Capitolo 7

Da bambini non si è né carne né pesce, almeno nella fascia compresa tra i sei e gli otto anni: il mondo ruota intorno a te, si trasforma e si manifesta in tutti i suoi molteplici aspetti, ma senza che lasci su di te un segno particolarmente indelebile - traumatico o meno che sia; è dagli otto anni in poi che comincia a formarsi una consapevolezza, anche se minima, di voler prendere una piega nella vita, magari non si sa bene quale, ma comunque una piega.
E così comincia a fioccare la classica domanda: "Cosa vuoi fare da grande?", alla quale si sentono le più disparate risposte - l'astronauta, l'ingegnere, l'insegnante, l'avvocato.
A noi bambini del Quartiere non è stata fatta questa domanda da persone che non fossero i maestri elementari, anche perché non era particolarmente utile: chiunque provenisse da qui era ovvio che avrebbe avuto nel DNA un destino da criminale, da poveraccio o da "copertura", ossia avrebbe ereditato dai genitori un'attività con una parte d'affari legale e una illegale.
E alla fine neanche gli insegnanti erano più troppo convinti, nel rivolgerci un simile quesito.

***

Io, a dire la verità, ne avevo ancora sette, ma un sogno in grande ce l'avevo: dal primo anno delle elementari mi piaceva la storia antica, e pensavo dentro di me che la mia missione di vita, un giorno, sarebbe stato occuparmene.
A dire la verità di antico, nel Quartiere, non c'era molto, a parte la mentalità degli adulti; il complesso abitativo "Riccardo Anceschi" era stato costruito in pieno Boom Economico, su terreni sopra ai quali forse nemmeno la vita dei popoli più antichi s'era spinta, forse quella dei preistorici, che fortunatamente erano troppo poco intelligenti per capire il brutto che avevano intorno.
Tuttavia la maestra Francesca sosteneva che la città di Roma era costituita da nove strati, ognuno di essi dato dal fatto che la gente dell'epoca, invece di espandere la città, la inabissava e ci costruiva sopra: come una fenice, l'Urbe risorgeva dalle proprie ceneri di secolo in secolo; a me questa logica affascinava moltissimo, perché pensavo che si potesse fare lo stesso col Quartiere, che bastasse interrarlo per lasciarci alle spalle tutti i suoi orrori, l'oggi orrendo sotterrato da un domani splendido, e così via.

***

Per quanto fossi attratta dal mondo antico, non ero completamente convinta che quello sarebbe stato il mio destino, al contrario di Emma: lei credeva che con il disegno avrebbe cambiato la sua vita, lasciandosi per sempre alle spalle il Quartiere; io invidiavo questa sua sicurezza, avrei voluto averne almeno la metà.
Ma fu in quel maggio del 1988 che questa mia passioncella per la storia si tramutò in un amore bruciante, e a dare inizio a quella svolta fu proprio Emma.
Come quasi tutti i pomeriggi, ci trovavamo all'ultimo piano dell'Incompiuta, quando misi un piede malamente nel pavimento di legno e temetti sul serio di farmi male: quel palazzo era tutto pericolante, noi non avremmo nemmeno dovuto essere lì.
Ma allo spavento subentrò subito la curiosità per qualcosa che avevo percepito sotto la suola della scarpa.
<< C'è qualcosa sotto quest'asse! >> esclamai, mettendomi a cercare in quel punto preciso.
<< Cosa, Leti? >> chiese freneticamente Emma, gli occhi azzurri avidi di risposte.
Ci mettemmo a frugare insieme sotto l'asse alzata: l'oggetto che si presentò al mio tatto era piccolo e tondo.
Lo tirai fuori e ci mettemmo a guardarlo con attenzione: un oggetto simile lo avevamo visto solo nei libri di scuola, e mai avremmo immaginato di trovarlo lì. Era un sesterzio, la più comune moneta del sistema di pagamento dell'Antica Roma: come era finita fino a lì, duemila anni dopo, in cima ad un palazzo incompleto, nella più profonda periferia dell'Urbe?
<< Qualcuno ha trovato questa moneta tempo fa, e l'ha nascosta qui come un tesoro >> sentenziò Emma.
<< E chi può essere stato? Gli occupanti abusivi non hanno nemmeno studiato, di solito... >> commentai.
<< Magari è un occupante istruito. O il proprietario >> ipotizzò lei.
<< Cosa ne facciamo? >> domandai allora.
<< Ovvio, lo teniamo tutto per noi. Sarà il nostro tesoro, ma prima dobbiamo provare che non è una fregatura! >> esclamò, cominciando ad avviarsi. La seguii di corsa, in cerca di una spiegazione.

***

<< Emma, aspetta! Che intendi dire con "fregatura"? >> le corsi dietro, sulla via del ritorno.
<< Lo sai anche tu >> rispose, come se le stessi dicendo qualcosa di lapalissiano.
<< Anche io cosa? >> chiesi.
<< Andiamo da Faria. Lui conosce un sacco di cose sul mondo antico >> mi comunicò.
<< Da Faria? I nostri genitori ci ammazzano, se saliamo fin lassù! >> esclamai.
<< Che ci ammazzino pure, almeno ne sarà valsa la pena! Io non mollo finché non avrò una spiegazione! >> replicò lei.
<< E anche se fosse, chi ti dice che ci aiuta, quello lì? O ci sbatte la porta in faccia, o si prende il sesterzio e se lo rivende, e noi non lo rivediamo più! >> le ricordai.
<< Non lo farà, e lo sai perché? >> mi sfidò.
<< No, perché? >> feci.
<< Perché è solo una piccola moneta romana, e lui tratta delle robe molto più importanti. Se contrabbandasse solo cose come il nostro tesoro, allora sarebbe un poveraccio! >> dichiarò affrettando il passo, il sesterzio che tintinnava nella tasca del suo vestito.

***

Se c'era qualcuno che poteva spiegarci di più sul "tesoro", quello era davvero Ulisse Faria, il falsario che viveva all'ultimo piano del nostro palazzo.
Ulisse Faria aveva quarantatré anni, era alto e brizzolato, con occhi scuri, piccoli e scintillanti: da giovane doveva essere stato molto bello e pieno di donne, ma la sua compagna di vita era l'arte, che aveva sposato in tutti i sensi, collezionandola, rubandola, replicandola e rivendendola a clienti facoltosi, con cui concludeva grandi affari; per questo era uno degli uomini più ricchi del Quartiere.
Abitava in cima alla nostra scala, proprio sotto il terrazzo, che aveva coperto per un tratto ricavandone la sua base operativa; era un vero e proprio abuso edilizio, ma anche una Wunderkamer da quello che avevamo capito, una stanza delle meraviglie che faceva venire la Sindrome di Stendhal non appena ci entravi: quadri, statue e capitelli di tutte le età e provenienze si alternavano a tele, pennelli e scalpelli con cui riproduceva perfettamente le opere.
A noi bambini era proibito salire fin da lui: proprio come il suo omonimo de "Il conte di Montecristo", l'Abate Faria, era considerato un sapiente un po' misterioso e suonato, e i nostri genitori, per tenerci lontani, ci dicevano che si occupava di magia nera; ovviamente, più ci ordinavano di stargli alla larga, più eravamo incuriositi e affascinati dalla sua figura. Ubbidivamo alle nostre famiglie solo per non prendere lividi inutili.

***

Decidemmo di andare da lui quel pomeriggio stesso, con la sicurezza che i nostri genitori non si sarebbero mai chiesti cosa facevamo esattamente, sapendo che a quell'ora eravamo a giocare con gli altri.
Emma mi aspettava sul pianerottolo: era più nervosa del solito, con i capelli rossi che sembravano più sconvolti del solito e gli occhi azzurri che parevano febbricitanti.
<< Ma quanto ci hai messo? >> mi domandò impaziente.
<< Dovevo assicurarmi che mia madre fosse abbastanza distratta >> risposi.
<< Sbrighiamoci, che magari poi non restano distratti a lungo! >> mi esortò cominciando a salire le scale alla volta dell'appartamento di Faria.
La seguii, pur rimanendo indietro: d'altra parte era lei quella intrepida.
La sensazione che provai salendo le scale che portavano alla "bottega del falsario" fu diversa da quella provata nel dirigermi in cima all'Incompiuta: almeno lì, a parte il rischio di trovare occupanti abusivi, non ci aspettavamo di trovare nient'altro; invece la nomea di stregone che s'era fatto Faria mi faceva venire le gambe molli durante la salita.
L'unica cosa che mi spingeva a tornarmene a casa era il fatto che con me ci fosse Emma: lei non temeva niente e nessuno, con quel suo coraggio assurdo che sfociava nell'incoscienza, e semmai il falsario avesse tentato di ucciderci per fare di noi le vittime sacrificali per i suoi presunti esperimenti di magia nera, avrebbe lottato fino alla fine per difendere entrambe e impedirglielo.
Tuttavia quando fummo all'ultimo gradino prima della porta dell'appartamento, la sua sicurezza parve vacillare, così la raggiunsi, mettendomi di fianco a lei; ci prendemmo per mano, prima di suonare il campanello.

***

Dal momento in cui suonammo a quello in cui Faria ci aprì la porta passarono alcuni lunghi, interminabili minuti, scanditi dal passato lungo del falsario che si dirigeva a vedere chi lo cercasse a quell'ora; fu sorpreso nel vedere che non si trattava di qualcuno venuto per i suoi servigi, ma la figlia del fioraio e quella del pizzaiolo.
<< E voi che cosa ci fate qui? >> ci chiese, squadrandoci da capo a piedi. Quel suo sguardo penetrante mi metteva paura, sembrava leggermi dentro.
Emma, invece, riusciva a sostenerlo, ostentando un'aria di sfida.
<< Vogliamo il suo aiuto >> esordì in modo diretto.
<< E quale aiuto posso dare io, Ulisse Faria il falsario, alla figlia maggiore dei Ferranti e alla figlia di mezzo dei Finelli? >> domandò, cercando di capire se la mia amica ci fosse o ci facesse.
<< Vogliamo il suo aiuto perché sono tutti ignoranti e lei è l'unico che ha studiato abbastanza da spiegarci cos'è questo >> rispose lei, tirando fuori dalla tasca il sesterzio e mostrandolo a Faria.
L'uomo guardò prima Emma e me, poi la moneta romana. Infine sorrise.
<< Venite con me >> disse, invitandoci ad entrare in casa sua.
Emma stava per farlo, ma la fermai.
<< Veramente noi... >> intervenni, temendo che le voci su di lui fossero vere.
<< Non mi dite che avete paura di me... >> ci sfidò lui, con tono di sfottò.
<< No che non ce l'abbiamo! >> fece Emma, mollando la mia presa con una strattonata e dirigendosi all'interno dell'appartamento. La imitai, pur con qualche remora. Faria chiuse la porta.

***

La casa del signor Ulisse era esattamente come me l'ero immaginata: si articolava su due piani, il decimo e una porzione di terrazzo condominiale, collegati tra loro da un'elegante scala a chiocciola; si era sicuramente sistemato lassù per non essere disturbato da noialtri abitanti del palazzo.
L'appartamento originario aveva tre camere più i servizi, come tutti quelli dei casermoni: una camera da letto, uno studio pieno di libri e una camera da pranzo finemente decorata, con un tavolo rotondo al centro con otto sedie il cui significato ci rendeva perplesse, visto che il falsario stava sempre da solo.
Ma la nostra attenzione fu principalmente rivolta al materiale che riempiva l'appartamento: pur avendo la maggior parte della refurtiva di sopra, anche il resto dell'abitazione aveva sparsi, nelle varie stanze, opere di varie epoche, tele da disegno piccole e grandi, e ovviamente attrezzi del mestiere.
<< Allora, ragazzine, siete ancora convinte che io pratichi la magia nera? >> ci provocò sorridendo, sfoggiando un congiuntivo che quasi mai sentivamo declinare perfettamente nel Quartiere.
<< Ancora un po', ma almeno adesso sappiamo che lei è bravo a parlare in italiano. Il congiuntivo è arabo quasi per tutti, perfino la maestra Francesca qualche volta li toppa >> rispose Emma.
<< La vostra maestra adatta la cultura alla vostra età, ma ai sesterzi dovreste esserci arrivate con la storia. Perché non avete chiesto a lei? >> volle sapere Faria.
<< Perché il sesterzio l'abbiamo trovato all'Incompiuta, e la maestra lo avrebbe preso e portato a qualcuno di esperto, e non lo avremmo rivisto più >> confessò lei. La guardai storta: non solo aveva rivelato al signor Ulisse il nostro rifugio, ma ci aveva fatto fare la figura delle contrabbandiere pari a lui.
<< E siete venute da me, pur sapendo che sono un falsario... >> continuò l'uomo.
<< Lei non vuole mica prenderselo, vero? >> scattai subito.
Faria rise di gusto, la testa reclinata all'indietro.
<< E cosa dovrebbe fregarmi di un sesterzio? >> domandò poi.
<< Niente. Perché sarebbe povero se si interessasse solo di questi >> replicò Emma.
<< Non ti si può nascondere niente... >> osservò il signor Faria.
<< No, non le si può nascondere niente >> sospirai guardandola.
<< Venite con me, voglio farvi vedere una cosa >> decretò lui.

***

Lo seguimmo su per la scala a chiocciola e ci trovammo finalmente nella Wunderkamer di cui parlavano gli adulti come se fosse un luogo affascinante e pericoloso: era una stanza con due grandi finestre che davano sul terrazzo, più una portafinestra da cui vi si accedeva.
Era un luogo pieno di roba proveniente da tutto il mondo, che catalizzava l'attenzione di chiunque le osservasse e che faceva venire l'impressione di essere in una di quelle città del mediterraneo piene di mercati frequentati da gente di tutte le etnie, come il mercato di Ballarò a Palermo o i bazar di metropoli del Nordafrica come Tunisi, Marrakesh o Tangeri.
<< Questo posto è meraviglioso... >> osservai con gli occhi spalancati.
<< Ne fossero tutti convinti, in questo posto... Gli abitanti di qui sono troppo intenti a fare più soldi possibili. Molta gente, nel mio campo, aspira al denaro e si dimentica delle bellezze che passano tra le sue mani, l'importanza che hanno queste bellezze nel mondo... >> sospirò Faria con aria melanconica.
<< La bellezza salverà il mondo, anche se il mondo non vuole essere salvato >> pensai ad alta voce.
<< Esatto, Letizia. E quel sesterzio che avete trovato all'Incompiuta ne è la prova: è stato coniato durante l'età imperiale, ha conosciuto il Medioevo, il Rinascimento, il Barocco, il Neoclassicismo, il Romanticismo, il postmoderno e l'arte contemporanea. Ha visto le stirpi nascere, crescere e scomparire, fino a noi. La bellezza può trovarsi anche in mezzo al brutto >> affermò, per poi rivolgere lo sguardo verso Emma, che mentre non guardavamo aveva tolto il telo di dosso a un quadro bellissimo, che raffigurava alcune fanciulle bionde.
<< Quello è un quadro pre-raffaelita, cioè dipinto prima che si diffondesse lo stile di Raffaello. I quadri pre-raffaeliti rappresentano un tipo di bellezza incontaminata, incorrotta, il più alto esempio che ci sia. Hanno dato inizio a una filosofia di vita, seguita da Oscar Wilde e da Gabriele D'Annunzio >> spiegò il signor Ulisse.
<< Un giorno disegnerò anche meglio di questo tizio. Deve insegnarmi lei >> fece Emma, guardandolo dal basso verso l'alto.
<< No, non si può fare. Non dovreste nemmeno essere qui, anzi, andate via adesso prima che i vostri genitori si facciano rodere >> rispose Faria, diventando nervoso. Ci alzammo e lui ci accompagnò prima di sotto e poi alla porta.
<< Perché non ci insegna qualcosa? Che ha paura dei nostri genitori, per caso? >> insistette Emma, prima che ci chiudesse la porta in faccia.
<< Mi sa che lo hai fatto arrabbiare >> le dissi.
<< Lo sai che non è vero. Ha paura che i nostri genitori possano menarlo a sangue non appena lo incontrano. Ma tanto non si sono accorti di niente, altrimenti sarebbero già venuti a portarci giù con la forza >> obiettò tranquillamente lei, cominciando a scendere le scale. Sperai che avesse ragione.

***

E invece quando rientrai mi accolse uno schiaffo di mia madre che per poco non mi fece girare su me stessa.
<< Io vi ho fatti venire su praticamente liberi, a te e ai tuoi fratelli. Solo alcune regole vi avevo dato, e tra queste c'era di non salire da quel falsario di Faria! Come hai potuto infrangere questa regola? Chi ti credi di essere, con quell'aria da principessa che ci guarda tutti dall'alto in basso? Sei una stronza ingrata che si crede stocazzo, ma ricordati che non sei nessuno! >> berciò, mentre i miei fratelli osservavano la scena: Dario era sinceramente dispiaciuto per me, ma Simona aveva un'espressione di soddisfazione, come se ci godesse nel vedermi umiliata.
Mia madre aveva scomodato anche mio padre, descrivendogli la nostra visita a Faria come il più grave dei peccati, solo che lui si limitava a fissarmi con le braccia conserte: le sfuriate le lasciava a lei.
<< Ma mamma, il signor Ulisse non è cattivo... >> provai a replicare.
<< Non me ne frega un cazzo, se è cattivo o meno. Io ti avevo ordinato di non andarci, ma tu ti sei lasciata abbindolare da quell'indemoniata della tua amica... Mi dispiace solo per i genitori che sono brava gente, ma non l'hanno mai saputa educare! >> ribatté mia madre, iniziando a sputare veleno sui Ferranti.
<< Clelia, non ti sembra di esagerare adesso? >> s'intromise mio padre. Il suo intervento mi parve la mano della Provvidenza.
<< Esagerare? Nostra figlia ha calpestato la nostra autorità e tu non dici niente, come al solito... Sei un cretino, Calò, un un uomo senza carattere, ecco perché 'sta piccola pezza di merda fa tutto quello che vuole! >> lo aggredì mia madre. Fortunatamente ci era abituato.
<< Lo sai bene come la penso. Gli schiaffi, le sgridate e le punizioni non hanno mai davvero effetto. Bisogna risolvere le cose trovando una soluzione intelligente >> ribatté mio padre. << Ragazzi, adesso andate di là che io e vostra madre cerchiamo di ragionare >> aggiunse poi, rivolgendosi a noi bambini. Ce ne tornammo in camera nostra, e Dario si mise a giocare per conto suo; Simona aspettò che fosse abbastanza distratto per avvicinarsi a me con aria tronfia e carica di disprezzo.
<< Spero proprio che la mamma e il papà troveranno una punizione talmente dura da spianarti la cresta. Meno male che li ho avvertiti, mentre tu e quella stronzetta di Emma sgattaiolavate dal falsario! >> esclamò.
<< Sei stata tu a fare la spia? >> domandai scioccata.
<< Sì, e lo rifarei >> ribadì lei.
<< Mi fai pena, Simo. Mi fai pena perché sei vuota, perché non ti piace niente a parte comandare e schifare gli altri. Vaffanculo, vaffanculo veramente! >> ribattei, uscendo in balcone.
Rivolsi lo sguardo al balcone del piano di sopra, aspettavo di vedere come avessero reagito i genitori di Emma.

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