Capitolo 63

Da quando nasciamo impariamo a stare al mondo con un unico imperativo categorico, quello di desiderare sempre il meglio per noi stessi e per la nostra vita, soprattutto quando il nostro punto di partenza è il peggio; ma quando questo meglio arriva non ci sentiamo in grado di prendercelo, come se non ce lo meritassimo, perché non l'abbiamo mai conosciuto e tutto ciò che non conosciamo ci mette l'angoscia, ci vediamo all'improvviso privati di quei limiti che dicevamo di disprezzare ma che ci facevano sentire segretamente al sicuro.
E cominciamo a pensare che forse si stava meglio quando si stava peggio, che magari eravamo già felici e non lo sapevamo, che quel "meglio" a cui aspettavamo l'avevamo trovato in quel "meno peggio" in cui c'eravamo rifugiati dopo tanto tribolare, come quando approdi sulla riva del mare dopo aver affrontato la tempesta, e non hai motivo di andare verso una terra ignota che potrebbe non accettarti, perché li ci sono la spiaggia, il sole, la distesa d'acqua che hai ormai lasciato alle spalle, hai tutto quello che ti serve per stare in pace, quasi un nuovo grembo materno, un limbo dal quale i nuovi orizzonti sono un punto lontano, più un argomento di conversazione che una meta veramente ambita.

                                     ***

Era per questo che mi sentivo impreparata a riaprire il mio cuore a Gabriele, forse perché dopo averlo tanto aspettato non mi sembrava vero che il destino ci stesse offrendo di nuovo un'opportunità: mi ero rassegnata a vederlo come un sogno lontano e impossibile, di bambina, e dopo tutti quegli anni, da una parte mi stava bene così.
Successe alla festa di fidanzamento di Dario e Marta, a cui sarebbe a breve seguito il matrimonio prima che lei cominciasse a mostrare i segni della sua gravidanza. Eravamo da soli in cucina.
<< Certo che erano predestinati, non c'è che dire... >> esordì.
<< Loro sicuramente. Ma rappresentano un'eccezione. Il destino non ci azzecca sempre: anche di noi lo dicevano, e abbiamo passato vent'anni della nostra vita a inseguirci senza incontrarci mai >> sospirai.
<< Chi ti dice che non possiamo rimediare? >> mi provocò, sorridendo furbo.
Io lo guardai come se avesse appena pronunciato una blasfemia.
<< Non ti sembra un po' tardi per i rigurgiti di coscienza? >> risposi piccata.
<< Non si tratta di un rigurgito di coscienza >> precisò.
<< E che cos'è, uno sfizio, una scommessa? Non abbiamo più quindici anni, abbiamo superato i trenta e non possiamo più permetterci certi atteggiamenti leggeri >> replicai.
<< E se ti dicessi che faccio sul serio? >> mi sfidò.
Lo guardai di nuovo, stavolta come se ci fossero due Gabriele, che il secondo fosse l'opposto del primo e che lo avesse momentaneamente sostituito.
<< Non stai scherzando, vero? >> mi volli sincerare.
<< Sono sempre stato innamorato di te, anche se non l'ho mai capito. Mi vuoi sposare? >> disse, mettendosi in ginocchio.
In un'altra occasione gli avrei rinfacciato che l'unica donna a farla da padrona nella sua mente era sempre stata Emma, ma forse avevo talmente bisogno di sentirmi dire parole simili da lui, che mi parve sincero.
<< Sì, lo voglio! >> esclamai, e lo baciai come desideravo di fare da anni.
Un rumore di piatti che si rompevano attirò la nostra attenzione: mia madre era appena entrata in cucina, e aveva l'aria di chi voleva una spiegazione e alla svelta.

                                      ***

<< Ma si può sapere che sta succedendo qui? >> esordì, noncurante dei cocci sparpagliati per terra.
<< Ti possiamo spiegare... >> mi affrettai a rispondere.
<< Sarà meglio, perché già c'abbiamo tanti cazzi per via di tuo fratello, che s'è fatto incastrare per bene da Marta Ferranti... >> commentò lei acida.
<< Dario e Marta si amano. E anche Gabriele e io >> dissi coraggiosamente.
<< Tu e questo qui? >> fece mia madre, squadrando Gabriele con aria di sfottò.
<< Signora Clelia, io so che non nutre la benché minima stima nei miei confronti, ma ho capito di amare sua figlia, e ho intenzione di fare sul serio. Le ho chiesto di sposarmi >> confessò lui a suo rischio e pericolo: avevo paura che lei, sentendosi sfidare a quel modo, gli avrebbe tirato i cocci dei piatti in faccia fino a quando non lo avesse ridotto ad una maschera di sangue.
Invece, dopo un interminabile minuto di silenzio, alzò gli occhi nella mia direzione.
<< Sei incinta, Leti? >> domandò.
<< No, non lo sono >> replicai. Nella sua mentalità ristretta, una decisione repentina di sposarsi era causata da una gravidanza scomoda, e ad una gravidanza scomoda era conseguente un matrimonio riparatore.
<< Quindi mi state dicendo che vi sposate per amore? >> chiese ancora.
<< Esatto, signora Clelia >> dichiarò Gabriele.
<< Beh, meglio così. Almeno qualcuno ti si è pigliata di nuovo, e tuo padre e io non ti dobbiamo tenere sul groppone per sempre. Ci hai levato un grosso problema >> concluse lei, prendendo la scopa e il prendimmondizia che stavano lì accanto e cominciò a togliere i cocci da per terra senza dire una parola.
Gabriele e io ci guardammo: non era esattamente una benedizione, ma era comunque meglio di niente. Ce la facemmo bastare.

                                      ***

Ci misi qualche giorno a trovare il coraggio di dire ad Emma che avevo vinto io, che nonostante il suo perenne ascendente su Gabriele, alla fine lui aveva scelto di sposarsi con me. Suonai a casa sua sperando di trovarla, anche se sarei stata più sicura di trovarla in piazza principale,  impegnata com'era con le composizioni floreali per il matrimonio della sorella minore con Dario.
Fu proprio lei ad aprirmi.
<< Ciao >> la salutai.
<< Ciao. Mi devi dire qualcosa? >> intuì. Non le sfuggiva mai niente.
<< Mi sposo >> risposi.
<< Ah, di nuovo? >> domandò lei.
<< Mi sposo con Gabriele. Me lo ha chiesto qualche giorno fa >> replicai in tono piatto.
<< E tu con questa faccia me lo comunichi? >> fece in tono gioviale, con un sorriso a trentadue denti.
<< E come te lo dovrei dire? In un certo senso ha sempre preferito te... >> ammisi, portando alla luce sospetti e certezze accumulate nei loro confronti per anni e anni.
<< Ma alla fine ha scelto te. E poi io lo sapevo, prima che tu me lo venissi a comunicare >> dichiarò.
<< Seriamente? >> mi stupii.
<< Siamo nate in un luogo di grandissimi pettegoli, dovresti averlo imparato >> commentò. << Ho fatto il caffè, ne vuoi una tazzina? >> aggiunse poi, invitandomi ad entrare.
<< Ok >> accettai, entrando in casa.
L'abitazione non era cambiata molto negli anni, e sia Emma che Carmine era gente che amava l'ordine e il bello. Se non fosse stato per le canoniche tre stanze più i servizi, non sembrava neanche un appartamento del Quartiere.
Si diresse in cucina, dove la moka aveva tirato su quasi tutto il caffè; Emma spense il fornello della macchina del gas, poi prese due tazzine dalla mensola, un piattino su cui le posizionò insieme alla moka e mise tutto sul tavolo della cucina.
Versò il caffè in silenzio, senza che nessuna di noi due parlasse per un po'. Poi però fu lei a ricominciare.
<< Zucchero? >> domandò, prendendone il barattolo e un cucchiaino per versarlo.
<< Un cucchiaino >> dissi. Lei ce lo mise, poi ne aggiunse uno a lei stessa.
Riprese il silenzio, prima della comunicazione che volle farmi.
<< Forse Carmine e io facciamo un figlio >> confessò.
<< Ah >> feci, spiazzata da quella decisione improvvisa. In cinque anni di matrimonio lei non ne aveva mai voluti, forse per fare come le pareva coi suoi amanti, e ovviamente Carmine non osava controbattere.
<< È tutto qui quello che sai dire? Sei madre, dovresti farmi i complimenti >> osservò.
<< Io sarei anche contenta, ma perché adesso? Non ne hai mai sentita l'esigenza, forse quel povero cristo di Carmine sì, ma tu no. Avrai forse deciso di mettere la testa a posto? >> ribattei, ancora perplessa da quella sua svolta di moglie irreprensibile.
<< Capita a tutti, prima o poi >> concluse tranquillamente, soffiando sul suo caffè prima di berlo.

                                     ***

Un antico proverbio afferma che la mela non cade mai troppo lontano dall'albero, e che per questo finiamo sempre per somigliare un po' ai nostri genitori: ci pensai dopo la conversazione con Emma; infatti, con quel suo desiderio improvviso di diventare madre, sembrava proprio che stesse per appendere al chiodo lo spirito ribelle che l'aveva sempre caratterizzata e che stesse cominciando a somigliare alla signora Amanda, come se i geni di casalinga sottomessa si stessero manifestando in lei senza che si opponesse.
Quando esposi la mia tesi a Gabriele, lui non fece altro che scherzarci sopra, alle soglie del nostro matrimonio, ipotizzando il suo suicidio la notte prima delle nostre nozze; tutto questo ingigantì le mie preoccupazioni, perché non fu solo l'idea di perderlo per sempre ad impressionarmi, ma anche il pensiero che forse aveva ragione Elena Ferrante, l'autrice del ciclo di libri de "L'amica geniale", che i nostri genitori ce li coviamo dentro come un destino e che perciò, prima o poi sarebbe successo anche a noi due quello che stava accadendo ad Emma, e cioè che prima o poi da Gabriele sarebbe saltato fuori l'animo romantico e disperato di Gaetano Altieri, mentre dalla mia figura incerta sarebbe emersa mia madre con la sua natura disfattista e la sua lingua tagliente che non risparmiava mai nessuno.

                                    ***

Prima di noi si sposarono Dario e Marta: si trattava di un matrimonio frettoloso, affinché non emergesse che lei era incinta, ma la mia famiglia e i Ferranti non si fecero certo mancare niente, anzi, come sfarzo ricordava quasi l'unione tra Laura Martini e Giovanni Santini.
Nonostante fosse una bellissima giornata di giugno, col sole splendente e senza una nuvola, non mi sentivo molto bene: mi ero svegliata con un senso di pesantezza alla testa, come se fossi stata sveglia per tutta la notte quando invece avevo dormito.
Per di più mi veniva da vomitare, avevo lo stomaco letteralmente sottosopra: l'ultima volta che mi ero sentita così ero incinta di Camilla.
Un pensiero fisso si fece largo nella mia mente, pensiero che divenne certezza quando entrai nel bagno, fortunatamente vuoto, mi attaccai alla tazza del cesso e rigettai tutti i miei dubbi; era di Gabriele, e sebbene mi disgustasse l'idea di un matrimonio riparatore anche per noi, anche nel nostro caso sarebbe andata in questo modo.
Dovevo assolutamente parlargliene.

                                     ***

Ci riuscii a rinfresco già cominciato: essendo la sorella dello sposo, mi ritrovavo continuamente impegnata in foto di gruppo e domande sulla mia vita e su cosa ne pensavo della nuova coppia; sentivo risuonare l'ipocrisia nelle parole di chiunque si rivolgesse a me: dodici anni prima mi avevano considerata tutti una pazza, nel Quartiere, perché volevo continuare a studiare all'università, e adesso invece non facevano che complimentarsi con me e con le mie scelte.
Non vedevo l'ora che finissero, e quando riuscii a districarmi fuori da quell'inferno raggiunsi Gabriele per comunicargli che molto probabilmente ero incinta di lui.
<< Amore! >> lo chiamai avvicinandomi al tavolo dove sedeva, accanto ad Emma e Carmine.
Avrei voluto che fossimo da soli.
<< Oh, eccoti! >> esclamò lui, vedendomi arrivare.
<< Ti avevano rapita gli invitati? >> rise Emma.
<< Avrebbero dovuto farlo anche con te. Dopotutto sei la sorella della sposa >> risposi con una punta d'irritazione.
<< Sì, ma io non ho una vita interessante come la tua. A me tutte queste domande non le fanno >> commentò lei tranquilla. In realtà la sua vita era più che chiacchierata, nel Quartiere e forse anche fuori, ma ne aveva combinate talmente tante che la gente aveva smesso di farle domande.
<< Devo parlarti >> dissi a Gabriele.
<< Dimmi >> fece lui.
<< Da soli >> specificai, invitandolo ad alzarsi. Mi obbedì e ci spostammo poco più in là.
<< Come mai tutto questo mistero? >> mi chiese a quel punto.
<< Ho vomitato stamattina >> replicai.
<< Avrai mangiato male >> ipotizzò.
<< Non ho mangiato male. Sono incinta! >> esclamai.
<< In che senso? >> domandò.
<< Nell'unico senso possibile >> ribattei, basita dal fatto che non capisse.
<< Io... Cioè... È mio? Diventerò padre? >> balbettò incredulo.
<< Sì che è tuo, scemo! >> sorrisi baciandolo.
Mi sollevò e mi fece volteggiare.
<< È il regalo più bello che potessi farmi! >> dichiarò felice.
<< Ok ma adesso mettimi giù altrimenti vomito qui! >> lo ammonii tra il serio e il faceto.
Sollevai lo sguardo per assicurarmi che non ci fossero occhi indiscreti a spiarci: ma nessuno sembrava essersi interessato a noi, nemmeno Emma e Carmine, che si scambiavano effusioni più uniti che mai. Probabilmente progettavano anche loro un piccolo Floris-Ferranti.

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