parte quelli, i danni furono abbastanza contenuti.

Appena la poppa della Leonessa fu al di fuori della portata dei cannoni nemici, Barbaglio, fortuitamente rimasto indenne, si sporse per leggere i nomi delle navi nemiche.

-Bene: iniziamo a strambare, ci affiancheremo alla...- si interruppe per voltare il capo e rileggerli. -Alla Caradonna e la ingaggeremo in un uno contro uno.-

-Signore, aspetti.- lo interpellò sottovoce il primo ufficiale indicando a prua. -Noi non possiamo strambare subito. I brigantini nemici sarebbero proprio sulla nostra rotta: rischieremmo di speronarli.-

Il Generale lo guardò con un'occhiata che pareva una via di mezzo tra il compassionevole e il sadico: -E quale sarebbe il problema?-


*


Tancredi si rialzò in piedi faticosamente: aveva perso l'equilibrio quando la bordata nemica era andata a segno. Ed il suo cassero era la prova del fatto che fossero stati centrati in pieno. Guggiana fortunatamente era vivo: aveva preso personalmente il timone, ordinando di virare per affiancarsi al vascello di linea nemico ed ingaggiarlo in un uno contro uno. A parte lui però, il Capitano non vedeva nessuno attorno a sé. Tremariti era stato fatto a pezzi da una cannonata: se ne intravedevano appena i resti spappolati sul cassero. Lo stesso si poteva dire del timoniere, che era stato sbriciolato come tre delle manopole della ruota del timone stesso. La campana era stata sbalzata dal suo supporto, ed ora giaceva sulla pancia di un soldato, che si lamentava sia per le gambe perse che per il notevole peso che ora sentiva sullo stomaco.

Rialzatosi però, Tancredi notò che i danni subiti dalla Caradonna non erano particolarmente gravi. Fastidiosi, quello sì, ma almeno sulla coperta, non certo influenti per quanto poteva riguardare l'esito della battaglia. Il solo problema era che prima di poter affrontare di nuovo il vascello, si sarebbero trovati sulla rotta delle fregate. Nella loro operazione di strambo, sarebbero probabilmente passati tra la poppa della prima e la prua della seconda, il che significava sorbirsi almeno una bordata di ciascuna di esse.

Tuttavia, se i suoi marinai avessero terminato di ricaricare i cannoni in tempo, avrebbero potuto sparare una bordata d'infilata ad entrambe le navi, che le avrebbe certamente danneggiate abbastanza gravemente, dando agli Esfali un notevole vantaggio nello scontro, prima ancora di aver ingaggiato seriamente l'ammiraglia nemica. Il Capitano scelse quindi di non annullare l'ordine del suo primo ufficiale, lasciando che la manovra procedesse senza intoppi.

I marinai, ripresisi rapidamente dallo shock, bracciarono i pennoni e lascarono le scotte della randa, dei fiocchi e delle vele di strallo, man mano che la prua del vascello andava a orientarsi verso meridione. Non era ancora passato mezzo minuto dall'inizio della manovra quando i cannoni della Libeccio aprirono il fuoco.


*


La fregata Rialtina era rimasta lungo la scia della sua ammiraglia, passando così tra la Caradonna, ancora intenta a strambare, e la Bellabarba, la cui ciurma si stava arrabattando per liberarsi del bompresso spezzato, che non faceva altro che frenarne i movimenti. Entrambe le navi nemiche erano passate da meno di un minuto sotto i colpi della Leonessa: troppo poco tempo perché i pesanti pezzi che armavano potessero essere già stati ricaricati. Questo permise alla Libeccio di passare totalmente incolume in mezzo ai suoi nemici, facendo fuoco contro le loro fiancate in piena sicurezza.

I cannoni di una fregata, contro una nave di linea servono a poco: i danni che avrebbero potuto causare una quindicina di proiettili per lato sarebbero stati piuttosto irrisori. Quindi il Capitano di Vascello Caminetti, al comando della sua nave, ordinò agli artiglieri di mirare basso, in modo da cercare di aprire delle falle nei robusti scafi nemici. La Libeccio era troppo bassa per poter massacrare gli equipaggi in coperta; sparare alle troniere sarebbe stato utile ma rischioso: i colpi sarebbero potuti rimbalzare sui cannoni, mettendoli sì fuori uso, ma liberando dalle loro incombenze vari marinai nemici, che avrebbero potuto andare in forza alle altre batterie, rendendone più rapida la ricarica. Il modo migliore per togliere uomini dalla possibilità di combattere, era dar loro qualcosa di urgente da fare, e cosa poteva essere più urgente che salvare la propria nave da un pericolo di affondamento?

I proiettili colpirono in massima parte vicino alla linea di galleggiamento: non si sarebbe potuto stimare facilmente quanti di essi avessero inferto seri danni ma, vicino allo scafo della Bellabarba, iniziarono a emergere diverse bolle d'aria, segno che l'acqua stava entrando nello scafo da qualche falla.

Caminetti si concesse una breve esultanza, poi ordinò di portarsi a poppa della loro nemica ferita: era il momento di affondare il coltello nella piaga ma, mentre le manovre erano iniziate, la Caradonna completò la virata, mettendo il suo fianco di dritta a non più di ottanta metri a poppa del coronamento della Libeccio.

Fu solo allora che il Capitano comprese il pericolo che stava correndo: tremando di paura, ebbe appena il tempo di urlare alla ciurma di mettersi al riparo e di gettarsi di pancia sul pagliolato, prima che le cannonate del vascello nemico sconquassassero la sua nave da poppa a prua.

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