Capitolo 46

Le nostre lauree si celebrarono tutte a marzo del 2004: come promesso, Leonardo, Irene, Cesare ed io arrivammo all'agognato traguardo del percorso accademico in contemporanea; il giovane Giardini prese 110 e lode esattamente come me, Irene e Leonardo consenguirono 105. Eravamo tutti soddisfatti.
<< Ai nostri dottori! >> gridò Orlando, stappando la bottiglia di champagne e facendosi riconoscere da tutti.
I fratelli e gli zii di Irene non si comportarono diversamente, facendo lo stesso casino.
A un certo punto mi sentii chiamare per nome.
<< Signorina Finelli! >> mi girai e trovai Tancredi Storione dietro di me.
<< Signor Storione! Ma che piacere vederla... >> risposi leggermente imbarazzata.
<< Non potevo certo perdermi la laurea della migliore studentessa del corso delle mia cara amica, la professoressa Valeria Taglioli! >> esclamò.
<< La professoressa Taglioli è troppo buona... >> mi schermii.
Avevo gli occhi dei miei amici e dei miei familiari puntati addosso, anche se cercavano di non mostrarlo apertamente.
<< La professoressa Taglioli è semplicemente onesta. Spero che vorrà fare domanda per il dottorato di ricerca... >> replicò sorridendo.
<< Io... Beh, sì certo. È il mio obiettivo fare il dottorato... >> ribattei, sorridendo anch'io.
<< Bene, perché quello è il suo posto nel mondo. Lei è un vero talento, signorina Letizia, e la ricerca sul mondo antico, se entrasse a far parte della nostra équipe, avrebbe davvero un valore aggiunto >> sostenne.
Era la prima persona che mi stimava per le mie ambizioni, senza criticarmi e senza dirmi che ero una pazza a voler passare così tanto tempo sui libri.
<< Grazie, signor Storione. Lei è molto gentile >> lo ringraziai.
<< Presto usciranno le domande per il dottorato. Non esiti a farla, e avverta anche il suo collega Giardini. Siete i migliori del corso, a sentire la Taglioli. E adesso so che soprattutto lei è una garanzia. Allora arrivederci! >> concluse poi.
<< Arrivederci... >> lo salutai, ancora incredula. Mi stava forse favorendo? Non lo sapevo con certezza e non me ne importava: in quel momento sembrava essere l'unico a credere in me.
Irene, Cesare e Leonardo si avvicinarono.
<< Che voleva Storione? >> domandò il mio fidanzato.
<< Niente, mi faceva gli auguri... >> risposi in tono vago.
Non mi andava di raccontargli tutto nel dettaglio: se mi avesse fatto scenate di gelosia, gli avrei sicuramente rinfacciato che fino ad allora la mia conoscenza dell'uomo gli aveva fatto comodo.

                                   ***

Brindammo tutti insieme con lo champagne sulle scale fuori la facoltà, e successivamente i Sironi furono invitati a festeggiare con noi nel Quartiere: Giorgio, Delia e Alessandra non c'erano mai stati qui, e mi accorsi delle loro facce leggermente scioccate a vedere i modi sguaiati e le battute sconce degli anceschini.
Tuttavia la mia mente era concentrata su due cose in particolare: la prima erano le parole di Tancredi Storione, la sua stima nei miei confronti, la sua intelligenza e la cultura che facevano invidia anche a persone come i signori Sironi; la seconda era la perenne assenza di Emma, che non si era presentata nemmeno il giorno della mia laurea, sebbene l'avessi pregata di farsi viva almeno quella volta - in fondo era la mia migliore amica, e io sarei stata in prima fila, se fosse stata lei a laurearsi.
Il pranzo organizzato dai miei genitori in mio onore era esageratamente fastoso e soprattutto ipocrita, specialmente da parte di mia madre e di Simona, che avevano sempre disprezzato la mia attitudine allo studio e adesso mi esibivano come un gingillo; tenevo costantemente sotto controllo le espressioni facciali dei Sironi, facevo attenzione a tutti i movimenti dei loro volti, alla ricerca di una minima traccia di raccapriccio per l'ambiente in cui si trovavano, qualcosa che potessi recriminare a Leonardo, visto che ormai la sua presenza, più che rendermi felice, mi dava fastidio: ma niente, continuavano a sorridere gentilmente a tutti, imperturbabili come se nulla li toccasse, come se non si trovassero nel Quartiere Anceschi ma a Via del Corso, in pieno centro storico.
Furono invece Gabriele e Viviana ad avvicinarsi a me e Leo.
<< Ma quanto è bella la nostra coppia di dottori... >> commentò la Caruso, sinceramente contenta per noi. Anche lei era prossima alla laurea e presto avrebbe lavorato come psicologa, ma mi chiamava dottoressa come se appartenessi ad un'altra categoria in cui lei sentiva di non rientrare.
<< Grazie, Vivi... >> dissi gentilmente.
<< Farete tutti e due il dottorato? >> domandò Gabriele.
Percepivo un tono di sfottò nella sua voce, mi veniva da spingerlo di peso in mezzo al Viale dei morti ammazzati, sperando che qualche macchina in corsa lo trinciasse.
<< In realtà i miei genitori auspicano per me una carriera diplomatica, come la loro, ma se Leti riuscisse a diventare ricercatrice sarei contento per lei. Se lo diventiamo entrambi, poi, tanto meglio... >> affermò.
Mi sentivo al centro di una farsa in cui a nessuno importava del mio bene, anche se tutti si riempivano la bocca del mio nome ed elogiavano le mie doti.
L'unica persona che desideravo davvero in quel momento era Tancredi, ma probabilmente lui, per quanto animato da spirito filantropico, non si sarebbe mai abbassato a venire fin laggiù.

                                    ***

Inviai la domanda per il dottorato appena dopo la laurea, e Cesare fece lo stesso: avevamo sempre sognato di lavorare nell'équipe di ricerca della professoressa Taglioli, e intimamente non vedevo l'ora di rincontrare Tancredi; sapevo che, nonostante non fosse un ricercatore, lo avrei incontrato spesso da quelle parti, e perciò ritenni giusto prendere informazioni su di lui: Internet ne tesseva le più grandi lodi, su tutti i siti del Web vigeva un'unica versione, e cioè che Storione era un imprenditore con la passione per la storia antica e per le sorti dell'umanità, pronto a elargire fondi per le Onlus e i siti archeologici; scapolo, aveva avuto molte relazioni ma non si era mai sposato e non aveva avuto figli: pensai che non aveva ancora trovato la donna giusta, quella che fosse disposta a condividerlo col resto del mondo; a molte sarebbe parso un grande sacrificio, ma a me no: immaginai di essere io la donna ideale per lui, forse ero presuntuosa o magari talmente bisognosa di uscire dal mio luogo d'origine da attaccarmi ad un uomo impegnato, conosciuto a livello mondiale e soprattutto molto più grande di me.
Dimostrando a Tancredi che ero brava avrei fatto in modo che si accorgesse di me non solo a livello accademico ma anche sentimentale, e lodando la mia preparazione e la mia apertura mentale mi avrebbe fatto posto nella sua vita sempre dedicata agli altri, conducendomi negli ambienti colti che sapevo di meritare da quando avevo aperto gli occhi sul mondo; mi sarei lasciata alle spalle tutto - mia madre, mia sorella, il Quartiere e i suoi impicci, Gabriele e la sua stronzaggine - e avrei guardato la mia esistenza di prima con distacco, quasi come se fosse stata un'altra persona a viverla e non io.
Chissà, magari in famiglia avrei sollevato un polverone, se fossi stata presa a fare il dottorato e se avessi avuto un minimo di possibilità con Tancredi, magari mia madre mi avrebbe dato della parassita come faceva ogni volta che scardinavo il suo desiderio di vedermi smettere di studiare, ma non mi importava: quello che stavo scrivendo era il mio futuro, e non avrei accettato ingerenze da parte di nessuno.

                                    ***

Quando mi arrivò la risposta positiva per poter fare il dottorato all'università, lo comunicai in famiglia, durante la cena; c'era anche Leonardo, glielo avevo già detto nel pomeriggio e avevo bisogno che mi facesse da supporto morale: non sentivo più l'amore di prima, nei suoi confronti, eppure la sua presenza continuava a mettermi sicurezza.
<< E così passerai tutto il tempo a lavorare con dei cocci antichi? >> domandò curiosamente Dario. Ormai il linguaggio del Quartiere e l'educazione di mia madre lo stavano influenzando sempre di più, non ero riuscita a salvarlo.
<< Non sono cocci, Dario. Sono reperti archeologici... >> sospirai perciò.
<< Ah per carità, Dariè, non fare errori con tua sorella che sennò se la piglia e ti corregge... >> mi prese in giro mia madre.
Non capiva, non aveva mai capito e non avrebbe cominciato adesso.
<< Per favore, Clè... >> la pregò mio padre. Meno male che c'era lui.
<< Meno male che ci sei tu, Leonardo. So che quelli che lavorano alla ricerca guadagnano una miseria... >> commentò Simona, mentre imboccava Vincenzo.
<< Sarebbe bello se vi sposate! Magari è la volta buona che vediamo un matrimonio da signori... >> aggiunse Orlando entusiasta.
Le sue parole erano sincere, ma potevano essere strumentalizzate da mia madre e mia sorella.
<< Volesse Iddio che fossero di nuovo fiori d'arancio, per questa famiglia... >> sentenziò perciò mia madre.
Era una provocazione bella e buona: con ciò voleva dirmi che il tempo passava e che dovevo pensare alle nozze e ai figli invece che perdere tempo sui libri, come le piaceva definire il mio modo di costruire il futuro.
Mi augurai che Leo raccogliesse tale provocazione e che le rispondesse per le rime, con gentilezza ma determinazione, in mia difesa.
<< Anche i miei auspicano fiori d'arancio, signora. Così come me >> ribatté tranquillamente.
Passai il resto della serata con la gastrite, sperando che quell'agonia finisse: non capivo se mi avesse calpestato più lui in poche ore che la mia famiglia per tutta la vita.

                                     ***

Il primo giorno del dottorato mi sentivo emozionata come tutte le volte che avevo cominciato qualcosa di nuovo nel percorso della mia istruzione: le elementari, le medie, il liceo, l'università.
Stavo entrando alla facoltà di Lettere con un nuovo ruolo, di chi studia per portare alla luce qualcosa che pareva non esserci più e che invece riemerge per raccontare al mondo una storia antica, ma che in fondo aveva insita dell'attualità: non lo percepivo solo come un lavoro, ma come un compito, e l'unico a pensarla come me era Cesare, per cui quella mattina eravamo gasatissimi, mentre seguivamo la professa Taglioli nelle aree di ricerca dell'edificio, che sarebbero state il nostro futuro luogo di lavoro.
<< Ragazzi, quest'oggi non entrerete solo in una stanza, ma in una vera e propria fucina dove vengono sfornate storie che sembravano essere state dimenticate, sepolte dal tempo. E proprio questo è il nostro compito, dissotterrarle e mostrarle al mondo insieme all'epoca in cui hanno visto i natali... >> fece la professoressa, aprendo le porte di una stanza dove c'era molta gente più o meno giovane, con indosso il camice bianco e i guanti di lattice, che maneggiavano con cura anfore, ampolle, vasi di terracotta, monili e specchi, tutto databile a remote epoche avanti Cristo, ciascuna con una storia da raccontare.
Cesare e io rimanemmo a bocca aperta, ci sembrava di aver avuto accesso al Paradiso.
<< Ragazzi, questi sono Letizia Finelli e Cesare Giardini, due nuovi membri del nostro equipaggio... >> ci introdusse la Taglioli.
<< Non ne avevo dubbi! >> la voce profonda di Tancredi Storione invase la stanza e sentii un tuffo al cuore.
Se proprio del Paradiso si trattava, non potevano certo mancare gli angeli.
<< Buongiorno, signor Storione... >> lo salutai.
<< Buongiorno, signor Storione... Sarà veramente un onore lavorare con lei, ho letto tutte le gesta che ha compiuto! >> esclamò entusiasta Cesare.
<< Non ho fatto niente... Il mio unico merito è quello di amare l'umanità con la U maiuscola! >> sorrise Tancredi in modo caloroso, e mi sembrò di annegarci, in quel sorriso, di perdermi nell'incarnato delle sue labbra, di accecarmi col bianco dei suoi denti.
<< Un eroe modesto, è questo che ti rende così speciale, mio caro... Ma adesso mostriamo ai nostri Letizia e Cesare a cosa stiamo lavorando... >> commentò Valeria, introducendoci vicino ai reperti archeologici.
Tancredi non mi tolse lo sguardo di dosso, per tutto il tempo.

                                    ***

I giorni passavano e io mi trovavo sempre più nel mio elemento: circondata da gente che mi stimava e che credeva nelle mie potenzialità, svolgevo la professione che sognavo fin da piccola, e questo riusciva a farmi dimenticare tutti i problemi che si erano accavallati nell'ultimo periodo, dall'astio di mia madre e Simona alle provocazioni di Gabriele, passando per la mia distanza morale con Leonardo, sempre più grande e incolmabile.
Era soprattutto Tancredi a rendere tutto più bello: nelle pause parlavamo del più e del meno, ci scambiavamo opinioni, lui mi raccontava delle sue esperienze in giro per il mondo, dei popoli che aveva conosciuto, delle usanze di cui gli avevano rivelato segreti e simbolismi; nella mia vita non avevo mai conosciuto una persona più interessante di quell'uomo, ed ero sicura che se Emma l'avesse conosciuto, avrebbe approvato il suo ingresso nella mia quotidianità, sicuramente suggerendomi di non lasciarmelo scappare e di mollare Leo seduta stante, sempre con quel suo modo spiccio di risolvere le cose che non avevo mai approvato ma che in quel frangente mi sarebbe davvero tornato utile.
<< Sei una ragazza intelligente ad un livello che difficilmente mi è capitato di individuare, nelle persone che ho conosciuto >> mi disse una volta, durante una pausa caffè. Mancava poco alle vacanze di Natale.
<< Perché, ad esempio non reputi che Valeria sia intelligente? >> gli chiesi. Ormai ci davamo del tu da un po'.
<< Certo che è intelligente, ma di un'intelligenza media. Tu invece sei proprio brillante, e c'è una bella differenza tra essere intelligenti ed essere brillanti >> mi spiegò.
<< Nessuno mi ha mai detto che ero brillante. Intelligente, poi, specialmente la mia famiglia mi ci ha sempre definito come per sfottermi >> sospirai.
<< E allora non hanno mai capito niente di te. Né loro né il tuo ragazzo, Leonardo... >> ribatté, andando a toccare quello che ormai consideravo il mio tasto dolente.
<< Che vuoi dire? >> domandai agitata. Avevo sempre avuto paura di affrontare quel discorso, perciò lo riponevo in un angolo nascosto del mio cuore, lo guardavo rappresentare la mia perenne codardia.
<< Lascialo, Letizia. Lascialo e mettiti con me. Posso renderti felice, non solo a livello emotivo, ma anche intellettuale. Quel Leonardo non è adatto a te. Ti mortifica >> dichiarò, e quel ti mortifica mi riportò indietro fino al 1999, quando Gabriele smontò in poche frasi il mio fidanzato con Annibale.
<< Non posso lasciarlo dall'oggi al domani >> ammisi abbassando lo sguardo.
<< Non ti chiedo di lasciarlo dall'oggi al domani, ma di prendere una decisione. Io questo Natale andrò in viaggio in Kenya e tornerò poco prima di Capodanno, tu fammi sapere quando torno, ok? >> propose, avvicinandosi a me.
<< Ok... >> risposi, lasciandolo avvicinare e permettendogli di baciarmi. Non mi tirai indietro: mi ero messa in una situazione di merda.

                                     ***

<< Leti! >> fece la voce di Leonardo dietro di me.
Tancredi e io ci girammo di scatto: ci aveva visti.
<< Leo, aspetta... >> cercai di dire.
<< Vi lascio soli... >> intervenne Tancredi.
<< Sì, forse è meglio >> ribatté Leo, col tono pieno di astio. L'avrebbe fatto secco, se fosse stato armato.
Aspettammo che Tancredi fosse abbastanza lontano per poter dare sfogo a tutto il nostro risentimento represso.
<< Sei una puttana, io l'ho pensato da quando avevi cominciato a stare appresso al progetto degli Altieri, ma speravo che fosse solo una supposizione... >> esordì in tono pieno di disprezzo.
Non potevo credere a quello che mi stava dicendo.
<< E adesso che hai, la prova provata? >> lo sfottei perciò.
Volevo vedere come si sarebbe arrampicato sugli specchi, visto che tra le braccia di Tancredi mi ci aveva praticamente spinto lui con la sua permissività.
<< L'avevo capito che quello là ti sbavava dietro, sai? Ma sapevo che l'avresti tenuto a distanza, che non ti saresti incantata a sentire le sue parole suadenti, e invece ci sei cascata con tutte le scarpe. Sei una cretina, oltre che una puttana, ti fai comprare con un piatto di lenticchie... >> sentenziò, ma non fece in tempo ad insultarmi ulteriormente, che gli mollai un ceffone di quelli che mi tirava mia madre quando ero piccola e facevo qualcosa che non le andava a genio.
<< Sei uno stronzo, non devi aggiungere altro perché sei l'ultima persona che può farmi la morale: sei opportunista, viscido e stai con me soltanto perché io ho una testa pensante e tu vivi della mia luce riflessa, e la cosa che mi fa stare peggio è che su di te mi hanno aperto gli occhi tutti, ma io non li ascoltavo e ti ho sempre difeso, e invece adesso scopro come sei... E tu sei una persona meschina, piccola e brutta, sputi veleno su di me solo perché non vali un cazzo... >> dissi finalmente, liberandomi di tutto quello che avevo accumulato dentro di me, il risentimento, i dubbi, il dolore, la rabbia, ogni cosa usciva allo scoperto, in quella mattina del 21 dicembre.
Dopodiché girai i tacchi e me ne andai, lasciandolo solo nell'atrio.
Non m'importava che cosa avrebbero detto la mia famiglia, la sua, gli abitanti del Quartiere, non me ne fregava un cazzo: avevo tagliato via da me una grossa zavorra, una cancrena che, se l'avessi lasciata lì dov'era, mi avrebbe distrutta.

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