Capitolo 5

Il suono di una musica familiare rimbombò nelle orecchie di Layla, costringendola a svegliarsi.
Mosse le braccia cercando di raggiungere il suo telefono e metterlo a tacere: l'aver scelto "God put a smile upon your face" dei Coldplay, come sveglia, pensava l'avrebbe in qualche modo aiutata a carburare meglio di prima mattina, ma nemmeno il suo gruppo preferito sembrava in grado di rendere meno tragico il distacco dal letto.

Si sollevò con la schiena mettendosi seduta, recuperando finalmente lo smartphone dal comodino e bloccando la melodia.
Quando guardò l'orario sullo schermo si portò bruscamente la mano alla fronte imprecando sonoramente, ben consapevole che sua madre non avrebbe potuto sentirla, data l'ora.

Si era tragicamente dimenticata di anticipare la sveglia, scordandosi del suo defunto scooter, e ritrovandosi costretta a riporre -per l'ennesima volta- le sue speranze nella bontà d'animo di uno dei suoi amici.

"Puoi passarmi a prendere?" digitò in fretta sullo smartphone, inviando il messaggio a Jonathan e scattando in piedi subito dopo.

Lasciata la sua stanza, percorse in fretta il corridoio, godendo del fresco che il parquet regalava ai suoi piedi passo dopo passo, e rinchiudendosi in bagno per concedersi una veloce rinfrescata.
Fortunatamente, al suo rientro in camera, il messaggio di Jon riuscì a calmarla, regalandole qualche minuto in più del previsto per scegliere l'abbigliamento.
Infilati un paio di jeans e recuperata una felpa leggera in cotone blu da indossare sulla t-shirt bianca, scese al piano di sotto per scoprire cosa l'aspettava per colazione.

Un post-it, lasciato in bella vista sul bancone in marmo scuro della cucina da sua madre, le augurava il buongiorno, invitandola a bere il succo al gusto ace che era in frigo e ad aprire il sacchetto di carta bianca sul quale era incollato.

Ben presto, però, il suono del clacson dell'auto di Jonathan la costrinse a interrompere il momento di pace che stava vivendo assieme alla ciambella ricoperta di cioccolato bianco, dono di una madre premurosa.

Corse verso l'ingresso lasciando a metà il suo pasto: sapeva che a Jon non piaceva aspettare e non le andava di discutere di prima mattina, almeno non quella mattina.
Gettò le chiavi di casa all'interno dello zaino, recuperato dal divano del salotto, e, finalmente, si chiuse la porta di casa alle spalle raggiungendo la vettura di Jon.

«Immagino che dovrò fare tappa fissa queste mattine, vero?» disse il ragazzo allungandosi verso di lei per salutarla, non appena si posizionò sul sedile del passeggero.

«C'è bisogno di chiederlo? Piuttosto, nel weekend mi aiuti a capire cos'ha che non va quel catorcio, altrimenti rischio di lasciarlo nel garage a vita.» rispose lei prontamente, dando per scontato che l'amico l'avrebbe aiutata con la moto «A proposito di weekend...»

«Se ti fossi degnata di rispondere alle nostre chiamate ieri,» esclamò Jon in tono accusatorio, interrompendo la frase dell'amica «sapresti che per venerdì abbiamo già una mezza soluzione.»

«Mezza?» chiese Layla corrucciando la fronte.

«La notte a largo ce la possiamo scordare. Ma ho pensato che possiamo rimediare usando la barca dei genitori di Kat. Quella che suo padre usava per pescare nel lago.»

«Tu sei un genio, Jò.» gridò Layla spaventando Jon, che a momenti non inchiodava per il tono decisamente troppo alto della compagna «Pinewood Lake è un'ottima soluzione. Dobbiamo solo capire come convincere la signora Smith.»

«Non le diremo nulla, ovvio.» affermò lui facendo spallucce «Come ogni anno.»

«Come ogni anno, giusto.» ripeté Layla annuendo, spostando gli occhi alla sua destra, oltre il finestrino, per guardare il mare dal quale si stavano allontanando.

Erano quattro anni, ormai, che ripetevano lo stesso rito. Il primo venerdì sera, della prima settimana di scuola, i tre migliori amici, all'oscuro dei genitori, abbandonavano le loro abitazioni per incontrarsi al molo 27, dove la piccola imbarcazione, ereditata da Jon, era pronta ad accoglierli.
Quello che facevano non era nulla di avventato o pericoloso, ma le emozioni che quell'unica nottata regalava ad ognuno dei tre, aiutavano a consolidare la loro amicizia anno dopo anno.

Muniti solo di coperte, snack salati e litri di coca cola, conducevano l'imbarcazione al largo, là dove il cielo si fondeva col mare creando un'unica e infinita distesa scura, che sembrava quasi inghiottire il piccolo gozzo* in vetroresina blu che li trasportava.
Gettata l'ancora si divertivano dapprima a puntare le torce verso il cielo, sfidandosi a riconoscere le varie costellazioni e ad inventarne di nuove, per poi stringersi l'un l'altra sotto le coperte a raccontarsi ogni segreto, dal più intimo al più banale, dal più felice al più doloroso.
L'anno prima, ricordava Layla, la loro piccola fuga l'aiutò a venir fuori dalla corazza che si era costruita intorno nei precedenti mesi. La notizia della morte di suo padre le era arrivata pochi giorni prima del suo compleanno, ma, con la complicità di sua madre, aveva deciso di tenere la cosa nascosta a tutti, persino ai suoi Jò e Kat.
Nella loro notte, però, riuscì finalmente ad aprirsi, confessando il segreto che si portava dentro: la vergogna provata per l'indifferenza che l'aveva avvolta quando la novella era giunta in famiglia.
I due non la giudicarono, riuscendo, anzi, ad alleggerirle il peso di una vergogna inutile: conoscevano il suo passato, conoscevano i trascorsi di sua madre e la reazione di Layla era tutt'altro che sbagliata.

Quest'anno, si diceva Layla, la loro notte sarebbe stata di certo meno malinconica, visto che l'argomento principale sarebbe stato il breve viaggio a New York che si era regalata assieme a Kat, con la quale aveva deciso di risparmiare i dettagli a Jon fino al tanto atteso venerdì sera.

Dopo svariati minuti trascorsi in silenzio, Jon la ridestò dai suoi pensieri, chiedendole di più sul malore del giorno prima e sul perché avesse ignorato il telefono per tutta la serata.
Layla prese a raccontare di come si era goduta il pomeriggio a guardare film horror con sua madre, accoccolate l'una all'altra come non capitava da tempo. Rosaline, infatti, era fuori casa praticamente sette giorni su sette, a causa del duro percorso lavorativo che aveva intrapreso ormai da anni e che Layla sperava, un giorno, di poter gestire con la sua stessa tempra.

Proseguì scusandosi con l'amico, sottolineando ulteriormente che l'aver la mamma in casa di pomeriggio era, ormai, un evento talmente raro da farle completamente dimenticare della promessa, fatta a lui e a Kat, di riunirsi per cena.

Raggiunto il parcheggio della Clearwater High School, i due scesero dall'auto, cercando tra la folla di studenti la chioma rossa della loro amica. Solitamente era un'impresa tutt'altro che difficile per loro individuarla: col suo metro e ottanta di altezza e il colore acceso dei capelli non passava mai inosservata.
Quella mattina, tuttavia, Kat sembrava essersi mimetizzata fin troppo bene tra la calca ma, svariati minuti dopo, quando finalmente i due si decisero a recuperare i rispettivi telefoni per chiamarla, Jon e Lay capirono il perché dell'assenza dell'amica.

«Dovresti pensare di ridipingerla di giallo, sai?» disse Layla, prendendo a ridere sguaiatamente nel vedere l'amico che, rassegnato, tornava verso lo sportello lato guidatore della sua macchina.

«Non è divertente, Lalla.» rispose lui in tono seccato «Un giorno sarete voi a scarrozzarmi a destra e a manca, sei avvisata.»

Layla, divertita, cominciò a muoversi verso il lato opposto dell'auto, per far compagnia a Jon lungo il tragitto che li separava da casa di Katharine, vittima, anche lei, di un'auto troppo vecchia e troppo poco curata che aveva deciso di abbandonarla appena fuori il cortile del suo palazzo.

La ragazza, però, si bloccò quando una figura scura, per metà nascosta dal fitto fogliame dei boschi attorno all'area, attirò la sua attenzione.
Con la mano ancora saldamente avvinghiata alla maniglia dello sportello, si alzò sulla punta dei piedi strizzando gli occhi, per cercare di vedere qualche dettaglio in più di quella strana ombra che stava dal lato opposto del parcheggio.
Le parve di scorgere un profilo maschile, dalla barba rossiccia e dal naso aquilino, che spiccava al di sotto del cappuccio nero di una felpa dello stesso colore. L'attenzione dell'uomo sembrava essere puntata alla destra di Layla, che ruotò velocemente la testa per capire chi o cosa stesse fissando.

Pochi metri più avanti, Judith era appena scesa dall'auto sportiva di Gerry, che la seguiva a ruota accompagnato da Will.
Layla si chiese quale razza di maniaco si appostasse ai confini del parcheggio di una scuola superiore per fissare, in modo tutt'altro che discreto, una ragazza tranquilla come la sua amica Judy, tornando subito dopo con lo sguardo all'uomo incappucciato che ora, però, aveva cambiato obiettivo.
Le iridi completamente nere, come il resto dell'occhio, puntate nella sua direzione, la fecero, per un istante, rabbrividire ma, nonostante la raccapricciante immagine, provava una sensazione ben diversa dalla paura.

Jon, spazientito, mise in moto l'auto, pigiando uno dei bottoni sulla sua sinistra e abbassando il finestrino che dava su Layla: «Lalla, allora? Entri o no?»

La ragazza tornò a battere le palpebre, chinandosi appena verso il veicolo e muovendo qualche passo indietro.
«Mi sono ricordata di aver lasciato una cosa in infermeria ieri, voglio recuperarla prima delle lezioni. Tu vai, ci vediamo dentro.» farfugliò in risposta all'amico, rivolgendogli soltanto una fugace occhiata.

Sbuffando, Jon ingranò la retromarcia, facendo manovra davanti a Layla e interponendosi per poco tra lei e la figura misteriosa, interrompendo, così, il loro contatto visivo.

La ragazza, avvertita una lieve fitta alle tempie, chiuse gli occhi portandosi una mano alla testa, tenendosi con l'altra al pick-up verde parcheggiato alla sua sinistra. Scosse il capo istintivamente, per cercare di ricacciare quel dolore, lieve ma pungente, e si sforzò di tornare con gli occhi aperti, curiosa di scoprire di più sullo strano uomo.

La figura parve essersi volatilizzata, ma quando Layla fece scorrere lo sguardo tra gli alberi, riuscì finalmente a scorgerlo: nascosto per metà dietro il robusto tronco di una quercia, l'uomo era ancora lì a rivolgersi a lei.

L'unico occhio visibile era ancora completamente nero e puntava dritto a lei, proprio come il braccio teso che l'uomo sollevò lentamente per additarla.

«Io la Luce. Io la Vita. Io la Prescelta.» Le parole si disegnarono sulle morbide labbra di Layla che, come in trance, cominciò a camminare verso la figura.

*Il gozzo è una piccola barca da pesca a motore, di quelle che si vedono solitamente nei porticcioli delle città marittime.
Non volevo troppo dilungarmi in dettagliate descrizioni dell'imbarcazione che, per un po', non incontreremo nella storia; ho preferito quindi lasciarvi questo appunto, accompagnato da un'immagine dimostrativa.

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