Capitolo 41
Nel 2002 l'Euro subentrò in Italia, sostituendo la lira come moneta nazionale: l'esigenza di uniformarsi al sistema monetario europeo si era già manifestata tempo prima con la sfortunata Ecu, una moneta sperimentale che venne introdotta per gli scambi sul mercato finanziario, ma che non era fondata su basi solide e vide molta gente perdere grosse somme di denaro.
La prima volta che sentii parlare di questi fallimenti fu a casa dei Sironi: un'amica della signora Delia aveva fatto un azzardato investimento in Ecu e ci aveva rimesso; il signor Giorgio le diede manforte, sostenendo che ci sarebbe stato bisogno di un sistema più forte, studiato e davvero unificante, non a chiacchiere ma con i fatti: speravamo tutti perciò che l'Euro avverasse quelle nostre aspettative.
***
Nei giorni successivi all'introduzione della nuova moneta, mi capitò di parlarne a lungo non solo a casa Sironi, ma anche all'università: il più infervorato nei discorsi era Cesare, il quale, nei nostri dibattiti, sosteneva che il settore dell'archeologia ne avrebbe risentito positivamente, e che anzi avrebbe davvero svoltato.
Irene, Leonardo e io ci guardavamo: forse si illudeva troppo, dopo il fallimento dell'esperienza Ecu, ma evitavamo di smontare il suo entusiasmo perché alla fine diventava contagioso, e perché ad ogni modo la speranza fosse l'ultima a morire.
Partecipavano alle nostre conversazioni anche Viviana, Gabriele e Caterina, sebbene questi ultimi avessero entrambi l'aria strana: comprendevo lei, che avevo visto piangere nel bagno di casa sua a Capodanno per la situazione critica in cui si trovava la sua relazione con Mario, ma non lui, il quale con la Caruso sembrava non avere problemi.
Ma tuttavia cercavo di farmi coinvolgere sempre meno dalle nostre beghe di provincia, consapevole che vivevamo in un mondo in continuo divenire e che le cose ormai, con sempre più Paesi che entravano nell'Ue e che ne adottavano la moneta unica, potessero andare solamente in un verso, e cioè in avanti.
L'unica persona in grado di capirmi, anche se a distanza, era come al solito Emma: l'avvento del computer aveva scongiurato il problema delle lettere e delle cartoline, che potevano far sgamare il luogo in cui viveva in qualsiasi momento; con le e-mail, che viaggiavano attraverso i nostri personal computer, un simile pericolo era stato ovviato.
L'ultima me l'aveva mandata pochi giorni dopo l'avvento dell'Euro, mentre da lei, nel Regno Unito, avevano deciso di mantenere la sterlina:
Londra, 3 gennaio 2002
Cara Leti,
devono essere giorni di festa per tutta l'Europa continentale con l'avvento della moneta unica, l'Euro.
Una salvezza, non trovi? Ricordi come avevamo parlato male dell'Ecu?
Chiaramente qui ci siamo chiamati fuori, ma non per spocchia, come pensano tutti: la sterlina ha fatto sempre funzionare tutto, Ue o meno, e penso che mantenerla sia una scelta matura, di chi riesce a cambiare le cose senza rinunciare alla sua natura.
Per quanto mi riguarda, da pochi giorni ho lasciato Alfred, e ho iniziato una relazione con Jack: non so quanto durerà, ma spero di poter essere felice, almeno finché il fuoco non si spegne.
Sperando di ricevere presto tue notizie, ti saluto e torno alle mie cose.
Emma.
Come ogni volta che mi inviava una e-mail, mi trovavo in difficoltà a risponderle: non perché non avessi niente da raccontare, ma perché la mia quotidianità mi appariva noiosa e banale, se paragonata alle sue folli avventure britanniche, alle sue emozioni vissute sempre sul filo del rasoio, ai suoi amori da telefilm americani - Alfred, Paul, Jonathan, Jack - che usava finché voleva e gettava tutte le volte che, come lei diceva, si spegneva il fuoco.
Certo, la mia esistenza era molto più solida della sua, le mie scelte più assennate, ma da quei confronti virtuali ne uscivo sempre incompleta, come se alla mia vita mancasse quel brivido che aveva sempre caratterizzato la sua.
L'unica adrenalina che provavo era quella di essere la custode dei suoi più reconditi segreti, l'esperta conoscitrice delle sue intenzioni, la sola in grado di immaginarle e anticiparle; era questo mio essere la sua partner in crime, a farmi sentire tutti i miei vent'anni, altrimenti senza di lei mi percepivo più vecchia.
***
Le turbolente vicende del Quartiere tornarono a monopolizzare i miei pensieri un pomeriggio di fine gennaio, quando sentii dei rumori di grida provenire dalle scale: l'androne del nostro palazzo non era più teatro di discussioni eclatanti da quando Emma se n'era andata e suo padre non aveva altre figlie ribelli quanto lei; perfino Pino O' Serpente e Lilly Marlen erano più quieti di loro.
Le voci che sentivo in quel momento, però, erano entrambe maschili, e le riconobbi immediatamente perché appartenevano ai fratelli Altieri.
Uscii subito sul pianerottolo, imitata dai residenti sul mio stesso piano e via via anche dagli altri condomini.
<< Sei uno stronzo e un egoista, Mà! Come cazzo ti è saltato in mente? >> inveiva Gabriele. Non l'avevo visto così incazzato nemmeno quando era tornato da Londra senza Emma.
<< Mi è saltato in mente perché è la mia vita, porca puttana! >> controbattè suo fratello maggiore.
Salii le scale di corsa per vedere cos'era successo. Per le scale incontrai Alice: aveva probabilmente smesso di battere pur di impicciarsi del vicinato, da brava abitante del Quartiere.
<< Ma sono Gabriele e Mario? >> mi chiese.
<< Che cazzo staranno facendo, quei due? >> ribattei, correndo più veloce per arrivare al pianerottolo del quarto piano, dove i due si stavano accusando pure del peccato originale.
<< Ma hai pensato alla mamma? Come pensi che reagirà alla notizia che hai lasciato Caterina Esposito, per di più con un messaggio? >> rinfacciò Gabriele.
Ricollegai l'aria sconvolta del minore degli Altieri e quella distrutta di Caterina, nei giorni passati, a quella litigata plateale.
Avevo immaginato il danno, ma non ne avevo calcolato bene l'entità.
<< Possibile che mi dici di rendere conto alla famiglia di tutto quello che faccio, proprio tu che te ne sei sempre fregato? >> rimbeccò Mario.
<< Ma si può sapere che è successo? >> intervenni, seguita a ruota da Alice e da altre persone, mentre i condomini del quarto piano si erano tutti affacciati per godersi lo spettacolo.
<< Succede che mio fratello è un coglione che ha buttato al cesso l'occasione della sua vita, che avrebbe fatto svoltare tutta la nostra famiglia! >> esclamò rabbioso il minore.
<< Io sono una persona libera di amare e di lasciare chi vuole! >> ribatté il maggiore.
<< E vi pare il caso di far sapere i cazzi vostri a tutto il condominio? >> li richiamai allora.
<< L'amica tua si faceva certi pezzi col padre che ce li ricordiamo tutti, faceva sempre il cazzo che gli pareva da tutta la vita, se n'è scappata a Londra e nessuno ha detto niente in confronto al casino che 'sto stronzo di mio fratello sta facendo per una storia finita, una storia mia, per giunta! >> replicò alterato Mario.
A sentir tirare in ballo Emma, mi girai d'istinto verso Gabriele: vidi i suoi occhi azzurri ingrandirsi, le iridi del suo naso dilatarsi per la rabbia.
<< Tu non la devi nominare nemmeno, Emma! Lavati la bocca quando parli di lei! >> sbottò quest'ultimo, tirando un gancio sinistro dritto in faccia al fratello.
Il colpo gli fece uscire il sangue dal naso e dalla bocca; sputò un dente sul pavimento del pianerottolo, prima di rispondere mollandogli un pugno in risposta: il sangue sgorgò anche dalle ferite di Gabriele, che si lanciò una seconda volta addosso al fratello, mettendogli le mani al collo e rischiando di strozzarlo, se Alice e io non ci fossimo messe in mezzo per dividerli.
<< Basta, porca puttana! >> esclamai.
<< Levati, Leti... Non lo vedi che questo è pazzo? >> replicò Mario come un animale catturato, che si divincolava per uscire dalla gabbia messa dal cacciatore.
Non feci a tempo a rispondere che Lilly Marlen sopraggiunse tutta trafelata.
<< Caterina Esposito se ne sta venenn in do' Quartiere... Mo ca' ce sta o' pat ca fott caa Zingaredda! >> ci avvertì.
<< Merda! >> imprecai, scendendo giù per le scale e diretta verso il Viale dei morti ammazzati per scongiurare una possibile tragedia.
***
Schizzai fuori dal portone, correndo verso la piazza principale, ma me la ritrovai davanti: era arrivata ai nostri casermoni.
<< Dove cazzo sta quel figlio di puttana, Leti? >> mi domandò sconvolta.
<< Cate, cerca di calmarti... >> tentai di tranquillizzarla.
<< Come cazzo faccio a calmarmi, Leti? Mi ha lasciata con un messaggio, non me ne frega niente di me! >> sbraitò, con le lacrime agli occhi e il respiro affannato.
<< Magari ha esagerato, calpestato i tuoi sentimenti, dovete solo parlarne... >> provai, mettendole le mani sulle spalle e cercando di impedirle di accedere a qualunque dei portoni.
Ma qualcosa attirò la sua attenzione. Si mise ad annusare l'aria.
<< Questa è Acqua di Colonia. Il profumo di mio padre... >> commentò, ingrossando le narici.
Sperai che si sbagliasse. Non doveva scoprire la tresca di suo padre con la Zingaredda.
<< Ma magari ti sbagli... >> feci infatti.
<< No che non mi sbaglio! È il profumo di mio padre, e proviene da lì! >> rispose indicando col dito il casermone di fronte al mio.
E cominciò a correre a perdifiato, inseguita da me che cercavo di impedire che scoprisse quel segreto di merda, quel padre, che tanto metteva sul piedistallo, rotolarsi nell'alcova di una fattucchiera che per vocazione era anche puttana; dopo l'accannamento da parte di Mario, una scoperta simile sarebbe stata il colpo di grazia.
<< Leti, ma che sta succedendo? >> domandò Renata Caruso dalla portineria, mentre Caterina correva su per le scale seguendo la scia di profumo dozzinale lasciata da Don Domenico; io le venivo dietro disperata.
<< Cate, aspetta! >> le gridai dietro, col fiatone.
<< Aspetta un cazzo, voglio sapere che ci fa qui mio padre... >> ribatté lei, arrivando al quinto piano, proprio davanti alla porta dell'appartamento della Zingaredda.
Si attaccò al campanello, suonandolo a lungo e con veemenza.
Fu Angelica, la "segretaria" della Zingaredda, ad aprire la porta.
<< La signora è impegnata... >> rispose subito, ma Caterina la spinse via e io le venni dietro.
Si mise a correre fino alla stanza da dove provenivano chiaramente dei gemiti di piacere, e inutilmente cercai di tirarla indietro, di trascinarla via da quello schifo: aprì la porta e ritrovò suo padre, l'irreprensibile Don Domenico Esposito, a cavalcioni sul corpo secco e sfiorito di Crocifissa Spataro.
<< Papà... >> disse a malapena, gli occhi marroni ridotti a fessure.
<< Cate... Aspè, ti posso spiegare... >> cercò di rimediare Don Domenico.
Ma la Esposito già stava scappando. Mi precipitai subito dietro di lei giù per le scale.
Quando fu fuori dal portone cacciò un urlo che fece affacciare tutto il Quartiere.
<< MIO PADRE È UN PUTTANIERE, UN CAZZO DI PUTTANIERE! >> gridò fuori di sé, mentre la tenevo per la vita.
<< Non ti preoccupare, ci sono io... >> la consolai.
***
<< Cate! >> fece la voce di Mario. Ci era corso appresso non appena Lilly Marlen aveva dato l'allarme.
<< Mario... >> commentò la ragazza con un filo di voce, in lacrime.
<< Mi dispiace, Cate... Sono stato un deficiente, ho sbagliato, ma adesso non ti lascio più... >> rispose il giovane Altieri, abbracciandola e accarezzandole i capelli.
Guardai la scena mentre mi allontanavo, svuotata: ci voleva che Caterina facesse una scoperta così orribile, per far tornare Mario sui suoi passi?
Mentre indietreggiavo, mi accorsi di stare andando addosso a qualcuno: quel qualcuno era Gabriele.
<< Che ci fai qui? >> sussultai.
<< Sono venuto a constatare l'entità della stronzaggine di mio fratello >> ribatté disgustato.
Ciò che avevo visto e vissuto fino ad allora mi diede il coraggio di rivolgergli una domanda che in condizioni normali non gli avrei fatto.
<< Perché ti sei incazzato così tanto, quando ha tirato in ballo Emma? >> gli chiesi.
Gabriele rimase in silenzio per alcuni minuti.
<< Perché di tutto il Quartiere, lei sarebbe stata l'unica a saper impedire una simile sceneggiata >> dichiarò.
Anche se immaginavo tutt'altro, e dentro di me sapevo che forse non si era del tutto liberato della sua ossessione per lei, gli credetti perché le sue parole erano veritiere: ad Emma sarebbero bastate due parole per chiudere quella storia in due minuti, forse anche meno.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top