Capitolo 9

Le lezioni del falsario Faria divennero un appuntamento quotidiano: ci andavamo tutti i giorni per due ore al giorno, escluse le feste, una volta finiti i compiti; eravamo felici nella casa del signor Ulisse, sentivamo di poter esprimere i nostri talenti fino in fondo: io apprendevo i segreti dell'arte antica, moderna e contemporanea, del restauro, della distinzione tra opere vere e falsi talmente ben fatti da sembrarlo; Emma affinava le sue tecniche nel disegno: il suo tratteggio era delicato, ma deciso; imparò a disegnare di tutto, anche le composizioni floreali rimasero il suo marchio di fabbrica.
Passavamo meno tempo in cortile, al punto che temevo che i nostri amici di sempre avessero cominciato a considerarci due snob.

                                     ***

E invece mi sbagliavo: erano tutti curiosi di sapere che tipo era il falsario, cosa ci insegnava e come ci trattava, riempiendo me ed Emma di domande.
La più gettonata era, ovviamente: "Ma è vero che il signor Faria si occupa di magia nera?"
La prima volta che Viviana ce la rivolse, Emma si divertì ad assecondarla, alimentando i suoi timori.
<< Oh sì, pensa che lì da lui ha un pentolone al piano di sopra, dove mescola unghie di legno, uova marcie, code di rospo e organi di bambini, e ce la voleva fare assaggiare! >> raccontò con una voce cupa, come se stesse narrando una storia dell'orrore.
Viviana, Gilda, Diana e Alice trasalirono; Orlando, Carmine e Giovanni si guardarono tra loro atterriti; rivolsi ad Emma uno sguardo scandalizzato: perché doveva spaventarli così?
Non appena il suo racconto ebbe l'effetto sortito, si mise a ridere di gusto, buttando la testa all'indietro.
<< Guardate che scherzavo! Il signor Ulisse mica c'ha il pentolone delle streghe in casa, e non si occupa di magia nera... Sono i nostri genitori che ci hanno riempito di cazzate per non farci andare da lui, e voi ci avete pure creduto! >> li tranquillizzò.
Pensai che non fosse affatto divertente quello che Emma aveva fatto, e mi scusai per lei con gli altri.

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Maggio lasciò il posto a giugno: prima ci fu il compleanno di Emma, poi la partenza di mezzo Quartiere per le vacanze; quell'anno guardai Modica con occhi diversi: adesso sapevo più cose sulla Sicilia barocca, mi sentivo di custodire, grazie alle conoscenze datemi dal signor Ulisse, una sapienza vastissima e importante per il mondo.
Mi chiesi se anche Emma vedesse Marina di Pisciotta da un altro punto di vista.
Ma quel settembre del 1988, la mia terra d'origine fu il teatro di un tris di eventi sanguinosi che aprirono la stagione autunnale, diffondendo i suoi echi fin nel Quartiere: il 14 settembre infatti venne ucciso a sessantanove anni, a Trapani, il giudice antimafia Alberto Giacomelli; il 24 dello stesso mese venne assassinato a Palermo Antonino Saetta, membro della Corte d'appello, insieme a suo figlio Stefano, sulla statale Agrigento-Caltanissetta; infine il 25 fu la volta di Mauro Rostagno, giornalista e sociologo del movimento Lotta Continua, anche lui fatto secco da Cosa Nostra.
Di queste cose noi bambini non ne capivamo veramente il significato, non solo perché gli adulti non perdevano tempo a parlarcene, ma anche perché dalle nostre parti il confine tra bene e male era talmente sottile che il giudizio dei grandi poteva arrivare alle nostre orecchie deformato, potevamo intendere che tutti quei martiri se l'erano cercata per essere andati a stuzzicare chi non dovevano.
Ma fortunatamente, a otto anni i bambini non hanno idea di cosa sia il concetto di illazione, e quindi da un certo punto in poi le parole velenose dei nostri familiari cadevano nel vuoto.

                                      ***

I morti ammazzati in Sicilia erano solo la punta dell'iceberg di un'Italia che, da Nord a Sud, stava espiando i peccati degli Anni di Piombo: durante i mesi estivi c'erano stati i processi per la Strage di Bologna del 1980 e per l'omicidio del commissario Luigi Calabresi del 1972: i colpevoli, dichiaratamente terroristi, erano stati arrestati e condannati all'ergastolo; mancava solo che uscissero fuori gli autori della Strage di Piazza Fontana e il quadro dell'espiazione sarebbe stato completo o quasi - sarebbero rimaste delle zone d'ombra, d'altronde ne rimangono sempre alcune, pur con tutte le buone intenzioni.
E poi c'era il contesto della Guerra Fredda con cui fare i conti: il mondo, specialmente nel Blocco Est, manifestava sempre più insofferenza per il Muro di Berlino, per la Cortina di Ferro, per le due superpotenze - gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica - che si scannavano più o meno apertamente fra di loro e chi ci rimetteva erano i Paesi che stavano in mezzo, in particolar modo la Germania, dove la famiglia di mia madre aveva dei cugini sparpagliati tra Berlino Est e Berlino Ovest, costretti a stare separati dal 1961; le telefonate che avvenivano tra lei e la cugina Sofia non erano tra le migliori: quest'ultima le raccontava che chiunque osasse anche solo provare a superare il Muro per andare dall'altra parte - gli spostamenti avvenivano da Est verso Ovest, dove si stava meglio - veniva arrestato e fucilato come traditore del Regime Comunista, per cui chi voleva andarsene aveva preso l'abitudine alternativa di passare sottoterra, scavando dei tunnel come le talpe; ma siccome si trattava di gente molto intrepida o molto disperata, mia zia Sofia sentiva che lei e i suoi familiari non appartenevano a nessuna di quelle due categorie, e che non erano tipi da vie sotterranee.

                                      ***

E con questa consapevolezza arrivammo a ridosso delle vacanze di Natale, che cominciarono con un evento molto importante: il politico palestinese Yasser Arafat era venuto in visita a Città del Vaticano per incontrare il Papa; la sua presenza rappresentava il cosiddetto Terzo Mondo inteso come l'insieme di paesi di religione islamica che non avevano aderito né all'ideologia americana né a quella dell'URSS, e che venivano tenuti sott'occhio da entrambe le superpotenze proprio perché avevano, specialmente in Medioriente, una grande riserva di petrolio; in televisione dava l'idea di una persona molto autorevole, di quelli che hanno nelle mani le sorti del pianeta.
La curiosità su di lui sfumò presto in quanto il giorno successivo era la Vigilia di Natale e il Quartiere si riempiva dei parenti degli abitanti: arrivavano intorno al 22 dicembre e se ne andavano il 7 gennaio, e portavano leccornie di tutte le origini e provenienze, come accadeva quando tornavamo in città alla fine dell'estate: i miei nonni paterni, contadini siciliani, si lamentavano sempre dell'aria inquinata di Roma e chiedevano a mio padre come avesse ancora i polmoni integri e funzionanti; i fratelli e le sorelle di mio padre parlavano da due anni del focolaio che era diventata Palermo durante gli anni del maxiprocesso alla mafia; i miei cugini erano sia più grandi che più piccoli di me, parlavano con forte accento siculo e mi avevano insegnato a costruire le fionde e a suonare lo scacciapensieri.
I familiari di mia madre erano fatti di tutt'altra pasta: non potevano vedere mio padre e i suoi parenti, li guardavano dall'alto in basso perché loro erano romani de roma e non avevano mai accettato che lei avesse sposato un uomo del profondo Sud che l'aveva fatta stabilire fino in culo alla Capitale; durante la preparazione delle cene e dei pranzi, perciò, i Finelli e i Ferrucci cercavano di incrociarsi il meno possibile, deponendo l'ascia di guerra soltanto intorno al tavolo: solo davanti al cibo si ritenevano tutti uguali.

                                     ***

L'altra festa degna di rilevanza nel Quartiere era Capodanno: tutti gli abitanti maschi, nessuno escluso, aspettavano il 31 dicembre per sfoggiare i fuochi d'artificio e dare il via a vere e proprie battaglie tra inquilini, sulle terrazze dei vari casermoni; noi la chiamavamo la "guerra dei botti".
La gente acquistava la merce a settembre e la riponeva nelle cantine fino al pomeriggio dell'ultimo dell'anno, quando andava a testare la qualità dei prodotti, il cui repertorio era talmente vasto da fare invidia ai botti di Napoli - alcuni parenti di qualche condomino li portavano direttamente da lì: miniciccioli, petardi, girandole, trick track, stelle, cannoli, rendini, sfunni, controbombe, bombe oscure, bombe giapponesi, pupatelle, bombe spente, pied' 'e Maradona.
I padri e i figli maggiori si mettevano sui parapetti, ad armeggiare con i botti; le donne e i bambini stavano dietro, per evitare che si facessero male; la guerra cominciava a mezzanotte dell'anno nuovo, dopo il countdown che le madri e i figli facevano mentre salivano in terrazza dopo i maschi, che si muovevano un quarto d'ora prima, ma l'euforia per queste sfide cominciava dall'inizio della giornata del 31 dicembre; i vincitori se ne vantavano fino all'anno successivo.
Crescendo ho imparato a capire di quanto ci divertissimo con poco, in una maniera da far scandalizzare le normative sulla quiete pubblica, ma allora quello spettacolo mi pareva la fine del mondo.
L'unico a non partecipare a tutto questo era il falsario: non era credente e pensava che i botti fossero da pacchiani, per cui partiva per Parigi il 21 dicembre e tornava i primi di gennaio, unendo l'utile al dilettevole e concludendo grandi affari; Emma e io non vedevamo l'ora che tornasse.

                                      ***

Tornò proprio il primo di gennaio, Emma e io lo vedemmo rientrare dal cortile.
<< Salve, signor Ulisse, ha fatto buon viaggio? >> chiesi educatamente.
<< Che domande, Leti! Certo che ha fatto buon viaggio, chissà che affari ha concluso! Vero, signor Ulisse, che è tornato più ricco di prima? >> intervenne Emma, come sempre senza peli sulla lingua.
<< Emma! >> esclamai scandalizzata.
<< La tua amica ha ragione, Parigi sotto le feste è un ottimo luogo per fare affari. Sicuramente più di qui... >> rispose Faria tra il divertito e il rassegnato.
<< Peccato. Si è perso uno spettacolo fighissimo >> affermò lei, alludendo alla guerra dei botti.
<< Immagino... >> commentò lui roteando gli occhi e facendo per entrare nel portone.
<< Hanno sparato un finale pirotecnico che ha scritto nel cielo "1989"! Una cosa così sono convinta che non si vede, a Parigi! >> continuò imperterrita Emma, nonostante lui ci avesse già voltato le spalle.
Si girò un attimo.
<< Ci vediamo dopo il 7 gennaio, prima ho da fare >> disse solo, prima di salire le scale: di solito prendeva l'ascensore, ma in quel momento sarebbe stato impossibile, visto che ci avevano fatto esplodere un botto dentro e avevano squagliato le porte.
<< Era necessario dirgli quella cosa del finale pirotecnico? >> domandai ad Emma, guardandola con rimprovero.
<< Certo che sì. Nessuno è mai contento di saltare la guerra dei botti, è uno degli eventi del Quartiere, uno dei pochi che conosciamo davvero! >> mi ribadì, come se fosse una cosa ovvia.
E io non seppi cosa dire, perché come al solito aveva ragione lei: per quanto il falsario tentasse di farci vedere al di là del nostro angusto mondo, avevamo ancora troppa poca esperienza per apprezzarlo davvero.

               

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