Capitolo 59

Se proprio dovevo essere sincera, non mi stupii affatto che tra Emma e Luciano fosse finita, e che quel punto alla loro relazione fosse stato messo da lui: era successo come con Valerio, ne era uscito esaurito, sfinito dal carattere impossibile della mia amica, dall'impedimento totale a tenere conto di un punto di vista che non fosse il suo, come se in ogni relazione che instaurava non ci fossero anche i suoi amanti ma solo lei, come se tutti quei poveri disgraziati sparissero, totalmente cancellati dal suo egocentrismo.
Il problema era che Emma non lo capiva, e ogni volta che qualcuno di loro la lasciava, subito ricollegava la causa della fine della storia di turno ad un'altra donna: anche quella volta fece così, e mi chiese aiuto per scoprire chi fosse.
Quando ci fu chiaro, dopo qualche giorno, che l'altra donna in questione era Alice, dissi subito ad Emma di stare ferma e zitta, di non fare il diavolo a quattro perché lei aveva tutto, e alla giovane Scorticelli che aveva subito solo ingiustizie e vessazioni, quel poco di felicità non andava assolutamente portato via.

                                     ***

Luciano aveva intenzioni molto serie con lei: nei suoi programmi c'erano la presentazione alla famiglia, l'opera di convincimento per eventuali storie sulla reputazione di lei, il fidanzamento ufficiale e poi il matrimonio, che avrebbe portato la più sfortunata tra le mie amiche d'infanzia fuori dagli angusti confini del Quartiere, per spalancarle una vera e propria vita da signora.
Avevo modo di seguire gli sviluppi della vicenda grazie alla mia relazione clandestina con Roberto: nonostante avessi la coscienza sporca e fossi l'ultima persona a poter dettare consigli e norme comportamentali, avevo proprio voglia di parlare con Alice e congratularmi con lei.
Mi capitò di farlo un giorno, mentre lei era a pulire le scale del mio palazzo.
<< Ali! >> la salutai.
<< Oh, ciao Leti! Che bello vederti! >> rispose, con un sorriso che non le vedevo più in faccia da due anni.
<< Anch'io, volevo farti le congratulazioni per la tua storia con Luciano! Sono proprio contenta per te, è davvero un bravo ragazzo! >> esclamai.
<< Spero che finisca bene, stavolta... >> sospirò.
<< Sono sicura di sì, meriti tutta la felicità del mondo! >> la rassicurai.
<< Anche tu, con il tuo ragazzo torinese Andrea! >> replicò, inconsapevole di aver girato il coltello in una piaga che mi portavo dentro da giorni.
Magari non era il partner più entusiasmante dell'universo, ma non meritava nemmeno il mio tradimento con il primo che mi capitava a tiro, sebbene mi attizzasse.
E io non riuscivo ad avere il piede in due scarpe: non ero come Emma, non mi veniva naturale; avrei dovuto dare al più presto una piega a questa storia, qualunque essa fosse, ma che mi permettesse di mettere un punto a tutta quell'ambiguità.

                                    ***

Avevo intenzione di farlo un pomeriggio, non ce la facevo più a vivere la vita della fidanzata perfetta e bugiarda di un ragazzo che non mi suscitava alcuna emozione.
Tornando dal lavoro, presi fiato e mi decisi ad affrontarlo: solo che, non appena aprii la porta, trovai un paio di scarpe rosse laccate, tacco dodici; da una parte speravo di sbagliarmi, dall'altra mi auguravo che fosse così.
Avanzai nel corridoio del nostro appartamento, che mi sembrò più lungo del solito, mi diressi verso la nostra camera da letto e aprii la porta di scatto: nel nostro nido - o almeno tale lo avevo considerato finché non mi era ricapitato davanti Roberto - c'erano il mio fidanzato ed Emma, inconfondibile nella sua testa rossa e nella sua ingordigia in fatto di uomini.
<< Leti... >> disse Andrea, appena mi vide.
<< Devo avere interrotto qualcosa... >> ribattei, allontanandomi prima piano, poi sempre più velocemente.
Ma quando fui sulle scale, lui mi chiamò.
<< Aspetta! >> mi fermò.
<< Ma aspetta cosa? Avevi da fare a quanto pare... >> risposi sarcastica.
<< Avevo scoperto che mi tradivi con un altro. Roberto, quello dell'agenzia di viaggi. Che cos'altro dovevo fare? >> replicò.
<< E tu di tutte le donne con cui potevi tradirmi, perché proprio con Emma, che ha passato la vita ad arrivare prima di me e a prendersi ciò che è mio? >> mi alterai. Mi veniva da piangere. Mi sentivo sconfitta, ancora una volta. Emma aveva stabilito il suo primato.
<< Proprio perché volevo che ti sentissi come mi sono sentito io. E poi cazzo, Leti, è magnetica, mentre tu più passa il tempo più sembri una morta vivente! >> mi rinfacciò con una stronzaggine che mai mi sarei aspettata da lui dopo due anni di relazione.
<< E allora, visto che è tanto magnetica, lascia che ti si appiccichi come se tu fossi un frigo! A me, sicuramente, non mi vedi più >> sentenziai, tornando dentro solo per prendere la mia roba.
Emma si stava rivestendo: la guardai con un'espressione che non sapevo catalogare bene neanche io; non sapevo se ringraziarla per avermi fatto quello che era a tutti gli effetti un grande favore, o se chiudere definitivamente i ponti con lei e odiarla per tutta la vita.

                                     ***

Quando tornai a casa e raccontai di aver lasciato Andrea per Roberto, mia madre mi fece prima un cazziatone, poi però constatò che anche il giovane Castroni era ricco e che comunque sia sarei cascata in piedi. Un ragionamento utilitaristico, così terribilmente tipico della sua persona.
Ad ogni modo non misi molto a tornare alla mia quotidianità nel Quartiere: con Roberto ero felice, ma comunque ero tornata a condividere lo stesso condominio di Gabriele.
Il mio chiodo fisso, la mia ossessione costante da quando eravamo piccoli.
Cercai di incontrarlo il meno possibile, anche perché con Diana sembrava aver messo la testa a posto.
E non volevo assolutamente fare la sfasciacoppie, contrariamente ad Emma che non avrebbe avuto problemi a svolgere quel ruolo.
A dire la verità li evitavo entrambi, ma con Emma era più facile, abitando in un altro casermone rispetto al mio; Gabriele era una tentazione a portata di mano, anzi di uscio.
<< Leti! >> mi chiamò una volta, mentre tornavo dal lavoro.
Non volevo parlargli, ma non potevo nemmeno evitarlo: sarebbe stata maleducazione.
<< Gabri... >> risposi sorridendo, girandomi verso di lui.
<< Ma veramente hai mollato il torinese per Roberto? >> domandò.
<< Veramente è arrivato prima lui di me. Con Emma >> sottolineai.
<< Si è scopata anche lui? >> sgranò gli occhi Gabriele.
<< Sì... >> ribattei, ancora sconsolata all'idea.
<< È stato uno stronzo. Un vero e proprio stronzo... >> disse avvicinandosi a me e accarezzandomi una guancia.
Mi sentii tremare a quel tocco: avevo aspettato tutta la vita per risentirlo ancora sul mio viso, e proprio nel momento in cui lo volevo di meno arrivava.
Poi passò ad avvicinare il suo viso al mio, e io non opposi alcuna resistenza: ci baciammo lì, sulle scale, senza la paura di essere visti, dopodiché entrammo a casa sua.
Mi sentivo come se dovessimo recuperare tutto il tempo che avevamo perduto, per cui, nel percorso fino alla camera da letto di lui, i vestiti già erano a terra.
Mi prese in braccio, mi fece volteggiare in aria, poi ci buttammo sul letto: aprii le gambe e lo lasciai entrare come il più importante, il più gradito degli ospiti.
Dopodiché ci accasciammo l'una sull'altro, addormentati.

                                      ***

Da dopo quella volta decisi volontariamente di evitarlo: uscivo con Roberto, questa volta alla luce del sole, ma non provavo più la stessa cosa di quando ci incontravamo di nascosto nel retrobottega dell'agenzia, quando non era occupato da Emma e Luciano; lui continuò a fare il fidanzato modello al fianco di Diana, anche se non credeva neanche lui a quel ruolo.
Nessuno di noi due era felice di stare lontano dall'altro, ma non era nemmeno giusto vivere il nostro amore a discapito di qualcun altro; o almeno, non era giusto per me.
Presto, però, avemmo tutti un nuovo argomento di cui parlare: Luciano se n'era andato dalla sera alla mattina, congedandosi da Alice con un misero biglietto in cui le diceva che mai i suoi genitori gli avrebbero permesso di stare con lei, e che caratterialmente era troppo debole per lottare contro il loro giudizio.
Alice non uscì di casa per tre giorni e tre notti. Al quarto giorno in cui non la vedemmo in giro cominciammo a insospettirci: fu in quel frangente che tornai a parlare con Emma; non le rivolgevo la parola da quando l'avevo beccata a letto con Andrea, ma in fondo lui, con lei, mi aveva restituito il favore, e adesso c'era la sorte della nostra amica comune a cui pensare.
Avevamo chiamato Raoul, che ci aveva risposto, come al solito, in tono scocciato; bussammo, suonammo al campanello, ma non rispondeva nessuno.
<< Dobbiamo chiamare Gaetano >> propose Gabriele, precipitandosi al palazzo di fronte insieme a Orlando.
<< Vabbè, ma sta facendo la preziosa, è evidente... Un giorno in più o in meno dentro casa per l'amica vostra non fa differenza, no? >> commentò Raoul.
<< Dimentichi che per la tua linguaccia ti ho puntato un trincetto sulla gola, anni fa. Questa volta posso andare a prendere direttamente le cesoie, se vuoi... >> lo minacciò Emma.
Conoscendola, l'avrebbe fatto veramente.
Raoul non emise più un fiato. Intanto erano arrivati Gabriele e Orlando insieme a Gaetano Caruso.
<< Devo buttare giù la porta? >> domandò.
<< Butti, signor Gaetano... >> fece Massimo.
Senza farselo ripetere due volte, il portiere del palazzo di fronte diede una spallata alla porta dell'appartamento di Alice ed entrò. Ci precipitammo tutti appresso a lui, chiamandola a turno.
<< Cazzo! >> esclamò Emma, aprendo la porta del bagno.
<< Che è successo? >> le domandai.
Quello che la mia amica ci mostrò fu qualcosa che ci gelò il sangue nelle vene: Alice era riversa sulla vasca, con una siringa penzolante in endovena.
Evidentemente stava in piedi, quando s'era iniettata la cocaina, e nella vasca c'era caduta esalando l'ultimo respiro. Perché con quella dose ci era morta.
Non servirono Gaetano che le sentiva il polso, e Diana che urlava il suo nome. Ricordo che vidi tutto offuscato e sentii tutto ovattato, prima di svenire tra Emma e Gabriele.

                                     ***

Fu Gabriele a riportarmi a casa, a cercare di rinvenirmi mentre i miei e Dario s'erano precipitati a casa dei Floris per commentare l'accaduto insieme coi Moretti, i Ferranti, i Caruso e i Del Fiore.
Mi mise dell'aceto da annusare, disse che era venuto il commissario Fontana a vedere cosa fosse successo ad Alice, e aveva decretato che si trattava di suicidio, che s'era ammazzata a causa dell'abbandono di Luciano, come se non lo sapessimo tutti, nel Quartiere, che quella era stata la punta dell'iceberg, il culmine di una vita sbagliata che era quella vissuta da Alice fin da quando era stata messa al mondo. Uno sbaglio anche lei, di cui Lilly Marlen aveva deciso di non liberarsi ma di crescere e riscattarsi, eventualmente. Solo che questo riscatto non era mai avvenuto.
Avrei voluto chiederle quali fossero stati i suoi ultimi pensieri mentre quella siringa, appartenuta a Pino O' Serpente, schizzava nelle sue vene quella polvere bianca, di qualità scadente tra l'altro, immaginai di parlarle alla sua sagoma, quella notte.
Perché l'hai fatto, Ali?
Come mai hai lasciato che quella dose di coca - come ti sarà stato facile rimediarla, quaggiù! - ti si iniettasse in endovena, facendoti passare all'altro mondo per raggiungere quella povera disgraziata di tua madre? Saranno stati i geni, o forse la cattiva stella sotto la quale sei nata, venuta al mondo nonostante la condanna che ti spettava di scontare?
Dimmi perché non ti sei mai ribellata a Pino, che ti aveva portato via ogni possibilità di essere felice, anche dal carcere, sia con Valerio che con Luciano. Dimmi perché mi hai dato della privilegiata, sul pianerottolo prima di un'orgia con Italo e i suoi, quando ti ho detto che non era giusto tenerti tutto dentro, che ti potevo aiutare, come tutte le volte che Lilly e Pino litigavano e tu sgattaiolavi da noi.
Hai fatto tutto di nascosto anche stavolta, sempre per quella tua stupida premura di non farci preoccupare, e hai finito per essere la rappresentante del destino di quelli come noi, che tentano di scalare per tutta la vita una parete scivolosa senza sapere che lo è, e a forza di insistere va a finire che si esauriscono e si lasciano andare a terra per sempre.

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