Capitolo 26

«Cosa c'è? Ne hai uno anche tu e ti scandalizzi per il mio?» domandò istintivamente Leon a Layla, guardando l'espressione stupita che le si era disegnata in viso.

«No, è che... è bellissimo! È complicato ma piccolo e delicato allo stesso tempo.»
Layla non si rese conto che la sua mano era tornata ad avvolgere quella di Leon. La tirò a sé e si sporse in avanti sul tavolino, tracciando con un dito le linee nere e definite che abbellivano il sottile avambraccio del ragazzo.

All'interno di una cornice triangolare vi erano disegnate quattro piccole palme, molto semplici, stilizzate, distinguibili solo per le grandi foglie della chioma. Il terreno su cui poggiavano era stato disegnato per mezzo di alcuni singoli puntini distanziati tra loro, per spezzare il bianco perlato della pelle di Leon.
Come sfondo delle dune irregolari sembravano voler raggiungere quello che doveva essere il cielo, limpido e privo di nuvole, con un semplice cerchio al centro che fuoriusciva dalla punta del triangolo.
Che fosse il sole o la luna non era possibile saperlo, ma la figura canina che seduta al centro tra le quattro palme volgeva lo sguardo al cielo mimando un ululato le fece pensare che fosse un lupo intento a cantare al chiar di luna.

Insolito e affascinante.
Una scelta stramba ma poetica allo stesso tempo.

«Non avevo mai visto un lupo nel deserto. È stupendo.» gli disse un attimo prima di avere un piccolo sussulto.

Anche Leon si era sporto in avanti sul tavolo, forse per permetterle di guardare meglio il suo tatuaggio, e così, quando Layla sollevò la testa, si ritrovò a pochi centimetri da quelle pozze di acqua cristallina che sembravano scrutarla tanto attentamente da volerla inghiottire.
Fu una sorpresa ritrovarsi a così pochi centimetri da lui. Chissà se si era accorto della piccola esitazione che Layla aveva avuto.
Se lo chiese nello stesso istante in cui aveva sussultato, e in quello stesso momento avvertì il cuore aumentare il ritmo.
Sentiva il battito accelerare, uno strano ma piacevole calore infondersi dal petto fino a salire verso il collo.
Era vergogna? Insomma, chi è che si spaventa davanti a un bel ragazzo che, disponibile, si è avvicinato per assecondarti? L'avrebbe presa per matta. Sarebbe presto scappato a gambe levate da lì, lontano da lei e da tutte le sue stramberie.

«È uno sciacallo» le disse d'un tratto abbassando lo sguardo verso il disegno, «ulula alla luce dell'alba.»

Finalmente era riuscita a cacciar via tutti i soliti pessimi pensieri bizzarri che s'impadronivano della sua testa quando era in preda al nervosismo.
Leon le aveva bloccato lo sproloquio mentale quasi sul nascere ma, nonostante ciò, quel senso di disagio, forse vergogna, ancora non era sparito.

«Oh...» fu l'unico suono che riuscì ad uscirle dalle labbra.
In realtà trovava quasi divertente l'appunto che gli aveva fatto, tanto che stava per fare una battuta a riguardo. Chiuse gli occhi per un velocissimo secondo, abbozzò un sorriso e si bagnò le labbra con un gesto veloce della lingua pronta a rispondergli.

Le parole le si annodarono in gola quando sollevò lo sguardo dal tatuaggio per volgerlo al volto di Leon.
Le sembrò di essersi appena tuffata nelle acque gelide di un torrente: la stava fissando, non una sola espressione gli si leggeva in viso. Due sfere di ghiaccio cristallino contornate da folte ciglia nere erano puntate su di lei e il brivido che le salì dai fianchi lungo tutto la schiena la lasciò senza fiato.
Per la prima volta in vita sua era bloccata, non un suono che le uscisse dalla bocca.

Deglutì e lasciò la presa sul braccio del ragazzo.
Lentamente ordinò alle sue gambe di rilassarsi e, come se si trovasse davanti a una tigre che ha puntato la sua preda, ancora più lentamente cominciò a tirarsi indietro per scivolare sulla sedia e tornare a sedersi, distanziandosi da lui.

Il loro contatto visivo non si era interrotto neanche per un istante. Si sentiva presa, sopraffatta. Come se Leon in qualche modo le stesse guardando dentro e prendendo pian piano possesso di ogni sua volontà.
Non riusciva a smettere di fissarlo.
Si era forzata di sedersi, di far ricadere le braccia sulle gambe e di far aderire per bene la spina dorsale allo schienale, ma guardare una qualsiasi altra cosa diversa dai suoi occhi sembrava impossibile.

Che cosa le stava succedendo? Che cosa le stava facendo? Chissà se si sentivano così i marinai ammaliati dal canto delle sirene di cui parlavano le leggende.

Leon non stava cantando. Non aveva mosso un muscolo né del volto nè del corpo da quando aveva parlato del tatuaggio. Era ancora chino in avanti, mezzo busto che sfiorava il tavolino e la mano protesa verso di lei.

Leon non stava cantando, non con la sua voce almeno. Era il suo sguardo ad ammaliarla. A trasportarla con una melodia inudìbile che sembrava risvegliare in lei qualcosa.

Con un cenno delle dita la invitò a prendergli di nuovo la mano.
«Guarda meglio.» un sussurro, flebile e delicato.
Il braccio di Layla si mosse senza che lei potesse rendersene conto. Stava ancora cercando di capire come avesse potuto pronunciare quelle parole senza aver mosso le labbra quando si accorse che le sue dita erano tornate ad avvolgere quelle di Leon.
S'intrecciarono e in quel momento le sembrò di essere legata a lui per sempre e da sempre.

Il respiro si fece lento, il cuore tornò a battere regolarmente. Lo sentiva ritmico infondere tranquillità ad ogni fibra del suo corpo. Rassicurante e calmo. Il disagio, la vergogna, la spavento, il dubbio... scivolati via.

Allungò la mano rimasta libera e con l'indice tornò a ricalcare le linee del tatuaggio.
Il contatto con lo sguardo di Leon svanì: le palpebre si erano fatte pesanti e le avevano concesso sollievo.
Gli occhi socchiusi, le labbra serrate e le dita che disegnavano ancora e ancora quel tatuaggio che ormai aveva memorizzato.

Sentiva la sabbia grattarle le caviglie e il sole picchiare forte sulla pelle. Un odore intenso, acre e deciso aveva preso il posto della brezza marina che l'aveva cullata fino ad un attimo prima.
Prese una boccata piena d'aria e trattenne il respiro.

«Layla?» la voce di Leon era nella sua testa.

Pace. Ecco cosa stava provando. Un senso di pace e sicurezza che non aveva mai provato prima. Qualcosa di paragonabile solo all'abbraccio di sua madre.
Ma perché? Perché era tutto così strano e così familiare? Perché si sentiva così solo per un fugace gioco di mani?

«Layla?» quella voce. Di nuovo.
Non era la voce di Leon. Ne era sicura. Era una voce che non aveva mai sentito prima ma che sapeva di conoscere bene.

Le dita smisero di carezzargli il polso. Scivolarono lungo il palmo del ragazzo e vi si avvinghiarono.
Che stava facendo? Stava stringendo con tutte le sue forze le mani di Leon e non poteva farne a meno. Sentiva la voce che la chiamava sempre più lontana. La pace l'abbandonava. Il calore si dissipava. E Layla non poteva far altro che stringere ancora più forte. Voleva aggrapparsi a quella sensazione, voleva afferrarla così come afferrava la sua mano. Non poteva svanire così. Ne aveva bisogno, aveva bisogno di sentirsi così. Elevata. Leggera. Completa.

Ne voleva ancora. Non poteva farne a meno.
Aveva voglia di urlare, di gridare a squarciagola e di poter restare immobile in quell'istante senza mai provare nient'altro che quell'estasi.

Si accorse che la mano che stringeva non era più quella di Leon. Era più morbida, calda e vellutata.
Invece di essere abbandonata alla sua morsa si era avvinghiata a sua volta alle dita di Layla e la stava tirando.

«Layla!» ancora una volta sentì quella voce. Chiara e forte le troneggiò in testa echeggiando da una tempia all'altra. Aveva sovrastato ogni altra sensazione e d'un tratto smise di precipitare in quell'olio di calma che la stava divorando.

Spalancò gli occhi e lasciò che l'ossigeno le gonfiasse il petto.
Le sembrò di essere stata via ore intere. Che il fiato le mancasse da un eternità e di essere stata tanto lontana quanto non lo fosse mai stata prima... senza essersi mai mossa.

Con uno scatto ritirò le braccia e tornò a sedersi così in fretta che per poco non perdeva l'equilibrio.
Il palmo di Leon portava rossi i segni dei suoi polpastrelli e Layla istintivamente spalancò la bocca sussurrando un imbarazzato "Scusami".

Lui le stava sorridendo. Le labbra appena dischiuse e un angolo della bocca che puntava all'insù disegnando una fossetta.

«Tutto ok?» le chiese, cercando di infonderle tranquillità «Per un secondo ho pensato volessi rubarmi la mano.»

Layla abbozzò un sorriso. Si scusò di nuovo e si ordinò di ricomporsi. Leon era tornato a stuzzicarla con lo sguardo. Non sembrava più assente con lo sguardo perso a guardarsi intorno come aveva fatto poco primo né intento a fissarla.

Si sentì nuovamente a suo agio e, quando stava cercando di mettere ordine nella sua testa per trovare le parole giuste da dirgli, la cameriera si presentò al tavolo con il loro ordine.

«Scusate l'attesa,» esclamò, ammiccando verso Leon, la paffuta ragazza in divisa bordeaux che portava il vassoio «con questo caldo abbiamo sempre un gran da fare.»

Non ascoltò neanche lo scambio di battute dei due.
Era troppo presa a ripetersi che era tutto a posto. Che l'unica cosa che doveva fare era ricordarsi di respirare e godersi quel pomeriggio assolato in dolce compagnia. Sentiva gran parte della testa formicolare e le fu impossibile non associare quel turbinio di emozioni che aveva vissuto agli acuti attacchi di emicrania che la accompagnavano sempre più frequentemente.

Si meritava tranquillità e aveva bisogno di distrarsi e divertirsi. Avrebbe parlato a Leon dei suoi mal di testa e poi lo avrebbe convinto a passeggiare sul lungomare e a strappargli qualche informazione.
Le piaceva, non poteva negarlo. Magari il suo cuore batteva così all'impazzata perché lui era quello giusto.
Sognava da sempre un amore sincero, spontaneo, di quelli che ti cambiano repentinamente come un fulmine che squarcia un cielo terso.

Forse era arrivata la sua occasione ed era il momento di abbracciare tutta la positività del mondo e di acchiappare la palla al balzo.
Osservò la cameriera allontanarsi e si preparò una battuta per canzonarlo, pensando di coglierlo in flagrante mentre la spiava sottecchi e invece dovette frettolosamente preparare un piano b.
Era lei l'unica che Leon stava guardando. Sempre e solo con quell'aria compiaciuta e lo sguardo sicuro di sè. Layla si forzò di non arrossire e lasciò che i suoi occhi si socchiudessero per far spazio al grande e spontaneo sorriso che le si disegnò in volto.

«Allora, mi fai assaggiare un po' del tuo gelato?»

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