Capitolo 61
Ci sposammo a novembre, due settimane dopo Ognissanti e quattro giorni dopo San Martino.
Portavo un abito bianco con la scollatura a V, Alfredo sembrava una divinità in smoking e cravatta nera, Emma era la mia testimone e Rosario quello di lui.
Mio padre e Dario erano emozionatissimi, e non escludo che perfino mia madre e Simona, quel giorno, fossero felici per me.
Gabriele sembrò tranquillo, quasi come se non ci fossi io all'altare, e non potei fare a meno di pensare che invece alle nozze di Emma e Carmine, due anni prima, non s'era proprio presentato.
Ma non volevo pensarci più, volevo scordarmi il luogo orribile da dove venivo, cosa che ebbi la possibilità di fare visto che partimmo in viaggio di nozze in giro per la Sicilia e poi ci trasferimmo a Palermo: questa cosa mi sollevò enormemente, amavo la famiglia di mio marito, mi voleva più bene di quanto non me ne avesse mai voluto la mia.
***
Nostra figlia Camilla nacque a settembre del 2011, perfettamente forte e in salute, sottolineando la sua venuta al mondo coi suoi energici e tenerissimi vagiti.
Ero sfinita e la lasciai lavare dalle aiutanti dell'ostetrica, mentre Alfredo e i suoi parenti si complimentavano con me, ma ero troppo stanca per sentirli. Non vedevo l'ora che mi portassero la bambina.
E quando me la diedero e me l'attaccai al seno - anche se non si capiva ancora di che colore avesse gli occhi ero sicura che sarebbero stati marroni come quelli di mio marito - avrei voluto dirle tante cose, ma dopo quella giornata non avevo la forza di fare lunghi discorsi e perciò tutto quello che avevo da dire a mia figlia lo pensai.
Sei qui, Cami. Nel mondo degli umani vivi. Puoi capirmi?
Dicono che i bambini, fin da neonati, assorbono tutto, come le spugne.
Ci sono tre cose di cui dovrai fregartene, nella vita.
La prima sono le beghe degli altri: ognuno ha i cazzi suoi a cui pensare, che gli bastano e gli avanzano, non c'è posto per quelli altrui; va bene essere altruisti, ma a diventare troppo empatici si rischia la gastrite inutilmente.
La seconda è l'opinione su di te: ci sarà sempre qualcuno di più bello, più intelligente, più ricco, più fortunato. L'importante è pensare che siano tutte qualità banali. Sentiti unica.
La terza sono i giorni no della persona che amerai: ci stanno, fanno parte del gioco, non possono esistere solo i giorni sì. Non fartene un problema, li hanno tutti.
Ricordati sempre di fregartene di queste tre cose, Cami. Non fare mai, mai come tua madre.
***
Gli anni palermitani, quelli dal 2010 al 2013, furono i più sereni e distesi della mia vita.
Si spezzarono un pomeriggio di marzo, quando cominciarono i primi malesseri di Alfredo: pensavo si trattasse di stanchezza, ma gli svenimenti e i continui mal di testa furono un campanello d'allarme talmente insistente che dovette correre subito dal suo medico, il cui verdetto fu uno schiaffo in faccia per tutta la famiglia. Tumore al fegato. Quello per cui non c'erano cure miracolose, che se lo scoprivi ti poteva portare via da un momento all'altro. E fu esattamente così che successe: Alfredo non perse mai il sorriso, lo mantenne fino all'ultimo giorno della sua esistenza, ma lo vedevo come stava, lo vedevamo tutti, era un vero e proprio fantasma vivente.
Me lo ricordo al dettaglio, il giorno della sua morte: era il 28 settembre del 2013, qualche giorno dopo il compleanno di Camilla.
Erano le tre del pomeriggio, e nonostante fosse arrivata da poco la primavera faceva caldo come se fosse già maggio o giugno. Non un minuto di più, non un minuto di meno.
Il Sole aveva cominciato ad incamminarsi verso Ponente per poi poter tramontare, come se fosse un giorno qualsiasi.
Non tirava un alito di vento.
***
Per non crollare aiutai mia suocera Elvira ad organizzare il funerale: Alfredo era stato, in vita, una persona meravigliosa, e meritava un commiato da questo mondo degno della sua levatura d'animo; la cerimonia non fu nulla di pomposo, ma si caratterizzò per una sobria eleganza che ben rispecchiava lo spirito di mio marito.
Quando comunicai ad Elvira e a suo marito Alfio che volevo tornare a Roma, perché a continuare a stare a Palermo non ce la facevo, era come se, in un certo senso, se lo aspettassero.
<< Immaginiamo che sia difficile per te, restare qui. Ma ce la farete, tu e Cami, laggiù da sole? >> domandò tuttavia mia suocera.
<< Non saremo da sole. C'è la mia famiglia. E i miei amici >> mentii. Perché tornando nel Quartiere mi sarei sentita come un'estranea dentro casa mia.
I miei mi avevano fatto le condoglianze, ma mia madre, se mi avesse vista tornare dentro quelle quattro mura che erano il nostro appartamento, per di più con una figlia, non mi avrebbe palesato apertamente il suo disprezzo perché ci sarebbe stata la bambina, ma me lo avrebbe fatto capire con un'occhiata delle sue.
E da Simona non avrei avuto un trattamento diverso: avrebbe seguito mia madre a ruota nella disistima nei miei confronti, com'era sempre stato.
Ma mi auguravo che, almeno per rispetto del mio stato di vedovanza, avrebbero sfoderato un po' di umanità.
Questa ingenua speranza mi accompagnò per tutto il nostro viaggio in aereo da Palermo a Roma.
Quando mi ritrovai davanti ai casermoni, dove un taxi ci aveva accompagnate, fui tentata di scappare. Ma avevo passato gli ultimi anni a farlo, non potevo più continuare così.
***
E invece forse avrei proprio dovuto optare per la fuga: ricevetti affetto solo da una parte della mia famiglia, ossia mio padre e Dario, che nel frattempo s'era messo con Marta Ferranti; tutti immaginavano che prima o poi si sarebbero fidanzati, e così era successo. A volte a forza di chiacchierare va a finire che ci azzecchi.
Mia madre ci venne incontro, salutò affettuosamente Camilla.
<< Finalmente l'hai portata qua. Le fa bene un po' d'aria di casa, a questa ragazzina. Mi chiedo quanto cazzo hai aspettato per tornare >> commentò poi, rivolta a me.
<< C'era appena stato il funerale di Alfredo >> le ricordai.
<< Povero disgraziato, ha proprio fatto un affare a morire. Era stato l'unico a riuscire a tirarti fuori da questa casa. Adesso ci sei tornata a stare sul groppone >> sentenziò.
<< Clelia... >> intervenne mio padre.
<< Lo sai che sto dicendo la verità, Calò. Questa qui c'ha proprio la vocazione naturale ad essere un peso >> rispose bruscamente lei.
Nemmeno la morte, il lutto, o anche solo il passare degli anni erano riusciti a scalfire quel carattere di merda: se davvero siamo strutturati con la sedimentazione del tempo, delle esperienze, come i minerali, il componente principale di mia madre era sicuramente il granito.
***
L'interfaccia con mia madre era solo il primo atto: il secondo sarebbe avvenuto attraverso l'incontro con mia sorella.
Simona venne con Orlando e i ragazzi quello stesso pomeriggio: lui mi fece delle condoglianze sincere e sentite, lei era come se stesse lì per forza.
Siccome già mi era bastata la freddezza di mia madre, almeno da parte di mia sorella mi aspettavo un minimo d'affetto, se non altro perché, qualora fosse stata lei nella mia situazione, avrei messo da parte tutti i nostri rancori e le avrei dato il mio massimo appoggio.
Perciò, mentre eravamo in cucina a preparare il caffè, decisi di affrontarla di petto, come mai avevo fatto fino ad allora.
<< E quindi? >> esordii.
<< Quindi cosa? >> domandò lei, rivolgendo lo sguardo verso di me.
<< Ho avuto un lutto, qualora non te ne fossi accorta >> le ricordai.
<< Embè? Ci sono cresciuta in mezzo, ai lutti, se dovessi strapparmi i capelli ogni volta che muore qualcuno, a quest'ora già sarei pelata >> ribatté seccamente.
E allora non ci vidi più. Una simile risposta del cazzo se la poteva proprio risparmiare.
<< La verità è che sei un'egoista, Simo. La felicità degli altri ti ha sempre fatto schifo perché non ne hai mai avuta davvero >> le dissi perciò.
<< Che cazzo dici? >> fece lei, sulla difensiva.
<< Dico che sei sempre stata tu: a far picchiare Gabriele per colpire Mario che ti aveva lasciata, a dire alla mamma che ero rimasta incinta, quell'estate a Corfù. Non ti è mai andato bene che potessi essere più felice di te >> le risposi, sbattendole in faccia tutto quello che mi ero covata dentro per anni e mesi e giorni e ore.
<< E ti sei mai chiesta perché? E certo che no, visto che non te ne è mai fregato un cazzo di noi! Ci hai sempre guardati dall'alto in basso con quell'aria da principessina che dice sempre la cosa giusta al momento giusto, e papà che ti ha sempre difesa, ma lascia che ti dica la verità: non sei la sua erede naturale >> mi rinfacciò.
<< No, non lo sono >> concordai. Non ho mai avuto una simile pretesa, per quanto la mente distorta di mia sorella avesse sempre percepito il contrario.
<< Te lo dico io cosa sei: una grandissima stronza! >> concluse, lasciandomi senza parole per controbattere.
***
Da quando ero tornata le uniche persone che avevo bisogno di vedere erano due: Emma e Gabriele, la mia migliore amica e l'unico uomo che avessi mai amato per davvero.
E anche le due persone con cui i miei rapporti erano stati davvero disfunzionali, perfino più di quelli con la mia famiglia: ma eravamo pur sempre nati - o cresciuti - nel Quartiere, e i legàmi più forti che stringevamo erano anche quelli più turbolenti.
Suonai alla porta dell'appartamento di Emma e Carmine, sicura di trovarla lì.
Avevo ragione. Fu proprio Emma ad aprirmi: non era cambiata per niente, si era solo schiarita molto i capelli, che adesso erano più tendenti al biondo che al rosso.
<< Ah, sei tu. Avevo sentito che eri tornata. Me l'ha detto Marta >> asserì, fissandomi a lungo.
<< Già, ormai lei e Dario non li scolla più nessuno >> commentai.
<< Se continuano così, tuo fratello la metterà incinta e dovranno sposarsi di fretta e furia >> commentò.
<< Solo qui e nel Terzo Mondo, se c'è un bambino di mezzo, si ricorre ancora al matrimonio riparatore >> immaginai.
<< Lo so. Ma dobbiamo discuterne sul pianerottolo o andiamo in cortile? >> fece lei, col solito piglio deciso.
Scendemmo le scale e andammo nel cortile interno. Erano anni che non scendevo laggiù, dove tante cose erano successe nelle nostre vite, da bambini, adolescenti e giovani adulti.
Adesso ognuno, di vita, aveva la propria. E tutto questo all'interno dei soliti vecchi confini, che a me erano sempre sembrati soffocanti ma che per tutti i miei amici erano sempre stati una calda e sicura coperta di Linus. Ma adesso non sapevo se avevo fatto bene io a rifuggirli, quei confini, o se avevano avuto ragione loro a non desiderare altri panorami che quello del Quartiere Anceschi.
Guardai le facciate dei casermoni che ci circondavano e mi venne una stra a impennata di nostalgia.
<< Emma? >> esordii.
<< Sì? >> domandò.
<< Ti ricordi i pomeriggi dopo la scuola, quando ci ritrovavamo tutti a giocare? E quando si è cominciato a lavorare nel weekend, che ridevamo e ci sentiva nel Quartiere? E i Durante, e i Moretti, e i Floris, e gli Zanoni, tutti qui, affacciati alle finestre, o nella piazza principale, come se le differenze si annullassero e fossimo all'improvviso tutti un'unica grande famiglia? >> le ricordai.
Rimanemmo in silenzio per qualche minuto.
<< Se avessi vissuto qui, sempre, come tutti, non parleresti così >> rispose.
<< Perché dici questo? >> le chiesi.
<< Se non è così allora dimmi: cos'è successo alla tua nascita, per farti essere così fortunata? Chi t'ha protetto? Un santo in Paradiso, una buona stella, un allineamento favorevole di pianeti? Una botta di culo devi averla avuta se caschi sempre in piedi, se non sbatti la faccia come facciamo noialtri >> mi rinfacciò, le parole che le venivano fuori come se le vomitasse.
<< Mi sembra di stare a sentire Simona. Per lei sono una principessina, per te una fortunata. Ma dove cazzo li vedete, tutti questi privilegi, in me? Ditemelo, perché io non riesco a trovarli >> replicai, sbalordita da quella dichiarazione.
Non mi rispose subito. Poi mi guardò.
<< Non restare troppo a lungo, Leti. Torna a Palermo, o vai a vivere al centro. Il Quartiere non è posto per te, non lo è mai stato >> concluse.
Non seppi cosa rispondere, mentre lei mi voltava le spalle e tornava dentro.
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