Capitolo 55

Sperai di non aver capito bene quello che mi aveva appena detto Caterina. Pregavo di aver travisato tutto.
Se avesse davvero avuto ragione, se non fossero state solo calunnie - che magari le aveva soffiato nell'orecchio Gabriele per quella gelosia ipocrita che aveva sempre avuto nei miei confronti - avrebbe significato che ero stata, per tre anni, la fidanzata, la compagna di vita di un assassino. La sola idea mi faceva venire il rigurgito acido, desideravo solo trovare un cesso e vomitare, come quando avevo scoperto che Alice batteva sul Viale dei morti ammazzati.
<< Non è possibile >> riuscii a dire soltanto, prima di svenire davanti a loro come una pera cotta.

                                     ***

Sentivo le loro voci che mi chiamavano. Capii che stavo rinvenendo quando riuscii a distinguerle un minimo.
<< Leti? Leti, mi vedi? >> chiese Gabriele, inchinato su di me, vicino come non lo sentivo più da quando ci eravamo baciati in ascensore, durante il secondo blackout del 2003.
<< Gabri... Cate... Mario... >> mormorai, riprendendo conoscenza mentre il minore degli Altieri mi sosteneva con una mano sulla schiena.
<< Sta ripigliando colore... >> commentò Mario dietro di lui.
<< Non potete capire cos'è successo... Ho sognato che mi dicevate che Tancredi è un assassino... >> cercai di dire.
<< Tancredi è un assassino, me l'ha confessato mio padre sul letto di morte >> rispose Caterina.
A quelle parole mi sentii mancare di nuovo, ma la presenza rassicurante di Gabriele me lo impedì.
<< Leti, non svenire ancora... Adesso andiamo al bar Martini e ci prendiamo una bella bibita zuccherata, ok? >> fece per tenermi sveglia.
<< Ok... >> replicai, con la testa che ancora mi girava.
<< Più che una bibita zuccherata, servirebbe un giro di shottini, dopo tutta questa storia... >> commentò Mario all'orecchio di Caterina.

                                     ***

Ci sedemmo ad uno dei tavoli esterni e Sara Di Stefano ci portò quattro coca-cole ghiacciate.
Ce n'era fottutamente bisogno, anche se forse aveva ragione Mario, forse andavano corrette con la grappa, per digerire quella storia assurda.
<< Gli Storione e i Caruso si conoscevano da sempre, fin da quando abitavano in Irpinia, e lasciarono la loro terra insieme, quando ci fu il terremoto. Tra Angela e Tancredi continuò ad esserci un legame solidissimo anche quando si trasferirono da queste parti... >> cominciò, e mentre pronunciava quelle parole un brivido corse lungo la mia schiena: Tancredi e la sua famiglia avevano vissuto qui, nel Quartiere Anceschi, in uno dei casermoni, magari poteva anche essere vicino di casa dei miei.
<< Mio padre, o meglio l'uomo che ho sempre chiamato in questo modo, era già il boss del Quartiere >> continuò.
<< Come oggi Italo Bianchi? >> domandai.
<< Esatto, solo che controllava il suo dominio non da lontano, ma sul campo. Molti ragazzi spacciavano per conto suo, e tra questi c'era Tommaso Bini, il padre naturale mio e di Viviana, uno spiantato fiorentino che viveva di espedienti, ma bello e pieno di carisma. Angela Caruso se ne innamorò immediatamente, e cominciò a spacciare anche lei, seguita da Tancredi che non l'avrebbe mai lasciata da sola a bruciarsi per un altro uomo. Era geloso, a livello patologico. E lo era anche mio padre, Don Domenico, anche lui ossessionato da lei. Quando capì che aspettavano Viviana, disse a Tancredi che doveva solo minacciare Tommaso di levarsi dai coglioni, di andarsene dal Quartiere e di non farsi rivedere mai più. Ma Storione è andato oltre, e pochi giorni dopo che sono nata io ha sparato a Tommaso in un vicolo. Angela si è buttata dal terrazzo del palazzo dove abitava, dalla disperazione >> rispose.
<< E Tancredi? >> chiesi, con una secchezza in bocca nonostante la coca-cola.
<< Voleva costituirsi, ma Don Domenico gliel'ha impedito, mandando Pino O' Serpente a minacciare di uccidergli la famiglia >> proseguì.
<< Forse questa è l'unica cosa vera che mi ha detto... >> riuscii a commentare, nonostante il disgusto mi portasse a tirare fuori le parole a fatica.
Avevo condiviso lo stesso tetto, mangiato, dormito e viaggiato con un criminale. Sentivo di aver passato gli ultimi tre anni nella mia vita, inconsapevolmente, a predicare bene e razzolare male, professando di voler prendere le distanze dal Quartiere e dalle sue vicende torbide del presente e invece m'ero fatta risucchiare senza oppormi in quelle del passato.
<< Per incentivarlo al silenzio, fece assumere i suoi genitori rispettivamente come pilota d'elicottero e cuoca della famiglia Invernizzi, essendo Corrado un suo vecchio amico, e questa nuova condizione permise a Tancredi e Cinzia di studiare, di lasciarsi alle spalle il passato e di rifarsi una vita >> concluse, mentre con shock il mio cervello, al sentir nominare il cognome Invernizzi, stava cominciando a mettere insieme tutti i tasselli di un losco puzzle che mai avrei voluto costruire, ma che si componeva orrendamente davanti a me: l'entrata di Tancredi nella mia vita; il suo mettere zizzania tra me e Leonardo, finché non ho scelto lui; le nostre visite assidue nel Quartiere, specialmente in agenzia dagli Altieri; l'entrata degli Invernizzi nelle nostre esistenze; la vacanza tutti insieme a Paestum; la confessione di Viviana la sera di Ferragosto; la partenza di Emma e Valerio per Milano: riguardo quest'ultimo tassello, un dubbio andava formandosi nella mia mente, il dubbio che la mia amica non provasse niente per il secondogenito di Corrado e Milena, ma che attraverso di lui cercasse le colpe dei suoi genitori.
<< Cazzo >> dissi subito.
<< Che c'è? >> scattò Mario.
<< Emma è con Valerio a Milano. Ha insistito per partire, immaginavo che il corso di formazione fosse una fregnaccia. Subodorava da tempo lo schifo di questa storia, ed è arrivata alla conclusione molto prima di noi >> dedussi con espressione allucinata.
Davanti ai miei occhi la constatazione che mi accompagnava da tutta la vita: Emma che arrivava alla soluzione prima e meglio di tutti, sempre, mentre io non ci capivo niente, non ci avevo mai capito niente.
<< Emma arriva sempre prima degli altri >> sospirò Gabriele, e non riuscivo a distinguere, in quel suo sospiro, dove finiva l'invidia e iniziava l'ammirazione, o dove finiva l'ammirazione e iniziava l'invidia.

                                      ***

I giorni che seguirono furono di preparazione, di accumulo di qualsiasi cosa, prove, fatti, documenti, fotografie dell'epoca, che riconducesse alle colpe di Tancredi, che aveva badato bene ad occultare, nascondendo le tracce come un bravo criminale: ma Mario, Gabriele e io conoscevamo bene la logica di simili individui, ci eravamo cresciuti in mezzo, e sapevamo che avevano urgenza di non lasciarsi indietro nulla, solo che l'urgenza era cattiva consigliera e li faceva sgamare.
Sul letto di morte, Don Domenico aveva dato a Caterina l'ultima direttiva, quella di aprire la cassaforte e prendere una scatola, dentro alla quale c'erano tutti i pezzi della vita precedente di Tancredi, quando era uno spiantato e abitava nel Quartiere, quando stava con Angela e credeva che sarebbero rimasti insieme per sempre.
Intanto cercai di fare la mia parte, vivendo la mia solita vita accanto a Tancredi come avevo fatto fino ad allora, ascoltando fin nei minimi particolari la sua versione falsa, fingendo interesse per i suoi progetti di futura "famiglia felice" con Viviana e Caterina, e incoraggiandolo in queste sue congetture malate per non destare sospetti: in quell'occasione capii cosa dovevano provare Lilly Marlen e Alice nell'andare a letto con degli sconosciuti; mi sentivo come una puttana, anche se Tancredi non mi stava pagando.

                                      ***

Ma quello era il problema minore: il vero polverone che si alzò, rischiando di far saltare la minuziosità del piano che stavamo formulando gradualmente e senza destare sospetti, fu generato proprio da una dei diretti interessati in quella vicenda, ossia Viviana.
Ospite di Gilda e Attilio, doveva assolutamente sapere la verità, quella autentica, non quella con cui l'aveva rincoglionita Tancredi a suon di sceneggiate lacrimevoli da padre mancato.
Renata e Gennaro erano disperati: la loro nipote - non più unica, visto che ormai ne avevano un'altra - non solo non voleva tornare a casa, ma era stata completamente trascinata dalla parte di un bugiardo, criminale e assassino, che attraverso una sapiente rete di dichiarazioni e persone - tra cui figuravo anch'io - l'aveva avvinta nella sua tela, impedendole di distinguere la realtà dalla finzione.
Era Gilda il suo portavoce nei confronti del mondo esterno: solo attraverso di lei potevamo sapere quello che passava per la testa di Viviana.
<< Allora, di cosa ci vuole accusare oggi? >> attaccò Renata, battagliera e disperata.
<< Ha detto che non si fida di nessuno, che per quanto ne sa non si sente più al sicuro nemmeno a casa nostra... >> confessò la Durante.
<< E che, c'ha paura che la spiate? >> intervenne Mario, stufo e preoccupato dei fantasmi che affollavano la testa della sua fidanzata.
<< Che volete che vi dica? Quel Tancredi le ha fatto il lavaggio del cervello >> sostenne la signora Zanoni. << Senza offesa, Leti >> aggiunse poi, rivolgendosi a me.
<< Figurati. È come se avessi conosciuto un'altra persona. Il Tancredi che è emerso da questa storia non so chi sia >> risposi.
<< Io non ce la faccio più. Ho perso una figlia, non voglio perdere pure una nipote. Vi prego, fermate quel pazzo... >> ci pregò la Caruso, sull'orlo delle lacrime.
<< Lo fermeremo >> promise Caterina, prendendo le mani di quella che era effettivamente sua nonna materna.
Aveva una luce particolare negli occhi, una luce che già conoscevo perché l'avevo vista scintillare negli occhi di Emma ogni volta che aveva in mente qualcosa, e quindi sapevo con certezza che non poteva essere nulla di buono.

                                      ***

Se ne andò dalla sera alla mattina, senza che noi potessimo accorgercene: ci svegliammo con l'allarme di Gilda e Attilio, i quali ci informarono che Viviana era scappata.
Il Quartiere fu invaso dal panico nel giro di qualche ora, come quando Emma era scappata a Londra, ma al contrario di allora, la fuga di Viviana non fu un fulmine a ciel sereno, ma era come se tutti sapessero che sarebbe successo di lì a breve, una questione di giorni.
<< Dobbiamo fare qualcosa, subito! >> comandò Renata in preda all'ansia.
<< Già, ma cosa? >> la richiamò Gennaro.
<< Chiamiamo la polizia! >> propose Mario.
<< Ma che sei scemo? Hai idea di cosa succede se intervengono gli sbirri? >> scattò Gilda.
<< Già, quelli se qualcuno nel Quartiere muore o scappa, lo fanno passare per uno che si è cercato il suo destino! >> concordò Attilio.
<< Sì, ma Tancredi è una scheggia impazzita, potrebbe fare anche del male a Viviana! >> ricordò loro Mario.
<< Mario ha ragione, bisogna spiegare per filo e per segno tutta la storia alla polizia, anche a costo di ingrandire l'opinione negativa che hanno di noi! >> lo appoggiò Gabriele.
<< Prima però dobbiamo avvertire Caterina della sparizione di Viviana, è sua sorella dopotutto... >> intervenni, mettendo mano al cellulare.
Aspettai che prendesse la linea. Uno, due, tre squilli. Niente dall'altra parte.
<< Allora, risponde? >> mi incalzò Renata.
<< No, aspettiamo >> dichiarai. Quattro, cinque, sei squilli. Ancora nessuna risposta.
Decisi di farle squillare ulteriormente il telefono. Al dodicesimo squillo senza risposta riattaccai.
<< Non risponde >> dedussi.
<< Magari ha da fare... >> ipotizzò Gilda.
<< No, ho paura che si tratti di molto peggio... >> confessai. Temevo che Caterina avesse fatto qualche follia, o stesse per farla.
<< Mario... >> dissi allora.
<< Sì? >> fece Altieri.
<< Caterina ha il porto d'armi? >> gli domandai.
<< Non lo so, ma suo padre l'aveva... Potrebbe aver ereditato... Oh cazzo! >> si agitò, capendo al volo quello che volevo dire.
<< Dobbiamo distribuirci i compiti: una parte di noi deve andare dalla polizia, un'altra raggiungere Tancredi e Viviana >> sostenne Gabriele.
Eravamo all'ultimo atto di una tragedia: si stava per alzare il sipario.

                                     ***

Andammo io, Mario e Gabriele, immaginando di trovare Tancredi e Viviana a casa di lui, e Caterina armata davanti a loro, a minacciare Storione.
La scena che trovammo davanti al cancello di villa Storione ci gelò il sangue nelle vene: Tancredi sapeva che saremmo arrivati, e ci aspettava puntando una pistola alla tempia di Viviana, pietrificata dal terrore.
<< Ma che piacere vedervi... Venite, vi stavo proprio aspettando... >> commentò sadicamente, stringendo ancora di più la presa sulla giovane Caruso.
<< Stai zitto, stronzo, e lasciala andare! >> esordì Mario, brandendo una spranga che aveva tirato fuori dal bagagliaio della sua macchina prima di scendere.
<< Perché, altrimenti mi prendi a sprangate come un bulletto di periferia? Pensi che io non lo conosca il vostro mondo, essendoci vissuto per dieci anni? >> lo provocò Tancredi.
<< Appunto perché sei del Quartiere, non t'è venuto in mente che potessimo capire meglio di chiunque altro le tue dinamiche, e quindi scoprirti? >> ribatté Gabriele.
Storione non si scompose, anzi, puntò la pistola alla tempia di Viviana con ancora più convinzione.
<< E tu invece non dici niente, Leti? Lasci parlare solo i tuoi amichetti Altieri? >> mi sfidò.
Un groppo di disprezzo mi gorgogliava nella gola, pronto a riversarsi su quello psicopatico a cui, molto probabilmente, non era mai fregato niente di me.
<< Cercherò di non insultarti, voglio solo la verità, almeno quella me la devi >> dissi invece.
Tancredi fece una pausa teatrale, esattamente come Emma quando doveva sentenziare qualcosa, e poi prese la parola.
<< Il terremoto dell'Irpinia, nel 1980, fu terribile, una delle pagine più buie della storia italiana dal dopoguerra al 2000, insieme col Terrore Rosso. Ci siamo sparpagliati per l'Italia, andando a Napoli, a Campobasso, a Roma. Volevamo solo rifarci una vita. Dovunque andavamo, ci promettevano alloggi popolari, ma poi ci sistemavano in posti di merda, in culo alle città, oppure dovevamo occupare interi palazzi sfitti. Cercavamo un lavoro, ma risalivano alla nostra provenienza e non ce lo davano il lavoro, e per non morire di fame noi e le nostre famiglie, accettavamo lo spaccio, la ricettazione, l'omicidio su  commissione. La presenza di Angela era come una luce nella mia esistenza nera come la pece, l'unica che mi facesse formulare delle ipotesi di riscatto. Ma lei non mi voleva, non voleva nessuno all'infuori di quel coglione di Tommaso. Intendevano cambiare vita, andarsene e io non l'avrei rivista mai più. Io. Che la conoscevo da sempre, che sapevo a memoria tutte le sfumature del suo carattere. Ma vi pare giusto? >> argomentò, guardandoci ad uno ad uno.
<< No, non ci pare giusto. Ma non sempre conoscersi è un vantaggio per stare insieme >> cercai di dire, mentre ripensavo al fatto che non ero tanto diversa, che conoscevo e capivo Gabriele meglio di chiunque altra e lui aveva sempre trovato rifugio tra le braccia di donne di cui non sapeva quasi niente, per non soffrire la lontananza e il menefreghismo di Emma.
<< Angela era mia, eravamo destinati a stare insieme. Così non ci ho visto più, sono andato a raccontare le loro intenzioni a Don Domenico, mi aveva chiesto di minacciare Tommaso e basta, e invece è partito il colpo. Non avevo mai sparato a nessuno, e i rigurgiti di coscienza mi avevano spinto a desiderare di costruirmi. L'ho detto a Don Domenico, ma lui mi ha fatto trovare Pino O' Serpente davanti alla porta di casa, avrebbe ucciso i miei genitori e mia sorella. Così ho accettato la proposta di impiegare tutta la mia famiglia alle dipendenze di Corrado Invernizzi, per ripulirci e dimenticare il passato. Ma quel passato si è riproposto sotto le tue sembianze, Letizia >> proseguì, guardandomi negli occhi mentre continua a tenere salda la presa sul suo ostaggio.
<< Il tuo interesse nei miei confronti non è stato casuale, vero? >> chiesi, mentre il tradimento e l'umiliazione mi avviluppavano gli organi.
<< Quando ho capito chi eri e da dove venivi, ho fatto di tutto per farti diventare mia, mettendo in cattiva luce quel deficiente del tuo fidanzato di allora, portandoti nei miei viaggi, inducendoti alla convivenza, il tutto per poter avere libero accesso al Quartiere Anceschi. Per conoscere le figlie di Angela, far credere loro che fossero mie e mettere una pezza a quel passato che ancora mi sanguinava dentro. Per avere ancor più libertà di movimento, ho suggerito a Corrado di interessarsi alle composizioni floreali della tua amica Emma, facendo leva sul suo ego spropositato e sui suoi facili costumi per farla andare a letto con suo figlio >> continuò soddisfatto, rinfacciandoci quanto fossimo stati tutti delle pedine nel suo gioco.
<< Puoi avere manipolato tutti quanti i protagonisti di questa storia, ma non me! >> fece la voce di Caterina, comparendo dietro di lui. Tancredi si girò e la vide: aveva lo sguardo fiero e impenetrabile, e la pistola di Don Domenico tra le mani.
<< Cosa credi di fare? >> la sfidò.
Trattenemmo tutti il fiato.
<< Lascia andare Viviana e getta la pistola a terra! >> ordinò la Esposito.
Dall'espressione non ammetteva repliche: gli avrebbe volentieri bucherellato la testa.
Tancredi, visibilmente terrorizzato, ubbidì, spingendo via Viviana, che corse da noi. Mario l'abbracciò e anche Gabriele e io, a turno.
<< Adesso abbassala tu, la pistola! >> replicò poi, rivolto a Caterina.
<< Non dire cazzate. Non parlare proprio. Tu hai ucciso mio padre. Hai ucciso mia madre. Mi hai impedito di conoscere mia sorella. Ti odio, ti odio così tanto che non meriti nemmeno di respirare! >> sbottò lei, ormai fuori di sé. Metteva paura quanto il suo padre putativo, se non di più.
In quel momento sentimmo il suono delle sirene delle volanti, e poliziotti e carabinieri uscirono in contemporanea, puntando le loro pistole su Tancredi e su Caterina.
<< Getta la pistola! >> fece a quest'ultima un ragazzo dal palese accento siculo.
Aspettammo tutti che posasse l'arma a terra, ma prima si tolse la soddisfazione di ferire Storione alla gamba e tentare la fuga, ma due carabinieri riuscirono a prenderla in tempo e ad ammanettarla.
Il commissario Guglielmo Fontana pensò a Tancredi.
<< Signor Storione, io la dichiaro in arresto per omicidio, tentato omicidio, sequestro di persona e spaccio di sostanze stupefacenti! >> dichiarò, mentre portavano via entrambi.
Era finita. In quel momento credemmo che niente al mondo potesse accederci di peggio.

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