Capitolo 50
A partire dal matrimonio della sorella, Emma si comportò come se non se ne fosse mai andata nel Quartiere: riprese le sue abitudini, ricoltivò le sue amicizie, rimise piede dietro il banco di fiori di famiglia per mettere in pratica tutte le idee che aveva nella testa; l'unica cosa che veramente cambiò fu l'atteggiamento del signor Giulio nei suoi confronti: alla luce dell'evoluzione fatta dalla figlia maggiore in quegli anni londinesi, senza contare che s'era saputo quanto ci fosse di lei nell'arrivo della contessa Altieri qualche anno prima, le rivolse qualcosa che non le aveva mai rivolto quando era nata, ossia il suo rispetto, la consapevolezza di non stare parlando più con una bambina ribelle, ma con una giovane donna mondana, intuitiva e intelligente, molto più di lui.
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Chiaramente tutte queste notizie le ricevevo a distanza, quando tornavo nel Quartiere e mi venivano raccontate dalla diretta interessata o dagli altri: mi dava una certa soddisfazione guardare quelle beghe di periferia da privilegiata, affacciarmi dall'Empireo che era la mia vita con Tancredi e ogni tanto guardare giù, nella mischia; sentivo un vero e proprio senso di rivalsa nei confronti di Emma, che di noi due era quella che prometteva di diventare chissà chi, lanciatissima verso il grande mondo esterno, e invece aveva scelto di tornare nella realtà claustrofobica del Quartiere.
Tuttavia questo mio pretenzioso senso di superiorità cominciò a vacillare quando Viviana, Diana e Gilda mi raccontarono che Emma aveva cominciato ad uscire con qualcuno, che la veniva a prendere sotto casa con la macchina e la portava al centro; quando chiesi di chi si trattava e mi diedero una risposta, pensai che il nuovo interesse amoroso della mia amica fosse l'ultima persona che avrei immaginato accanto a lei: Carmine Floris, il fratello minore di Orlando.
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Avevano cominciato a socializzare proprio il giorno delle nozze tra Beatrice e Guglielmo, che nel frattempo s'erano trasferiti nell'elegante zona di Ottaviano, vicino a Piazza Risorgimento; il giorno dopo, quando era scesa nella piazza principale per tornare al banco di fiori, s'era formato un nugolo di maschi pronti a ricevere un suo saluto che illuminasse le loro giornate, e tra tutti questi lei s'era concentrata proprio su Carmine, sebbene non fosse stato tra i suoi pretendenti più accesi, quando eravamo adolescenti: i più presi da Emma, indipendentemente dalle rispettive fidanzate e mogli, erano sempre stati Orlando, Massimo e, in modo parecchio contorto, anche Gabriele.
Il secondogenito dei proprietari dell'officina Floris non dava l'idea di uno che avrebbe lottato per Emma coi pistoloni alla cintura, come il fratello maggiore o il primogenito dei fruttivendoli Del Fiore, non sembrava neanche lontanamente una persona che potesse diventare sanguigna per amore, ed Emma invece, di sanguigno, aveva ogni grammo del proprio carattere; eppure la sua scelta era ricaduta, tra tutti quanti, proprio su di lui.
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Mi arrovellai per giorni a capire il motivo che spinse Emma a degnare della sua attenzione proprio lui, quel 30 marzo del 2008: non era né più bello, né più intelligente, né più interessante degli altri ragazzi del Quartiere.
Forse furono la genuinità del suo sguardo, la semplicità dei suoi modi, l'assoluta assenza di malizia a sospingerla verso Carmine: di qualsiasi fattore si trattasse, le suonava come l'idea che, qualunque cosa fosse successa, non l'avrebbe mai lasciata.
Da quando avevano cominciato a frequentarsi lei non mi aveva dato spiegazioni esaustive, cosicché mi toccò dedurre le motivazioni da sola: pensai che fosse impazzita, che il giovane Floris le avesse disciolto qualcosa nel bicchiere al matrimonio di Beatrice, o molto più banalmente, che dopo gli anni pazzi a Londra, cercasse solo un po' di pace, e che l'avesse trovata col fratello di mio cognato. Pensavo che Carmine avesse fatto il miracolo di raffreddarle i bollenti spiriti.
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Di questo presunto raffreddamento, però, non immaginai l'entità fino a quando, un pomeriggio di aprile inoltrato non suonarono alla porta, e la cameriera Annalisa annunciò la presenza di Emma.
Era domenica e io mi trovavo a casa, perciò appena la donna mi disse che c'era la mia migliore amica che chiedeva di me, le chiesi farla accomodare in soggiorno.
<< Emma... >> la salutai.
<< Ammazza, ti sei sistemata bene... Hai pure i servi da comandare a bacchetta... >> commentò divertita.
<< Non è carino che li chiami così. Si definiscono "collaboratori domestici" e probabilmente verranno da ambienti popolari comunque migliori di quello da dove proveniamo noi >> la rimproverai. Poteva anche aver passato gli ultimi anni a Londra, ospite di una contessa vera, ma rimaneva gretta, volgare e sguaiata.
<< Che palle, Leti. Devi sempre fare la maestrina, ma non sai nemmeno comandare. Io questo lusso lo sbandiererei ai quattro venti... >> sbuffò roteando gli occhi azzurri.
<< Sei venuta per insultarmi? >> ribattei mettendomi sulla difensiva.
<< No, sono venuta per darti le partecipazioni per il mio matrimonio >> rispose, consegnandomi due biglietti per me e per Tancredi.
<< Ti sposi con Carmine? >> domandai sbigottita. Come poteva convolare a nozze con un ragazzo con cui usciva da nemmeno un mese?
<< Con chi altri? >> replicò lei come se mi stesse esternando un concetto ovvio. Solo che di ovvio non c'era niente.
<< Emma, tu e Carmine avete cominciato ad uscire da ventidue giorni. Non è un po' presto per parlare di matrimonio? >> le feci notare.
<< Sì, ma dimentichi che ci conosciamo da tutta la vita. Siamo cresciuti gomito a gomito, lui sa tutto di me e io tutto di lui. Non rischiamo niente, almeno non più di quanto rischiereste tu e Tancredi >> sentenziò, mettendo le braccia conserte.
<< Io e Tancredi abbiamo un'affinità intellettuale ancora prima che fisica. Abbiamo passato gli ultimi anni a viaggiare, a venire a contatto con culture diverse dalla nostra, a trovarci in situazioni difficili come i suicidi di massa dopo lo scoppio della crisi, e adesso conviviamo. Insomma, abbiamo fatto un bel pezzo di strada insieme, tu e Carmine avrete fatto a malapena il giro dell'isolato a confronto! >> affermai, spazientita da quel suo calunniare il mio fidanzato, che mi ricordava dannatamente mia madre.
<< Sì, ma almeno ho la garanzia che non possiede scheletri nell'armadio. Invece il tuo Tancredi ti ha mai parlato del suo passato? Chi era prima di diventare il grande filantropo che è oggi? Da dove vengono lui e la sorella? È stata fatta piena luce sull'incidente aereo in cui sono morti i loro genitori? >> mi incalzò, sempre più provocatoria. Odiavo tantissimo quando si comportava così, sembrava che mi volesse smontare, pezzo dopo pezzo.
<< Tancredi e Cinzia mi hanno raccontato la loro storia familiare per filo e per segno, va bene così? Lui e io non abbiamo condiviso gli stessi muri scrostati, gli stessi androni che puzzano di alcol e piscio, eppure ci sembra di conoscerci da una vita, guarda che orribile crimine che commettiamo... >> rimbeccai prendendola in giro.
Emma rimase in silenzio per alcuni secondi, la quiete prima della prossima tempesta.
<< Io mi sposo lo stesso, anche se non sei d'accordo. E adesso scusa, ma ho da fare >> concluse, dirigendosi verso la porta.
<< Ti faccio accompagnare da Annalisa... >> le proposi.
<< No, grazie. Ho imparato la strada >> rifiutò, andandosene via.
***
L'annuncio delle future nozze tra Emma e Carmine aveva innescato dentro di me un meccanismo che non mi era nuovo: potevo aver collezionato tutti i successi e i vantaggi di questo mondo, con fatica e pazienza, mollichella a mollichella, poi arrivava lei che, con un'unica azione improvvisa e impulsiva, scardinava i miei traguardi sparpagliandoli di qua e di là, li sviliva tutti rendendoli frivoli e stupidi, come se non fosse valsa la pena di raggiungerli.
Ancora una volta, la sua vita s'era sovrapposta alla mia, l'avevo assorbita completamente dimenticandomi all'improvviso di aver fatto tanto la superiore fino a poco tempo prima.
Ricominciai a tornare più spesso nel Quartiere, divorata dalla curiosità di quale sarebbe stata la sua prossima mossa, l'asso nella manica che avrebbe spiazzato tutti; qualche volta mi accompagnava anche Tancredi: il nostro ritrovo preferito era l'agenzia di viaggi degli Altieri, dove aveva preso a lavorare anche Viviana, la quale s'era resa conto che come psicologa non avrebbe battuto chiodo, che c'era troppa richiesta nel suo settore e che non avrebbero di certo scelto lei.
Mi avevano detto che dopo la laurea e l'inizio del nuovo impiego nell'attività del fidanzato, la mia amica d'infanzia s'era come spenta, ma la presenza mia e di Tancredi, i discorsi aulici e di ampio respiro che intavolavamo le avevano fatto riacquistare la consapevolezza di avere un intelletto e una cultura universitaria, e decise di rispolverarli apposta per noi: il mio fidanzato si complimentò sia con lei che con me.
<< È in gamba la tua amica, intelligente quanto te ed Emma >> mi disse una volta.
<< Infatti, nel nostro gruppo, era quella che Emma guardava meno dall'alto in basso. Infatti ha continuato a studiare, come me >> risposi.
<< Peccato che si sia fermata, accontentandosi di un impiego in un'agenzia di viaggi... >> osservò.
<< Viviana non ha mai avuto particolari ambizioni, le va bene quello che ha ottenuto >> spiegai.
<< A me è parso il contrario, Leti. Era come se più noi parlavamo e più lei cercasse di emergere, anche se il suo ragazzo la rimetteva al posto suo >> commentò.
<< Mario è un bravo ragazzo, ma non ha studiato granché. S'è preso il diploma di perito industriale quasi col minimo e già all'inizio dell'ultimo anno aveva cominciato a lavorare come cassiere dagli Zanoni per aiutare le buonanime dei suoi genitori >> raccontai.
Non erano la coppia meglio assortita del mondo, Mario e Viviana, ma almeno avevano più cose in comune di Emma e Carmine.
<< E questo gli fa onore, non lo discuto. Ma non sono come noi, sono proprio male assortiti >> dichiarò.
<< Qualunque coppia si amalgama meglio di Emma e Carmine. Loro sono il culmine della dissonanza >> sospirai.
<< Secondo me invece ci riserveranno delle sorprese >> ipotizzò sorridendo.
E quando Tancredi sorrideva, la mia mente mi suggeriva che era tutto apposto, che non dovevo più preoccuparmi di niente.
***
Man mano che le nozze si avvicinavano, cominciai a tornare nel Quartiere tutti i giorni: i preparativi procedevano a ritmo serrato, Emma aveva pianificato tutto al dettaglio e Carmine l'assecondava, innamorato ed ebbro della sua futura moglie; aveva voluto come damigelle tutte noi, perfino Alice, ed io le avrei fatto anche da testimone; il vestito l'aveva voluto da Sonia, con cui aveva riallacciato i rapporti proprio in previsione di sposarsi e avere un abito nuziale unico; delle scarpe se n'erano occupati Gilda e i suoi, e la location del pranzo sarebbe stata la pizzeria in onore della secolare amicizia tra le nostre due famiglie.
Solo che qualche settimana dopo accadde qualcosa che a primo impatto ci parve strano, ma che in realtà avrei dovuto tenere in conto: Gabriele partì per New York lasciando solamente un biglietto a suo fratello, dove spiegava che aveva bisogno di cambiare aria per un po'. Mario e Viviana s'erano inizialmente incazzati, lamentandosi che avevano da lavorare, che l'organizzazione del viaggio di nozze per Emma e Carmine era solo la punta dell'iceberg e che Gabriele era andato a divertirsi lasciandoli da soli con una mole di lavoro.
<< Non dovreste incazzarvi. Dovevate immaginarlo. Emma si sta sposando veramente, e lui non ha retto il colpo >> spiegai.
Non avrebbe mai accettato quell'unione, e nonostante ripetessi a me stessa che non me ne fregava più niente di lui, temevo seriamente che non avrebbe più messo piede a Roma.
***
La mattina ero andata dai Ferranti perché Emma aveva voluto che fossi presente durante i preparativi del suo outfit nuziale: sentivo che doveva confessarmi qualcosa di fondamentale, era sempre quello il motivo per cui voleva vedermi da sola.
L'abito di Emma era bellissimo, senza maniche e con un velo non eccessivamente lungo, i corti ricci rossi erano finemente acconciati e le truccatrici l'avevano resa più affascinante delle attrici della televisione; io, nel mio abito color rosso carminio e i miei capelli raccolti, mi sentivo insignificante a confronto con lei, ma d'altronde era una sensazione che mi accompagnava fin dall'adolescenza.
Prima di uscire dalla sua stanza, si mise davanti allo specchio a fissare la sua immagine; mi misi accanto a lei, spostò i suoi occhi sul mio riflesso.
<< Leti... >> esordì.
<< Che c'è? Hai la faccia di chi, invece di andare all'altare, si sta dirigendo verso il patibolo... >> commentai, notando la sua espressione, che era esattamente il contrario della felicità.
Si girò verso di me, mi guardò negli occhi.
<< Tutte le ambizioni che avevo a diciotto anni sto andando a sotterrarle con un "sì" >> rispose con voce laconica.
<< E allora perché te lo sposi? >> domandai.
Mi fece un debole sorriso.
<< Gabriele non si presenterà, penso che non tornerà prima del mio ritorno dal viaggio di nozze. Non ti sposare mai, Leti. Va a finire che ci sarà sempre qualcuno a non presentarsi >> replicò, eludendo volontariamente la mia domanda.
Non insistetti, non aprii proprio bocca finché non fu lei a decidere che era l'ora di andare. La seguii sempre senza controbattere: la macchina nuziale, guidata da Massimo, era già sotto il nostro palazzo; si andava in scena.
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