Capitolo 47

<< Cogliona, sei una cogliona! Ma come cazzo ti è saltato in mente di lasciarti scappare un partito d'oro come Leonardo? >> sbraitò mia madre non appena le raccontai di com'era finita tra me e il giovane Sironi. Era l'antivigilia di Natale.
<< Perché si è comportato da stronzo, lo fa da quando ho conosciuto Tancredi! >> ribattei per sottolinearle che se proprio avesse dovuto prendersela con qualcuno, avrebbe potuto prendersela con lui e non con me, che in fin dei conti non avevo fatto niente di male, a parte innamorarmi di un altro.
<< Ma chi, il filosofo, filologo, filippino... Come cazzo si dice? >> cercò di dire lei.
<< Filantropo >> la corressi, anche se era un termine troppo complesso per i suoi standard.
<< Eh vabbè, quello >> commentò stizzita.
<< Ha detto che mi ama, e che sono intelligente. Almeno lui lo riconosce... >> le rinfacciai.
<< Sì, certo... Già sei poco montata di tuo, poi è arrivato il professore a fomentarti ancora di più... Ma sai che c'è? >> fece allora lei.
<< Cosa? >> domandai. A quali condizioni lo avrebbe accettato come mio fidanzato? Avrei dovuto fare gli straordinari in pizzeria, magari pulire i pavimenti dopo la chiusura?
<< Tuo padre e io lo facciamo entrare in casa, ma solo con l'anello al dito! >> decretò.
<< E va bene, tanto per Capodanno è di nuovo a Roma! >> concessi.
L'avrei accontentata, tanto anche Tancredi non aspettava altro che una mia risposta positiva; forse le cose stavano finalmente andando per il verso giusto.

                                      ***

Il 26 dicembre del 2004 un terribile tsunami si abbatté sull'isola dello Sri Lanka, sulle coste meridionali dell'India e sulla vicina Indonesia: in quei giorni Tancredi si trovava ancora in Kenya, ma l'idea che se ne andasse in giro per il mondo mentre avveniva un simile cataclisma naturale mi impensierì parecchio.
Perciò appena possibile lo chiamai al cellulare.
<< Pronto? >> rispose. Sembrava tranquillo.
<< Tancredi, meno male che mi hai risposto... Ho sentito il telegiornale... >> esordii agitata.
<< Lo tsunami in Sri Lanka, sì. L'ho sentita anch'io la notizia >> continuò lui sempre calmo.
Mi sentivo una cretina a impanicarmi così tanto per una persona come lui che viaggiava in continuazione e che peraltro era grande, grosso e vaccinato.
<< Ti ho voluto sentire perché ero in pensiero per te. È vero, non ti trovi da quelle parti, però sei sempre in giro e quindi questa cosa mi fa preoccupare, magari ti sembrerò una ragazzina impreparata e stupida... >> mi giustificai.
<< Non dire cazzate, Leti. Io vedo solo un'assennata e matura giovane donna che si preoccupa per l'uomo che ama. È una cosa che ti fa onore, davvero. Domani comunque rientrerò in Italia. Ti farò conoscere mia sorella Cinzia, passerà il Capodanno con noi >> mi consolò.
A quelle parole mi chiesi se me lo meritavo davvero, uno come Tancredi: sempre gentile e con la risposta pronta, chiariva tutti i miei dubbi e riportava il sereno anche quando il cielo era pieno di nubi; mi domandai inoltre come fosse questa sorella, se avesse avuto il suo stesso idealismo e la sua stessa magnanimità.
<< Sarò molto felice di conoscere tua sorella. Ci vediamo a Capodanno >> conclusi, prima che ci salutassimo e riattaccassimo.
Pensai a come sarebbe potuto essere quel Capodanno a casa Storione: sicuramente più serio di quelli che si celebravano a villa Esposito o nel Quartiere; si sarebbe parlato di argomenti culturali e riguardanti le sorti del mondo, quindi a partire dal 27 dicembre cominciai a leggere più giornali di quanto avevo fatto sotto maturità, per non risultare disinformata agli occhi del mio fidanzato e di sua sorella.

                                      ***

Il 31 dicembre arrivò anche troppo velocemente: mi sembrava di non aver raccolto abbastanza materiale per arrivare preparata a quel Capodanno, quando Tancredi mi venne a prendere nel Quartiere; avevo sbagliato su di lui, non aveva pregiudizi nei confronti del mio ambiente di provenienza, forse era talmente abituato al brutto che non lo sconvolgeva nemmeno la più profonda periferia romana.
<< Allora, sei pronta? >> esordì lui, accendendo il motore della sua auto.
<< Oddio, lo dici come se dovessimo andare chissà dove... >> ribattei.
<< Diciamo che il posto in cui festeggeremo il Capodanno sarà un po' speciale... >> spiegò.
<< In che senso? Non festeggeremo a casa tua? >> domandai.
<< In realtà il Veglione è nel luogo di lavoro di Cinzia, e questo lavoro è veramente nobile... >> rispose. Lo guardai: pensai che si trattasse di una Onlus o di un centro sociale.
Erano una famiglia di altruisti e io mi sentivo maledettamente fuori contesto, non tanto perché non fossi già avvezza a questa sensazione, quanto per il fatto di aver incentrato tutte le mie scelte di vita - i fidanzamenti poco convinti, l'aborto in Grecia, le brochure dell'università collezionate di nascosto - le avevo effettuate sulla base dell'egoismo, che magari agli occhi di chiunque altro sarebbe stato normale, ma non di una famiglia di filantropi com'erano gli Storione.
Perciò indossai il mio sorriso migliore e sperai di non dire una parola che fosse sbagliata.

                                      ***

Avevo avuto ragione: si trattava davvero di un centro sociale, di quelli che si occupavano dei casi umani provenienti da realtà degradate quanto la mia o anche peggio.
Da lontano si sentiva una musica techno, da discoteca, con influssi etnici: era un ritmo molto orecchiabile, una mescolanza di culture che mi riportò indietro con la mente fino al 1988, quando Emma e io salimmo per la prima volta a casa del signor Faria, e vedemmo una miriade di oggetti provenienti da vari Paesi del mondo.
All'interno la gente sembrava divertirsi tantissimo, anche se immaginavo fosse un divertimento più controllato rispetto ai nostri Capodanni nel Quartiere.
<< Benvenuti, vi aspettavamo! >> ci accolse una giovane donna di una decina d'anni più grande di me, con i capelli rossi e gli occhi verde scuro. Si somigliavano solo vagamente: lei doveva aver ripreso i tratti somatici di un genitore, lui di un altro.
<< Buonasera, Cinzia! >> esclamò Tancredi.
<< Hai visto che bella festa? >> dichiarò la donna.
<< Ha un certo fascino multiculturale... >> commentò lui, guardandosi intorno.
<< Lei dev'essere Letizia... >> osservò lei, guardandomi negli occhi. Se non fosse stato per le iridi di un colore diverso, mi avrebbe sicuramente ricordato Emma.
<< È un piacere conoscerti. Tancredi mi ha parlato molto di te e di quello che fai... >> esordii stringendole la mano. Speravo di non aver detto niente di inopportuno.
<< Anche di te mio fratello mi ha parlato molto. Si è innamorato della tua intelligenza, una vera e propria folgorazione... >> mi raccontò Cinzia.
<< Tuo fratello è troppo buono... >> risposi imbarazzata.
<< Sono stato solamente sincero. È proprio quello che mi piace di te... >> mi rassicurò lui, circondandomi le spalle con un braccio.
<< Quanta gente, e che bella musica... >> osservai guardandomi intorno.
<< Qui dentro ci sono tutte le culture possibili e immaginabili: Africa, Asia, Europa Orientale, periferia romana e napoletana... >> spiegò Cinzia, mostrandomi la fauna che popolava la struttura: i ragazzi e le ragazze dovevano avere dai cinque ai vent'anni, bevevano bibite analcoliche - non potevano circolarne diverse - fumavano sigarette e drum, alcuni avevano i capelli rasati o colorati, altri sfoggiavano tatuaggi e piercing.
Sembrava la nostra generazione anceschina con qualche anno di meno, e a vederli cominciavo a sentirmi leggermente vecchia.
<< Dai, venite a prendere un po' di cous cous... >> ci invitò la sorella di Tancredi, facendoci strada in quel marasma di giovani e meno giovani.
Mi riempirono un piatto, mi diedero una coca cola e un po' mi sciolsi.

                                      ***

Da quel giorno cominciai a frequentare più spesso la famiglia Storione: i loro genitori erano morti qualche anno fa in un incidente aereo, per cui Tancredi e Cinzia avevano imparato a contare l'una sull'altro, e anche se capitava che stessero lontani - ognuno con la sua battaglia personale in favore dell'umanità - sapevano di essere uniti da un filo invisibile, che non era composto solo dallo stesso sangue ma da un affetto sincero: e c'era bisogno di legami solidi, in un mondo come quello di allora, pieno di eventi e in continuo mutamento, dove quelle che erano le basi di sempre potevano non valere più dall'oggi al domani, ed essercene di nuove all'improvviso.
Nel 2005 nacque YouTube, il sito con cui tutti i video possibili finivano in rete e venivano visti, inviati e condivisi da tutti: non sapevamo se potesse essere un bene o un male; le notizie si sarebbero diffuse più velocemente, ma ogni cosa sarebbe diventata di dominio pubblico, buttata in piazza, additata e giudicata sia come il contenuto migliore del mondo sia come una terribile onta, da ghettizzare, svilire e distruggere davanti agli occhi di tutti, senza privacy e senza delicatezza.

                                      ***

Il 2005 fu anche l'anno di due eventi che segnarono la fine di un'epoca e l'inizio di un'altra.
Il primo fu la morte del papa Giovanni Paolo II, che come pontefice aveva assistito ad avvenimenti epocali come la Caduta del Muro di Berlino, il Terrore Rosso in Italia e l'avvento della globalizzazione nel 2000, in concomitanza col Giubileo, ma al quale il Morbo di Parkinson aveva assottigliato sempre più la possibilità di fare una vita attiva, e per lui, sempre in movimento, era stato forse anche peggiore della morte; morì ad aprile, e poche settimane dopo venne indetto il conclave per scegliere il suo successore, e il verdetto fu a favore del cardinale tedesco Joseph Ratzinger, il quale era stato un grande amico del suo predecessore, e che scelse il nome di Benedetto XVI.
La seconda fu il matrimonio tra il principe Carlo d'Inghilterra e Camilla Parker-Bowl, l'unica donna che avesse mai amato, e a cui aveva dovuto rinunciare sia perché divorziata - come l'attrice Wallis Simpson in favore della quale aveva abdicato Edoardo VIII, prozio di Carlo, negli Anni Trenta - sia perché obbligato a sposare lady Diana, con cui aveva avuto un'unione infelice che aveva prodotto due figli, tradimenti reciproci ed era culminata tragicamente con la morte di lei nel 1997, a Parigi.
Le loro nozze vennero mandate in onda in mondovisione, e tutte le famiglie del Quartiere si rintanarono in casa per non perdersi neanche un minuto della cerimonia: per le strade non si vide quasi nessuno per un giorno intero.
Ovviamente avevo troppo da fare per perdere una giornata appresso ad una roba simile, tuttavia, mentre ero al lavoro, pensavo a come Emma, lì a Londra, avesse vissuto quei giorni, se li avesse trovati elettrizzanti, ma in maniera più viva rispetto agli abitanti del Quartiere, parcheggiati passivamente davanti ai televisori.
Tancredi era in viaggio in Angola con la sorella, per portare alcuni bambini in salvo dalle guerre civili e metterli in lista per delle possibili adozioni, sarebbero tornati non prima dell'inizio di maggio; a pensarci mi veniva una sensazione di tristezza mista a invidia: loro sì che facevano qualcosa di sensato per il mondo, era una stirpe che meritava davvero di essere chiamata tale, mentre la mia era buona soltanto a fregare la legge e a buttare giornate appresso alle frivolezze, ogni volta che ce n'era una.
Tale sensazione mi bruciò ancora di più nello stomaco quando tornai a casa, la sera del matrimonio reale.
<< Ah, sei tornata... Sapessi che ti sei persa! >> esordì mia madre dalla cucina. Aveva cominciato a preparare la cena dopo la fine delle nozze in mondovisione.
<< Una pacchianata coi controfiocchi, immagino >> risposi roteando gli occhi.
<< Vabbè che te sei snob, lo sei sempre stata, ma era veramente una cosa di classe. Magari lo fai anche tu un matrimonio come quello, col Professore... >> commentò riferendosi a Tancredi.
<< Tancredi non farebbe mai una cerimonia simile. Semmai avrebbe in mente qualcosa di etnico, magari esotico... >> ribattei.
<< Quella sì che sarebbe una pagliacciata, speriamo che il tuo uomo non è così matto... >> replicò. Niente, non capiva e non avrebbe mai capito tutto ciò che si estendeva oltre la sfera delle sue limitate conoscenze.
Qualunque cosa le fosse ignota era per lei il nemico, non importava se poi si rivelasse una cosa bella o comunque migliore di quello a cui era abituata lei, e non c'era verso di farle cambiare idea: ci avevo rinunciato fin da subito, per questo non vedevo l'ora che Tancredi mi chiedesse di sposarlo; con un simile atto, avrei tracciato per sempre una linea di confine tra me e il mondo da cui venivo e sarei entrata ufficialmente nell'Empireo degli open minded senza che le ombre della mia famiglia e del Quartiere mi perseguitassero.
<< Comunque digli di venire a pranzo da noi >> propose poi, anche se dal tono sembrava più un'imposizione.
<< Quando? >> domandai.
<< Domenica questa >> decise.
<< Ok, glielo dico >> risposi.
L'idea di fare una brutta figura per il parentame chiuso e limitato che mi ritrovavo non mi spaventava troppo: dopotutto aveva visto le guerre civili in Africa, un pranzo sotto le forche gaudine di mia madre e mia sorella non doveva essere poi tanto male.

                                     ***

La domenica Tancredi si presentò con le paste e questo sembrò abbastanza gradito a mia madre: un ospite che non si presentava a mani vuote era uno scroccone in meno, secondo lei.
Erano venuti anche Orlando e Simona con i figli, e la presenza del giovane Floris mi rassicurò: almeno andava a rimpinguare le fila di coloro che avrebbero parlato in mio favore, mentre mia madre e mia sorella non avrebbero fatto altro che demolirmi durante tutto il pranzo.
<< E quindi lei è un filantropo, giusto? >> esordì mia madre, che aveva imparato a dire quel termine che le suonava tanto ostico apposta.
<< Sì, mi piace occuparmi della gente di tutto il mondo. Il mio è letteralmente un amore sfrenato per l'umanità >> rispose Tancredi gustando una porzione di lasagna.
<< Ma tutta tutta l'umanità? >> domandò mio padre.
<< Nessuno escluso. Ormai il mondo è come un unico grande condominio. Se qualcuno butta l'acqua dal balcone in Cina se ne accorgono negli Stati Uniti, in Nigeria, in Australia... Ormai non si può più rimanere indifferenti nei confronti degli altri condomini >> sorrise lui tranquillo. Era stata geniale la metafora del condominio: chissà se con quel paragone così vicino alla loro realtà avrebbero capito i concetti aulici sciorinati dal mio fidanzato.
<< Beh, qui se qualcuno lascia l'immondizia sul pianerottolo, se la deve togliere da solo, altrimenti gliela facciamo mangiare... >> commentò Simona. A quelle parole mi volli sotterrare: mia sorella stava facendo a pezzi un delicatissimo processo di costruzione di un minimo d'unione familiare che non avevamo.
<< La violenza, signora Floris, non ha portato altro che guerre, muri, incomprensioni. Sempre meglio la pace, non trova? >> ribatté sorridendo Tancredi.
Simona stava per controbattere, quando Orlando prese la parola.
<< Ben detto, signor Storione >> lo appoggiò, guardandomi complice.
<< Vado a prendere il secondo. Leti, vieni con me? >> intervenne mia madre.
<< Ok >> risposi prontamente.
Forse doveva dare la sua benedizione, o forse voleva dare la mazzata finale a Tancredi mentre eravamo da sole.
Col cuore in gola la seguii in cucina.

                                     ***

Capii che il secondo era solo un pretesto quando mise le mani sul tavolo e stette in silenzio alcuni minuti, mentre dal salotto provenivano le voci di Tancredi e del resto della famiglia.
<< Non mi hai chiamato per aiutarti con l'arrosto, vero? >> indovinai.
<< Non mi piace. Quel Tancredi non me la racconta giusta >> rispose.
<< Ma dici perché è più grande di me? Perché proviene da un altro ambiente? Perché ha viaggiato tanto e io no? >> la incalzai perciò.
<< Non è solo questo. È che è troppo colto, troppo educato, troppo perfetto. Uno così ha per forza del marcio nascosto, solo che tu sei troppo ingenua per accorgertene. Hai fatto una cazzata a lasciare quel bravo ragazzo di Leonardo per lui. Ne fai sempre così tante. Ma adesso andiamo di là, manteniamo le apparenze >> concluse lei, prendendo l'arrosto dal forno con le prese antiscottatura, e precedendomi verso il salotto.
Sperai seriamente che si ustionasse. La odiavo, li odiavo tutti: odiavo Simona, perché lei e la mamma avevano sempre fatto comunella per distruggermi; odiavo mio padre, Dario e Orlando, che non riuscivano a ribellarsi a quelle due donne orribili; odiavo perfino i miei nipoti, perché immaginavo che sarebbero diventati ignoranti esattamente come i genitori.
Non vedevo l'ora di andarmene con Tancredi, lontano da lì.

                                    

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